MINISTERO DELL'INTERNO

CIRCOLARE 22 giugno 1993, n. 6 

   Decreto  legislativo  3  febbraio  1993, n. 29: "Razionalizzazione
dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2  della
legge 23 ottobre 1992, n. 421". Applicazione agli enti locali.
(GU n.168 del 20-7-1993)
 
 Vigente al: 20-7-1993  
 

                                   Ai prefetti della Repubblica
                                  Al    Presidente    della    giunta
                                  regionale della Valle d'Aosta
                                  Al commissario del Governo  per  la
                                  provincia di Trento
                                  Al  commissario  del Governo per la
                                  provincia di Bolzano
                                     e, per conoscenza:
                                  Alla Presidenza del  Consiglio  dei
                                  ministri   -   Dipartimento   della
                                  funzione pubblica
                                  Al  Ministero   delle   finanze   -
                                  Direzione  generale  della  finanza
                                  locale
                                  Al   Ministero   del    tesoro    -
                                  Ragioneria   generale  dello  Stato
                                  IGOP
                                  All'assessore regionale enti locali
                                  della regione Sicilia
                                  Al commissario  del  Governo  nella
                                  regione Friuli-Venezia Giulia
                                  Ai  commissari  del  Governo  nelle
                                  regioni a statuto ordinario
                                  All'A.N.C.I.
                                  All'U.P.I.
                                  All'Uncem
  Al fine di  fornire  univoche  linee  interpretative  in  merito  a
numerosi   quesiti   pervenuti   a   questo   Ministero  inerenti  le
problematiche  applicative  del  decreto  legislativo   n.   29/1993,
concernente      "Razionalizzazione     dell'organizzazione     delle
amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia  di
pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n.
421", si forniscono qui di seguito i ritenuti necessari chiarimenti.
  In  via  preliminare  si  osserva  che  gli  enti  locali, ai sensi
dell'art. 1, comma 2, del sopracitato decreto legislativo n. 29/1993,
sono esplicitamente ricompresi tra gli enti destinatari del  processo
di  riforma della pubblica amministrazione introdotto con la suddetta
normativa.
  In primo luogo,  risultano  immediatamente  applicabili  agli  enti
locali  ed  alle  comunita'  montane  le  disposizioni  dei  titoli I
(principi  generali),  II   (organizzazione),   III   (contrattazione
collettiva),  IV  (rapporto di lavoro), V (controllo della spesa), VI
(giurisdizione) e VII (norme transitorie), con le precisazioni qui di
seguito fornite.
  In particolare si richiamano:
    a) l'art. 2 che realizza la c.d. "privatizzazione"  del  rapporto
di  pubblico impiego, innovando le fonti e la disciplina del rapporto
di lavoro;
    b) l'art. 4, commi 1 e 2, relativo al  potere  di  organizzazione
delle  pubbliche  amministrazioni  e  l'art.  10 che ha introdotto un
nuovo  modello  di  relazioni  sindacali  nelle   materie   attinenti
l'organizzazione,  per cui "le amministrazioni pubbliche informano le
rappresentanze  sindacali  sulla  qualita'  dell'ambiente di lavoro e
sulle misure inerenti la gestione  dei  rapporti  di  lavoro.,  ferma
restando  l'autonoma  determinazione  definitiva e la responsabilita'
dei dirigenti nelle stesse materie".
  In virtu' del combinato  disposto  dei  citati  articoli  4  e  10,
risultano  abrogate  anche  nell'ordinamento  degli  enti  locali  le
disposizioni normative che prevedono l'accordo con le  organizzazioni
sindacali  quale  momento  procedimentale necessario nell'adozione di
atti relativi all'organizzazione dell'ente;
    c) gli  articoli  56  e  57  relativi  alla  flessibilita'  delle
mansioni  quale  strumento  di  organizzazione  del lavoro, sulla cui
interpretazione  sono  stati  gia'  forniti  alcuni  chiarimenti  con
circolare  di  questo  Ministero  div.  P.E.L. n. 1/1993 del 29 marzo
1993, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 80  del  6  aprile  u.s.
(concernente  le problematiche relative all'esercizio di funzioni di-
verse rispetto a quelle formalmente rivestite) e con le circolari del
Dipartimento per la funzione pubblica n. 8 e n. 10 del 9 e  11  marzo
1993,  pubblicate, rispettivamente, nella Gazzetta Ufficiale del 13 e
15 marzo u.s., n. 60 e n. 61, alle quali si fa rinvio  anche  per  le
problematiche  relative  all'orario  di  servizio  e di lavoro di cui
all'art. 60.
  Aspetti di  particolare  delicatezza  comporta  l'applicazione  del
titolo  II  in  relazione  a  due  principi cardine della riforma del
pubblico impiego: il principio della separazione  tra  i  compiti  di
direzione  politica  (nei quali rientra la definizione dei programmi,
degli  obiettivi  e  delle  priorita')  e  di  quelli  di   direzione
amministrativa    affidati    alla    dirigenza   (alla   cui   piena
responsabilita'  e'  attribuita  l'attivita'   gestionale),   nonche'
l'assetto  di  quest'ultima;  principi  peraltro gia' contenuti nella
legge n. 142/1990, che, come e' noto, demandava in parte agli statuti
la  realizzazione  del  principio  della  separazione  tra  direzione
politica e direzione amministrativa.
  Pertanto occorre precisare, relativamente al rapporto intercorrente
tra  le  norme  di  cui al sopracitato decreto legislativo e le norme
programmatiche contenute negli statuti, che  il  principio  di  buona
amministrazione  esige  che  gli enti locali adeguino, nel piu' breve
tempo possibile, i propri statuti e regolamenti - ove difformi - alla
nuova  disciplina,  onde  evitare  dubbi   sulla   legittimita'   dei
provvedimenti  e degli atti di gestione adottati da soggetti non piu'
competenti.
  Peraltro, le suesposte considerazioni trovano conferma nella  legge
25  marzo 1993, n. 81, concernente "Elezione diretta del sindaco, del
presidente della provincia, del consiglio comunale  e  del  consiglio
provinciale",  che ha individuato specificamente i poteri del sindaco
e della giunta rafforzando il suddetto principio di  separazione  tra
politica e gestione.
  Un  secondo  ordine  di  problemi  riguarda  il nuovo assetto della
dirigenza.
  Sia la legge n.  142/1990  che  il  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  3  agosto  1990,  n.  333 (di recepimento dell'accordo di
lavoro valido per il biennio 1988/1990) hanno gia'  previsto  per  la
dirigenza  un  modello in linea con i principi della riforma, modello
che deve essere completato ed integrato.
  A  questo  proposito  l'art.  13 del decreto legislativo n. 29/1993
prevede che le amministrazioni degli enti locali  si  attengano  alle
disposizioni  del  decreto  stesso  "conformando  a tal fine i propri
ordinamenti".
  In particolare, l'art. 15 per tutte  le  pubbliche  amministrazioni
(ad  eccezione delle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento
autonomo e degli enti pubblici non economici) articola  la  dirigenza
su un unico livello.
  Da  cio'  deriva  che  anche gli enti locali devono unificare i due
attuali livelli dirigenziali di nona e decima qualifica in  una  sola
posizione.
  Va  da  se'  che  nel  periodo  transitorio  trova applicazione nei
confronti dei dirigenti degli enti locali il disposto  dell'art.  25,
commi  1, 2 e 3 e che sino al primo contratto collettivo disciplinato
dalla nuova normativa rimangono ferme le vigenti disposizioni in tema
di indennita' di funzione previste dal decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 333/1990.
  Alla  luce  delle disposizioni contenute negli articoli 30 e 31 del
decreto, gli enti locali devono,  altresi',  individuare  gli  uffici
dirigenziali  e  definire le proprie piante organiche attribuendo gli
incarichi di direzione degli uffici cosi' rideterminati,  secondo  le
modalita' di cui al comma 5 dell'art. 36 della legge n. 142/1990, nel
testo sostituito dall'art. 13 della legge n. 81/1993.
  Si  precisa,  al  riguardo,  che  per  gli  enti  locali  non trova
applicazione la procedura di cui all'art. 31, comma 1, punto b),  del
decreto  n.  29/1993,  relativa  alla  formulazione della proposta di
ridefinizione delle piante organiche e, conseguentemente, il disposto
di cui al comma 3 del medesimo art. 31.
  La verifica dei risultati ottenuti dai  dirigenti  in  rapporto  ai
programmi  ed  obiettivi  loro  affidati  dovra'  essere  attuata  da
appositi nuclei di valutazione  che,  tenendo  presente  il  disposto
dell'art.  27,  comma  4,  saranno  costituiti per gli enti locali in
stretta analogia con quanto  previsto  dall'art.  20,  comma  2,  del
decreto legislativo n. 29/1993.
  Per  completare  il quadro relativo alla disciplina della dirigenza
appare opportuno sottolineare che l'ordinamento degli enti locali  si
deve conformare alle disposizioni del decreto legislativo n. 29/1993,
anche  per  quanto riguarda l'accesso alla qualifica dirigenziale con
possibilita' di prevedere - oltre al concorso pubblico  per  esami  -
anche  il  corso-concorso, secondo le modalita' previste dall'art. 28
(commi da 1 a 8) e dall'art. 29, comma 6, lettera g).
  Per quanto, infine, riguarda i compiti e le  responsabilita'  della
dirigenza  si  fa rinvio alla ricolare n. 6/1993 della Presidenza del
Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la  funzione  pubblica,  di
cui  alla  Gazzetta  Ufficiale  del  9 marzo 1993, n. 56, recante gli
indirizzi per la fase di prima applicazione del decreto.
  In particolare, ai dirigenti degli enti locali compete la  gestione
finanziaria,  sia sotto l'aspetto dell'entrata - per l'accertamento -
che sotto l'aspetto della spesa - per l'impegno,  la  liquidazione  e
l'ordinazione  - in conformita' alle direttive ed ai principi dettati
dalla giunta.
  Nell'attivita' di gestione e' bene che l'atto dei dirigenti,  sotto
l'aspetto   formale,   assuma   in   ogni   caso   la   veste   della
"determinazione"  soggetta  alle  ordinarie  cautele  che,   per   le
deliberazioni   collegiali,   garantiscono   la   veridicita'   della
numerazione,  unica  per  ciascun ufficio e debitamente codificata, e
della data. E' evidente che  per  quanto  riguarda  l'adozione  delle
deliberazioni  sia  di  giunta  che  di  consiglio,  restano ferme le
disposizioni che impongono i pareri di cui all'art. 53 della legge n.
142 del 1990 e l'attestazione di copertura  delle  spese  di  cui  al
successivo art. 55.
  Un  cenno  a  parte  merita  la  figura  del  segretario comunale e
provinciale, il quale mantiene le competenze previste dalle leggi che
ne disciplinano i poteri e le attribuzioni, in quanto nulla e'  stato
innovato,  anche  con la riforma introdotta dal decreo legislativo n.
29/1993. Sicche' il segretario  comunale  e  provinciale  continua  a
sovraintendere  allo  svolgimento  delle  funzioni dei dirigenti ed a
coordinarne l'attivita', curando l'attuazione dei provvedimenti (art.
52 della legge n. 142/1990).
  Il principio della separazione tra potere politico e dirigenza  va,
altresi',  affrontato con riguardo ai comuni ove in base alle vigenti
disposizioni  la  figura  massima  apicale   non   sia   di   livello
dirigenziale.
  Va,  innanzitutto,  chiarito  che il decreto legislativo n. 29/1993
non ha modificato la tipologia degli enti locali ne' l'assetto  delle
qualifiche previste in base alla loro classificazione.
  Infatti le fonti primarie della classificazione degli enti (decreto
del Presidente della Repubblica n. 749/1972 e tabelle allegate di cui
l'ultima  revisione  risale  ai  decreti  ministeriali 16 marzo 1989,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 31 agosto 1989)  hanno
operato  un apprezzamento quali-quantitativo delle funzioni e compiti
correlati a dette strutture ponendole in precisa connessione  con  la
loro dimensione.
  Per  quanto  riguarda,  infine,  i  comuni  che in forza di decreti
ministeriali hanno ottenuto l'elevazione di classe a norma  dell'art.
1  della legge 8 giugno 1962, n. 604, si rammenta che il Consiglio di
Stato, con giurisprudenza ormai consolidata, ribadita da  ultimo  con
sentenza  n.  682  del 27 agosto 1991, ha stabilito che "Il passaggio
del  comune  ad  una  classe  superiore  non  comporta   l'automatica
attribuzione, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 25
giugno  1983,  n.  347,  di  qualifiche  superiori a quelle spettanti
rispetto ai livelli in godimento".
  Ne consegue, pertanto, che come gia' detto  l'eventuale  elevazione
di  classe  di  un  comune  non  comporta  in alcun caso l'automatica
istituzione di profili professionali superiori rispetto a quelli gia'
in godimento presso l'ente.
  Con l'occasione giova, comunque, rammentare che l'art.  5,  lettera
e),  del  decreto  in  esame  stabilisce  quale  criterio generale di
organizzazione, che l'attivita' di tutti i dipendenti sia  improntata
alla  "responsabilita'  e collaborazione di tutto il personale per il
risultato dell'attivita' lavorativa".
  Si puo', quindi, coerentemente affermare che le funzioni gestionali
ed amministrative negli enti in questione sono correttamente affidate
al personale appartenente alle figure massime  apicali  ivi  previste
dalle   vigenti   disposizioni,  ancorche'  non  dirigenziali,  ferme
rimanendo  le  suindicate  funzioni  del   segretario   comunale.   A
quest'ultimo,   peraltro,   dovranno   essere  affidate  le  funzioni
gestionali limitatamente ai comuni (e per le aree di  attivita')  nei
quali  la  figura  apicale massima sia inferiore alla sesta qualifica
funzionale. Sicche' rimane confermata la impossibilita' di  istituire
la figura dirigenziale nei suddetti enti locali.
  Si  richiama,  tuttavia,  l'art.  26  della  legge n. 142/1990, che
prevede la possibilita' per gli enti  in  questione  di  sperimentare
l'unione  tra comuni per l'esercizio di una pluralita' di funzioni di
servizio.
  Si rammenta, infine, che l'art. 24 della  legge  n.  142/1990,  che
disciplina le forme associative e di cooperazione, consente agli enti
locali  di  stipulare  convenzioni  per  lo svolgimento coordinato di
funzioni e di servizi determinati.
  Con riguardo  alle  disposizioni  sulla  definizione  delle  piante
organiche,   assunzioni,   mobilita'   nonche'  sulla  normativa  del
personale degli enti locali, si ricorda che il decreto legislativo ha
subito una modifica (che entrera' in vigore dal 1  gennaio  1994)  ad
opera  dell'art.  16-  bis  del  decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8,
convertito in legge 19 marzo 1993, n.  68,  che  stabilisce  che  "le
disposizioni  statuenti  vincoli  sul controllo centrale delle piante
organiche e sulle assunzioni di  personale  ad  eccezione  di  quelli
direttamente  connessi  alla mobilita' volontaria e d'ufficio, non si
applicano  agli  enti  locali   che   non   versino   in   situazioni
strutturalmente  deficitarie rilevate ai sensi dell'art. 45, comma 2,
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504".
  Pur essendo la disposizione esaminata in  linea  con  la  autonomia
impositiva  degli  enti  locali, non si sottace la necessita' che gli
enti stessi provvedano rapidamente (entro centocinquanta giorni dalla
entrata in vigore del decreto medesimo, atteso il  complesso  sistema
sanzionatorio  previsto  dalla  normativa  per gli enti inadempienti)
alla  ridefinizione  delle  proprie  piante  organiche   secondo   le
disposizioni  contenute  negli  articoli  30,  31  e  32  del decreto
legislativo immediatamente applicabili nell'anno in corso.
  Relativamente ai criteri cui devono ispirarsi gli enti  locali  nel
predisporre   il   proprio   progetto  di  riorganizzazione,  bisogna
ricordare  come  i  criteri  base  cui  fa  riferimento  il   decreto
legislativo   (separazione   dei   poteri   politici   e  gestionali,
applicazione concreta  dei  principi  gia'  sanciti  dalla  legge  n.
142/1990  nonche'  dalla  legge  n. 241/1990) devono trovare concreta
applicazione con la previsione, in relazione alle fattispecie di ogni
singolo ente, di specifiche professionalita'.
  L'art. 31, alla lettera b), da' delle indicazioni di massima  sulla
formulazione  di  una  proposta di ridefinizione degli uffici e delle
piante organiche, in relazione anche ai criteri di cui all'art. 5, ai
carichi di lavoro, alla razionalizzazione delle strutture, al fine di
evitare duplicazioni e sovrapposizioni di  funzioni  per  conseguire,
ove   possibile,   una   riduzione   per  accorpamento  degli  uffici
dirigenziali, e conseguentemente, delle dotazioni organiche in misura
non inferiore al 10%.
  Lo stesso art. 31 al comma 2 indica i criteri per la determinazione
dei carichi funzionali di lavoro, identificandoli in  relazione  agli
specifici  bacini  di  utenza,  al rapporto tra addetti e popolazione
residente e al grado di informatizzazione che devono essere integrati
dall'analisi funzionale delle metodologie di lavoro e  della  propria
strutturazione organizzativa.
  Ne   discende   quindi  che  i  carichi  di  lavoro  dovranno  aver
riferimento  alle  peculiarita'  di  ciascun   ente   non   potendosi
ipotizzare  che  gli stessi siano genericamente adattabili a tutte le
realta' locali essendo queste ultime di per  se'  stesse  diverse  in
ragione    di   numerosi   fattori   (zona   geografica,   estensione
territoriale, meccanizzazione, ecc.).
  Tale impostazione dovra' determinare la nuova ipotesi organizzativa
dell'ente locale.
  La  riorganizzazione  degli  uffici  dirigenziali  e  delle  piante
organiche  dovra'  essere adottata con provvedimento consiliare, che,
ai sensi delle vigenti disposizioni, dovra' essere portato  all'esame
dell'organo  di  controllo  regionale  (Co.Re.Co.)  e,  quindi, della
Commissione centrale degli organici degli  enti  locali  (cosi'  come
previsto dallo stesso art. 31, comma 4, ultima parte, del sopracitato
decreto legislativo).
  Appare,  comunque, opportuno sottolineare che, ove la ridefinizione
complessiva delle piante organiche sia gia' avvenuta ai  sensi  della
legge  n.  142/1990  e  di  altre  disposizioni,  occorrera' da parte
dell'ente un  provvedimento  confermativo  da  inviare  ai  succitati
organi  per  la  presa  d'atto  e da comunicare al Dipartimento della
funzione pubblica a fini ricognitivi.
  Tale presa d'atto, peraltro, non  e'  necessaria  per  quegli  enti
dissestati che sono stati obbligati a rideterminare le proprie piante
organiche  ai  sensi dell'art. 25 della legge 24 aprile 1989, n. 144,
di conversione del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 62.
  Si rappresenta, infine, che quanto precede costituisce  presupposto
inderogabile  per  l'applicazione  del  sopracitato  art. 16- bis del
decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, come convertito nella  legge  19
marzo 1993, n. 62.
  Quanto  alle  disposizioni  del  citato  decreto sulle modalita' di
assunzione, sull'accesso  dei  cittadini  degli  Stati  membri  della
Comunita'  europea, sui requisiti di accesso e modalita' concorsuali,
e sulla formazione e lavoro (articoli 36, 37, 41 e  44),  trattandosi
di  norme  che,  data  la  loro  natura  di  principi  generali  sono
applicabili anche  agli  enti  locali,  ne  consegue  che  tali  enti
dovranno uniformare i propri regolamenti in materia alle disposizioni
ivi  contenute  o a quelle dei regolamenti governativi previsti dallo
stesso decreto legislativo n. 29/1993.
  Si pregano le SS.LL. di dare la massima  diffusione  alla  presente
circolare, fornendo un cortese cenno di ricevuta e di assicurazione.
                                            p. Il Ministro: DELL'OSSO