N. 305 SENTENZA 5 - 7 luglio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale
 
 Processo  penale  -  Procedimenti  speciali  -  Rito   abbreviato   -
 Inammissibilita' ove sia contestato un delitto punito con l'ergastolo
 -  Impossibilita'  per il g.u.p. di sindacare l'imputazione formulata
 dal p.m. escludendo circostanze aggravanti che ritenga  insussistenti
 ovvero  diversamente  qualificando  il fatto contestato cosi' come ad
 esso consentito ad altri fini - Lamentata  irragionevole  sottrazione
 del  processo  al  giudice  competente  con  incidenza sul diritto di
 difesa - Esclusione - Non fondatezza della questione.
 
 (C.P.P., artt. 438, 439 e 440).
 
 (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, 25 e 101, secondo comma).
(GU n.30 del 21-7-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.
    Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato GRANATA, prof.
    Francesco  GUIZZI,   prof.   Cesare   MIRABELLI   prof.   Fernando
    SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
 degli artt. 438, 439 e 440 del codice di procedura  penale,  promosso
 con  ordinanza  emessa  il 10 maggio 1993 dal giudice per le indagini
 preliminari presso il Tribunale di Teramo nel procedimento  penale  a
 carico  di  D'Elpidio  Vincenzo,  iscritta  al  n.  254  del registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto l'atto di costituzione di D'Elpidio Vincenzo;
    Udito nell'udienza pubblica del 22 giugno 1993 il Giudice relatore
 Vincenzo Caianiello;
    Uditi gli avvocati  Guglielmo  Marconi  ed  Antonio  Fiorella  per
 D'Elpidio Vincenzo;
                           Ritenuto in fatto
    1.1.  -  Nel  corso  di  un  procedimento penale il giudice per le
 indagini preliminari presso il Tribunale di Teramo,  in  funzione  di
 giudice   per   l'udienza  preliminare,  ha  sollevato  questione  di
 legittimita' costituzionale degli articoli 438, 439 e 440 del  codice
 di  procedura  penale,  in  riferimento  agli articoli 3, 24, secondo
 comma, 25 e 101, secondo comma, della Costituzione.
    Il giudice rimettente si trova a dover  decidere  in  ordine  alla
 richiesta,   formulata   dalla   difesa  dell'imputato,  di  giudizio
 abbreviato; rito, quest'ultimo, che e' pero' precluso,  nel  caso  di
 specie,  in  ragione della contestazione all'imputato di un titolo di
 reato - omicidio volontario aggravato dalla  circostanza  dei  motivi
 futili:  artt.  575, 577 n. 4 del codice penale in relazione all'art.
 61, n.  1  dello  stesso  codice  -  che  comporta  in  via  astratta
 l'applicabilita'  della  pena  dell'ergastolo,  e  dunque - a seguito
 della sentenza n. 176 del 1991 della Corte costituzionale - impedisce
 "in radice di accedere al giudizio abbreviato".
   1.2. - Muovendo dalla  ritenuta  opportunita'  di  sollecitare  una
 ulteriore  pronuncia  della  Corte,  rispetto a quanto da questa gia'
 enunciato con l'ordinanza n. 163 del  1992  in  rapporto  ad  analoga
 prospettazione,   il   giudice   a   quo  sottopone  a  scrutinio  di
 costituzionalita' la mancata attribuzione al giudice per le  indagini
 preliminari  del  potere di sindacare l'imputazione, preclusiva, come
 detto, del rito speciale, allorche' detta imputazione sia da ritenere
 palesemente erronea, come, ad avviso del remittente, avviene nel caso
 concreto, in cui l'imputato, sottoposto a indagini peritali, e' stato
 riconosciuto  affetto  da  infermita'  di  mente  tale  da   renderlo
 totalmente incapace di intendere e volere al momento del fatto.
    Questa  situazione  di fatto si troverebbe - prosegue il giudice a
 quo -  in  rapporto  di  inconciliabilita'  logico-giuridica  con  la
 contestata aggravante dell'art. 61 n. 1) del codice penale; tuttavia,
 la  correlativa  delibazione  e'  preclusa  al  giudice,  cui  non e'
 consentito di valutare  l'esattezza  dell'imputazione  escludendo  la
 circostanza   ritenuta   non  sussistente,  e  dunque  di  dichiarare
 ammissibile  il  rito   abbreviato,   sussistendone   gli   ulteriori
 presupposti.
    1.3.  -  Senza soffermarsi a fondo sulla questione di merito della
 compatibilita'  dell'aggravante  con  le  risultanze   dell'incidente
 probatorio  e  delle  consulenze  tecniche  con  riguardo  allo stato
 mentale dell'imputato - giacche' e' proprio  l'inibizione  di  questa
 possibile  delibazione l'oggetto della censura di incostituzionalita'
 - il giudice rimettente osserva in primo luogo  che  nell'ordinamento
 processuale  penale  esistono alcune ipotesi in cui al giudice per le
 indagini preliminari, o dell'udienza  preliminare,  e'  accordata  la
 possibilita'  di valutare l'imputazione e, in caso di discordanza tra
 questa e le emergenze materiali, correggere e  modificare  la  prima:
 cosi'  avviene  ai  fini  della  declaratoria  di  incompetenza  "per
 qualsiasi causa" ai  sensi  dell'art.  22  del  codice  di  procedura
 penale,  o  nel caso di diversa qualificazione del reato che implichi
 la sussistenza di una causa estintiva o di improcedibilita'  a  norma
 dell'art.  425  del codice di procedura penale ovvero ancora nel caso
 in cui il giudice imponga al pubblico ministero,  a  norma  dell'art.
 409  del  codice  di  procedura  penale,  la  formulazione  di  altra
 imputazione rispetto a quella per la quale l'organo di  accusa  abbia
 formulato richiesta di archiviazione.
    Di fronte a tali evenienze, risulta irragionevole - in rapporto al
 parametro  di  eguaglianza - lo "sbarramento" posto al giudice per le
 indagini preliminari in rapporto all'ammissione al rito  alternativo;
 ne'  la  legittimita'  di  questa  preclusione potrebbe essere basata
 sulla piu' generale e sistematica impossibilita' di esclusione  delle
 circostanze  da  parte  di  detto  giudice,  giacche'  allora sarebbe
 proprio l'intero sistema a proporre fondati  dubbi  di  razionalita',
 tanto  piu'  alla luce della nuova disciplina della imputazione delle
 circostanze aggravanti (art. 59 del codice penale), per le  quali  e'
 richiesto  un  coefficiente soggettivo di colpevolezza che riduce, se
 non  elide,  la  differenza  tra  elementi  essenziali  ed   elementi
 accidentali  del  reato:  se  puo'  pervenirsi  ad una verifica della
 correttezza dell'imputazione in caso di imputazioni alternative sotto
 il profilo del concorso formale, in cui il giudice  per  le  indagini
 preliminari deve optare per una delle due ipotesi di reato contestate
 (il  giudice  a  quo  propone  l'esempio  della  diffamazione e della
 calunnia addebitate per i medesimi fatti), non v'e'  ragione  di  non
 consentire   analogo  potere  quando  l'imputazione  del  fatto-reato
 risulta esatta ma appare erronea la descrizione  e  contestazione  di
 elementi accidentali.
    1.4.  -  Un  ulteriore  profilo di illegittimita' e' ravvisato dal
 giudice a quo nel fatto che la ricordata  preclusione  del  sindacato
 sull'imputazione  consente  in  definitiva  al  pubblico ministero di
 determinare, senza alcuna possibilita'  di  rimedio,  la  sottrazione
 dell'imputato  al  proprio  giudice naturale, tale essendo il giudice
 per le indagini preliminari in rapporto alla peculiare figura di rito
 speciale che trova la propria sede, almeno in via tipica e ordinaria,
 all'interno  dell'udienza  preliminare,  alla  cui  celebrazione   e'
 competente,  funzionalmente ed in via esclusiva, il medesimo giudice;
 con ulteriore raccordo, oltre che al  parametro  dell'art.  25  della
 Costituzione,  a  quello di cui all'art. 3 della Costituzione, attesa
 l'assenza di meccanismi processuali idonei a  garantire  il  rispetto
 delle  regole,  meccanismi  viceversa  previsti  per  altre e diverse
 situazioni di sottrazione del processo al proprio giudice naturale.
    Per  questo  aspetto,   poi,   il   giudice   a   quo   sottolinea
 l'inadeguatezza di una eventuale applicazione della riduzione di pena
 all'esito  del  dibattimento  -  "rimedio"  operante nelle ipotesi di
 dissenso o di valutazione di non definibilita' allo stato degli  atti
 ritenuti  successivamente erronei - giacche' nel caso prospettato non
 e' neppure consentito  pervenire  alla  valutazione  di  tali  ultimi
 presupposti,    pregiudizialmente    preclusi   dalla   contestazione
 radicalmente ostativa del rito.
    1.5. - Ancora, la situazione descritta appare in contrasto con  le
 garanzie  stabilite  dall'art.  24  della  Costituzione, posto che il
 pubblico ministero puo' impedire l'accesso al rito abbreviato,  senza
 possibilita'  di  rimedio,  solo  formulando  una  imputazione  anche
 palesemente erronea; il che confligge con la piu'  ampia  tutela  del
 diritto  di  difesa,  che  non  si risolve unicamente nella fruizione
 dello "sconto" di pena di un terzo, ma involge valutazioni e  profili
 diversi,  quali  l'interesse  ad evitare la pubblicita' dell'udienza,
 l'"interesse strategico a giocarsi le proprie  carte"  in  base  agli
 atti  acquisiti evitando l'ingresso di nuovi elementi, la limitazione
 delle possibilita' di appello da parte del pubblico ministero.
    Cosi',  osserva  il  remittente,  le  possibilita'  di  "recupero"
 dibattimentale   della   riduzione  di  pena,  cui  pure  fa  accenno
 l'ordinanza n. 163 del 1992 della Corte, non risolvono  il  problema.
 Ne',  in generale, detta possibilita' puo' dirsi scontata, posto che,
 mentre nelle altre ipotesi di dissenso non giustificato del  pubblico
 ministero   il   ricordato  recupero  sanzionatorio  al  dibattimento
 controbilancia la perdita del rito, nella vicenda in esame -  in  cui
 non  si  scorge  alcun  valido  interesse  dell'accusa  ad imporre il
 passaggio alla fase dibattimentale - la riduzione di pena non e'  del
 tutto  pacifica, essendo derivata in quelle altre ipotesi da pronunce
 di incostituzionalita' della Corte che hanno ridisegnato il  sistema,
 mentre nel caso in esame al pubblico ministero non e' neppure dato, a
 rigore,  di  manifestare  il  proprio  assenso o meno sul presupposto
 sostanziale  della  definibilita'  allo   stato   degli   atti,   che
 logicamente   e'  preceduto  dalla  mera  inammissibilita'  del  rito
 speciale; ond'e' che in fase dibattimentale manca uno degli  elementi
 necessari per applicare il beneficio sul piano sanzionatorio.
    1.6.  -  L'ultimo  profilo  dedotto  dal giudice a quo riguarda il
 contrasto della normativa impugnata con l'art.  101,  secondo  comma,
 della  Costituzione,  poiche' in quanto rilevato si deve scorgere una
 lesione del principio di esclusiva soggezione alla legge: il  giudice
 e',  in  sostanza,  assoggettato  a  scelte  del pubblico ministero -
 magari  capziose,  o  comunque  evidentemente  errate  -  del   tutto
 insindacabili.
    1.7.  - I profili dedotti risultano del resto ben colti - aggiunge
 il remittente - nel recente disegno di legge governativo di  riordino
 del rito abbreviato, che si fa carico del problema qui sollevato.
    Quanto   alla  rilevanza  della  questione,  il  giudice  conclude
 osservando che essa e' "nelle cose", stante la richiesta di  giudizio
 abbreviato,  preclusa allo stato, e che non altera detta rilevanza il
 fatto  che  il  pubblico  ministero  abbia  espresso  nel  corso  del
 procedimento   una   valutazione  di  dissenso  anche  in  merito  al
 presupposto della definibilita' allo stato degli atti, poiche' questa
 formulazione e' stata successivamente puntualizzata nel rilievo della
 riferibilita'  pregiudiziale   del   dissenso   alla   questione   di
 inammissibilita' del rito speciale.
    2.1.  - Non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei
 Ministri, mentre si e' costituita  la  parte  privata,  a  mezzo  dei
 propri  difensori,  depositando  deduzioni  con  le  quali, dopo aver
 richiamato per relationem una memoria difensiva gia'  depositata  nel
 procedimento  a  quo,  si  sviluppano  le argomentazioni proposte dal
 giudice  remittente,  a  sostegno  della  richiesta  declaratoria  di
 illegittimita' costituzionale delle norme denunciate.
                        Considerato in diritto
    1.  -  E'  stata sollevata dal giudice per le indagini preliminari
 presso il Tribunale di Teramo, in funzione di giudice  per  l'udienza
 preliminare,  questione  di  legittimita'  costituzionale degli artt.
 438, 439 e 440 del codice di procedura penale, nella parte in cui non
 consentono  al  giudice   dell'udienza   preliminare   di   sindacare
 l'imputazione    formulata   dal   pubblico   ministero,   escludendo
 circostanze  aggravanti   insussistenti   e   comunque   diversamente
 qualificando  il  fatto-reato  ai  fini  dell'ammissione del giudizio
 abbreviato richiesto dall'imputato, cui sia stato contestato un reato
 che - secondo la stessa  imputazione  -  sia  punibile  con  la  pena
 dell'ergastolo.  Nell'ordinanza  di  rinvio  -  che, in rapporto alla
 situazione dedotta nel giudizio a quo, ha riguardo all'ipotesi  della
 verifica   del  controllo  sulla  sussistenza  di  un'aggravante  che
 comporta la pena  edittale  dell'ergastolo,  senza  riferimento  alla
 ipotesi  del controllo sul titolo del reato-base, perche' estranea al
 giudizio a quo - si sostiene il contrasto delle norme denunciate  con
 gli  articoli:  a)  3, primo comma, della Costituzione, nel raffronto
 con  le  disposizioni  che,   ad   altri   fini   (dichiarazione   di
 incompetenza; proscioglimento ex art. 425 c.p.p.; ordine di formulare
 l'imputazione  ex art. 409 c.p.p.) abilitano lo stesso giudice per le
 indagini preliminari a valutare l'esattezza della  contestazione;  b)
 3, 24, secondo comma, e 25 della Costituzione, per la preclusione che
 ne  deriva all'imputato di accedere, oltre che alla riduzione di pena
 eventualmente  disposta  all'esito  del  giudizio,  alle  piu'  ampie
 possibilita'  difensive  sottese  alla  scelta  del rito (mancanza di
 pubblicita';   definizione   allo   stato    degli    atti;    limiti
 all'appellabilita'  della  decisione  da  parte  del P.M.), e cio' in
 ragione di una scelta arbitraria del pubblico ministero, non sorretta
 da un interesse rilevante al passaggio alla fase dibattimentale e non
 assoggettabile ad alcun meccanismo di controllo; c) 25, primo  comma,
 della  Costituzione,  per  la  sottrazione  dell'imputato  al giudice
 naturale dell'udienza  preliminare,  sempre  in  conseguenza  di  una
 determinazione   insindacabile   e   non   rimediabile  del  pubblico
 ministero;  d)  101,  secondo  comma,  della  Costituzione   per   la
 sottoposizione del giudice alla scelta dell'organo di accusa.
    2. - La questione non e' fondata.
    Ai  fini  del  suo inquadramento va precisato che il petitum tende
 sostanzialmente  ad  una  pronuncia  che   attribuisca   al   giudice
 dell'udienza  preliminare,  ai  fini  dell'applicazione  del giudizio
 abbreviato, il potere di dare una diversa qualificazione  del  fatto-
 reato  contestato, nell'ipotesi in cui ritenga erronea quella operata
 dal pubblico ministero in relazione alla  avvenuta  contestazione  di
 una  aggravante  che,  comportando  la  pena  dell'ergastolo, esclude
 l'applicabilita' di tale rito alternativo.
    Detto potere e', allo  stato,  escluso  dalla  configurazione  del
 giudice  per  le  indagini  preliminari,  preposto  -  salvo  qualche
 eccezione rispondente,  come  si  dira'  ancora,  a  ben  individuate
 finalita'  -  al  controllo  della  "legittimita'  della  domanda  di
 giudizio  avanzata  dal  pubblico  ministero"  (sent. n. 64 del 1991)
 nonche' alla verifica  della  regolarita'  delle  fasi  anteriori  al
 dibattimento,  onde  evitare  che  questo  possa  essere  ostacolato,
 ritardato, impedito o vanificato dal mancato  rispetto  delle  regole
 processuali nelle fasi che lo hanno preceduto.
    E'  percio'  muovendo  da  tale  configurazione,  risultante dalla
 disciplina vigente, che la giurisprudenza  della  Corte  ha  chiarito
 (sentt.  n. 23 del 1992 e n. 81 del 1991) che il codice circoscrive i
 poteri  di  quel  giudice  in  ordine  alla  richiesta  di   giudizio
 abbreviato solo agli aspetti formali, precisando in particolare (ord.
 n.  163  del  1992)  che  e'  suo  compito  soltanto di verificare la
 decidibilita' allo stato degli atti e la sussistenza dei presupposti:
 "vale a dire che non si tratti di  reato  punibile  in  astratto  con
 l'ergastolo,  che vi sia la richiesta dell'imputato e il consenso del
 pubblico ministero".
    In tal  modo,  essendosi  individuata  nel  dibattimento  la  sede
 processuale  del  controllo di ogni altra determinazione che comporti
 valutazioni di merito, come appunto  la  diversa  qualificazione  del
 fatto contestato, e' rimasto chiarito che la delimitazione dei poteri
 del  giudice per le indagini preliminari non preclude all'imputato di
 recuperare, in prosieguo, il beneficio  della  riduzione  della  pena
 connessa  al giudizio abbreviato. Si e' difatti precisato che "attese
 le conseguenze che  sul  piano  sostanziale  possono  derivare  dalla
 rituale  richiesta  di giudizio abbreviato, la valutazione definitiva
 in ordine  ad  essa  spetta  al  giudice  del  dibattimento,  il  che
 comporta,  ovviamente,  anche  il  potere  di  controllo  su  tutti i
 presupposti che condizionano il beneficio della riduzione della pena"
 e, fra questi, ovviamente quello della punibilita' o meno  del  fatto
 con la pena dell'ergastolo.
    3.1.  -  In relazione alle indicazioni della giurisprudenza teste'
 richiamate, sembra opportuno, prima di ogni altro, farsi  carico  dei
 rilievi  che,  rispetto  ad  esse,  ha prospettato il giudice a quo a
 sostegno di censure formulate specie in riferimento agli artt. 3,  24
 e  25  della  Costituzione.  Nell'ordinanza di rinvio si contesta che
 tali  indicazioni  siano  idonee  a   far   superare   i   dubbi   di
 costituzionalita'  relativamente  alla  impossibilita',  in  sede  di
 udienza preliminare, del controllo sulla  qualificazione  del  fatto-
 reato  come  operata  dal  pubblico  ministero,  specie  in relazione
 all'"irrimediabile" impedimento che, in base ad una contestazione che
 nel dibattimento dovesse risultare errata,  deriverebbe  all'imputato
 nel  potersi  avvalere degli altri vantaggi che egli si ripromette di
 conseguire con la richiesta di giudizio  abbreviato,  un  impedimento
 che  verrebbe  percio'  a  dipendere  esclusivamente da un errore del
 pubblico ministero.
    3.2. - Per quel che riguarda in primo luogo il rilievo secondo cui
 nel caso di "contestazione ostativa il P.M. si limita a rigore a  far
 rilevare  l'inammissibilita' del rito e neppure puo' esprimersi sulla
 definibilita'  allo  stato   degli   atti,   cosi'   che   manca   un
 indispensabile   elemento   per   poter   addivenire  alla  riduzione
 dibattimentale", si deve osservare che, a fronte di una richiesta  di
 giudizio  abbreviato,  il pubblico ministero, indipendentemente dalla
 qualificazione del fatto,  e'  tenuto  pur  sempre  ad  esprimere  il
 proprio  punto  di  vista  anche sulla decidibilita' allo stato degli
 atti  per  consentire  al  giudice  del  dibattimento  il  necessario
 controllo in vista  del  possibile  recupero  in  quella  sede  della
 richiesta ai fini della riduzione della pena. Questo non esclude che,
 qualora  a  cio'  il  pubblico  ministero  non  abbia  esplicitamente
 provveduto, il giudice del dibattimento, indipendentemente da  quella
 che  sia  stata  la posizione del primo nella fase predibattimentale,
 debba egli  in  ogni  caso  compiere,  ora  per  allora,  sempre  che
 l'imputato  ne  abbia fatto richiesta all'epoca, la verifica circa la
 decidibilita'  allo  stato  degli  atti   al   momento   dell'udienza
 preliminare.  Cio'  per darsi ingresso a quella richiesta in funzione
 della riduzione della  pena  qualora  si  dovesse  ritenere,  con  un
 giudizio ex ante, che la contestazione fosse ab origine errata e tale
 quindi da consentire, allora, il rito abbreviato.
    3.3.  -  Relativamente  all'altro  rilievo, secondo cui il diritto
 alla difesa verrebbe  ad  essere  irragionevolmente  violato  da  una
 contestazione  anche  volutamente  errata,  derivandone la perdita da
 parte dell'imputato degli altri vantaggi  che  potrebbero  conseguire
 sul  piano  processuale  dall'accoglimento  della  richiesta, si deve
 osservare che al suo "interesse ad evitare  l'udienza  pubblica"  non
 puo',  per  intuitive ragioni, diversamente da quello che si sostiene
 nell'ordinanza, riconoscersi copertura costituzionale nel diritto  di
 difesa e nel principio di eguaglianza. La possibilita' per l'imputato
 di  esaurire  il  giudizio nell'udienza preliminare, senza affrontare
 l'udienza pubblica, costituisce se mai uno dei motivi  sui  quali  fa
 leva  il  legislatore  per indurre l'imputato alla richiesta del rito
 alternativo previsto a  deflazione  dei  dibattimenti,  ma  non  puo'
 ritenersi   connaturata  al  diritto  di  difesa,  mentre  sul  piano
 endoprocessuale,  nel  quale  tale  possibilita'  esaurisce  i   suoi
 effetti,  essa  puo'  essere  configurata  come pretesa invocabile in
 quanto prevista per la generalita' degli  imputati  (art.  3  Cost.),
 solo  se  ricorrano  i  presupposti  cui,  in  base  alla  disciplina
 concreta, il suo  accoglimento  e'  subordinato  e,  fra  questi,  la
 contestazione   di  un  fatto-reato  non  punibile  in  astratto  con
 l'ergastolo. Questo presupposto, d'altronde, ancorato dal codice alla
 contestazione,  come  risulta  in  modo   chiaro   dalla   richiamata
 giurisprudenza della Corte, non puo' considerarsi ingiustificatamente
 discriminatorio,  in  ragione della mancata possibilita' di controllo
 della sua esattezza da parte del giudice per le indagini preliminari,
 essendo questa limitazione coerente con la natura delle funzioni  che
 il codice ha attribuito a quell'organo nella struttura del processo.
    Che   poi  in  concreto  tale  impedimento  possa  derivare  dalla
 posizione assunta dal pubblico ministero e' un aspetto che non rileva
 sul piano della legittimita' costituzionale, rientrando nella normale
 dialettica processuale far dipendere certe conseguenze dalla condotta
 processuale di una delle parti, sempre che siano  salvaguardati,  sul
 piano  sostanziale,  il diritto di difesa e la parita' di trattamento
 processuale  a  tutti  i  soggetti  che  si  trovino   nelle   stesse
 situazioni.
    3.4.  -  Per  le  medesime  considerazioni va disatteso il rilievo
 secondo cui l'errata  contestazione,  impedendo  la  possibilita'  di
 accesso  al  giudizio abbreviato, comprometterebbe altri vantaggi per
 l'imputato quali l'"interesse strategico a giocarsi le proprie  carte
 sulla  base  degli  atti  acquisiti che consentono la definizione del
 giudizio evitando l'ingresso di ulteriori  elementi;  la  valutazione
 della limitazione delle possibilita' di appello offerte al P.M.".
    Una  volta  che  si  muova  dalla  considerazione  che il recupero
 dibattimentale della richiesta di giudizio abbreviato  ne  salva  gli
 effetti  sostanziali,  mentre  le  conseguenze  che agiscono nel mero
 ambito  processuale  sono  nella  specie  legittimamente  subordinate
 all'esistenza   di  certi  presupposti,  voluti  dal  legislatore  in
 coerenza  con  la  struttura  generale  del  processo  e  dei   ruoli
 attribuiti   a  ciascuno  dei  suoi  soggetti,  l'impossibilita'  per
 l'imputato di potersi avvalere di alcune strategie processuali  e  di
 avvantaggiarsi  di  alcune  limitazioni  quanto  alla possibilita' di
 appello da parte del pubblico ministero non  rilevano  dal  punto  di
 vista  della  legittimita'  costituzionale. Ne' sul diritto di difesa
 dell'imputato, ne' sul suo diritto alla parita' di trattamento con la
 generalita' degli imputati. Si e' difatti in presenza  di  diversita'
 di   situazioni   processuali   connesse   alla  articolazione  della
 disciplina  codicistica  di  questo  particolare  tipo  di   giudizio
 alternativo,  disciplina che, per tutte le ragioni anzidette, appare,
 sotto i profili esaminati, coerente e tale quindi da giustificare  la
 diversita'  delle  conseguenze  previste in relazione alla diversita'
 delle situazioni considerate.
    3.5. - Le conclusioni cui si e' ora pervenuti  trovano  d'altronde
 ulteriore  conferma  nella  considerazione  per  cui, ad ammettere un
 potere generale del giudice per le indagini preliminari di  mutamento
 della  qualificazione  giuridica  del fatto-reato si oppone, oltre al
 dato letterale (v. anche l'art. 2,  direttiva  n.  52)  della  legge-
 delega  n.  81 del 1987, secondo cui il giudice enuncia l'imputazione
 formulata dal pubblico ministero), il fatto che in  tale  ipotesi  si
 perverrebbe  alla  conseguenza di una possibile modifica peggiorativa
 rispetto alla posizione dell'imputato: con il risultato  di  produrre
 distorsioni  nel  quadro  sistematico,  che vede riservate al giudice
 dibattimentale dette  valutazioni  e  conseguenze,  talche'  solo  il
 legislatore puo' valutare se consentire o meno anche tale potere.
    Ne',  infine,  la  prospettazione  del  giudice  a  quo risulta in
 armonia con le previsioni del codice che regolano il rito alternativo
 in parola al di fuori dell'udienza preliminare, come avviene nei casi
 di  trasformazione  del  giudizio  direttissimo,   o   del   giudizio
 immediato,  o  del  giudizio  conseguente  all'opposizione al decreto
 penale nel rito abbreviato, nonche', in  generale,  nella  disciplina
 del  procedimento  dinanzi  al  pretore.  In tali ipotesi, difetta in
 radice una possibilita' di sindacato "anticipato" sull'imputazione, e
 tuttavia  non  vi  e'  ragione  di  prospettare  alcuna  lesione  dei
 parametri  costituzionali invocati; cio' che conferma l'estraneita' a
 quest'ultimo profilo dei  problemi  di  relazione  tra  le  fasi  del
 medesimo  grado  del  processo  quanto all'individuazione del giudice
 abilitato a sindacare l'imputazione, che allo  stato  il  legislatore
 individua,   in  modo  non  irragionevole,  nel  giudice  deputato  a
 conoscere integralmente del fatto.
    4.  -  Passando  all'esame  dell'altro  profilo  della  questione,
 riferito  anch'esso all'art. 3, primo comma, della Costituzione, esso
 e' formulato dal giudice a quo nel rilievo per cui "non sia  vero  in
 assoluto  che al giudice per le indagini preliminari non sia in alcun
 modo consentita una valutazione dell'imputazione che  conduce  ad  un
 diverso  apprezzamento  dei fatti materiali da cui possa emergere una
 diversa qualificazione giuridica della fattispecie criminosa";  cio',
 secondo  il  rimettente, si verifica nei seguenti casi: ai fini della
 dichiarazione  di  incompetenza  (art.  22  c.p.p.);  ai   fini   del
 proscioglimento immediato, in presenza di certi presupposti (art. 425
 c.p.p.);  in  relazione  all'ordine  rivolto al pubblico ministero di
 formulare l'imputazione (art. 409 c.p.p.).
    In proposito  e'  sufficiente  ripetere,  anche  alla  luce  della
 sentenza  n.  64  del 1991, che l'attuale configurazione, a norma del
 codice, del giudice per le indagini preliminari,  relativamente  alle
 sue  funzioni  di  giudice  per  l'udienza  preliminare, e' quella di
 organo preposto, in via ordinaria, alla  verifica  della  regolarita'
 del  procedimento  nonche'  della sufficienza degli elementi di fatto
 addotti ai fini della contestazione.
    Le ipotesi normative richiamate nell'ordinanza  di  rinvio  (artt.
 22,  409,  425  c.p.p.)  rappresentano deroghe a tale configurazione,
 previste  dal  legislatore  per  il  raggiungimento  di   determinate
 finalita'   proprie   del  processo.  Deroghe,  dunque,  in  se'  non
 irragionevoli e comunque non idonee  a  poter  essere  invocate  come
 tertium  comparationis, per inferirne l'illegittimita' costituzionale
 della disciplina generale (sentt. nn. 335 del 1992; 283 del 1992; 286
 del 1990; 769 del 1988; 46 del 1983) riguardante l'organo in  parola,
 ed attribuirgli funzioni di natura diversa da quelle che sono proprie
 alla sua configurazione nel sistema processuale. Un'attribuzione che,
 implicando  anche  altre  conseguenze  e  quindi  scelte  legislative
 articolate, solo il legislatore potrebbe effettuare in un  quadro  di
 revisione  della disciplina del giudizio abbreviato, ove ritenesse in
 tal modo di soddisfare altre esigenze connesse al suo esperimento che
 ritenesse  meritevoli  di  considerazione.   Ma   la   loro   mancata
 soddisfazione, per le ragioni esposte in precedenza, non rileva sotto
 il  profilo  della legittimita' costituzionale delle norme relative a
 quel giudizio che non potrebbe neppure essere  messa  in  discussione
 sol  perche',  nonostante la salvaguardia delle posizioni sostanziali
 dell'imputato, all'organo chiamato a verificare anche  in  quel  caso
 solo  gli  aspetti  che  concernono la regolarita' formale, non siano
 attribuiti poteri implicanti valutazioni di  merito,  analogamente  a
 quelli  previsti  in  casi  particolari  dal  codice  in  relazione a
 specifiche finalita' non comparabili con la situazione in esame ed in
 coerenza con la disciplina processuale complessiva.
    5.1. - Neppure puo' essere condivisa la censura riferita  all'art.
 25,  primo  comma,  della  Costituzione  sollevata  nell'assunto  che
 l'errata contestazione di "una aggravante palesemente  insussistente,
 come  lamentato nel caso a quo, per errore o al limite capziosamente,
 verrebbe a distogliere l'imputato dal giudice naturale  precostituito
 per legge senza alcun sindacato".
    Al  riguardo si osserva che il principio della precostituzione del
 giudice  naturale  nella  materia  penale,  come  configurato   dalla
 giurisprudenza di questa Corte, tende ad evitare che l'imputato possa
 essere   sottratto   al  giudice  che  sarebbe  stato  ordinariamente
 competente in relazione alla fattispecie e in rapporto al momento  di
 commissione  del  fatto  -  reato, privandolo cosi' delle garanzie di
 imparzialita' che egli avrebbe dinanzi a detto giudice (ex  plurimis,
 sent. n. 446 del 1990).
    Nel  caso in esame, le fattispecie sono obiettivamente rilevabili,
 ancorche'  dipendenti  dalla  configurazione  datane   dal   pubblico
 ministero,  cui  spetta  in via esclusiva di formulare l'imputazione,
 presupposto per poter concludere il processo al di  fuori  della  sua
 sede  naturale,  che  e' quella dibattimentale; cio' nelle ipotesi in
 cui quest'ultima sede, ricorrendone i  ricordati  presupposti  legati
 anche  al  titolo  dell'imputazione  contestata,  risulti  superflua,
 offrendo all'imputato un beneficio sostanziale che - per  le  ragioni
 svolte  nei  punti  precedenti  -  gli viene comunque conservato, una
 volta effettuata la richiesta e  allorche'  questa  risulti,  con  un
 giudizio ex ante svolto in sede dibattimentale, accoglibile.
    Dunque,  il  giudice  per  le  indagini  preliminari  e', sotto il
 profilo funzionale, il giudice "naturale" dell'udienza preliminare se
 ne sussistano i presupposti di legge,  ma  il  giudice  naturale  del
 processo penale e' quello del dibattimento, che come si e' gia' detto
 il  nuovo  codice  di procedura penale individua come la sede propria
 per la cognizione della regiudicanda nella sua globalita' e in  tutti
 i  suoi  aspetti.  Per questo profilo, se da un lato non vi e' dubbio
 che la sede dibattimentale offra garanzie perlomeno non  inferiori  a
 quelle  dell'udienza  preliminare (v. sent. n. 64 del 1991 cit., e da
 ultimo, proprio in tema di giudizio del non imputabile per  vizio  di
 mente, sent. n. 41 del 1993), dall'altro si deve rimarcare che non e'
 consentito  trasporre  meccanicamente,  sia  pure indirettamente, gli
 enunciati di questa Corte relativi al giudice istruttore del  vecchio
 codice di procedura penale come giudice anch'esso "naturale" ai sensi
 dell'art.  25 della Costituzione, poiche' profondamente diverso e' il
 rapporto tra sede dibattimentale e sede dell'udienza preliminare  nel
 nuovo  assetto  processuale  rispetto  al rapporto tra dibattimento e
 istruttoria del precedente codice. Se in  quest'ultimo  la  fluidita'
 dell'imputazione trovava un limite solo nel principio di correlazione
 tra  fatti  contestati  ed  imputazione medesima all'esito della fase
 istruttoria, muovendosi il giudice (istruttore)  all'interno  di  una
 indagine  non circoscritta dall'accusa se non per la materialita' dei
 fatti, nella vigente disciplina il giudice  dell'udienza  preliminare
 e'  sfornito  di  poteri  istruttori,  e  deve  piuttosto limitarsi a
 controllare la configurabilita' come accusa, valida ad instaurare  un
 processo,   di  una  imputazione  formulata  da  parte  del  pubblico
 ministero.
    E' pertanto conseguente al nuovo assetto e non in contrasto con il
 principio costituzionale sul giudice naturale il fatto che al giudice
 dell'udienza preliminare non sia accordato in via generale un  potere
 di  mutamento  dell'imputazione,  come  e'  invece  stabilito  per il
 giudice del dibattimento (art. 521, comma 1, c.p.p.).
    5.2.  -  Conclusivamente,  per  quel  che  riguarda  il   giudizio
 abbreviato, il giudice naturale precostituito per legge e' quello per
 l'udienza  preliminare,  cioe'  un  organo,  anziche' un altro, dello
 stesso ufficio giudiziario, solo in presenza  di  certi  presupposti,
 previsti  in  via  astratta  e generale dalla stessa legge per il suo
 esperimento.
    Di conseguenza quando manchino quei presupposti non  si  versa  in
 una  ipotesi di violazione del principio del giudice naturale perche'
 lo spostamento al giudice del dibattimento del controllo sul  rigetto
 della   richiesta  di  rito  abbreviato  avviene  in  virtu'  di  una
 previsione legislativa di carattere generale,  non  dettata  da  fini
 discriminatori   per   certe  categorie  di  imputati,  ma  in  vista
 dell'assetto  complessivo  della  disciplina  processuale   e   fatta
 comunque salva la possibilita' di recupero degli effetti sostanziali.
    6.  -  Non  fondata  e'  infine, anche per le medesime ragioni, la
 censura formulata in riferimento all'art. 101 della Costituzione, che
 si assume violato perche' il giudice risulterebbe "cosi' soggetto non
 gia' solo alla legge, bensi' ad una  scelta  del  P.M.  che  potrebbe
 essere   erronea,   paradossalmente   anche  capziosa,  senza  alcuna
 possibilita' di sindacato giurisdizionale".
    In proposito il  riferimento  al  principio  costituzionale  della
 sottoposizione del giudice alla legge non e' giustificato, perche' e'
 proprio  di  ogni  disciplina processuale subordinare la condotta del
 giudice all'impulso delle parti ed alle posizioni assunte da esse  in
 concreto.   L'esigenza  costituzionale  puo'  dirsi  assolta  con  la
 previsione del controllo da parte del giudice circa la rispondenza di
 tali posizioni alle condizioni previste dalla legge ai fini del  loro
 riconoscimento.
    Lo  spostamento  nella  specie al giudice del dibattimento di tale
 verifica,  in  dipendenza  della  posizione  assunta   dal   pubblico
 ministero, non mette cosi' in gioco il principio della sottoposizione
 del  giudice  alla  legge,  perche'  e'  la  legge  che  prevede tale
 spostamento quando ricorrano certe condizioni.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 degli  articoli  438,  439  e  440  del  codice  di procedura penale,
 sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, secondo  comma,  25  e
 101,  secondo  comma, della Costituzione, dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Teramo con l'ordinanza indicata in
 epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 5 luglio 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
    Depositata in cancelleria il 7 luglio 1993.
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
 93C0774