N. 309 SENTENZA 11 giugno - 9 luglio 1993

 
 
 Conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato
 
 Beni  demaniali - Intimazione dell'intendenza di finanza al comune di
 Milano  di  lasciare  libera  da  persone  e  cose  l'area  demaniale
 costituente la Porta Ticinese del Naviglio Grande - Asserita indebita
 invasione  della  sfera  di  competenza regionale trattandosi di bene
 appartenente al demanio regionale - Controversia avente ad oggetto la
 rivendica  di   beni   -   Competenza   del   giudice   ordinario   -
 Inammissibilita' del conflitto.
 
 (Ordinanza dell'intendenza di finanza di Milano n. 2/2428/92).
 
 (Cost., art. 117).
(GU n.30 del 21-7-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, prof. Gabriele PESCATORE, avv.
    Ugo  SPAGNOLI,  prof. Antonio BALDASSARRE, avv. Mauro FERRI, prof.
    Luigi MENGONI, prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
    prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato
 il 7 agosto 1992, depositato in cancelleria  il  14  successivo,  per
 conflitto    di   attribuzione   sorto   a   seguito   dell'ordinanza
 dell'Intendenza di finanza di Milano,  prot.  n.  2/2428/92,  con  la
 quale  si  intima al comune di Milano di lasciare libera da persone e
 cose l'area demaniale costituente la darsena di  Porta  Ticinese  del
 Naviglio Grande, ed iscritto al n. 31 del registro conflitti 1992;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 25 maggio 1993 il Giudice relatore
 Gabriele Pescatore;
    Uditi l'avv. Valerio Onida per la Regione Lombardia  e  l'Avvocato
 dello  Stato  Franco  Favara  per  il  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - La Regione Lombardia, con ricorso 7 agosto 1992, ha impugnato
 l'ordinanza n. 2/2428/92 dell'Intendenza di finanza di Milano, con la
 quale e' stato intimato a quel comune di lasciare libera da persone e
 cose l'area costituente la darsena di  Porta  ticinese  del  Naviglio
 Grande.
    Nel ricorso si espone quanto segue.
    Il comune di Milano ha in godimento la suddetta darsena in base ad
 un  atto  di  concessione  della Regione Lombardia, trattandosi di un
 bene del demanio regionale e precisamente un porto per la navigazione
 interna al servizio del Naviglio Grande, che e' linea  navigabile  di
 seconda  classe.  Tale regime giuridico risulta affermato dal decreto
 del ministro delle finanze 21 dicembre 1984, con il quale sono  stati
 approvati, di concerto con il ministro dei lavori pubblici, gli stati
 di  consistenza  relativi  al  Naviglio di Pavia e Milano ed e' stato
 disposto  il  formale  trasferimento  di  tutti  i   beni   in   essi
 identificati all'amministrazione regionale.
    Detto  trasferimento  trova  la  sua fonte normativa nell'art. 117
 della Costituzione e negli artt. 87, 88 e 97  del  d.P.R.  24  luglio
 1977,  n.  616.  Con  le prime due norme del d.P.R. n. 616 sono state
 disciplinate le competenze regionali e statali in  materia  di  opere
 pubbliche  e,  per  quanto  attiene  alle  vie  navigabili,  e' stata
 mantenuta  la  competenza  statale  solo  per  le  opere  sulle   vie
 navigabili  appartenenti  alla prima classe (art. 88, primo comma, n.
 3),venendo cosi' ad essere attribuita alle  regioni  quella  relativa
 alle  vie  navigabili  di  seconda  classe,  nella  quale  rientra il
 Naviglio Grande di Milano. Con l'art. 97, poi, sono state  trasferite
 alle  regioni  le  funzioni amministrative concernenti la navigazione
 lacuale, fluviale, lagunare e sui canali  navigabili  e  le  idrovie,
 nonche'  - espressamente - "la potesta' di rilasciare concessioni per
 l'occupazione e l'uso di aree e altri beni nelle zone portuali".
    Ne deriva - secondo la regione - che, appartenendo  detta  darsena
 al   demanio   regionale,   e'   inibito   allo  Stato  (e  per  esso
 all'Intendente di finanza di Milano), di compiere qualsiasi attivita'
 di tutela amministrativa del bene, per di piu' nei  confronti  di  un
 soggetto  che  ne  ha  il  possesso in base ad un atto di concessione
 emanato dalla regione.
    La regione ricorrente  ha  chiesto,  pertanto,  che  questa  Corte
 dichiari  che  "non  spetta  allo Stato, e per esso all'Intendenza di
 finanza di Milano, di adottare ordinanze di sgombero delle aree della
 darsena di Porta ticinese  in  Milano",  annullando  conseguentemente
 l'atto impugnato.
    2.  -  Dinanzi  a  questa Corte si e' costituito il Presidente del
 Consiglio dei ministri,  chiedendo  che  il  ricorso  sia  dichiarato
 inammissibile  o  infondato. Nell'imminenza dell'udienza l'Avvocatura
 generale dello Stato ha depositato due memorie.
    Nella prima (depositata  il  17  novembre)  si  eccepisce  che  il
 ricorso  e'  inammissibile,  innanzitutto  in  quanto la controversia
 verte su una reivindicatio e non su una vindicatio  potestatis,  come
 sarebbe  confermato  dalla  circostanza  che  l'atto,  occasione  del
 conflitto, e' indirizzato  non  alla  regione  ricorrente  ma  ad  un
 soggetto  terzo  (il  comune  di  Milano). La controversia, pertanto,
 sarebbe di competenza del giudice ordinario.
    Per quanto concerne i fatti, l'Avvocatura dello Stato  ha  esposto
 quanto segue, a sostegno di una seconda eccezione d'inammissibilita'.
    L'area  in  questione,  nel  1971 era stata concessa alla societa'
 Olona Prima  per  la  costruzione  di  un  autosilo  con  soprastante
 stazione di servizio. Cessata quella concessione nel 1983, l'area era
 stata  richiesta  all'Intendenza  di  finanza di Milano dal comune di
 quella citta', in vista di una destinazione a  "zona  attrezzata"  al
 servizio  di  un ipotizzato servizio di navigazione da istituirsi sul
 vicino   Naviglio   Grande;   iniziativa,   questa,   che   incontro'
 l'opposizione della Regione Lombardia, la quale con note del 26 marzo
 e 15 maggio 1984, espresse il timore di pregiudizi alla funzionalita'
 irrigua  del  predetto  Naviglio e quindi alla produttivita' agricola
 dei terreni irrigati da acque da esso prelevate.  In  conseguenza  di
 cio',  l'Intendenza di finanza revocava con nota 24 novembre 1984, n.
 10090 la concessione che aveva dato al comune con nota 1› marzo  1984
 n. 1363 e richiedeva la riconsegna dell'area.
    Con   successiva   nota   24   giugno  1985  n.  1938  indirizzata
 all'intendenza di finanza predetta, la Regione Lombardia asseriva  di
 considerare  inefficaci  sia la concessione sia la revoca di essa, in
 quanto l'area de qua - a suo dire - avrebbe fatto parte di  un  porto
 fluviale  e  quindi, ai sensi dell'art. 97 del d.P.R. 24 luglio 1977,
 n. 616, del demanio regionale.
    Durante i successivi sette  anni  circa,  il  comune  ometteva  di
 effettuare la riconsegna dell'area, cosicche' l'Intendenza di finanza
 adottava  l'ordinanza  ora  impugnata,  confermativa  della  nota  24
 novembre 1984 sopra citata.
    Da  tale  esposizione  dei  fatti  discenderebbe   che,   ove   la
 controversia de qua possa formare oggetto di un conflitto tra Stato e
 Regioni,  il  ricorso avrebbe dovuto essere proposto nel 1984, contro
 il primo atto lesivo della competenza regionale, mentre non  potrebbe
 essere proposto contro l'atto impugnato, confermativo di esso.
    Quanto  al  merito  si  contesta  che il Naviglio Grande di Milano
 rientri tra le vie navigabili di  seconda  classe:  nel  primo  comma
 dell'articolo  unico  della  legge 1› agosto 1978, n. 450 e' statuito
 che "il Naviglio di Pavia, dalla darsena di Porta ticinese sino  allo
 sbocco nel fiume Ticino. cessa di far parte delle linee navigabili".
    Nella  seconda  memoria  (depositata  il 18 novembre) l'Avvocatura
 generale dello Stato afferma di aver  chiarito  che  il  Naviglio  di
 Pavia   -   distinto  dal  Naviglio  Grande  -  ha  inizio  a  Milano
 all'imboccatura del Ponte del Trofeo (a valle della darsena di  Porta
 ticinese).   Le   vicende   (cancellazione  dall'elenco  delle  linee
 navigabili e trasferimento alla regione) del Naviglio  di  Pavia  non
 avrebbero, quindi, nessuna rilevanza rispetto all'area in questione.
    Nella  memoria si deduce che i navigli lombardi (oltre al "Grande"
 e "di Pavia", vi sono anche quelli "di Bereguardo", "della Martesana"
 e la Fossa interna di Milano) - con la rete di canali  Cavour  e  con
 altri  canali  - sono da decenni denominati "canali demaniali" e sono
 manufatti artificiali, anche di cospicue dimensioni  e  portata,  nei
 quali sono convogliate acque pubbliche da fiumi ed altri corsi idrici
 naturali.
    I   canali   appartenenti   allo   Stato   e  denominati  dapprima
 "patrimoniali" e  poi  "demaniali"  sono  stati  distinti  in  canali
 navigabili  o  "navigli",  dall'art.  2 del regolamento approvato con
 r.d. 9 febbraio 1893,  n.  166  e  affidati  all'amministrazione  dei
 lavori   pubblici;   canali  "le  cui  acque  vengono  esclusivamente
 destinate  ad  irrigazione  o  a  forza  motrice",  amministrati  dal
 ministero   delle   finanze;  canali  a  scopo  di  bonifica,  curati
 dall'amministrazione dell'agricoltura.
    Nella memoria si sottolinea che l'attribuzione alle regioni di una
 determinata  materia  e  il   passaggio   delle   relative   funzioni
 amministrative   non   comportano,  di  per  se',  l'assegnazione  in
 proprieta' alle regioni dei beni  che  si  pongono  come  strumentali
 rispetto  all'esercizio  delle competenze regionali. Pertanto, i beni
 compresi nel demanio  idrico  e  in  quello  marittimo  continuano  a
 formare oggetto di proprieta' pubblica dello Stato. Questo "regime di
 appartenenza"  comporta, a livello di legislazione, che allo Stato e'
 riservata  la  competenza  a  disciplinare  il  regime  dominicale  e
 l'utilizzazione  di tali beni, con il solo limite dato dai settori di
 attivita' (lavori pubblici, navigazione e pesca nelle acque  interne,
 tutela   ambientale)   trasferiti  alle  regioni,  e,  a  livello  di
 amministrazione, che allo Stato rimangono, oltre alla  legittimazione
 ad  esercitare la tutela dominicale, tutte le funzioni amministrative
 non assegnate esplicitamente (e tassativamente) alle regioni  o  agli
 enti locali.
    Nella  memoria  si afferma ancora che il manufatto canale e' "res"
 ontologicamente  e  giuridicamente  distinto  dalla   eventuale   (se
 esistente)  "zona  portuale  della  navigazione  interna" (artt. 56 e
 segg. cod. navigazione). Tra il canale che sia anche classificato tra
 le "vie navigabili" e l'anzidetta  "zona  portuale"  puo'  aversi  un
 "collegamento"  (art.  59  cod.  nav.);  ma  tra  le due entita' v'e'
 distinzione ed agli atti manca ogni prova di un vincolo pertinenziale
 tra il canale e l'area in questione. Inoltre  la  nozione  di  "porti
 lacuali e di navigazione interna" rinvenibile nell'art. 97 del d.P.R.
 n.  616  del  1977  e'  nozione relativamente nuova. In passato detti
 porti non avevano avuto, almeno in Italia, autonoma identificazione e
 disciplina,  ed  erano   considerati   parti   del   demanio   idrico
 ("necessario"   se  collegati  a  laghi  o  fiumi,  "accidentale"  se
 collegati a canali artificiali), sicche', le disposizioni  che  hanno
 trasferito alle regioni i porti richiedono una normativa definitiva -
 che  ancora e' mancata - per la delimitazione "fisica" di detti beni,
 tanto piu' che le sponde e le spiagge sono rimaste nel demanio idrico
 necessario appartenente allo Stato.
    In una situazione tanto incerta in fatto e complessa  in  diritto,
 secondo   l'Avvocatura   dello   Stato   resterebbe  indimostrata  ed
 apodittica la affermazione della "demanialita' regionale del bene  in
 questione",  nel  presupposto  della  quale  e'  stato  sollevato  il
 conflitto.
    3. - L'Avvocatura generale dello Stato, in data 9 marzo  1993,  ha
 depositato  un'ulteriore memoria ed una planimetria, rilevando che da
 questa risulta che l'area controversa  e'  sita  ormai  in  una  zona
 centrale  di  Milano, "esterna rispetto al fiume Olona ed al Naviglio
 Grande", cosicche'  non  costituirebbe  piu'  "pertinenza  del  corso
 d'acqua" e non farebbe parte di una zona portuale.
    La  Regione  Lombardia  ha depositato, a sua volta, una memoria in
 data  11  maggio  1993,  contestando  la  fondatezza   dell'eccezione
 d'inammissibilita'  del  conflitto,  per  avere  esso  ad oggetto una
 vindicatio rei. Secondo  quanto  da  essa  sostenuto  "l'affermazione
 dell'appartenenza   della   darsena  di  Porta  ticinese  al  demanio
 regionale" - contestata dallo Stato - sarebbe  solo  la  premessa  di
 fatto della rivendicazione di un potere regionale e non l'oggetto del
 giudizio.
    Quanto  all'eccezione  d'inammissibilita'  basata  sulla  asserita
 natura meramente  confermativa  dell'atto  impugnato,  rispetto  alla
 revoca della concessione al comune di Milano con nota dell'intendente
 di  finanza  in  data  24  novembre  1984,  la  regione contesta tale
 carattere e sottolinea che l'atto era indirizzato al comune e non  vi
 e' prova che essa ne abbia avuto conoscenza.
    Quanto  al  merito,  la  regione deduce che l'attuale collocazione
 dell'area in contestazione all'interno della zona urbana  di  Milano,
 non  ha  alcuna  influenza sul suo regime giuridico e, del resto, non
 viene    addotta    l'esistenza    di    alcun    provvedimento    di
 sdemanializzazione.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Va  premesso  che il conflitto di attribuzione trae origine
 dall'impugnativa - da parte della Regione Lombardia -  dell'ordinanza
 n.  2/2428/92,  emanata  dall'Intendenza di finanza di Milano, con la
 quale e' stato intimato a quel comune di lasciare libera  la  darsena
 di Porta ticinese del Naviglio Grande, in quanto area appartenente al
 demanio dello Stato.
    La  regione  ricorrente  ha contestato detta titolarita' del bene,
 rivendicandone l'appartenenza al demanio  regionale,  sulla  base  di
 molteplici    considerazioni   giuridiche,   fondate   essenzialmente
 sull'affermazione di proprie competenze amministrative in  ordine  al
 Naviglio in questione, in relazione alle quali la darsena controversa
 sarebbe  stata  trasferita  al  proprio  demanio.  In particolare, la
 regione ha dedotto che il Naviglio Grande e' un canale navigabile  di
 seconda  classe, per cui, a norma dell'art. 88, primo comma, n. 3 del
 d.P.R. n. 616 del 1977, le opere pubbliche che lo riguardano sono  di
 competenza  regionale;  cosi' come, a norma dell'art. 97 del predetto
 d.P.R. n. 616 sono di competenza regionale le funzioni amministrative
 concernenti la navigazione lacuale, fluviale, lagunare e  sui  canali
 navigabili ed idrovie. In relazione a dette competenze, la darsena di
 Porta ticinese sarebbe stata trasferita al demanio regionale con d.m.
 21  dicembre  1984, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 117 del 20
 maggio 1985. Appartenendo l'anzidetta  darsena  a  tale  demanio,  la
 regione  ha  dedotto di averla data in uso, con proprio provvedimento
 concessorio, al comune di Milano.
    Lo Stato, costituitosi in persona del Presidente del Consiglio dei
 ministri, contesta l'appartenenza  del  bene  al  demanio  regionale,
 rivendicandolo  al  proprio  e  deducendo  che  l'atto  impugnato  e'
 esplicazione di un potere di polizia amministrativa, connesso con  il
 carattere demaniale statale del bene controverso.
    Ad  avvalorare  l'incidenza  di tale carattere ha dedotto di avere
 gia' emanato, nel 1983  e  nel  1984,  provvedimenti  di  concessione
 dell'area  in  discorso,  revocando  il  secondo  di  essi in data 24
 novembre 1984, proprio ad istanza della Regione Lombardia. Inoltre ha
 contestato  che   il   trasferimento   alle   regioni   di   funzioni
 amministrative  in  ordine  a  fiumi  e  canali implichi l'automatico
 trasferimento di beni del demanio statale a quello regionale, negando
 altresi' che il trasferimento della  darsena  controversa  sia  stato
 operato  dal  d.m.  21  dicembre  1984,  il  quale non si riferirebbe
 affatto al Naviglio Grande, sul quale la darsena e' situata.
    Sulla base  di  tali  premesse  ha  chiesto  che  il  ricorso  sia
 dichiarato  inammissibile, avendo ad oggetto una vindicatio rei e non
 una vindicatio potestatis e perche' - ove cosi' non  si  ritenesse  -
 avrebbe   per   oggetto   un  atto  confermativo  di  quello  emanato
 dall'Intendenza di finanza nel 1984, non impugnato dalla regione.
    2. - La prima di tali eccezioni va accolta e il ricorso dichiarato
 inammissibile.
   Questa Corte, sin dalla sentenza n. 111 del 1976, ha affermato  che
 esula  dalla  materia  dei  conflitti  di  attribuzione  fra  Stato e
 regioni,  demandata  alla  propria  cognizione  dall'art.  134  della
 Costituzione e dagli artt. 39-41 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la
 vindicatio   rei  da  parte  di  uno  di  detti  enti  nei  confronti
 dell'altro. Nella decisione ora ricordata nonche' in altre successive
 (n. 61 del 1979; n. 39 e n. 223 del 1984) e' stato precisato  che  il
 conflitto  di  attribuzione  ha per oggetto la tutela di una sfera di
 competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato o ad  una  regione
 (art. 39, primo comma, legge n. 87 del 1953 cit.) e presuppone che si
 deduca  la  violazione di una norma di rango costituzionale, la quale
 garantisca al ricorrente la competenza di cui si fa questione.
    Isolata, in questo sicuro indirizzo, rimane la sentenza 8  ottobre
 1991,  n.  383  la  quale,  in riferimento specifico alla fattispecie
 sottoposta ad  esame  (esercizio  di  poteri  inerenti  a  bene  gia'
 dismesso   dal   demanio   dello   Stato:  casermetta  militare),  ha
 identificato in ogni caso  il  conflitto  circa  la  titolarita'  del
 potere con quello relativo all'appartenenza del bene.
    Nel  quadro  ora delineato dalla giurisprudenza costituzionale, la
 Corte di  cassazione  ha  ritenuto,  a  sua  volta,  che,  quando  la
 controversia  tra Stato e regione ha per oggetto la revindica di beni
 che l'uno e l'altro ente asseriscono appartenenti al proprio demanio,
 la cognizione della controversia stessa e' di competenza del  giudice
 ordinario.
    Nel  caso  di  specie, l'oggetto e lo svolgimento (dei motivi) del
 ricorso e delle memorie, con riferimento alle  considerazioni  svolte
 nelle  premesse dell'atto impugnato, sviluppano una contestazione che
 ha per oggetto effettivo l'accertamento  dell'appartenenza  dell'area
 della  darsena  di  Porta  ticinese allo Stato o alla regione: ne' la
 ricorrente Regione Lombardia, ne' lo Stato contestano,  infatti,  che
 il potere di disporne spetti al titolare del bene, ma ne affermano la
 propria appartenenza, sulla base di titoli e valutazioni di essi, che
 attengono  all'esistenza  di  un rapporto di carattere reale su detto
 bene.
    Tale rapporto va definito in primo luogo sulla base di elementi di
 fatto, essendo in discussione la stessa localizzazione del  bene;  in
 secondo luogo, con riferimento a norme relative alla costituzione del
 titolo  e agli atti di (asserito) trasferimento del bene stesso dallo
 Stato  alla  regione.  Tali  norme  si  configurano,   quindi,   come
 attributive  di  beni  e  non di potesta'; esse, poi, non hanno rango
 costituzionale.
    Non altera i termini di questa impostazione la circostanza,  sulla
 quale  ha  insistito la difesa della regione nella discussione orale,
 della qualificazione di tutto o parte dell'area, di cui  si  discute,
 come  zona  portuale  della  navigazione  interna. Si tratterebbe pur
 sempre di bene pubblico appartenente  al  demanio  idrico,  destinato
 all'approdo  di  mezzi  nautici,  la  cui  delimitazione  e' intesa a
 segnare i confini con aree appartenenti ad altra specie di demanio ed
 a stabilire la titolarita' del bene in capo al soggetto  pubblico  ad
 essa  preposto.  Rimane,  quindi,  fermo l'oggetto - che caratterizza
 l'attuale  giudizio  -  concernente  la  delimitazione  del  bene   e
 l'individuazione del titolare di esso.
    Va dichiarata, pertanto, l'inammissibilita' del ricorso.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  inammissibile  il  ricorso per conflitto di attribuzione
 proposto  dalla  Regione  Lombardia  in  relazione  all'ordinanza  n.
 2/2428/92 dell'Intendenza di finanza di Milano.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta l'11 giugno 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: PESCATORE
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
    Depositata in cancelleria il 9 luglio 1993.
                       Il cancelliere: FRUSCELLA
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