N. 403 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 maggio 1993

                                N. 403
       Ordinanza emessa il 15 maggio 1993 dal pretore di Padova
 nel procedimento civile vertente tra Marchioro Patrizia e
 associazione Opera Immacolata Concezione - O.I.C.
 Salute (tutela della) - Divieto di sottoporre una persona, senza il
    suo  consenso, ad analisi tendenti ad accertare l'infezione da HIV
    se non per motivi  di  necessita'  clinica  nel  suo  interesse  -
    Necessita',    altresi',   del   consenso   dell'interessato   per
    l'accertamento dell'assenza di sieropositivita'  all'infezione  da
    HIV  ai  fini  della  verifica  dell'idoneita' all'espletamento di
    servizi che comportano rischi per la sicurezza, l'incolumita' e la
    salute  di  terzi  (nella  specie:  lavoratrice  dipendente  quale
    operatrice  di  assistenza all'Associazione Immacolata Concezione,
    sposata con un malato di AIDS, sospesa cautelativamente dal datore
    di  lavoro  in  attesa  dell'esito  degli  accertamenti  medici  e
    rifiutatasi  di  sottoporsi  agli  stessi)  -  Mancata  previsione
    dell'obbligatorieta' della sottoposizione ad  accertamenti  medici
    limitatamente  ai  casi  di  specifiche  attivita'  lavorative che
    presentino il serio rischio di trasmissione dell'infezione da  HIV
    dall'operatore    di   assistenza   (medico,   infermiere,   ecc.)
    all'assistito (malato, anziano  non  autosufficiente  o  altro)  -
    Violazione del principio della tutela della salute come "interesse
    della collettivita'".
 (Legge 5 giugno 1990, n. 135, artt. 5, terzo e quinto comma, e 6).
 (Cost., art. 32, primo comma).
(GU n.30 del 21-7-1993 )
                              IL PRETORE
    Letti gli atti e scioglendo la riserva che precede,
                             O S S E R V A
    Con  ricorso  ex  art. 700 del c.p.c. depositato il 25 marzo 1993,
 Marchioro Patrizia,  dipendente  dell'associazione  Opera  Immacolata
 Concezione  (O.I.C.)  quale "operatrice di assistenza", ha chiesto un
 provvedimento d'urgenza con cui le venisse consentito  di  riprendere
 la  sua  normale  attivita' lavorativa, dalla quale era stata sospesa
 (ferma restando la corresponsione  della  retribuzione)  con  lettera
 dell'O.I.C.  di  data  24 febbraio 1993. Tale provvedimento era stato
 motivato  dalla  circostanza  che  la   Marchioro   aveva   contratto
 matrimonio  il  2  febbraio  1993  con  il  sig.  Businaro  Maurizio,
 anch'egli  dipendente  dell'O.I.C.,  affetto   da   AIDS,   e   dalla
 conseguente   richiesta,   avanzata   dalla  convenuta  agli  "uffici
 competenti", di una visita di idoneita' al lavoro  della  ricorrente,
 prima di riammettere in servizio la dipendente al termine del congedo
 matrimoniale e di un ulteriore periodo di aspettativa. La Marchioro -
 che  precisava di aver gia' recapitato alla direzione dell'O.I.C. nel
 mese di gennaio '93 un certificato di analisi  (da  lei  eseguite  in
 data  9  gennaio  1993  presso  un  laboratorio  privato)  dal  quale
 risultava  immune  dalla  malattia  infettiva  di  cui  si  tratta  -
 contestava    il    provvedimento    di    sospensione,   ritenendolo
 discriminatorio, e comunque in contrasto con le precise  disposizioni
 dell'art.  5  della  legge  5 giugno 1990, n. 135, e dell'art. 15 del
 d.l. 4 ottobre 1990, n. 276, convertito in legge 30  novembre  1990,
 n. 359.
   Lo  scrivente accoglieva il ricorso in data 29 marzo 1993 "inaudita
 altera  parte"  e  fissava  l'udienza  del  14  aprile  1993  per  la
 comparizione  delle  parti  e  per la conferma, modifica o revoca del
 provvedimento. In tale occasione si costituiva in giudizio  l'O.I.C.,
 ricostruendo in dettaglio, nella sua memoria difensiva, l'intero iter
 della  vicenda.  La  convenuta  ricordava in primo luogo di essere un
 ente morale con personalita' giuridica che gestisce  case  di  riposo
 per anziani, ivi compresa quella - sita in Padova e denominata "Villa
 SS. Trinita'", che ospita 114 anziani non autosufficienti - presso la
 quale  la Marchioro presta la sua attivita', consistente nell'aiutare
 gli ospiti nelle piu' elementari operazioni quotidiane (dalla pulizia
 all'igiene intima, all'assunzione dei pasti, al movimento degli  arti
 invalidi,  ai massaggi antidecubito, alle piccole medicazioni, ecc.).
 Cio' premesso, l'O.I.C. deduceva che il proprio  dipendente  Businaro
 Maurizio (futuro marito della ricorrente) si era assentato dal lavoro
 sin  dalla  fine  del  mese  di  settembre  '92 a causa di una "grave
 malattia" non meglio precisata, e che a partire dal 12  ottobre  1992
 anche  la  Marchioro  si  era continuativamente assentata dal lavoro,
 usufruendo dapprima di un periodo di ferie, e poi di vari periodi  di
 aspettativa  non  retribuita,  motivata dalla necessita' di assistere
 l'(allora) fidanzato,  affetto,  a  suo  dire,  da  un  grave  tumore
 all'intestino.
    La convenuta precisava di essere stata informata solo negli ultimi
 giorni  del 1992 (da parte di un'amica della Marchioro) circa la vera
 natura della malattia del Businaro, ed aggiungeva  di  avere  appreso
 con  disappunto  che  gia'  da  tempo nell'ambiente di lavoro dei due
 dipendenti in questione era risaputo (con preoccupazione,  disagio  e
 perplessita'  dei  colleghi di lavoro) che il Businaro era affetto da
 AIDS in fase conclamata da circa tre anni.
    Vi erano  poi  stati  nel  gennaio  '93  alcuni  incontri  tra  la
 direzione  e  di  due  lavoratori,  e  quindi  questi  ultimi avevano
 preannunciato il loro imminente matrimonio, poi in effetti  celebrato
 in data 2 febbraio 1993.
    Si  era  infine giunti alla sospensione cautelare dal servizio (ma
 non dalla  retribuzione)  della  Marchioro  con  la  lettera  del  24
 febbraio 1993, impugnata dall'interessata in questa sede.
    In   proposito,   peraltro,   l'O.I.C.   sottolineava   di   avere
 contestualmente chiesto una visita di  idoneita'  al  servizio  della
 dipendente all'ufficio igiene pubblica della u.l.s.s. 21 di Padova, e
 di essere ancora in attesa del relativo esito.
    In  conclusione,  la  convenuta  ribadiva che la sospensione della
 ricorrente non era  stata  assolutamente  motivata  da  un  qualsiasi
 intento  discriminatorio  (come  adombrato  dalla  Marchioro) a causa
 della malattia del suo consorte (o, eventualmente, della sua), bensi'
 esclusivamente   dalla   prevalente   esigenza,   e   dalla   precisa
 responsabilita',  di  tutelare  interessi collettivi (facenti capo ai
 114 anziani ricoverati, ai loro parenti, e agli altri  60  dipendenti
 di  "Villa SS. Trinita'") da ritenersi superiori a quello individuale
 della lavoratrice, attesa la necessita' di appurare con certezza  che
 quest'ultima,  specie  dopo aver contratto matrimonio con una persona
 sicuramente affetta da AIDS, non avesse  a  sua  volta  contratto  la
 stessa  malattia.  In  buona  sostanza l'O.I.C. - dopo aver ricordato
 l'impossibilita'  di  adibire  la  dipendente  ad  altre  mansioni  -
 sottolineava   di   aver   adottato  un  provvedimento  assolutamente
 cautelare e provvisorio, in  attesa  dell'eliminazione  di  qualsiasi
 dubbio:  chiedeva quindi la revoca del decreto pretorile del 29 marzo
 1993 e il rigetto del ricorso perche' inammissibile ed infondato.
    All'udienza del 14 aprile 1993 lo scrivente, sentite informalmente
 le  parti,  otteneva  la  disponibilita'  della  ricorrente  ad  ogni
 opportuno  accertamento,  e  sollecitava telefonicamente il dirigente
 del  settore  igiene  pubblica  della  u.l.s.s.   21   ad   espletare
 rapidamente  le  indagini sanitarie del caso. Alla successiva udienza
 del 7 maggio 1993, peraltro, la Marchioro  dichiarava  inopinatamente
 di essersi rifiutata di sottoporsi agli specifici esami richiesti dai
 competenti   organi  sanitari  (ed  in  particolare  dalla  divisione
 malattie  infettive  dell'ospedale  di  Padova),  avvalendosi   della
 facolta'  riconosciutale  dall'art.  5,  terzo  comma, della legge n.
 135/1990. Il giudicante si riservava di decidere.
    La lunga esposizione in  fatto  che  precede  era  necessaria,  ad
 avviso  di  questo  pretore,  per  delineare  compiutamente l'estrema
 difficolta', se non addirittura  l'impossibilita',  di  risolvere  la
 controversia sulla base delle norme vigenti in materia.
    Ci  si  trova  infatti  in  presenza, da un lato, a sostegno della
 posizione assunta dalla ricorrente, delle seguenti  disposizioni:  a)
 art.  5,  terzo  comma,  legge  5  giugno 1990, n. 135 ("Nessuno puo'
 essere sottoposto, senza il suo  consenso,  ad  analisi  tendenti  ad
 accertare  l'infezione da HIV se non per motivi di necessita' clinica
 nel  suo  interesse");  b)  art.  5,  quinto  comma,   stessa   legge
 ("L'accertata   infezione  da  HIV  non  puo'  costituire  motivo  di
 discriminazione, in particolare per l'iscrizione alla scuola, per  lo
 svolgimento di attivita' sportive, per l'accesso o il mantenimento di
 posti  di lavoro"); c) art. 6, primo comma, stessa legge ("E' vietato
 ai datori di lavoro, pubblici e privati, lo svolgimento  di  indagini
 volte   ad   accertare   nei   dipendenti   o  in  persone  prese  in
 considerazione  per  l'instaurazione  di  un   rapporto   di   lavoro
 l'esistenza  di  uno  stato  di sieropositivita'"); d) art. 15, primo
 comma, d.l. 4 ottobre 1990, n. 276, convertito in legge 30  novembre
 1990,  n.  359  ("Per  la verifica dell'idoneita' all'espletamento di
 servizi che comportano rischi per la sicurezza,  l'incolumita'  e  la
 salute   dei   terzi   possono   essere  disposti,  con  il  consenso
 dell'interessato,  accertamenti  dell'assenza   di   sieropositivita'
 all'infezione  da  HIV"):  disposizione  questa  peraltro  di  dubbia
 rilevanza  nella  fattispecie,  essendo  inserita  in   un   contesto
 normativo  del  tutto estraneo alla materia qui in esame (senza tener
 conto che non risulta ancora  emanato  il  decreto  ministeriale  con
 l'elenco dei servizi, previsto dal quarto comma del citato art. 15).
    Dall'altro lato, peraltro, la convenuta ha sottolineato la propria
 esigenza,  collegata  a  precise  responsabilita'  anche di carattere
 penale, di essere assolutamente certa della piena  integrita'  fisica
 del  personale  addetto, come nel caso della Marchioro, alle delicate
 mansioni  di  assistenza  agli  ospiti  non  autosufficienti.  Ed  e'
 evidente  che  nel caso della ricorrente - coniugata e convivente con
 una persona pacificamente affetta da AIDS in fase conclamata  -  tale
 certezza non esiste. Ne' puo' ritenersi tranquillizzante in tal senso
 il  certificato  di analisi di laboratorio prodotto dall'interessata,
 sia perche' di data anteriore a quella del matrimonio, sia perche' e'
 noto che, in base all'attuale livello di conoscenza  raggiunto  dalla
 medicina    e   dalla   biologia,   l'esito   delle   analisi   sulla
 sieropositivita' e' sicuro solo per il periodo che precede di  cinque
 o  sei  mesi  la  data  dell'accertamento,  tale essendo la durata di
 incubazione dell'eventuale infezione da virus HIV.
    Orbene, e' opinione di questo Pretore che il drastico e perentorio
 tenore letterale delle citate disposizioni della legge 5 giugno 1990,
 n. 135 - che escludono in ogni caso la possibilita' di analisi  e  di
 accertamenti  su  un  eventuale  stato  di  sieropositivita' senza il
 consenso  dell'interessato  -  sia  in  contrasto con l'art. 32 della
 Costituzione ("La  Repubblica  tutela  la  salute  come  fondamentale
 diritto dell'individuo e interesse della collettivita'.") nella parte
 in  cui  le  predette  norme non prevedono - limitatamente ai casi di
 quelle specifiche attivita' lavorative che, per la  loro  particolare
 natura,  presentano  (come  nella fattispecie) il serio rischio della
 trasmissione  dell'infezione  da  HIV  dall'operatore  di  assistenza
 (medico,  infermiere,  ecc.)  all'assistito (sia esso un ammalato, un
 anziano non autosufficiente o altro) - la possibilita' di prescindere
 dal consenso dell'interessato.
    Ritiene in altri termini il giudicante che la legge n. 135/1990  -
 informata  per  altro  verso  a  princi'pi  di  alto valore sociale e
 all'apprezzabile esigenza di non discriminare o isolare, neppure  sul
 lavoro, le persone sieropositive o affette da AIDS - presenti profili
 di   incostituzionalita'   nella   parte  in  cui  non  ha  previsto,
 limitatamente  alle   attivita'   lavorative   sopra   indicate,   la
 possibilita'  di  accertamenti  sanitari,  naturalmente con le dovute
 garanzie di riservatezza, anche contro la volonta' degli  interessati
 (tra  l'altro  consentiti,  purche'  in forza di legge, dall'art. 32,
 secondo comma, della Costituzione), al fine appunto  di  tutelare  la
 salute  come  "interesse della collettivita'": bene questo, ad avviso
 di chi scrive, assai piu' rilevante di qualsiasi diritto  individuale
 (ivi compreso quello al posto di lavoro).
    Si  ritiene  pertanto necessario sospendere il presente giudizio e
 disporre  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte   costituzionale
 affinche'  si  pronunci sulla predetta questione di costituzionalita'
 che, oltre a non  apparire  manifestamente  infondata  per  i  motivi
 suindicati,   risulta  altresi'  rilevante  per  la  decisione  della
 presente controversia.
    E'  infatti  evidente  che,  nel  caso   di   una   pronuncia   di
 illegittimita'  da  parte  della  Consulta, il provvedimento adottato
 dall'O.I.C. nei confronti  della  Marchioro  risulterebbe  legittimo,
 mentre in caso contrario risulterebbe corretto il comportamento della
 ricorrente   (anche   se   resterebbe  irrisolto  il  problema  della
 responsabilita'  dell'O.I.C.  a  tutela  della  salute  dei  numerosi
 anziani ricoverati).
    Nelle  more  peraltro  della  decisione  della Corte, lo scrivente
 ritiene opportuno revocare il proprio decreto del 29  marzo  1993  (e
 confermare quindi provvisoriamente la sospensione della Marchioro dal
 servizio, ma non dalla retribuzione), sia per le ragioni cautelari di
 cui  si  e'  detto, sia perche', alla luce dell'esposizione dei fatti
 operata  dalla  convenuta  (e  non  smentita  dalla  ricorrente),  le
 argomentazioni   addotte  da  quest'ultima  per  chiedere  di  essere
 riammessa al lavoro appaiono molto meno  consistenti,  posto  che  in
 precedenza  era stata la stessa lavoratrice a richiedere vari periodi
 di  aspettativa  (tra  l'altro,  non  retribuita)   ininterrottamente
 dall'ottobre '92 alla fine di febbraio '93.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, nel senso e nei
 limiti   di   cui   in  motivazione,  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 5, terzo e quinto comma, e dell'art. 6 della
 legge 5 giugno 1990, n. 135,  per  contrasto  con  l'art.  32,  primo
 comma, della Costituzione;
    Solleva d'ufficio la predetta questione di legittimita';
    Dispone  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte costituzionale
 affinche'  decida  in   ordine   alla   questione   di   legittimita'
 costituzionale sopra indicata;
    Revoca il proprio decreto di data 29 marzo 1993;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina  che,  a  cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  della  due  Camere del
 Parlamento.
      Padova, addi' 15 maggio 1993
                           Il pretore: JAUCH
    Depositato in Cancelleria il 15 maggio 1993.
                       Il cancelliere: MEZZALIRA

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