N. 367 ORDINANZA 26 - 30 luglio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 (C.p.  art.  81,  secondo  comma,  ultima parte in relazione al primo
 comma dello stesso articolo).
 
 (Cost., artt. 3 e 27)
 
(GU n.34 del 18-8-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco GRECO;
 Giudici:  prof.  Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
 BALDASSARRE, prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.
 Luigi   MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
 Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  81,  secondo
 comma,  ultima  parte, del codice penale, in relazione al primo comma
 del medesimo articolo, promosso con ordinanza emessa  il  26  gennaio
 1993  dal giudice per le indagini preliminari nel procedimento penale
 a carico di Mauro Trippa ed altro, iscritta al n.  199  del  registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio  del  7  luglio  1993  il  Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Ritenuto  che  nel  corso del procedimento penale nei confronti di
 Trippa Mauro e Trippa Mario, imputati dei reati  di  cui  agli  artt.
 110,  349  del  codice  penale, 20, lett. c), della legge 28 febbraio
 1985, n. 47, e 1-sexies della legge 8 agosto 1985, n. 431, nonche' di
 altre  violazioni  della  legge  penale,  il  giudice per le indagini
 preliminari presso la Pretura di Roma, con ordinanza del  26  gennaio
 1993  (R.O. n. 199 del 1993), ha sollevato, in riferimento agli artt.
 3,  primo  comma,  e  27,  secondo  comma,   seconda   parte,   della
 Costituzione,  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 81, secondo comma, ultima parte, del codice penale, in  relazione  al
 primo comma del medesimo articolo, e, in linea subordinata, dell'art.
 81,  primo  e secondo comma, del codice penale sempre in relazione ai
 medesimi parametri di costituzionalita';
      che nell'ordinanza di rinvio si premette che gli imputati  hanno
 presentato, con il consenso del p.m., richiesta di applicazione della
 pena a norma dell'art. 444 c.p.p., "subordinatamente alla concessione
 dei  benefici",  ritenendo  la continuazione tra i reati contestati e
 considerando il delitto aggravato di violazione di sigilli (art. 349,
 secondo comma, c.p.) il reato piu' grave ai fini della determinazione
 della pena;
      che nella stessa ordinanza si osserva che le contravvenzioni  di
 cui  agli  artt.  20, lett. c), della legge n. 47 del 1985 e 1-sexies
 della  legge  n.  431  del  1985  prevedono  la   medesima   sanzione
 dell'arresto  fino  a  due anni e dell'ammenda da 30 a 100 milioni di
 lire e che pertanto l'entita' della  pena  pecuniaria  stabilita  per
 tali   reati   non   consente  la  concessione  del  beneficio  della
 sospensione condizionale della pena di cui all'art.  163  del  codice
 penale,  mentre  nell'ipotesi di commissione del delitto aggravato di
 violazione di sigilli, ove debbano ritenersi - come nel caso di  spe-
 cie  secondo  il giudice a quo - equivalenti le attenuanti generiche,
 la concessione  del  beneficio  suddetto  sarebbe  invece  possibile,
 dovendosi  applicare  la  pena prevista dal primo comma dell'art. 349
 del codice penale;
      che,  ad  avviso  del  giudice  remittente,  dovendosi  ritenere
 corretta  la  determinazione della pena richiesta dall'imputato - che
 considera reato piu' grave fra quelli contestati il  delitto  di  cui
 all'art.   349   del  codice  penale  -  sussisterebbe  una  evidente
 disparita' di trattamento, lesiva dell'art. 3 della Costituzione, tra
 colui  il  quale  debba   rispondere   della   sola   contravvenzione
 urbanistica  di  cui  all'art.  20,  lett. c), della legge n. 47 (e/o
 l'art. 1-sexies della legge n. 431) e  chi  commetta  anche  il  piu'
 grave  reato  di  violazione  di  sigilli,  dal  momento  che  solo a
 quest'ultimo puo' essere  concesso  il  beneficio  della  sospensione
 condizionale della pena;
      che, sempre secondo il giudice a quo, la norma impugnata sarebbe
 in  contrasto  anche con l'art. 27 della Costituzione poiche' la pena
 irrogata, per raggiungere l'effetto rieducativo, deve essere tale  da
 non  consentire  o  addirittura  consigliare  la  commissione di piu'
 reati, mentre la descritta disparita'  di  trattamento  avrebbe  come
 ulteriore    conseguenza   quella   di   provocare   "una   implicita
 sollecitazione ad una progressione criminosa", dal  momento  che  chi
 commette anche il delitto di violazione di sigilli, in concorso con i
 richiamati  reati  contravvenzionali,  sarebbe  consapevole  di poter
 godere di una pena piu' mite;
      che nell'ordinanza si rileva che la questione e'  rilevante  nel
 giudizio  a  quo  "perche' la richiesta delle parti e' nella sostanza
 corretta e andrebbe accolta";
      che  e'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio del
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata infondata;
    Considerato  che la questione sollevata, sia in via principale sia
 in  linea  subordinata,  ove  fosse  accolta,   determinerebbe   come
 conseguenza  di  negare  agli  imputati  nel giudizio a quo - nei cui
 confronti e' stato riconosciuto il vincolo  della  continuazione  dei
 reati  ed e' stata dichiarata meritevole di accoglimento la richiesta
 di "patteggiamento" ex art. 444 c.p.p. della pena  e  di  concessione
 dei   benefici  di  legge  -  l'applicabilita'  del  beneficio  della
 sospensione condizionale della pena;
      che nelle ordd. nn. 20 e 147 del 1993 questa  Corte,  giudicando
 su  identiche  censure  di costituzionalita' della norma impugnata ha
 affermato - richiamando il principio  di  cui  all'art.  25,  secondo
 comma,  della  Costituzione  -  che  "la  questione  sollevata non si
 presenta rilevante ai fini del giudizio a quo", dal  momento  che  il
 richiesto aggravamento del regime sanzionatorio non potrebbe comunque
 operare  in tale giudizio nei confronti di imputati gia' riconosciuti
 dal giudice remittente "in condizione di ottenere il beneficio  della
 sospensione condizionale della pena";
      che nell'ordinanza di remissione non si adducono argomenti nuovi
 rispetto  a  quelli  gia'  esaminati e che, pertanto, la questione va
 dichiarata manifestamente inammissibile;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  manifestamente inammissibile la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 81, secondo comma, ultima parte, del  codice
 penale, in relazione al primo comma del medesimo articolo, sollevata,
 in  riferimento  agli artt. 3 e 27 della Costituzione dal giudice per
 le indagini preliminari presso la Pretura di Roma con l'ordinanza  di
 cui in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 luglio 1993.
                         Il presidente: GRECO
                          Il redattore: CHELI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 30 luglio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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