N. 421 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 gennaio 1993

                                N. 421
 Ordinanza  emessa  il  28  gennaio  1993  dal  pretore  di Genova nel
 procedimento penale a carico di Panariello Nunzio
 Processo  penale  -  Procedimento  pretorile  -  Richiesta  di   rito
 abbreviato  -  Consenso  del  p.m.  - Rigetto da parte del g.i.p. per
 ritenuta  non  "definibilita'"  allo   stato   degli   atti   -   Non
 applicabilita',  all'esito del dibattimento, della diminuente ex art.
 442 del c.p.p. anche in  caso  di  erroneita'  di  detto  giudizio  -
 Compressione  del  diritto  di  difesa  - Disparita' di trattamento -
 Irragionevolezza.
 (C.P.P. 1988, artt. 438, comb. disp., 439, 440, 442, 560, 561 e 562).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.35 del 25-8-1993 )
                              IL PRETORE
    Sulla  questione  di  legittimita'  costituzionale  del  combinato
 disposto  degli artt. 438, 439, 440 e 442 del c.p.p. e 560, 561 e 562
 del c.p.p.  in  relazione  agli  artt.  3  e  24  della  Costituzione
 sollevata dalla difesa di Panariello Nunzio;
    Sentito  il  publico  ministero  che ha espresso parere favorevole
 all'accoglimento della questione;
    Esaminato il fascicolo del pubblico ministero ai soli  fini  della
 valutazione   sulla   definibilita'   allo   stato   degli  atti  del
 procedimento;
                             COSI' DECIDE
    La difesa ha sollevato la suindicata questione sotto il profilo di
 non possibilita' per il giudice  del  dibattimento  di  applicare  la
 riduzione  di pena di cui all'art. 442 del c.p.p. nell'ipotesi in cui
 il g.i.p. non ha ritenuto definibile il  processo  allo  stato  degli
 atti  in  una  ipotesi  in  cui  sia  stato  ritualmente richiesto il
 giudizio  abbreviato  e  il  pubblico  ministero  abbia  prestato  il
 consenso.
    Nella  fattispecie  in esame si era avuta infatti una richiesta da
 parte dell'imputato di  giudizio  abbreviato  avanzata  nei  quindici
 giorni dalla notifica del decreto di citazione a giudizio; in seguito
 a  tale  richiesta  si  era  svolto il giudizio abbreviato davanti al
 giudice delle indagini preliminari; alla udienza dell'8  maggio  1992
 il  g.i.p.  della  pretura  di Genova disponeva la restituzione degli
 atti al p.m., dopo le conclusioni delle parti, non ritenendo di poter
 decidere allo stato degli atti; conseguentemente  si  procedeva  alla
 trasformazione  del  rito  ai  senzi  dell'art.  562, primo e secondo
 comma, del c.p.p. con citazione dell'imputato da parte del  p.m.  per
 l'odierno dibattimento.
    La questione e' rilevante e non manifestamente infondata.
    Infatti  sotto il profilo della rilevanza ad avviso del giudicante
 il giudizio era definibile allo  stato  degli  atti,  posto  che  nel
 fascicolo  del p.m., che questo pretore ha potuto esaminare e che era
 integralmente a disposizione  del  g.i.p.,  erano  contenuti  sia  il
 verbale  delle  dichiarazioni spontaneamente rese dal Panariello il 5
 ottobre 1989, sia la risposta della sezione  di  polizia  giudiziaria
 del  30  ottobre  1989  alla richiesta di indagine fatta dal pretore,
 all'epoca ancora con poteri inquirenti, dalla quale si evince che non
 era  stato  possibile identificare la persona indicata dal Panariello
 come colui dal quale aveva ricevuto gli assegni.
    Risulta pertanto inesatto quanto affermato dal g.i.p. che  non  si
 era  richiesta  l'identificazione  del  Grasso; gli altri profili poi
 indicati dal g.i.p. nella sua ordinanza dell'8 maggio 1992  erano  ad
 avviso  del pretore risolvibili in quanto attinenti al problema della
 valutazione  dell'elemento  soggettivo   del   reato.   Prova   della
 definibilita'   allo   stato   degli   atti   e'   che  l'istruttoria
 dibattimentale,  ormai   di   fatto   conclusa,   non   ha   aggiunto
 sostanzialmente  nulla  alle  risultanze  esistenti  al  momento  del
 giudizio abbreviato e che lo  stesso  p.m.  ha  anticipato  di  poter
 rinnovare le stesse conclusioni gia' assunte davanti al g.i.p.
    La  questione  sollevata  dalla  difesa  e'  pertanto rilevante in
 quanto viene ad incidere sulla determinazione della  pena  eventuale,
 non  potendo  allo  stato  della  normativa  il pretore effettuare un
 controllo sul  provvedimento  negativo  del  g.i.p.  e  applicare  la
 riduzione della pena in caso di eventuale condanna.
    Ma la questione, oltre ad essere rilevante, secondo il pretore non
 e' manifestamente infondata.
    E  infatti  gia' la Corte costituzionale piu' volte e' intervenuta
 sulla disciplina del giudizio abbreviato e sui rapporti tra le  varie
 figure  soggettive che allo stesso giudizio abbreviato partecipano. E
 cosi' gia' nella sentenza n. 181/1991 ha dichiarato  l'illegittimita'
 costituzionale  del  disposto  degli  artt.  438,  439, 440 e 442 del
 c.p.p. nella parte in  cui  non  era  previsto  che  il  giudice  del
 dibattimento,  in  caso  di  dissenso  del  p.m.  al rito abbreviato,
 qualora ritenga ingiustificato il dissenso del p.m., possa  applicare
 all'imputato la riduzione di un terzo della pena; cio' principalmente
 sulla  considerazione  che  l'organo  deputato  ad un controllo sulla
 sussistenza del presupposto della riduzione della pena dovesse essere
 il giudice del dibattimento e non il  g.i.p.    in  sede  di  udienza
 preliminare  o  di  udienza  per  un procedimento speciale. La stessa
 considerazione puo' valere secondo il giudicante per il caso  in  cui
 con  il  concorso del pubblico ministero sia stato invece il g.i.p. a
 dare un provvedimento negativo sull'ammissibilita'  del  rito.  Anche
 sulla  scorta di questa argomentazione la Corte costituzionale con la
 sentenza n. 23/1992 ha appunto stabilito che  non  puo'  spettare  al
 g.i.p.,  che  dia  valutazione  negativa in presenza del consenso del
 p.m., l'ultima parola in modo  preclusivo  sulla  decidibilita'  allo
 stato  degli  atti  con  una  pronuncia che incide sulla misura della
 pena.  E  questo  controllo  deve  essere  affidato  al  giudice  del
 dibattimento,  senza  che  cio' nulla tolga al ruolo del g.i.p. posto
 che  la   riduzione   dovrebbe   essere   applicata   all'esito   del
 dibattimento, cosi' valutando la consistenza degli elementi probatori
 raccolti e la possibilita' di ulteriori acquisizioni.
    Conformemente a quanto statuito dalla sentenza della suprema Corte
 del  22  aprile  1991,  sezione  prima,  non  potendo  questo giudice
 dibattimentale ne' applicare la riduzione di un terzo  non  essendovi
 allo  stato  la  norma  che  prevede  questo potere, ne' annullare il
 provvedimento che dispone il giudizio (cioe' il decreto di  citazione
 ex  art. 562 del c.p.p.), non ha altra strada che quella di sollevare
 la questione di legittimita' costituzionale delle norme in questione.
 E infatti la  norma  in  questione  comprime  il  diritto  di  difesa
 dell'imputato  che  non  puo'  difendersi  in  alcun  modo  contro un
 provvedimento,  allo  stato  insindacabile,  che  disconosce  un  suo
 diritto  e  incide  in maniera sostanziale sulla determinazione della
 pena. Le norme  suindicate,  poi,  contrastano  con  l'art.  3  della
 Costituzione   sia  perche'  creano  sicuramente  una  disparita'  di
 trattamento tra l'imputato che, pur avendo ottenuto il  consenso  del
 p.m.,  si  vede  negare - e allo stato irrevocabilmente - il giudizio
 abbreviato e quindi l'eventuale riduzione della  pena,  e  l'imputato
 che  invece  nonostante  il dissenso espresso del p.m. tale beneficio
 puo' ancora ottenere in sede dibattimentale; sia inoltre  perche'  le
 previsioni suindicate, non consentendo nella fattispecie la riduzione
 della  pena in caso di condanna, determinano uno strappo nei principi
 di coerenza e ragionevolezza  che  dovrebbero  esistere  nelle  norme
 soprattutto  quando  disciplinano,  seppur in maniera articolata, uno
 stesso istituto.
    Non sposta i termini del problema, poi, ad avviso del  giudicante,
 la circostanza che il p.m. sia stato piu' o meno inerte o piu' o meno
 solerte  nell'espletamento  delle  indagini (fermo restando che nella
 fattispecie  comunque   erano   stati   disposti   accertamenti   per
 l'identificazione   del   Grasso);   e  infatti  l'inerzia  del  p.m.
 sicuramente puo' rendere ancora  piu'  grave  la  mancata  previsione
 della  possibilita'  di  riduzione  della pena, laddove - mancando il
 controllo sul provvedimento del giudice della fase  precedente  -  si
 precluderebbe  in maniera piu' drastica il diritto dell'imputato alla
 riduzione della pena (salvo sempre che il  giudice  del  dibattimento
 non eserciti i poteri istruttori di cui all'art. 507 del c.p.p. cosi'
 colmando  eventuali  lacune di indagini). Cio' tanto piu' attualmente
 in un momento in cui la giurisprudenza della suprema Corte si avvia a
 riconoscere sempre piu' la sussistenza, al di la' delle carte, di una
 maggiore difficolta' della difesa nella ricerca delle prove  rispetto
 al  p.m. tanto da sollecitare lo stesso p.m. alla raccolta gia' nella
 fase  delle  indagini  preliminari  anche  delle  eventuali  prove  a
 discarico (vedi in tal senso da ultimo sent. Cass. pen. 3066/92).
    Ma  il  problema  dei  profili di incostituzionalita' sopraesposti
 resta identico  anche  nell'ipotesi  di  un  p.m.  efficientissimo  e
 solerte  che  ricerchi  tutte  le  prove e compia tutti gli eventuali
 accertamenti ulteriori, perche' comunque il  giudice,  all'esito  del
 dibattimento,  in  caso  di  condanna, se il g.i.p. ha dichiarato non
 definibile il giudizio allo stato degli atti,  non  puo'  ridurre  la
 pena  di  un  terzo  con  grave  disparita' di trattamento rispetto a
 situazioni sostanzialmente identiche.
    Devono essere rimessi quindi gli atti  alla  Corte  costituzionale
 per  la  valutazione  della  suindicata  questione. Non e' infatti ad
 avviso del giudicante applicabile direttamente - come  gia'  rilevato
 dal   p.m.   -   nel   presente  giudizio  la  sentenza  della  Corte
 costituzionale n. 23/1992, in quanto innanzitutto la stessa  riguarda
 una ipotesi di giudizio davanti al tribunale senza alcun riferimento,
 neppure  indiretto,  al  giudizio  pretorile. Inoltre nel dispositivo
 della sentenza n.  23/1992  la  norma  dell'art.  562  del  c.p.p.  -
 principale   "sospetta"   -   non   e'  indicata  tra  le  norme  cd.
 "conseguenti"  a  cui  si  estende  la  pronuncia  di  illegittimita'
 costituzionale.  Nella  specie  non  siamo  poi  nell'ambito  di  una
 questione meramente interpretativa di un inciso normativo non  chiaro
 per  cui  potrebbe  soccorrere  il tradizionale canone ermeneutico di
 preferire l'interpretazionecompatibile con la Costituzione; si tratta
 invece di valutare la conformita' a Costituzione della mancanza di un
 potere  del  giudice che incide sui diritti processuali e sostanziali
 dell'imputato. Per la stessa forza poi  delle  sentenze  della  Corte
 costituzionale (che hanno l'effetto di cancellare dall'ordinamento le
 norme  dichiarate  incostituzionali e di integrare e interpretare con
 forza normativa le norme stesse nel caso di pronunce interpretative e
 additive) e' necessario  che  la  Corte  costituzionale  si  pronunci
 espressamente sul punto.
                                P. Q. M.
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale del combinato disposto degli  artt.  438,
 439,  440, 442, 560, 561 e 562 del c.p.p. in relazione agli artt. 3 e
 24 della Costituzione nella parte in cui non prevedono che il pretore
 possa applicare la riduzione di pena di cui all'art. 442  del  c.p.p.
 nel  caso  in cui il g.i.p. non abbia ritenuto il giudizio definibile
 allo stato degli atti e il p.m. abbia dato il suo consenso di rito;
    Dispone  la  sospensione  del  giudizio  in  corso  e  l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Cosi'  deciso  a  Genova  nella camera di consiglio del 28 gennaio
 1993.
                       Il pretore: PETRUZZIELLO

 93C0811