N. 428 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 marzo 1993

                                N. 428
 Ordinanza  emessa  il  9  marzo  1993  dal  pretore  di   Lucca   nel
 procedimento penale a carico di Galligani Malfisa
 Imposta  di  fabbricazione - Deposito di olii minerali - Costituzione
 e/o esercizio senza la prescritta denuncia al competente U.T.I.F.   -
 Trattamento  sanzionatorio - Determinazione del minimo edittale nella
 misura dal  doppio  al  decuplo  dell'imposta  relativa  ai  prodotti
 trovati  nel deposito - Previsione, nel caso, di una "pena pecuniaria
 proporzionale" caratterizzata dall'essere indeterminata nel  massimo,
 come   consentito   da   norma  del  codice  penale  -  Irragionevole
 sproporzione tra la pena e la entita' del reato in contrasto  con  il
 principio  della  funzione  rieducativa  della  pena - Determinazione
 della pena solo apparente in  violazione  del  principio  di  stretta
 legalita'.
 (Legge 2 luglio 1957, n. 474, artt. 1 e 13).
 (Cost., artt. 3, 25, secondo comma, e 27).
(GU n.35 del 25-8-1993 )
                            IL VICE PRETORE
   Letti  gli  atti del processo penale a carico di Galligani Malfisa,
 imputata nella sua qualita' di responsabilita' legale della  Cartiera
 S.  Rocco  S.p.a.  del  reato  p. e p. dell'art. 13, primo comma, del
 decreto-legge 5 maggio 1957, n.  271,  convertito  con  modificazioni
 nella legge 2 luglio 1957, n. 474, per aver esercitato un deposito di
 oli  minerali  per  usi  industriali  superiore  al  limite  di 10 mc
 previsto dall'art. 1, secondo  comma,  lett.  a),  del  decreto-legge
 citato  senza  averne fatto preventiva denuncia al competente ufficio
 Utif, accertato in Villa Basilica fino al 7 marzo 1991.
    1) In ordine alla violazione degli artt. 3 e  25,  secondo  comma,
 della Costituzione, osserva quanto segue.
    L'art.  13,  primo  comma,  del d.l. n. 271/1957 e' punito con la
 multa proporzionale, commisurata ad una base che e' a  sua  volta  il
 prodotto  di  due  fattori:  i  prodotti  "trovati  nel  deposito"  e
 "l'imposta (ad essi) relativa".
     A)  In  riferimento  al  primo  fattore  (prodotti  trovati   nel
 deposito) si osserva:
       a)  per costante giurisprudenza i prodotti trovati nel deposito
 non si identificano in quelli  effettivamente  rinvenuti  al  momento
 dell'accertamento,  ma  in  tutti i prodotti comunque "circolati" nel
 deposito secondo le risultanze documentali. In questo modo  la  multa
 comminata  dall'art  13,  primo  comma, del decreto-legge cit., viene
 commisurata alla stessa stregua di  quella  stabilita  dall'art.  11,
 primo  comma, del decreto-legge citato, in base al quale e' punita la
 rigenerazione di prodotti petroliferi denaturati.
    Infatti il secondo comma  dell'art.  11  impone  espressamente  di
 tener conto sia dei prodotti in corso di rigenerazione, sia di quelli
 gia' rigenerati "anche se e comunque esitati";
       b)  nel caso dell'art. 11, primo comma (come del resto in tutte
 le fattispecie di contrabbando  punite  dal  d.l.  n.  271/1957)  la
 comminatoria e' senza dubbio razionalmente fondata: trattandosi di un
 reato volto a perseguire un indebito profitto attraverso una condotta
 per   l'appunto   di   contrabbando,  e'  logico  e  ragionevole  che
 l'ammontare della multa sia  proporzionale  all'entita'  dell'imposta
 evasa su tutti i prodotti petroliferi comunque oggetto della illecita
 rigenerazione;
       c)  nel  caso  dell'art. 13, primo comma, un analogo fondamento
 manca del tutto.
    La fattispecie non e' certamente di contrabbando (se  tale  fosse,
 il  fatto  dovrebbe  essere  qualificato  ai  sensi  di  una  diversa
 disposizione del d.l. n. 271/1957), e si risolve, come pacificamente
 riconosce la giurisprudenza, in una condotta  disfunzionale  rispetto
 alle  esigenze  di  controllo  amministrativo  connesse  al commercio
 (anche  lecito)  di prodotti petroliferi. Posto quindi che i prodotti
 trovati nel deposito non autorizzato non sono (e non debbono  essere)
 derivati   da   una   condotta  di  contrabbando,  risulta  priva  di
 giustificazione (ed  anzi,  del  tutto  assurdo)  che  la  multa  sia
 comminata  in  termini  proporzionali.  La  proporzione non e' invero
 correlata  ad  un  elemento  suscettibile  di  esprimere  in  termini
 quantitativi l'effetto disvalore del fatto.
    Risulta pertanto violato l'art. 3, primo comma, della Costituzione
 per  l'arbitraria  equiparazione,  in termini di multa proporzionale,
 tra fattispecie che, per la loro  intrinseca  natura  offensiva,  non
 possono ricevere ragionevolmente un ugual trattamento sanzionatorio.
     B)  In  riferimento  al  secondo  fattore (l'imposta relativa) si
 osserva:
       a) per determinare l'imposta relativa dei prodotti trovati  nel
 deposito  si  puo'  fare  riferimento  o  all'imposta agevolata cui i
 prodotti siano stati sottoposti,  o  all'imposta  comune,  escludendo
 l'agevolazione.
    La  legge  non  chiarisce  a  quale delle due imposte si debba far
 capo: ne risulta violato l'art. 25, secondo comma, della Costituzione
 in termini di necessaria legalita' della pena (in questo caso risulta
 incerta   la   determinazione   della   base   stessa   della   multa
 proporzionale);
       b)  in  ogni  caso,  qualora  si  volesse  far capo all'imposta
 agevolata  (che  il  prodotto  ha  gia'  assolto),  la   comminatoria
 proporzionale  risulterebbe  ancora  una  volta  arbitraria,  proprio
 perche' il prodotto ha gia' scontato  il  tributo  e  questo  non  e'
 dunque  in  grado  di  esprimere  alcun tipo di disvalore (violazione
 dell'art. 3, primo comma,  della  Costituzione  per  irragionevolezza
 manifesta);
       c)  qualora  si  volesse  far  capo  alla  imposta comune, cio'
 significherebbe  presumere  il  contrabbando  (dato   che   solo   il
 contrabbando  giustificherebbe il riferimento ad una imposta ritenuta
 in  sostanziale  evasione).  Ma  la   presunzione   di   contrabbando
 risulterebbe  del  tutto  arbitraria  (ed  in violazione dell'art. 3,
 primo comma, della Costituzione), in quanto  il  sistema  stesso  del
 d.l.  n.  271/1z057  esclude  che la fattispecie di cui all'art. 13,
 primo comma possa implicare una forma di contrabbando (ricorrendo  la
 quale sarebbe giocoforza ricorrere ad una diversa fattispecie).
    2) In ordine alla violazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione,
 si osserva altresi' quanto segue.
    La  norma incriminatrice in esame prevede la sanzione della "multa
 dal doppio al decuplo dell'imposta relativa ai prodotti  trovati  nel
 deposito  ..  ed  in  ogni  caso non inferiore a L. 900.000" (art. 13
 della legge n. 474/1957).
    Trattasi,  dunque,  di  pena  pecuniaria  proporzionale,  la   cui
 legittimita' e' sancita, sia pure in qualita' di eccezione ("la legge
 determina i casi") dall'art. 27 del c.p.
    Detta  norma,  d'altra  parte,  prevede  che  "le  pene pecuniarie
 proporzionali non hanno limite massimo".
    Invero l'inapplicabilita' alle pene pecuniarie proporzionali di un
 limite  massimo  appare  idonea  a  determinare   una   irragionevole
 sproporzionale tra pena ed entita' del fatto reato in esame, cosi' da
 travolgere  radicalmente  la finalita' di rieducazione assegnata alla
 pena dall'art. 27, terzo comma,  della  Costituzione  e  per  il  cui
 perseguimento  e'  essenziale  che  il  reo senta la congruita' della
 sanzione inflittagli.
    Detto   principio   costituzionale   concerne   l'intero   sistema
 sanzionatorio, e non solo la fase dell'esecuzione, cosicche' criterio
 primario  della  determinazione  legislativa  della  pena edittale e'
 quello della proporzionalita'  della  pena  al  disvalore  del  fatto
 illecito,  criterio  che nello stato di diritto rappresenta il limite
 logico del potere punitivo (Corte costituzionale 26  giugno-2  luglio
 1990, n. 313).
    Oltre  un  certo  limite  la  pena  pecuniaria di dissolve in mera
 obbligazione ad adempimento sostanzialmente impossibile.
    Interpretato il principio costituzionale  di  uguaglianza  di  cui
 all'art.  3  della  Costituzione  in  senso  "materiale"  e  non piu'
 soltanto secondo una concezione paritario  formale,  e  condotta  una
 lettura  coordinata  di detta norma con l'art. 27, terzo comma, della
 Costituzione va riconosciuta la "costituzionalizzazione" degli  artt.
 132  e  133  del  c.p.  (cosi'  Corte  costituzionale  n. 50/1980) ed
 affermata la illegittimita' di una pena  proporzionale  senza  limite
 massimo,  perche'  il  riferimento  di  detta  pena  al  solo  "danno
 obbiettivo" - rectius "pericolo" -, esclude dalla considerazione  del
 giudice  i  criteri  finalistici  ed  ogni  altro  indice relativo al
 disvalore soggettivo del fatto ed alla personalita' del suo autore.
    La questione prospettata si colloca in un ambito diverso da quello
 recedentemente esaminato da Corte costituzionale ord. n. 285 del 4-17
 giugno 1992.
    Ne' risulta soddisfacente, a fronte della successiva  elaborazione
 dell'alta  Corte,  la  sentenza  5-8  luglio  1971,  n. 167, relativa
 all'art. 27 della Costituzione.
    Sotto un diverso profilo l'inapplicabilita' alla  pena  pecuniaria
 proporzionale   di  un  limite  massimo  appare  confliggere  con  il
 principio di legalita'  della  pena  sancito  dall'art.  27,  secondo
 comma, della Costituzione.
    La    fattispecie    incriminatrice,   rapportando   la   sanzione
 esclusivamente all'unita' di misura della  gravita'  "oggettiva"  del
 fatto,  delega in pratica la valutazione della gravita' del fatto, di
 fatto medesimo; limita il giudizio  al  "particolare",  precludendosi
 qualsiasi possibilita' di un giudizio in astratto sul fatto nella sua
 interezza.
    Il rispetto della legalita' e' solo apparente.
    La determinazione della pena da parte del legislatore e' meramente
 indiretta,  in  quanto passa attraverso un meccanismo, che e' il solo
 vero oggetto della predeterminazione legislativa.
    Tale tecnica consente, priva com'e' di qualsiasi  limite  massimo,
 di  seguire  i diversi gradi di entita' del fatto, fino all'infinito,
 suscitando con  cio'  non  poche  perplessita'  essendo  proprio  del
 principio   di  legalita'  imporre  limiti  che  ne  garantiscano  la
 sostanziale attuazione.
    Le eccezioni di costituzionalita' illustrate  sono  rilevanti  nel
 presente    giudizio    dato   che,   avendo   l'imputata   richiesto
 l'applicazione di pena, il giudicante e'  chiamato  ad  applicare  la
 norma citata anche sotto l'aspetto sanzionatorio.
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli artt. 1 e 13 della legge 2 luglio
 1957, n. 474, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo  comma,  e  27
 della Costituzione;
    Sospende il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti
 della Corte costituzionale;
    Dispone  che  la  presente  ordinanza sia notificata, a cura della
 cancelleria, al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti  delle  due  Camere  del  Parlamento,  nonche'  notificata
 all'imputato,   al   difensore  e  comunicata  al  procuratore  della
 Repubblica presso la pretura.
      Lucca, addi' 9 marzo 1993
                      Il vice pretore: CESARETTI

 93C0818