N. 467 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 1993
N. 467 Ordinanza emessa il 25 marzo 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Vona Carmela. Processo penale - Misure cautelari - Divieto di custodia cautelare per la persona affetta da HIV e nei casi di AIDS conclamata - Lamentata violazione del principio di tutela della collettivita' - Disparita' di trattamento, in punto di liberta' personale, rispetto a soggetti affetti da patologie altrettanto gravi ed irreversibili - Lesione del principio di corretta motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e di soggezione del giudice alla sola legge - Attuazione distorta del principio che consente la carcerazione purche' effettuata in modo non contrario al senso di umanita' ne' lesivo del diritto alla salute. (C.P.P. 1988, art. 286-bis). (Cost., artt. 2, 3, 27, 32, 101 e 111).(GU n.37 del 8-9-1993 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Visti gli atti del proc. di cui sopra a carico di Vona Carmela, nata a Petilia Policastro (Catanzaro) il 23 gennaio 1967; detenuta c/o casa c.le di Torino "Le Nuove"; dif. di uff. avv. Vecchio, indagata in ordine al reato di cui agli artt. 110, 628, primo e terzo comma del c.p., perche', in concorso con persona allo stato non identificata, usava minaccia per mezzo di un coltello nei confronti di Santucci Francesco Antonio dopo avergli sottratto L. 170.000 al fine di assicurarsi il profitto. Con l'aggravante di aver commesso il fatto con arma ed in piu' persone riunite. In Torino, il 23 settembre 1993; Rilevato che il p.m. ha chiesto applicarsi la misura cautelare della custodia in carcere e che questa, in presenza di esigenze cautelari, e' l'unica applicabile ex art. 275, terzo comma, del c.p.p.; Rilevato che la Vona, come emerge dagli atti, e' affetta da Aids conclamata e che, pertanto, dovrebbe darsi applicazione all'art. 286- bis del c.p.p. che esclude l'applicabilita' della custodia cautelare in carcere; Ritenuto, peraltro, che l'art. 286- bis del c.p.p., secondo la valutazione di questo giudice, e' viziato da illegittimita' costituzionale, e che, pertanto, deve sollevarsi d'ufficio la relativa questione; OSSERVA IN FATTO In data 23 marzo 1993 verso le ore 18,50 militari del nucleo radiomobile CC di Torino giungevano in v. N. Fabrizi ang. c.so Lecce ove li attendeva certo Santucci Francesco Antonio, il quale denunciava che poco prima, caricata in macchina una prostituta, si era recato, dientro insistenze della donna, nel di lei alloggio. Qui la stessa aveva preteso il pagamento anticipato di L. 40.000, indi si era appartata col Santucci. Quando l'uomo si stava rivestendo, si era accorto che gli erano state sottratte dal portafoglio L. 170.000, ad opera di persona che a sua insaputa trovavasi nell'alloggio e che, alle sue rimostranze, lo aveva minacciato con un coltello affinche' si allontanasse, assicurandosi cosi' il profitto del reato. Indi il Santucci aveva avvisato i CC che, giunti, si erano recati nell'abitazione in questione trovandovi la Vona che confermava nella loro storicita' i fatti narrati dal denunciante e veniva pertanto arrestata per concorso in rapina impropria. OSSERVA IN DIRITTO La rilevanza della questione ai fini del decidere circa lo status libertatis della Vona e' evidente. Sussiste infatti pacificamente l'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lett. c) - concreto pericolo che la Vona commetta delitti della stesa specie di quello per cui si procede - tenuto conto che la donna e' tossicodipendente e pluripregiudicata per furti e violazione alla legge sugli stupefacenti, oltre ad avere una pendenza per violazione alla legge sugli stupefacenti e lesioni personali nonche' altra pendenza per furto; tenuto altresi' conto che vive facendo la prostituta e non ha fissa dimora, salva la possibilita' di ricoveri saltuari presso amici, quali l'uomo nella cui casa ultimamente abitava ed in concorso col quale ha attuato la rapina in danno del Santucci. Cio' gia' dovrebbe, di per se', far ritenere unica misura idonea in relazione alla indicata esigenza cautelare e proporzionata all'entita' del fatto ed alla sanzione che si ritiene irrogabile quella della custodia cautelare in carcere, tanto piu' che la Vona non puo' piu' beneficiare di sospensioni condizionali della pena. Ma vi e' di piu', posto che la stessa legge, all'art. 275, terzo comma, del c.p.p., prevede appunto quale unica misura adottabile, in presenza di esigenze cautelari e del reato in argomento, quella della custodia in carcere. Ne consegue che il giudizio sulla legittimita' costituzionale dell'art. 286- bis del c.p.p., che vieta l'applicazione della misura della custodia in carcere ai soggetti affetti da Aids o da grave deficenza immunitaria, cosi' radicalmente mutando la normativa di cui agli artt. 274 e 275 del c.p.p. in riferimento appunto a tali soggetti, diventa pregiudiziale per una corretta decisione circa la misura cautelare applicabile alla Vona, persona affetta da Aids conclamata. Quanto poi alla fondatezza della questione, molteplici sono, ad avviso di questo giudice, i profili di incostituzionalita' dell'art. 286- bis del c.p.p. Esso si pone innanzitutto in contrasto con l'art. 2 della Costituzione, che recita: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita', e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale". Trattasi di un principio fondamentale, di chiara ispirazione giusnaturalistica, per cui la persona umana viene ad avere una considerazione privilegiata poiche' i suoi diritti sono inviolabili in quanto innati, tanto che la Costituzione si limita a dare atto di una situazione che preesiste ad essa ed a garantirla. Orbene, e' innegabile che tra i diritti inviolabili dell'uomo vi sia quello ad essere tutelati nei confronti di chi aggredisca i propri interessi, con le forme ed i mezzi che si addicono in relazione al tipo di aggressione; le norme incriminatrici penali, dunque, non sono che un'esplicazione di tale principio, laddove prevedono, per determinati fatti ritenuti di rilevanza penale, deter- minate sanzioni che implicano anche la limitazione della liberta' personale; allo stesso modo, esplicazione del principio in discorso e' l'insieme delle norme processuali penali in tema di limitazione della liberta' personale, che trae il suo fondamento da una delle norme costituzionali direttamente derivate dal principio generale di cui all'art. 2, ossia quella sull'inviolabilita' della liberta' personale posta dall'art. 13 della Costituzione, che attribuisce, infatti, soltanto alla legge la possibilita' di limitazioni e misura, persino in ore, gli interventi di carattere eccezionale ed urgente. E', allora, di tutta evidenza come l'art. 286- bis del c.p.p. smentisca l'assunto di una generalizzata tutela dei diritti inviolabili dell'uomo sancito invece dall'art. 2 della Costituzione: esso, invero, stabilisce il venir meno di tale tutela nei confronti di coloro che abbiano visto aggrediti i propri interessi ad opera di persone affette da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria. Per tornare al caso di specie, il diritto costituzionale inviolabile della collettivita' ad essere protetta contro i comportamenti lesivi della Vona, che approfitta della propria attivita' di prostituta per rapinare con un complice il malcapitato cliente, viene posto nel nulla da una norma di legge che, impedendo la carcerazione dell'indagata, elimina ogni efficacia della tutela penale, efficacia qui inevitabilmente connessa alla segregazione. Altro principio costituzionale con cui macroscopicamente collide l'art. 286- bis del c.p.p. e' quello di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma; non vi e', infatti, alcuna ragione, ne' logica ne' scientifica, per riservare ai soggetti affetti da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria un trattamento, in punto liberta' personale, diverso da quello previsto per i soggetti affetti da patologie altrettanto gravi, irreversibili ed ingravescenti: per i quali ultimi, com'e' noto, nessuna statuizione di carattere generale esclude la possibilita' della carcerazione, soltanto prevedendosi che questa non possa attuarsi in caso di "condizioni di salute particolarmente gravi che non consentono le cure necessarie in caso di detenzione" (art. 275, quarto comma, del c.p.p.): il che implica, come diretta conseguenza e come la pratica giudiziaria insegna, la necessita' di un accertamento medico legale che, esaminato il caso nella sua attualita', risponda al quesito circa la particolare gravita' delle condizioni di salute dell'indagato od imputato anche in relazione all'ambiente carcerario; responso sulla base del quale il giudice potra' decidere se operi o meno il divieto di cui all'art. 275, quarto comma, del c.p.p. L'avere, invece, stabilito un divieto assoluto di carcerazione per i malati di Aids conclamata o di grave deficienza immunitaria e' evidente frutto di superficiale approccio al problema tecnico giuridico del loro status libertatis, dipendente da sostanziale ignoranza degli aspetti medico scientifici caratterizzanti le patologie in discorso. Appare, infatti, chiaro come gli ideatori della normativa qui in esame si siano limitati a recepire un ragionamento statistico, in se' corretto anche perche' basato su rilevazioni effettuate su scala mondiale e dunque di notevole attendibilita', assolutamente inadeguato, pero', alla trattazione e soluzione di un problema cosi' delicato e specifico quale quello della restrizione della liberta' personale in caso di patologia da HIV in atto. Invero, che il numero dei linfociti CD4 (T4), rappresentando la "risposta" dell'organismo all'infezione da HIV, costituisca indice dello stato di diffusione di tale infezione, e' dato reale, ma del tutto erroneo e' l'ancorare la valutazione della maggiore o minore gravita' della patologia unicamente a tale parametro valutativo, posto che essenziale, ai fini di detto giudizio, e' l'individuazione del tipo e della localizzazione delle infezioni opportunistiche. In altre parole, possono esservi casi di persone con numero di linfociti T4 ben superiore alla soglia statisticamente ritenuta quale elemento di discrimine tra la deficienza immunitaria e la deficienza immunitaria grave, che pero', non essendo affette da infezioni opportunistiche od essendo affette da lievi infezioni opportunistiche, non versano obiettivamente in condizioni di salute particolarmente gravi. Cosi' come possono esservi casi di persone con un numero di linfociti ben inferiori alla predetta soglia che, in quanto colpite da grave infezione opportunistica, versano in condizioni di salute obiettivamente gravi. Molto concretamente, in altra ordinanza di rimessione degli atti a codesta Corte per giudizio di legittimita' costituzionale analogo (dell'art. 146, n. 3, del c.p. nella parte in cui prevede il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena per i soggetti affetti da infezione da HIV nei casi previsti dall'art. 286-bis, primo comma, del c.p.p.; ordinanza 22 dicembre 1992 del tribunale di sorveglianza di Torino nel procedimento relativo a Bruschi Valentino), il presidente estensore cosi' esemplifica: "va da se' che una polmonite interstiziale da pneumocystis carinii o da cytomegalovirus, con una grave compromissione della funzione respiratoria, o una lesione neurologica da toxiplasma gondii, o una encefalite da cytomegalovirus o da virus erpetico, a parita' di numero di T4, sono ben piu' gravi di una esofagite da candida albicans, che offre, tra l'altro, buone prospettive di remissione". Orbene, per tornare al caso concreto che ci occupa, risulta dagli atti che la Vona e' affetta da infezione da HIV allo stadio di Aids conclamata, notificata come tale nel corso del ricovero subi'to presso l'ospedale Amedeo di Savoia di Torino dal 25 febbraio 1990 al 31 marzo 1990, occasione in cui venne riscontrata "affetta da candidosi esogagea". Trattasi di infezione opportunistica certamente non tale da dover comportare, per definizione, l'incompatibilita' col regime carcerario; invero, e' pacifico come essa, cosi' come altre analoghe, sia favorita da un insieme di fattori che interagiscono, consistenti nel regime di vita trasandato, nel tipo di alimentazione disordinata, nell'igiene approssimativa e scarsa, nell'uso di stupefacenti che spesso e' all'origine di tali comportamenti; tant'e' vero che queste infezioni, in presenza di un regime di vita regolare, di una corretta alimentazione e di una normale igiene generalmente regrediscono. Ed infatti, come risulta dalla documentazione acquisita presso l'ospedale Amedeo di Savoia, alla Vona, nuovamente ivi ricoverata dal 13 giugno 1990 al 28 agosto 1990 e dal 19 settembre 1992 al 9 ottobre 1992, non vennero piu' riscontrate infezioni opportunistiche; ed invero ella circolava tranquillamente esercitando il suo mestiere di prostituta (con quale pericolo per i clienti, e di conseguenza la collettivita' tutta, e' appena il caso di sottolineare). Eppure per la Vona - e per tutti gli altri soggetti in situazine analoga alla sua - si e' venuta a creare una sostanziale "licenza di delinquere", posto che la diagnosi di Aids conclamata stabilita in un dato momento (per l'indagata, come s'e' visto, nel 1990) costituisce di per se' - ed a prescindere da qualsivoglia accertamento sulle attuali condizioni di salute - un "patentino" per l'esclusione dal carcere, benche' in presenza di esigenze cautelari che imporrebbero la carcerazione. Davvero incomprensibili, dunque, se non ipotizzando operazioni politiche aventi bassi scopi demagogici, sono le ragioni dell'aver stabilito per legge l'equazione "Aids conclamata o grave deficienza immunitaria = divieto di custodia carceraria"; tanto piu' se si considera che la stessa commissione nazionale per la lotta all'Aids (come pure ricordato nella citata ordinanza del tribunale di sorveglianza di Torino) ha esplicitamente riconosciuto, facendo riferimento all'"estrema dinamicita' e varieta' di situazioni" che caratterizzano il quadro clinico delle infezioni da HIV, come unica seria strada percorribile per la soluzione del problema dell'incompatibilita' tra stato detentivo e malattia in esame sia - appunto - la valutazione della situazione caso per caso. Strada, questa, che, mentre si fonda su precise cognizioni scientifiche, non confligge coi dettati costituzionali ed in particolare col principio di uguaglianza, che vuole che situazioni identiche (nella specie, quanto a gravita', irreversibilita' ed ingravescenza delle malattie) siano regolate in maniera uniforme. Questo discorso, del resto, porta all'immediata individuazione di un ulteriore principio costituzionale gravemente leso dall'art. 286- bis del c.p.p., vale a dire quello, sancito dall'art. 111, primo comma, della Costituzione, secondo cui "tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati". E', infatti, di tutta evidenza come nel caso che ci occupa l'eventuale incompatiblita' tra lo stato detentivo e lo stato di malattia della Vona, che questo giudice avrebbe dovuto valutare e dichiarare, sia gia' stata decretata dal legislatore, per cui la motivazione del provvedimento (in questo caso, di concessione degli arresti domiciliari) e' soltanto apparente, limitandosi l'organo giurisdizionale a recepire quanto, a priori, stabilito ex lege. Ne', in tale caso, puo' sostenersi cio' che codesta Corte dichiaro' nella sentenza n. 313 del 1990 a proposito del c.d. patteggiamento, in ordine al rilievo secondo cui la sentenza prevista dall'art. 444 del c.p.p. prescinderebbe completamente da qualsiasi valutazione di merito da parte del giudice e, quindi, dal suo libero convincimento, essendo arduo attribuire valore di motivazione all'enunciazione nel dispositivo che vi e' stata richiesta delle parti; in detta sentenza, invero, la Corte ha potuto agevolmente sottolineare come il giudice, nella pronuncia ex art. 444 del c.p.p., sia tenuto a valutare la correttezza o meno della definizione giuridica del fatto che scaturisca dalle risultanze, nonche' le ragioni per cui le circostanze, attenuanti od aggravanti, e l'eventuale prevalenza o equivalenza delle une rispetto alle altre, siano o non ritenute plausibili nei sensi prospettati nella consensuale richiesta delle parti; dal che consegue come l'esigenza della motivazione non sia esclusa dalla particolare configurazione della sentenza prevista dall'art. 444 del c.p.p., anche se ovviamente debba essere ad essa ragguagliata. Nulla di tutto cio' e' possibile dire, invece, con riferimento alla motivazione del provedimento che revochi o non imponga la custodia cautelare in carcere per un ammalato di Aids conclamata o di grave deficienza immunitaria, posto che non si vede quale libero convincimento possa esprimere il giudice che deve operare sulla base dell'equazione "Aids conclamata o grave deficienza immunitaria = divieto di custodia in carcere". Il che induce a ritenere violato dalla normativa in esame anche un altro fondamentale principio costituzionale, quello di cui all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, per cui "i giudici sono soggetti soltanto alla legge". Invero, nel momento in cui il giudice deve attenersi, per la propria decisione, non gia' ai dati derivantigli da un completo ed attuale accertamento sanitario sulle condizioni di salute dell'indagato-imputato colpito da infezione da HIV, comunque liberamente valutabili, ma ad una diagnosi di Aids conclamata o di grave deficienza immunitaria posta dai sanitari e divenuta immutabile (come sopra s'e' visto), appare chiaro come detto giudice sia sostanzialmente vincolato da un provvedimento amministrativo, qual e' la diagnosi medica, tra l'altro - come detto - di per se' non significativo di un'effettiva ed attuale gravita' della situazione tale da renderla incompatibile con la carcerazione. Ne' vale obiettare che in questo caso il vincolo di soggezione soltanto alla legge sarebbe rispettato poiche' l'incompatibilita' con la carcerazione e' appunto stabilita ex lege in presenza di quelle diagnosi: cosi' ragionando, infatti, si attribuirebbe a tale vincolo un valore meramente formale che nulla ha a che fare con la regola sostanziale che la Costituzione voleva porre. Infine, va detto come l'indicato contrasto dell'art. 286- bis del c.p.p. con i quattro principi costituzionali citati non appaia superabile nemmeno ricorrendo al criterio del bilanciamento di interessi di pari portata, in ossequio al quale, tra piu' interessi aventi medesimi tutela e rango nell'ordinamento (in questo caso, rango costituzionale) si sceglie di farne prevalere uno, poiche' la situazione, complessivamente considerata, impone di stabilire comunque delle priorita' e quindi di privilegiare la tutela di un dato interesse a discapito di un altro pur parimenti rilevante. Si vuol fare riferimento, in particolare, ai principi di cui agli artt. 27, terzo comma, e 32, primo comma, della Costituzione, secondo cui "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato" e "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita'": al proposito e' sufficiente ribadire come l'estrema dinamicita' e varieta' di situazioni cui da' luogo l'infezione da HIV importino che soltanto un accertamento medico sulle attuali condizioni di salute dell'indagato o imputato consenta di affermare se la restrizione carceraria si risolva in un trattamento contrario al senso di umanita' o leda il fondamentale diritto alla salute; senza contare che, come e' ben noto a tutti gli operatori del settore, spesso il detenuto ammalato riceve piu' cure ed e' sottoposto a maggiori controlli per opera dell'amministrazione penitenziaria di quanto sicuramente accadrebbe in stato di liberta' per proprio interessamento. Non puo', dunque, ritenersi che la normativa in esame sia in contrasto con i principi costituzionali indicati al fine di dare attuazione ad altri principi costituzionali che si e' scelto di tutelare in via privilegiata. Anzi, e' da ritenersi che pure questi ultimi siano lesi da una norma che, stabilendo l'errata equazione di cui s'e' detto (Aids conclamata o grave deficienza immunitaria = divieto di carcerazione), da' loro un'attuazione sostanzialmente distorta. Deve, pertanto, affermarsi l'assoluta illegittimita' dell'art. 286- bis del c.p.p. con riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 27, terzo comma, 32, primo comma, 101, secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, come sopra lumeggiato.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 286- bis del c.p.p. con riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 27, terzo comma, 32, primo comma, 101, secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri nonche' all'indagato ed alla Procura generale di Torino; Manda alla cancelleria per la comunicazione ai Presidenti delle due Camere; Dispone la sospensione del giudizio sulla liberta' personale della Vona. Torino, addi' 25 marzo 1993 Il giudice: MASIA 93C0908