N. 477 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 1993

                                N. 477
 Ordinanza  emessa  il 13 maggio 1993 dalla pretura di Napoli, sezione
 distaccata  di  Pozzuoli,  nel  procedimento  civile   vertente   tra
 F.N.A.L.T. - C.A.S.I.L. e S.p.a.  E.T.P.
 Lavoro   -   Dipendenti   delle   aziende  di  trasporto  -  Sanzioni
 disciplinari  -  Possibilita'   di   irrogare   la   sanzione   della
 retrocessione implicante una modifica definitiva delle condizioni del
 rapporto   di   lavoro   (sino  alla  nuova  modifica  in  melius)  -
 Ingiustificata  disparita'  di  trattamento   rispetto   alle   altre
 categorie   di   lavoratori  dipendenti  nei  cui  confronti  non  e'
 consentita l'applicazione  di  tale  tipo  di  sanzioni  -  Lamentato
 contrasto  con  i principi costituzionali posti a tutela del lavoro -
 Riproposizione, nell'ambito dello stesso giudizio a quo, di questione
 gia'  dichiarata  manifestamente  inammissibile   (per   difetto   di
 giurisdizione  del  giudice rimettente) su presupposto interpretativo
 non condiviso dal giudice a quo.
 (R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, artt. 37, primo comma, n. 5, e 44).
 (Cost., artt. 3 e 35).
(GU n.37 del 8-9-1993 )
                              IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella  causa  iscritta  al  n.
 1536/1991 reg. gen. lav., avente ad oggetto: ricorso ex art. 28 della
 legge 20 maggio 1970, n. 300, e vertente tra F.N.A.L.T. - C.A.S.I.L.,
 ricorrente,  in  persona del segretario provinciale pro-tempore, sig.
 Antonio Esposito, elettivamente domiciliato in Napoli, corso  Umberto
 I,  n.  7,  presso lo studio dell'avv. Gennaro Dario Esposito, che lo
 rappresenta e difende, come da mandato  in  atti,  e  E.T.P.  S.p.a.,
 resistente,  in  persona  del  legale rappresentante pro-tempore, con
 sede in Portici, piazza S. Ciro n. 4,  ed  elettivamente  domiciliato
 presso  lo  studio  dell'avv.  Walter  Albora,  in  Sorrento,  via S.
 Francesco n. 8, come da mandato in atti;
                           RILEVATO IN FATTO
      che, con ricorso proposto ai sensi dell'art. 28 della  legge  20
 maggio 1970, n. 300, la Federazione nazionale autonoma dei lavoratori
 dei  trasporti,  associata  alla  Confederazione  autonoma  sindacati
 italiani  lavoratori  -  F.N.A.L.T.  -  C.A.S.I.L.,  in  persona  del
 segretario    provinciale   pro-tempore,   sig.   Antonio   Esposito,
 elettivamente domiciliato in Napoli, corso Umberto I, n. 7, presso lo
 studio del dott. proc. Gennaro Dario Esposito, esponeva:
      a) che il giorno 27 novembre 1991  il  sig.  Coppola  Salvatore,
 agente  stabile  alle dipendenze dell'E.T.P. S.p.a., con matricola n.
 504, e qualifica di "addetto alla manutenzione", livello  ottavo,  in
 servizio  presso  lo  stabilimento di Agnano (Pozzuoli) allontanatosi
 dal  magazzino  cui  era  addetto perche' chiamato al telefono presso
 l'ufficio movimento, dimenticava, nell'allontanarsi  di  chiudere  la
 porta  del magazzino e di portare con se', nei pochi minuti necessari
 per rispondere alla chiamata, le chiavi dello stesso;
      b) che rientrato dopo pochi minuti, si accorgeva della scomparsa
 delle chiavi;
      c) che l'azienda, informata dell'accaduto, contestava i fatti al
 Coppola, e ritenendo sussistente un fatto  tale  da  giustificare  la
 sanzione  della  retrocessione, per violazione dell'art. 44 del reg.,
 all. A, del r.d.l. n. 148/1931,  lo  sospendeva  immediatamente  dal
 soldo e dal servizio, ai sensi dell'art. 46 del reg. citato;
      d)  che  il  Coppola  eccepiva la sproporzione della sanzione in
 relazione alla mancanza commessa, e ne  contestava  la  legittimita',
 anche  procedurale,  della  inflizione,  chiedendo comunque di essere
 giudicato dal consiglio di disciplina;
      e) che nelle more del  procedimento  disciplinare  iniziato,  la
 societa'  resistente  lo  riassumeva in servizio, ma successivamente,
 con comunicazione del 5 dicembre 1991, prot. n. 1205/RT, e successivo
 ordine di servizio  n.  211/91,  comminava  al  Coppola  la  sanzione
 disciplinare  della  retrocessione a manovale di 9› livello, ai sensi
 dell'art. 44,  quarto  comma,  reg.  citato,  ed  in  conseguenza  lo
 trasferiva dallo stabilimento di Agnano a quello di Pollena;
       f)  che  nuovamente il Coppola contestava la legittimita' della
 sanzione  inflittagli,  chiedendo  la  pronuncia  del  consiglio   di
 disciplina anche per essa.
    Poiche'  il Coppola rivestiva all'interno dell'azienda la qualita'
 di dirigente di r.s.a., nella unita' produttiva di Agnano,  localita'
 Pisciarelli,  e  poiche' secondo l'istante le sanzioni inflitte erano
 palesemente illegittime,  sia  quanto  al  procedimento  seguito  per
 infliggerle,  sia quanto al rapporto di proporzione e adeguatezza tra
 esse ed il fatto che le  giustificava,  la  rappresentanza  sindacale
 ricorrente   sosteneva   la   antisindacabilita'   del  comportamento
 dell'azienda, rilevando  che  in  quanto  dirigente  sindacale  nello
 stabilimento  di  Agnano,  il Coppola non poteva essere trasferito ad
 altro stabilimento senza il consenso dell'associazione  sindacale  di
 appartenenza;     ed    asseriva    altresi'    che    le    sanzioni
 sproporzionatamente  inflitte  al  Coppola  erano  soltanto  l'ultimo
 episodio   di   ripetute   azioni  di  intimidazione  portate  avanti
 dall'azienda a carico del Coppola, per la sua  scomoda  attivita'  di
 rappresentante sindacale in azienda.
    Pertanto  chiedeva che il pretore adi'to dichiarasse antisindacale
 il comportamento dell'azienda,  ordinando  alla  stessa  di  recedere
 dalle sanzioni applicate al Coppola.
    Si  costituiva  la  societa' resistente, contestando l'assunto del
 sindacato istante, e confermando  la  natura  meramente  disciplinare
 delle sanzioni inflitte al Coppola.
                           RILEVATO IN RITO
      che  in  data 13 marzo 1992 il giudicante, ravvisati gli estremi
 per la rimessione degli atti al giudice costituzionale, per  evidenti
 dubbi  di  costituzionalita'  della  sanzione  prevista  dal  r.d. n.
 148/1931 ed  inflitta  nella  specie  al  ricorrente,  sospendeva  il
 giudizio  in  corso e trasmetteva gli atti alla Corte costituzionale,
 per il giudizio di competenza;
      che  la  Corte  costituzionale, con ordinanza n. 458, in data 17
 novembre  1992,  dichiarava  la  manifesta   inammissibilita'   della
 questione sul presupposto che il pretore rimettente difetterebbe ictu
 oculi  di giurisdizione, dal momento che spetterebbe la cognizione al
 giudice  amministrativo,   "secondo   l'indirizzo   giurisprudenziale
 vigente, alla stregua dell'art. 6 della legge 12 giugno 1990, n. 146,
 ove  le  organizzazioni  sindacali  intendano  ottenere  non  solo la
 repressione della condotta antisindacale ma anche  la  rimozione  dei
 provvedimenti  concretanti  il  detto  comportamento  (nella  specie,
 sanzione disciplinare della retrocessione)", ed "essendo  il  ricorso
 diretto contro l'una e l'altra delle situazioni";
      che  appare  invece  chiara,  nel  giudizio di merito de quo, la
 giurisdizione del giudice ordinario, e nel suo ambito  la  competenza
 del  giudice  del  lavoro,  dal  momento che l'ente convenuto (E.T.P.
 S.p.a.) non e' alcun ente provinciale  trasporti,  come  erroneamente
 ritenuto  dal  giudice  costituzionale,  bensi' la Esposito trasporti
 pubblici S.p.a., cioe' una privata societa' per  azioni,  a  capitale
 esclusivamente  privato, che gestisce in regime di concessione alcune
 linee di trasporto pubblico;
      che pertanto l'ente convenuto non puo' comunque considerarsi  un
 ente  pubblico  autarchico,  ne'  una pubblica amministrazione, e che
 nessun rilievo ha nel caso in  questione  l'art.  6  della  legge  n.
 146/1990,  che ha modificato l'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n.
 300;
      che la questione di  legittimita'  costituzionale  sollevata  da
 questo  pretore,  con l'ordinanza innanzi citata, mantiene tuttora la
 propria rilevanza e pregiudizialita' nel procedimento in  esame,  che
 ha  ad  oggetto  proprio  la  legittimita' della sanzione e della sua
 inflizione;
      che ogni valutazione circa la antisindacalita' del comportamento
 aziendale   impugnato   passa   attraverso    la    valutazione    di
 pretestuosita',  ovvero  la proporzione e adeguatezza, delle sanzioni
 inflitte al Coppola, ai fatti addebitatigli, e dunque la  valutazione
 di  legittimita'  delle  sanzioni  inflitte e' elemento necessario ed
 indispensabile per la decisione del presente giudizio.
                          RITENUTO IN DIRITTO
    Ad avviso del giudicante, sussistono seri dubbi sulla legittimita'
 costituzionale della previsione normativa delle sanzioni inflitte  al
 lavoratore nel caso di specie, per i seguenti motivi.
    In primo luogo, le disposizioni degli artt. 37, primo comma, n. 5,
 e  44  del r.d. n. 148/1931 cit. appaiono in contrasto con l'art. 35,
 primo comma,  della  Costituzione,  che  afferma  l'esigenza  che  la
 Repubblica tuteli il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
    La   tutela  del  lavoro  si  attua  non  soltanto  attraverso  la
 salvaguardia delle  posizioni  economiche,  ma  anche  e  soprattutto
 attraverso la garanzia di quei diritti fondamentali che ineriscono al
 rapporto di lavoro: tra questi, va incluso senz'altro il diritto alla
 qualifica.
    Il   diritto  alla  qualifica  e'  prevalentemente,  nella  prassi
 giurisprudenziale, oggetto di esame sotto il profilo dell'adeguamento
 delle mansioni di fatto espletate dal lavoratore  alla  qualifica  da
 lui  rivestita, e delle relative conseguenze economiche, mentre resta
 spesso in penombra, quale presupposto scontato, l'aspetto del rilievo
 che il diritto alla qualifica riveste nella struttura complessiva del
 rapporto di lavoro.
    La qualifica costituisce in realta' il criterio di identificazione
 del  tipo  di  prestazione  espletabile  dal  lavoratore,  e discende
 congiuntamente sia dalla  astratta  formazione  tecnico-professionale
 del  medesimo, sia dal complesso delle concrete esperienze lavorative
 maturate nel corso della sua attivita'.
    In quanto espressione delle  capacita'  tecnico-professionali  del
 lavoratore,  la  qualifica  appare  quindi  non solo connaturata alla
 qualita'  di  lavoratore  subordinato,  ma  addirittura  strettamente
 legata  alla  persona  del  lavoratore,  poiche'  esprime  appunto il
 livello di esperienze da lui personalmente  maturato,  e  formalmente
 riconosciutogli nel rapporto di lavoro.
    Proprio  per  l'essenziale  rilievo  che  la qualifica riveste nel
 rapporto di lavoro, e per la ontologica connessione di  essa  con  la
 personalita'   del  lavoratore,  appare  chiaramente  ricompresa  nel
 concetto di tutela del lavoro di cui all'art. 35  della  Costituzione
 anche  la  tutela  della  professionalita'  maturata dal lavoratore e
 divenuta parte di esso, il cui relativo  diritto  si  presenta  quale
 diritto  essenziale  della  persona  del  lavoratore, e la sua tutela
 quale principio generale dell'ordinamento del lavoro.
    La tutela del lavoro deve estrinsecarsi anche nella  tutela  della
 corretta   ed  equa  utilizzazione  delle  capacita'  lavorative  del
 lavoratore, e nella garanzia del riconoscimento della  qualifica,  la
 quale  appare  modificabile  in  relazione  alla  modificazione della
 stessa  capacita'  lavorativa  del  prestatore,  ma  non  per  motivi
 puramente disciplinari.
    Del resto e' questo l'orientamento ormai costante della normazione
 ordinaria in materia di lavoro subordinato.
    Poiche'  la  qualifica  non  costituisce  di  certo  un  beneficio
 accordato discrezionalmente dal datore di lavoro, ne' tanto  meno  un
 accessorio  delle  obbligazioni  principali derivanti dal rapporto di
 lavoro, ma rappresenta e si identifica con la persona del lavoratore,
 in ciascun  momento  storico  del  rapporto  di  lavoro  considerato,
 individuando   le   qualita'  essenziali  ed  ontologiche  della  sua
 capacita' professionale  e  lavorativa,  appare  impossibile  che  il
 datore  di lavoro possa, con mero provvedimento disciplinare, privare
 il  lavoratore  della  capacita'   lavorativa   da   lui   raggiunta,
 "retrocedendolo"  ad  una qualifica inferiore ovvero azzerando (anche
 attraverso ripetute retrocessioni, teoricamente possibili, secondo la
 normativa de  qua)  addirittura  i  progressi  tecnici  maturati  dal
 dipendente.
    Sulla  base  delle  considerazioni  prima  esposte appare altresi'
 illegittimo che una norma di legge  possa  consentire  cio',  per  il
 palese  contrasto  con  la  tutela  generale  del lavoro di cui si e'
 accennato.
    Del resto, una tale possibilita' appare gia' in contrasto  con  la
 disciplina  ormai  generalmente  fissata,  da  leggi  ordinarie  piu'
 recenti, rispetto a quella,  "speciale"  relativamente  alla  materia
 trattata,  di  cui  si  chiede il riesame in sede costituzionale, per
 tutti i lavoratori subordinati, in materia di qualifica e mansioni.
    Invero, l'art. 2103 del c.c., come modificato dall'art.  13  della
 legge  20  maggio  1970,  n. 300, afferma il diritto del lavoratore a
 vedere sempre rispettate le mansioni (e la qualifica) di  assunzione,
 ovvero  quelle  successivamente acquisite, sancendo indirettamente la
 inderogabilita' in pejus del livello lavorativo raggiunto, e comunque
 sottraendo  alla sfera di efficacia dei provvedimenti disciplinari la
 materia della qualifica:  e  tale  norma  appare  diretta  attuazione
 proprio dell'art. 35 della Costituzione citato.
    D'altro  lato, l'art. 7, quarto comma, prima parte, della legge 20
 maggio 1970, n. 300, afferma  che  "fermo  restando  quanto  disposto
 dalla  legge  15  luglio  1966,  n.  604, non possono essere disposte
 sanzioni  disciplinari  che  comportino  mutamenti   definitivi   del
 rapporto  di  lavoro".  In  altri termini, e' previsto come principio
 generale  dell'ordinamento  in  materia  di   lavoro,   che   l'unica
 modificazione  definitiva  ammessa  del rapporto di lavoro, che possa
 infliggersi come sanzione disciplinare, consiste  nel  licenziamento,
 allorche'   sussistono  le  cause  fissate  dalla  normativa  dettata
 specificamente per i licenziamenti.
    La ratio di tutte tali disposizioni e' ravvisabile nella  esigenza
 di  sottrarre  alla disponibilita' delle parti, ed in particolare del
 datore di lavoro, la "gestione" della  qualifica  del  lavoratore,  e
 cioe'  della  sua  capacita' tecnico-professionale, che si estrinseca
 proprio nella qualifica, la quale progredisce con il progredire delle
 esperienze del lavoratore, e che in ogni  momento  della  durata  del
 rapporto  di  lavoro,  "fotografa"  il  livello  delle  esperienze  e
 capacita' raggiunte dallo stesso.
    In secondo luogo, e proprio sulla  scorta  delle  norme  di  legge
 ordinaria ora citate, le disposizioni degli artt. 37, primo comma, n.
 5,  e 44 del r.d. n. 148/1931 cit. appaiono in contrasto con l'art. 3
 della Costituzione in quanto, prevedendo una disciplina "speciale", e
 peggiorativa,  delle  sanzioni  disciplinari,  per  i  dipendenti  di
 aziende   ferrotranviarie,  attuano  una  disparita'  di  trattamento
 rispetto a tutti gli altri lavoratori  dipendenti,  per  i  quali  la
 legge  non  prevede,  e  non  ammette, la possibilita' di una perdita
 della  qualifica  raggiunta  quale  particolare  tipo   di   sanzione
 disciplinare.
    Tale  diversita' di trattamento non sembra giustificabile non solo
 in linea generale, ma neppure sulla base della  asserita  specialita'
 del  lavoro  dei  dipendenti di aziende di trasporto, dal momento che
 non  trova  comunque  fondamento  e  ragione  in  alcuna  particolare
 peculiarita'  di  tale  rapporto,  ma  attiene  invece  ad un aspetto
 generale, quale il potere disciplinare del datore di lavoro  ed  alla
 tipologia delle sanzioni.
    Proprio  la  tipologia  delle  sanzioni non appare ragionevolmente
 condizionabile dalla specialita' del rapporto,  quanto  meno  non  al
 punto  da  ammettere una incisione del potere disciplinare del datore
 sulla qualifica del lavoratore e sulle corrispondenti mansioni.
    Per tutto quanto esposto, ad avviso del giudicante la questione di
 costituzionalita' delle disposizioni degli artt. 37, primo comma,  n.
 5,  e  44  del  r.d.  n.  148/1931  cit.  non  appare  manifestamente
 infondata, ed essendo la sua soluzione  rilevante  e  preliminare  ai
 fini  della  cognizione della presente controversia, deve disporsi la
 sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli  atti  alla
 Corte  costituzionale,  affinche'  voglia,  ove  ritenga  fondata  la
 questione  sollevata  con  la  presente  ordinanza,  provvedere  come
 richiesto in dispositivo.
    Va  inoltre  sottolineata, quanto alla fondatezza in diritto della
 questione, la erroneita' del rilievo dell'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  formulato  in sede di impugnativa costituzionale, secondo cui
 "da  nessuna  norma  costituzionale  emerge  un  limite   al   potere
 disciplinare del datore di lavoro", dal momento che:
      a)  discende  direttamente  gia' dalla espressa previsione della
 inviolabilita'  dei  diritti  dell'uomo  di  cui  all'art.  2   della
 Costituzione, sia come singolo che nelle formazioni sociali in cui si
 svolge  la sua personalita', ed e' piu' concretamente poi individuato
 da  tutte  quelle  norme  che  tutelano  le   liberta'   fondamentali
 dell'individuo,  un  primo  ordine  di  limiti generali al potere del
 datore di lavoro di  incidere  disciplinarmente  su  beni  e  diritti
 fondamentali, materiali e morali, dell'individuo;
      b) tali garanzie dei diritti e liberta' della persona si pongono
 come  limiti  generali  non  solo  per  il  legislatore  che non puo'
 conculcarli,  se  non  per  particolari  e  tipicizzate  esigenze  di
 interesse  generale,  ma  anche  per qualsiasi ordinamento privato di
 fonte contrattuale che  voglia  prevedere  sanzioni  a  carico  degli
 aderenti ad esso;
      c) anche per quanto concerne la specifica disciplina del lavoro,
 la  Costituzione  prevede  molteplici  limiti al potere del datore di
 lavoro, sia con riguardo agli  aspetti  economici  che  agli  aspetti
 professionali  dell'attivita'  prestata  dal  lavoratore,  dei  quali
 alcuni espressamente formulati, ma altri  necessariamente  impliciti,
 per   le   ovvie   ragioni   di  sintesi  e  stringatezza  del  testo
 costituzionale,   benche'    chiaramente    deducibili,    per    via
 interpretativa, dal tenore generale delle norme costituzionali;
       d) in particolare, allorche' la Costituzione esprime l'esigenza
 di   tutela   del  lavoro,  implica  che  siano  da  intendersi  come
 inammissibili  ed  illeciti  tutti  i  comportamenti  che  siano   in
 contrasto  con tale esigenza, ed illegittime quindi le norme di legge
 che li autorizzino.
    Ritenuta dunque la  rilevanza  nel  presente  giudizio  e  la  non
 manifesta infondatezza della questione proposta;
                               P. Q. M.
    Dispone sospendersi il giudizio in corso e trasmettersi nuovamente
 gli  atti  alla  Corte  costituzionale, affinche' voglia esaminare la
 questione proposta, e ove non ne ritenga la infondatezza,  dichiarare
 la  illegittimita'  costituzionale dell'art. 37, primo comma, n. 5, e
 dell'art.  44  del  r.d.  8  gennaio   1931,   n.   148,   intitolato
 "coordinamento  delle  norme  sulla disciplina giuridica dei rapporti
 collettivi del lavoro con quelle del trattamento  giuridico-economico
 del  personale delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna
 in regime di concessione", per contrasto delle predette norme con gli
 artt.  35,  primo  comma,  della   Costituzione,   ovvero   3   della
 Costituzione,  nella  parte in cui prevedono la sanzione disciplinare
 della retrocessione per il lavoratore dipendente di ente di trasporto
 privato;
    Dispone notificarsi copia della presente ordinanza, a  cura  della
 cancelleria,  al Presidente del Consiglio dei Ministri, ed alle parti
 costituite  nel  presente  giudizio,  in  quanto  non  presenti  alla
 pronuncia della presente ordinanza;
    Dispone  comunicarsi  copia della presente ordinanza, a cura della
 cancelleria, ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati.
      Pozzuoli, addi' 13 maggio 1993
                  Il pretore-giudice del lavoro: PICA

 93C0918