N. 482 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 febbraio 1993

                                N. 482
 Ordinanza  emessa  il  1  febbraio 1993 dal Tribunale superiore delle
 acque pubbliche  nel  procedimento  civile  vertente  tra  la  S.r.l.
 "Impresa Borghi" e il Ministero delle finanze ed altro.
 Tributi  in  genere  - Canoni o proventi per la utilizzazione di beni
 immobili del demanio e del patrimonio  indisponibile  dello  Stato  -
 Determinazione   demandata   ad  un  regolamento  ministeriale  senza
 l'indicazione  di   criteri   idonei   a   delimitare   l'ambito   di
 discrezionalita'  della  p.a.  -  Prevista  efficacia retroattiva dei
 nuovi  canoni  cosi'  rideterminati  -  Prospettata  violazione   del
 principio   della   riserva   di  legge  in  materia  di  prestazioni
 patrimoniali imposte con  incidenza  sul  principio  della  capacita'
 contributiva.
 (D.L.  27  aprile  1990, n. 90, art. 12, quinto comma, convertito in
 legge 26 giugno 1990, n. 165).
 (Cost., artt. 23 e 53).
(GU n.37 del 8-9-1993 )
             IL TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 19
 del ruolo dell'anno 1992, promossa  dalla  societa'  "Impresa  Borghi
 S.r.l.",  con  sede  in  Mantova, in persona del sig. Giorgio Borghi,
 rappresentata e difesa in giudizio dagli avv.ti Valerio Onida, Cesare
 Nicolini e Alberto Accordi e domiciliata in Roma, largo della Gancia,
 1, presso lo studio dell'avvocato Gualtiero Rueca, contro i Ministeri
 delle finanze e dei lavori pubblici,  in  giudizio  con  l'avvocatura
 generale dello Stato, per l'annullamento:
      1) del decreto 19 gennaio 1991, n. 32105, del magistrato del Po,
 ufficio operativo di Mantova;
      2) del decreto 10 settembre 1991 n. 32109 dello stesso ufficio;
      3)  degli  avvisi  di  liquidazione  emessi  il 25 novembre 1991
 dall'ufficio del registro di Mantova in conseguenza dei decreti sopra
 indicati;
      4)  del  decreto  del  Ministro  delle  finanze  20 luglio 1990,
 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10 ottobre 1990,  n.  237,  nella
 parte  in cui stabilisce i criteri per la rideterminazione dei canoni
 di concessione per l'estrazione  di  materiali  dall'alveo  di  corsi
 d'acqua;
      5)  delle  autorizzazioni  provvisorie rilasciate dal magistrato
 del Po il 13 settembre 1988, il 12 aprile 1989
 e l'8 febbraio 1990, nella parte in cui si fa riserva di  determinare
 un canone demaniale per il materiale estratto.
                        IN FATTO ED IN DIRITTO
    In  data  odierna il tribunale superiore delle acque pubbliche, ha
 reso, fra le parti in epigrafe  indicate,  la  sentenza  che  qui  di
 seguito integralmente si trascrive.
                              "F A T T O
    La  societa'  ricorrente  estrae materiale limo-sabbioso dal greto
 del fiume Po dal 1988 in  forza  di  concessioni  onerose,  le  quali
 vengono  rilasciate  dal  magistrato  del  Po dapprima sotto forma di
 'autorizzazioni provvisorie' per un quantitativo massimo, e poi,  una
 volta  conosciuti  sia il quantitativo estratto nell'anno solare, sia
 la  determinazione  unitaria   del   corrispettivo   di   concessione
 effettuata   dall'amministrazione   finanziaria,   sotto   forma   di
 'concessione  a  sanatoria'   con   determinazione   definitiva   del
 corrispettivo  dovuto.  Per  l'anno  1989, il corrispettivo era stato
 determinato in L. 1300 al metro cubo; per l'anno 1990, la  ricorrente
 e'  stata  autorizzata  ad  estrarre  fino  a  120.000  metri cubi di
 materiale limo sabbioso nei comuni di Ostiglia e Pieve di Coriano con
 autorizzazione provvisoria 8  febbraio  1990,  n.  746,  dell'ufficio
 operativo  di  Mantova  del  magistrato  del  Po;  individuata poi la
 quantita'  di  materiale  estratto,   il   corrispettivo   e'   stato
 determianto con decreti 19 marzo 1991, n. 32109, e 10 settembre 1991,
 n.  32109,  rispettivamente il L. 441.600.000 (L. 4.800 al metro cubo
 per 92.000 metri  cubi)  per  il  periodo  gennaio-luglio,  e  in  L.
 333.600.000  (L.  4.800  al  metro  cubo per 69.500 metri cubi). Era,
 infatti, intervenuto il decreto dei  Ministri  delle  finanze  e  del
 tesoro 20 luglio 1990, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10 ottobre
 1990,  n. 237, il cui art. 2 aveva determinato, con decorrenza dall'1
 gennaio  1990,  i  canoni  'annui'  per  l'estrazione  di   materiali
 dall'alveo di corsi d'acqua, fissando un minimo di L. 4.800 per metro
 cubo  di materiale estratto. Il decreto ministeriale, a sua volta, e'
 stato emanato in forza dell'art.  12,  quinto  comma,  del  d.l.  27
 aprile  1990,  n.  900 (in Gazzetta Ufficiale 30 aprile 1990, n. 99),
 convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165 (in Gazzetta  Ufficiale
 28  giugno  1990,  n.  149),  del  seguente  tenore: 'Con decreto del
 Ministro delle finanze di concerto con il  Ministro  del  tesoro,  da
 emanare  entro  settanta  giorni  dalla data di entrata in vigore del
 presente decreto, sono stabiliti i criteri per la rideterminazione, a
 decorrere dall'anno 1990, dei canoni, proventi, diritti  erariali  ed
 indennizzi  comunque dovuti per l'utilizzazione dei beni immobili del
 demanio o del patrimonio indisponibile e disponibile dello  Stato  al
 fine  di  aumentarli fino al sestuplo, se derivanti dall'applicazione
 di tariffe o misure stabilite in virtu'  di  leggi  anteriori  al  1›
 gennaio 1982 o da atti e situazioni di fatto posti in essere prima di
 tale data, ovvero al fine di aumentarli fino al quadruplo se riferiti
 a date successive'.
    La   societa'   Borghi,   che   ha   avuto  notizia  dei  suddetti
 provvedimenti di determinazione definitiva  del  corrispettivo  dagli
 avvisi  di  liquidazione  emessi dall'ufficio del registro di Mantova
 sulla base dei provvedimenti stessi e  notificabile  il  25  novembre
 1991,  li  ha  impugnati  con  il  presente ricorso, notificato il 23
 gennaio 1992 e contenente citazione per l'udienza del 9  marzo  1992,
 per i seguenti motivi:
      1)  (riferito ai provvedimenti del magistrato del Po) violazione
 e falsa applicazione degli artt. 93 e 97, (primo comma, lett. m), del
 r.d. 25 luglio 1904, n. 523, che subordinano l'estrazione di sabbia o
 altri materiali dall'alveo di  fiumi,  torrenti,  rivi,  scolatori  e
 canali   demaniali   solamente   ad   un   'permesso'  dell'autorita'
 amministrativa, senza  far  cenno  alla  imposizione  di  prestazioni
 economiche ai privati interessati;
      2)  (riferito  all'art.  2 del d.m. 20 luglio 1990) violazione e
 falsa applicazione degli artt. 12, quinto comma, del d.l. 27  aprile
 1990,  n.  90,  convertito  nella  legge  26  giugno  1990, n. 165, e
 violazione  dell'art.   23   della   Costituzione,   in   quanto   la
 determinazione    dei    canoni,    effettuata   dalla   disposizione
 regolamentare, non trova  fondamento  nella  citata  disposizione  di
 legge,  che  si limita a prevedere che con decreto ministeriale siano
 fissati, in via generale,  'i  criteri  per  la  rideterminazione,  a
 decorrere   dall'anno  1990,  dei  canoni,  proventi  ecc.';  il  che
 significa che deve sussistere, in base ad altra diversa e  precedente
 fonte   normativa,   il   potere   dell'autorita'  amministrativa  di
 determinare essa stessa il canone o il diritto in questione;
      3) (riferimento all'art.  2  del  decreto  ministeriale)  ancora
 violazione e falsa applicazione dell'art. 12, quinto comma, del d.l.
 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165,
 e  violazione  dell'art. 23 della Costituzione, in quanto il Ministro
 non si e' limitato a stabilire i criteri per la rideterminazione  dei
 canoni,  ma  ha  operato  direttamente  aumenti  in  misura fissa, in
 particolare con il secondo comma, che, al di fuori di ogni previsione
 di legge, ha  fissato  un  canone  minimo  per  ogni  metro  cubo  di
 materiale estratto;
      4)  (riferito  all'art.  2  del decreto ministeriale) eccesso di
 potere per illogicita', ingiustizia manifesta e difetto  assoluto  di
 motivazione, in quanto la determinazione degli aumenti automatici, in
 misura  fissa, per ogni bene rientrante nella categoria, elimina ogni
 possibilita' di graduazione dei canoni  in  regime  delle  specifiche
 caratteristiche dei singoli beni concessi in godimento);
      5)   (riferito   al   decreto  ministeriale)  ancora  violazione
 dell'art. 12,  quinto  comma,  del  d.l.  27  aprile  1990,  n.  90,
 convertito  nella  legge 26 giugno 1990, n. 165, e degli artt. 3 e 53
 della Costituzione, nonche' eccesso  di  potere  per  illogicita'  ed
 ingiustizia   manifesta,   in   quanto   viene  disposto  un  aumento
 retroattivo dal 1› gennaio 1990, relativamente, quindi,  a  materiali
 gia'  estratti  e commercializzati (sulla base dei 'canoni' demaniali
 precedentemente richiesti); laddove l'indicazione  legislativa  della
 decorrenza  'a  partire  dal  1990',  senza ulteriore specificazione,
 andava intesa nel senso  che  gli  aumenti  avrebbero  dovuto  essere
 richiesti  dalla  data  di  adozione dei provvedimenti applicativi da
 emanare nel corso dell'anno 1990, e quindi per il futuro.
    La  ricorrente  ha  poi  eccepito,  per  il caso che si ritenga la
 retroattivita'   consentia   dall'art.   12   del    d.l.    citato,
 l'illegittimita'  costituzionale  della stessa disposizione di legge,
 per violazione degli artt. 3 e 53 della costituzione.
    Le amministrazioni delle finanze e dei  lavori  pubblici  si  sono
 costituite  in  giudizio  eccependo  la  carenza  di giurisdizione in
 quanto la controversia, relativa a  canoni  di  concessione  di  beni
 pubblici,  apparterrebbe,  ai sensi dell'art. 5, secondo comma, della
 legge  6  dicembre  1971,  n.  1034,  sui  tribunali   amministrativi
 regionali,  alla  cognizione  del  tribunale  regionale  delle  acque
 pubbliche.
    L'udienza di discussione, fissata per il 26 ottobre 1992, e' stata
 rinviata, per impedimento dell'ufficio, al 1› febbraio 1993.
                             D I R I T T O
    L'eccezione  di  difetto   di   giurisdizione,   formulata   dalle
 amministrazioni  resistenti  e'  infondata, in quanto la controversia
 non concerne i canoni di concessione  di  un  bene  pubblico  in  se'
 considerati,  bensi' i provvedimenti amministrativi di determinazione
 dei canoni per l'uso di beni del  demanio  idrico,  e  rietra  quindi
 nella  giurisdizione  amministrativa  del  tribunale  superiore delle
 acque pubbliche in unico grado, ai sensi dell'art. 143, primo  comma,
 lett.  a)  del  testo  unico delle leggi sulle acque e sugli impianti
 elettrici approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.
    Con il primo motivo di ricorso, vengono censurati i  provvedimenti
 del magistrato del Po che, nel concedere il permesso per l'estrazione
 di  sabbia  dall'alveo  del  fiume  Po,  avrebbe  imposto  un  canone
 concessionario al di fuori di ogni previsione  normativa.  La  stessa
 ricorrente  peraltro,  con  i successivi motivi di ricorso, riconosce
 che  l'onerosita'  dell'estrazione  dei  materiali  in  questione  e'
 prevista  dal  decreto  ministeriale  impugnato,  sicche' la censura,
 riferita ai provvedimenti del magistrato del Po, che appunto  trovano
 fondamento ormai nell'art. 2, secondo comma, del decreto dei Ministri
 delle   finanze  e  dei  lavori  pubblici  20  luglio  1990,  oggetto
 d'impugnazione non e' fondata.
    Anche il secondo motivo, che e'  riferito  alla  disposizione  del
 regolamento  ministeriale  impugnato,  non  e'  fondata;  sostiene la
 ricorrente che non sarebbe consentito all'autorita' amministrativa di
 subordinare il permesso di estrazione  di  materiali  dall'alveo  dei
 fiumi  al  pagamento  di un corrispettivo, non essendo, quest'ultimo,
 previsto da nessuna disposizione  di  legge.  Senonche'  l'onerosita'
 dell'uso speciale di beni pubblici, consistente in una utilita' dello
 stesso concessionario, il quale, nella specie, e' un imprenditore che
 destina  i  beni prelevati alla proprieta' attivita' d'impresa (e' un
 principio generale, del quale l'art. 12, quinto comma, del  d.l.  27
 aprile  1990,  n.  90,  convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165
 (che si riferisce proprio ai casi in cui e i canoni per l'uso di beni
 demaniali non siano previsti direttamente  dalla  legge)  costituisce
 ricognizione;   piu'  generalmente  ancora,  la  concessione  di  uso
 speciale  dei  beni  demaniali  nell'interesse   del   concessionario
 costituisce  un negozio sinallagmatico, per cui e' del tutto naturale
 che l'autorita' amministrativa,  preposta  alla  gestione  dei  beni,
 richieda  un  corrispettivo;  semmai  la ricorrente avrebbe motivo di
 dolersi del sistema  di  determinazione  ex  post  del  corrispettivo
 stesso, ma non della corrispettivita' in se stessa considerata.
    L'esame   degli   altri   motivi  impinge,  in  due  questioni  di
 costituzionalia',  che  verranno  rilevate  con  separata  ordinanza;
 questa   comporta   la  sospensione  del  giudizio  e,  pertanto,  la
 statuizione  sui   rimanenti   motivi   di   impugnazione   dell'atto
 amministrativo  e  quella  sulle  spese  vanno  rimesse  al  giudizio
 definitivo.
                                P. Q. M.
    Il tribunale superiore pronunciando soltanto sulla giurisdizione e
 sui primi due motivi del ricorso afferma la propria  giurisdizione  e
 respinge i due motivi considerati;
    Dispone  con  separata  ordinanza  per l'ulteriore svolgimento del
 processo e rimette al definitivo la pronuncia sugli altri  motivi  di
 impugnazione e sulle spese del giudizio.
    Cosi'  deciso  in  Roma  nella  camera  di consiglio del tribunale
 superiore delle acque pubbliche il 1› febbraio 1993".
    Con la presente ordinanza e prima  di  procedere  all'esame  degli
 altri  motivi  il  collegio  osserva  che  il corrispettivo per l'uso
 speciale di beni demaniali (per "uso" intendendo qui,  genericamente,
 la  utilizzazione;  in effetti, l'uso speciale di un bene considerato
 come  genere,  come  la  sabbia  o  la  ghiaia,  si  concreta   nella
 approvazione   delle   quantita'   specificate;   dette  distinzioni,
 peraltro, non vengono qui in considerazione se non,  trattando  della
 determinazione  del corrispettivo, per l'applicazione analogica delle
 norme   sulla    compravendita)    costituisce    una    "prestazione
 patrimoniale"),  ai  sensi  dell'art.  23  della Costituzione, quante
 volte sia imposto da un  atto  dell'autorita'  in  modo  indipendente
 dalla  volonta'  dell'onerato,  senza  che abbia rilievo il carattere
 privatistico, e piu' in generale  sinallagmatico,  del  rapporto  nel
 quale  la  prestazione si inserisce (Corte costituzionale, 26 gennaio
 1957, n. 4 e n. 30, 8 luglio 1957, n. 122, 27 giugno 1959, n.  36,  6
 luglio  1960,  n. 51, 16 dicembre 1960, n. 70, 30 gennaio 1962, n. 2,
 26 giugno 1962, n. 65, 9 aprile 1969, n.  72,  2  febbraio  1988,  n.
 127); in particolare, si deve quindi ritenere che il corrispettivo in
 questione  viene  ad atteggiarsi come prestazione patrimoniale quando
 venga mutato unilateralmente dalla pubblica autorita' in un  rapporto
 gia'  in corso, ovvero quando, come nel caso in esame, l'importo, non
 previamente  estabilito,  venga  fissato  unilateralmente  in  misura
 superiore  a  quella  che  si  debba presumere accettata dall'onerato
 (art. 1474 del  codice  civile;  nella  specie  e'  evidente  che  il
 concessionario  si attendeva una determinazione del corrispettivo per
 metro cubo all'incirca uguale a quella fissata per l'anno precedente)
 per l'intervento di un atto normativo che si  imponga  all'osservanza
 dell'autorita'     amministrativa,     controparte    nel    rapporto
 sinallagmatico instaurato con la concessione onerosa.
    Cio'  premesso,  la  ricorrente,  con  i  motivi  n.  3  e  n.  4,
 sostanzialmente  uguali  e  che  vanno  insieme  esaminti, censura la
 disposizione regolamentare impugnata in quanto i criteri  di  aumento
 sarebbero  illogici  ovvero  in  quanto  si  tratterebbe, appunto, di
 aumenti in misura fissa e non di criteri di aumento. Puo'  osservarsi
 che  la  disposizione  regolamentare,  prevedendo  aumenti  in misure
 scaglionate a seconda della data di inizio dei  rapporti  concessori,
 con  un  minimo  assoluto, si contiene nell'ampia formula legislativa
 che genericamente domanda al regolamento di stabilire i  criteri  per
 la  rideterminazione  dei corrispettivi, stabilendo solo due multipli
 massimi in relazione a un determianto  discrimine  temporale;  quanto
 alla  censura  di  intrinseca  irrazionalita'  delle  determinazioni,
 potrebbe  ritenersi  che  la  ricorrente  non  abbia  offerta  quegli
 specifici   elementi   di  valutazione  che,  in  una  materia  cosi'
 discrezionale come  quella  della  determinazione  degli  importi  di
 corrispettivi  di  beni  fuor  di  commercio,  debbono sorreggere una
 censura di incongruita'.
    Anche  considerando  infondata  la   censura   di   illegittimita'
 dell'atto normativo amministrativo, il collegio deve pero' sollevare,
 d'ufficio,  questione  di  legittimita'  costituzionale  della stessa
 fonte legislativa, ossia dell'art. 12, quinto  comma,  del  d.l.  27
 aprile  1990,  n.  90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165,
 per insufficiente determinazione della prestazione  patrimoniale.  La
 non  manifesta  infondatezza  della  questione  emerge da cio' che la
 risera di legge prevista dall'art. 23 della  costituzione  ("in  base
 alla legge") in tema di prestazioni imposte, esige che la legge fissi
 con  adeguata  determinatezza  il  contenuto  della  prestazione  e i
 criteri   idonei   a   regolare   qualche   eventuale   margine    di
 discrezionalita'  che  sia  consentito  alla pubblica amministrazione
 (Corte costituzionale, 28 luglio 1987, n. 290); mentre  nella  specie
 la  legge demanda testualmente al regolamento ministeriale (neppure a
 un  regolamento  governativo,  quale  occorre  per   l'esecuzione   e
 l'integrazione  di  leggi,  ai  sensi  dell'art.  17, primo e secondo
 comma,  della  legge  23  agosto  1988,  n.  400),  testualmente,  di
 stabilire   i   criteri   per  la  determinazione  delle  prestazioni
 patrimoniali in questione - che essa stessa dovrebbe stabilire -  con
 una  formulazione  che, come si e' detto nel respingere la censura di
 illegittimita' della disposizione regolamentare, autorizza  qualsiasi
 determinazione entro il solo limite di un multiplo massimo del canone
 (o   altro  corrispettivo)  in  atto.  Quanto  alla  rilevanza  della
 questione, essa segue dal fatto che la caduzione  della  disposizione
 legislativa    legittimante    comporterebbe   l'accoglimento   della
 corrispondente censura di illegittimita'  della  fonte  regolamentare
 amministrativa   (censura  che  la  ricorrente  ha  formulato  anche,
 appunto, come carenza di fondamento legislativo).
    Con il quinto motivo la ricorrente si duole  della  retroattivita'
 dell'aumento  imposto,  formulando la doglianza alternativamente come
 censura di illegittimita' della  disposizione  regolamentare  o  come
 questione  di  legittimita'  costituzionale della piu' volte indicata
 disposizione di legge.
    Ora, se la legge avesse inteso che gli  aumenti  avrebbero  dovuto
 decorrere  da  un momento successivo a quello della rideterminazione,
 non avrebbe avuto necessita' di specificare "a decorrere  dal  1990";
 la   specificazione   di   per  se'  costituisce  una  previsione  di
 retroattivita', perche', come che si riguardi la questione, ha  senso
 soltanto  in  vista  di  una  divisata  retroattivita';  inoltre,  "a
 decorrere dal 1990" significa "dal  1›  gennaio  1990"  e  non,  come
 ipotizza  la  ricorrente,  "da  un  qualsiasi giorno (successivo alla
 rideterminazione) dell'anno 1990"; e si puo'  infine  aggiungere  che
 una  imprecisione cosi' inconsueta in materia di date e di decorrenza
 manifesta la  volonta'  del  legislatore,  tanto  consapevole  quanto
 elusivamente  espressa  (perche' e' insostenibile la ricorrenza di un
 caso straordinario di necessita' e  d'urgenza  di  praticare  aumenti
 retroattivi,  di  entita'  neppure  determinata) di istituire aumenti
 retroattivi.  In  conclusione,  il  Ministro  emanante,   di   fronte
 all'inequivoco  disposto  normativo  relativo  alla  decorrenza degli
 aumenti, altro non avrebbe  potuto  fare  che  fissarla,  ancor  piu'
 chiaramente, dal 1› gennaio 1990.
    L'esame   della  doglianza  va,  di  conseguenza,  spostato  sulla
 questione di legittimita' costituzionale  -  logicamente  subordinata
 rispetto a quella gia' sollevata - della disposizione del citato art.
 12,  quinto comma, nella parte in cui prevede aumenti retroattivi. La
 questione stessa non e' manifestamente infondata: vero e' che  l'art.
 23   della   Costituzione,   come   del   resto  lo  stesso  art.  53
 specificamente relativo alle prestazioni tributarie, di per  se'  non
 preclude  la  retroattivita'  di disposizioni impositive; ma, come la
 retroattivita' di disposizioni tributarie e'  preclusa  dall'art.  53
 quando  essa  finisca  per  gravare  il  soggetto  d'imposta  per una
 capacita' contributiva non piu' esistente al momento dell'imposizione
 (Corte costituzionale, 16 giugno 1964, n. 45, 23 maggio 1966, n.  44,
 22  aprile  1980, n. 54, 27 luglio 1982, n. 143, ord. 21 gennaio 1988
 n. 51), cosi' sembra che si debba ritenere preclusa la retroattivita'
 di una prestazione patrimoniale  sinallagmatica  la  cui  prestazione
 corrispettiva  sia  gia' stata ricevuta dal soggetto onerato, perche'
 cio' snatura la stessa corrispettivita'  del  rapporto,  non  essendo
 piu'  possibile  all'onerato,  evidentemente, di modificare le scelte
 passate in considerazione del corrispettivo successivamente  imposto;
 a  siffatta  retroattivita', impositiva di un corrispettivo su quanto
 gia'  ricevuto  e   consumato   o   definitivamente   immesso   nelle
 trasformazioni  economiche  del  patrimonio del soggetto, osta, prima
 ancora che l'equita' e i principi generali del diritto  (enucleabili,
 a  titolo  esemplificativo,  dagli  artt.  1258,  1286, 1373, secondo
 comma, 1458, secondo comma, del codice civile), la ragion naturale.
    Deve  conseguentemente  sollevarsi  anche   al   questione   della
 legittimita'  costituzionale dell'art. 12, quinto comma, del d.l. n.
 90/1990, con riferimento agli artt. 23 e 53  della  Costituzione,  in
 via    subordinata    rispetto   alla   questione   di   legittimita'
 precedentemente trattata, anche nella parte in cui la disposizione di
 legge prevede  aumenti  retroattivi,  anziche'  decorrenti  dai  vari
 possibili  momenti  gradatamente  non anteriori all'entrata in vigore
 del d.l. n. 90/1990.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale  per  la  risoluzione  delle questioni di legittimita'
 costituzionale dell'art. 12, quinto comma, del d.l. 27 aprile  1990,
 n.  90,  convertito  in legge 26 giugno 1990, n. 165, con riferimento
 agli artt. 23 e 53, primo comma, della Costituzione, nelle  parti  in
 cui:
       a)  demanda  ad  un  regolamento  ministeriale  di  stabilire i
 criteri per la rideterminazione di canoni, proventi, diritti erariali
 ed indennizzi comunque dovuti per l'utilizzazione dei  beni  immobili
 del demanio e del patrimonio indisponibile e disponibile dello Stato;
       b)  dispone  che  la  rideterminazione  dei  canoni  e proventi
 suddetti abbia effetto "a decorrere dall'anno 1990" anziche':  1)  da
 un   congruo   termine  successivo  alla  pubblicazione  del  decreto
 ministeriale, ovvero 2) dalla data di entrata in vigore  del  decreto
 ministeriale,  ovvero  3) dalla data di entrata in vigore della legge
 di conversione del decreto-legge, ovvero 4) dalla data di entrata  in
 vigore del decreto-legge;
    Sospende il giudizio in corso;
    Dispone  che  a cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale sia  notificata  alle  parti  in
 causa,  al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Presidenti delle
 Camere parlamentari.
    Cosi' deciso in Roma, nella  camera  di  consiglio  del  tribunale
 superiore delle acque pubbliche il 1› febbraio 1993.
                       Il presidente: PALAZZOLO
    Depositata in cancelleria addi' 31 maggio 1993.
               Il collaboratore di cancelleria: COPPARI

 93C0929