N. 482 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 febbraio 1993
N. 482 Ordinanza emessa il 1 febbraio 1993 dal Tribunale superiore delle acque pubbliche nel procedimento civile vertente tra la S.r.l. "Impresa Borghi" e il Ministero delle finanze ed altro. Tributi in genere - Canoni o proventi per la utilizzazione di beni immobili del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato - Determinazione demandata ad un regolamento ministeriale senza l'indicazione di criteri idonei a delimitare l'ambito di discrezionalita' della p.a. - Prevista efficacia retroattiva dei nuovi canoni cosi' rideterminati - Prospettata violazione del principio della riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte con incidenza sul principio della capacita' contributiva. (D.L. 27 aprile 1990, n. 90, art. 12, quinto comma, convertito in legge 26 giugno 1990, n. 165). (Cost., artt. 23 e 53).(GU n.37 del 8-9-1993 )
IL TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 19 del ruolo dell'anno 1992, promossa dalla societa' "Impresa Borghi S.r.l.", con sede in Mantova, in persona del sig. Giorgio Borghi, rappresentata e difesa in giudizio dagli avv.ti Valerio Onida, Cesare Nicolini e Alberto Accordi e domiciliata in Roma, largo della Gancia, 1, presso lo studio dell'avvocato Gualtiero Rueca, contro i Ministeri delle finanze e dei lavori pubblici, in giudizio con l'avvocatura generale dello Stato, per l'annullamento: 1) del decreto 19 gennaio 1991, n. 32105, del magistrato del Po, ufficio operativo di Mantova; 2) del decreto 10 settembre 1991 n. 32109 dello stesso ufficio; 3) degli avvisi di liquidazione emessi il 25 novembre 1991 dall'ufficio del registro di Mantova in conseguenza dei decreti sopra indicati; 4) del decreto del Ministro delle finanze 20 luglio 1990, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10 ottobre 1990, n. 237, nella parte in cui stabilisce i criteri per la rideterminazione dei canoni di concessione per l'estrazione di materiali dall'alveo di corsi d'acqua; 5) delle autorizzazioni provvisorie rilasciate dal magistrato del Po il 13 settembre 1988, il 12 aprile 1989 e l'8 febbraio 1990, nella parte in cui si fa riserva di determinare un canone demaniale per il materiale estratto. IN FATTO ED IN DIRITTO In data odierna il tribunale superiore delle acque pubbliche, ha reso, fra le parti in epigrafe indicate, la sentenza che qui di seguito integralmente si trascrive. "F A T T O La societa' ricorrente estrae materiale limo-sabbioso dal greto del fiume Po dal 1988 in forza di concessioni onerose, le quali vengono rilasciate dal magistrato del Po dapprima sotto forma di 'autorizzazioni provvisorie' per un quantitativo massimo, e poi, una volta conosciuti sia il quantitativo estratto nell'anno solare, sia la determinazione unitaria del corrispettivo di concessione effettuata dall'amministrazione finanziaria, sotto forma di 'concessione a sanatoria' con determinazione definitiva del corrispettivo dovuto. Per l'anno 1989, il corrispettivo era stato determinato in L. 1300 al metro cubo; per l'anno 1990, la ricorrente e' stata autorizzata ad estrarre fino a 120.000 metri cubi di materiale limo sabbioso nei comuni di Ostiglia e Pieve di Coriano con autorizzazione provvisoria 8 febbraio 1990, n. 746, dell'ufficio operativo di Mantova del magistrato del Po; individuata poi la quantita' di materiale estratto, il corrispettivo e' stato determianto con decreti 19 marzo 1991, n. 32109, e 10 settembre 1991, n. 32109, rispettivamente il L. 441.600.000 (L. 4.800 al metro cubo per 92.000 metri cubi) per il periodo gennaio-luglio, e in L. 333.600.000 (L. 4.800 al metro cubo per 69.500 metri cubi). Era, infatti, intervenuto il decreto dei Ministri delle finanze e del tesoro 20 luglio 1990, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10 ottobre 1990, n. 237, il cui art. 2 aveva determinato, con decorrenza dall'1 gennaio 1990, i canoni 'annui' per l'estrazione di materiali dall'alveo di corsi d'acqua, fissando un minimo di L. 4.800 per metro cubo di materiale estratto. Il decreto ministeriale, a sua volta, e' stato emanato in forza dell'art. 12, quinto comma, del d.l. 27 aprile 1990, n. 900 (in Gazzetta Ufficiale 30 aprile 1990, n. 99), convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165 (in Gazzetta Ufficiale 28 giugno 1990, n. 149), del seguente tenore: 'Con decreto del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro, da emanare entro settanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabiliti i criteri per la rideterminazione, a decorrere dall'anno 1990, dei canoni, proventi, diritti erariali ed indennizzi comunque dovuti per l'utilizzazione dei beni immobili del demanio o del patrimonio indisponibile e disponibile dello Stato al fine di aumentarli fino al sestuplo, se derivanti dall'applicazione di tariffe o misure stabilite in virtu' di leggi anteriori al 1 gennaio 1982 o da atti e situazioni di fatto posti in essere prima di tale data, ovvero al fine di aumentarli fino al quadruplo se riferiti a date successive'. La societa' Borghi, che ha avuto notizia dei suddetti provvedimenti di determinazione definitiva del corrispettivo dagli avvisi di liquidazione emessi dall'ufficio del registro di Mantova sulla base dei provvedimenti stessi e notificabile il 25 novembre 1991, li ha impugnati con il presente ricorso, notificato il 23 gennaio 1992 e contenente citazione per l'udienza del 9 marzo 1992, per i seguenti motivi: 1) (riferito ai provvedimenti del magistrato del Po) violazione e falsa applicazione degli artt. 93 e 97, (primo comma, lett. m), del r.d. 25 luglio 1904, n. 523, che subordinano l'estrazione di sabbia o altri materiali dall'alveo di fiumi, torrenti, rivi, scolatori e canali demaniali solamente ad un 'permesso' dell'autorita' amministrativa, senza far cenno alla imposizione di prestazioni economiche ai privati interessati; 2) (riferito all'art. 2 del d.m. 20 luglio 1990) violazione e falsa applicazione degli artt. 12, quinto comma, del d.l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165, e violazione dell'art. 23 della Costituzione, in quanto la determinazione dei canoni, effettuata dalla disposizione regolamentare, non trova fondamento nella citata disposizione di legge, che si limita a prevedere che con decreto ministeriale siano fissati, in via generale, 'i criteri per la rideterminazione, a decorrere dall'anno 1990, dei canoni, proventi ecc.'; il che significa che deve sussistere, in base ad altra diversa e precedente fonte normativa, il potere dell'autorita' amministrativa di determinare essa stessa il canone o il diritto in questione; 3) (riferimento all'art. 2 del decreto ministeriale) ancora violazione e falsa applicazione dell'art. 12, quinto comma, del d.l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165, e violazione dell'art. 23 della Costituzione, in quanto il Ministro non si e' limitato a stabilire i criteri per la rideterminazione dei canoni, ma ha operato direttamente aumenti in misura fissa, in particolare con il secondo comma, che, al di fuori di ogni previsione di legge, ha fissato un canone minimo per ogni metro cubo di materiale estratto; 4) (riferito all'art. 2 del decreto ministeriale) eccesso di potere per illogicita', ingiustizia manifesta e difetto assoluto di motivazione, in quanto la determinazione degli aumenti automatici, in misura fissa, per ogni bene rientrante nella categoria, elimina ogni possibilita' di graduazione dei canoni in regime delle specifiche caratteristiche dei singoli beni concessi in godimento); 5) (riferito al decreto ministeriale) ancora violazione dell'art. 12, quinto comma, del d.l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165, e degli artt. 3 e 53 della Costituzione, nonche' eccesso di potere per illogicita' ed ingiustizia manifesta, in quanto viene disposto un aumento retroattivo dal 1 gennaio 1990, relativamente, quindi, a materiali gia' estratti e commercializzati (sulla base dei 'canoni' demaniali precedentemente richiesti); laddove l'indicazione legislativa della decorrenza 'a partire dal 1990', senza ulteriore specificazione, andava intesa nel senso che gli aumenti avrebbero dovuto essere richiesti dalla data di adozione dei provvedimenti applicativi da emanare nel corso dell'anno 1990, e quindi per il futuro. La ricorrente ha poi eccepito, per il caso che si ritenga la retroattivita' consentia dall'art. 12 del d.l. citato, l'illegittimita' costituzionale della stessa disposizione di legge, per violazione degli artt. 3 e 53 della costituzione. Le amministrazioni delle finanze e dei lavori pubblici si sono costituite in giudizio eccependo la carenza di giurisdizione in quanto la controversia, relativa a canoni di concessione di beni pubblici, apparterrebbe, ai sensi dell'art. 5, secondo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, sui tribunali amministrativi regionali, alla cognizione del tribunale regionale delle acque pubbliche. L'udienza di discussione, fissata per il 26 ottobre 1992, e' stata rinviata, per impedimento dell'ufficio, al 1 febbraio 1993. D I R I T T O L'eccezione di difetto di giurisdizione, formulata dalle amministrazioni resistenti e' infondata, in quanto la controversia non concerne i canoni di concessione di un bene pubblico in se' considerati, bensi' i provvedimenti amministrativi di determinazione dei canoni per l'uso di beni del demanio idrico, e rietra quindi nella giurisdizione amministrativa del tribunale superiore delle acque pubbliche in unico grado, ai sensi dell'art. 143, primo comma, lett. a) del testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775. Con il primo motivo di ricorso, vengono censurati i provvedimenti del magistrato del Po che, nel concedere il permesso per l'estrazione di sabbia dall'alveo del fiume Po, avrebbe imposto un canone concessionario al di fuori di ogni previsione normativa. La stessa ricorrente peraltro, con i successivi motivi di ricorso, riconosce che l'onerosita' dell'estrazione dei materiali in questione e' prevista dal decreto ministeriale impugnato, sicche' la censura, riferita ai provvedimenti del magistrato del Po, che appunto trovano fondamento ormai nell'art. 2, secondo comma, del decreto dei Ministri delle finanze e dei lavori pubblici 20 luglio 1990, oggetto d'impugnazione non e' fondata. Anche il secondo motivo, che e' riferito alla disposizione del regolamento ministeriale impugnato, non e' fondata; sostiene la ricorrente che non sarebbe consentito all'autorita' amministrativa di subordinare il permesso di estrazione di materiali dall'alveo dei fiumi al pagamento di un corrispettivo, non essendo, quest'ultimo, previsto da nessuna disposizione di legge. Senonche' l'onerosita' dell'uso speciale di beni pubblici, consistente in una utilita' dello stesso concessionario, il quale, nella specie, e' un imprenditore che destina i beni prelevati alla proprieta' attivita' d'impresa (e' un principio generale, del quale l'art. 12, quinto comma, del d.l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165 (che si riferisce proprio ai casi in cui e i canoni per l'uso di beni demaniali non siano previsti direttamente dalla legge) costituisce ricognizione; piu' generalmente ancora, la concessione di uso speciale dei beni demaniali nell'interesse del concessionario costituisce un negozio sinallagmatico, per cui e' del tutto naturale che l'autorita' amministrativa, preposta alla gestione dei beni, richieda un corrispettivo; semmai la ricorrente avrebbe motivo di dolersi del sistema di determinazione ex post del corrispettivo stesso, ma non della corrispettivita' in se stessa considerata. L'esame degli altri motivi impinge, in due questioni di costituzionalia', che verranno rilevate con separata ordinanza; questa comporta la sospensione del giudizio e, pertanto, la statuizione sui rimanenti motivi di impugnazione dell'atto amministrativo e quella sulle spese vanno rimesse al giudizio definitivo.
P. Q. M. Il tribunale superiore pronunciando soltanto sulla giurisdizione e sui primi due motivi del ricorso afferma la propria giurisdizione e respinge i due motivi considerati; Dispone con separata ordinanza per l'ulteriore svolgimento del processo e rimette al definitivo la pronuncia sugli altri motivi di impugnazione e sulle spese del giudizio. Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del tribunale superiore delle acque pubbliche il 1 febbraio 1993". Con la presente ordinanza e prima di procedere all'esame degli altri motivi il collegio osserva che il corrispettivo per l'uso speciale di beni demaniali (per "uso" intendendo qui, genericamente, la utilizzazione; in effetti, l'uso speciale di un bene considerato come genere, come la sabbia o la ghiaia, si concreta nella approvazione delle quantita' specificate; dette distinzioni, peraltro, non vengono qui in considerazione se non, trattando della determinazione del corrispettivo, per l'applicazione analogica delle norme sulla compravendita) costituisce una "prestazione patrimoniale"), ai sensi dell'art. 23 della Costituzione, quante volte sia imposto da un atto dell'autorita' in modo indipendente dalla volonta' dell'onerato, senza che abbia rilievo il carattere privatistico, e piu' in generale sinallagmatico, del rapporto nel quale la prestazione si inserisce (Corte costituzionale, 26 gennaio 1957, n. 4 e n. 30, 8 luglio 1957, n. 122, 27 giugno 1959, n. 36, 6 luglio 1960, n. 51, 16 dicembre 1960, n. 70, 30 gennaio 1962, n. 2, 26 giugno 1962, n. 65, 9 aprile 1969, n. 72, 2 febbraio 1988, n. 127); in particolare, si deve quindi ritenere che il corrispettivo in questione viene ad atteggiarsi come prestazione patrimoniale quando venga mutato unilateralmente dalla pubblica autorita' in un rapporto gia' in corso, ovvero quando, come nel caso in esame, l'importo, non previamente estabilito, venga fissato unilateralmente in misura superiore a quella che si debba presumere accettata dall'onerato (art. 1474 del codice civile; nella specie e' evidente che il concessionario si attendeva una determinazione del corrispettivo per metro cubo all'incirca uguale a quella fissata per l'anno precedente) per l'intervento di un atto normativo che si imponga all'osservanza dell'autorita' amministrativa, controparte nel rapporto sinallagmatico instaurato con la concessione onerosa. Cio' premesso, la ricorrente, con i motivi n. 3 e n. 4, sostanzialmente uguali e che vanno insieme esaminti, censura la disposizione regolamentare impugnata in quanto i criteri di aumento sarebbero illogici ovvero in quanto si tratterebbe, appunto, di aumenti in misura fissa e non di criteri di aumento. Puo' osservarsi che la disposizione regolamentare, prevedendo aumenti in misure scaglionate a seconda della data di inizio dei rapporti concessori, con un minimo assoluto, si contiene nell'ampia formula legislativa che genericamente domanda al regolamento di stabilire i criteri per la rideterminazione dei corrispettivi, stabilendo solo due multipli massimi in relazione a un determianto discrimine temporale; quanto alla censura di intrinseca irrazionalita' delle determinazioni, potrebbe ritenersi che la ricorrente non abbia offerta quegli specifici elementi di valutazione che, in una materia cosi' discrezionale come quella della determinazione degli importi di corrispettivi di beni fuor di commercio, debbono sorreggere una censura di incongruita'. Anche considerando infondata la censura di illegittimita' dell'atto normativo amministrativo, il collegio deve pero' sollevare, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale della stessa fonte legislativa, ossia dell'art. 12, quinto comma, del d.l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165, per insufficiente determinazione della prestazione patrimoniale. La non manifesta infondatezza della questione emerge da cio' che la risera di legge prevista dall'art. 23 della costituzione ("in base alla legge") in tema di prestazioni imposte, esige che la legge fissi con adeguata determinatezza il contenuto della prestazione e i criteri idonei a regolare qualche eventuale margine di discrezionalita' che sia consentito alla pubblica amministrazione (Corte costituzionale, 28 luglio 1987, n. 290); mentre nella specie la legge demanda testualmente al regolamento ministeriale (neppure a un regolamento governativo, quale occorre per l'esecuzione e l'integrazione di leggi, ai sensi dell'art. 17, primo e secondo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400), testualmente, di stabilire i criteri per la determinazione delle prestazioni patrimoniali in questione - che essa stessa dovrebbe stabilire - con una formulazione che, come si e' detto nel respingere la censura di illegittimita' della disposizione regolamentare, autorizza qualsiasi determinazione entro il solo limite di un multiplo massimo del canone (o altro corrispettivo) in atto. Quanto alla rilevanza della questione, essa segue dal fatto che la caduzione della disposizione legislativa legittimante comporterebbe l'accoglimento della corrispondente censura di illegittimita' della fonte regolamentare amministrativa (censura che la ricorrente ha formulato anche, appunto, come carenza di fondamento legislativo). Con il quinto motivo la ricorrente si duole della retroattivita' dell'aumento imposto, formulando la doglianza alternativamente come censura di illegittimita' della disposizione regolamentare o come questione di legittimita' costituzionale della piu' volte indicata disposizione di legge. Ora, se la legge avesse inteso che gli aumenti avrebbero dovuto decorrere da un momento successivo a quello della rideterminazione, non avrebbe avuto necessita' di specificare "a decorrere dal 1990"; la specificazione di per se' costituisce una previsione di retroattivita', perche', come che si riguardi la questione, ha senso soltanto in vista di una divisata retroattivita'; inoltre, "a decorrere dal 1990" significa "dal 1 gennaio 1990" e non, come ipotizza la ricorrente, "da un qualsiasi giorno (successivo alla rideterminazione) dell'anno 1990"; e si puo' infine aggiungere che una imprecisione cosi' inconsueta in materia di date e di decorrenza manifesta la volonta' del legislatore, tanto consapevole quanto elusivamente espressa (perche' e' insostenibile la ricorrenza di un caso straordinario di necessita' e d'urgenza di praticare aumenti retroattivi, di entita' neppure determinata) di istituire aumenti retroattivi. In conclusione, il Ministro emanante, di fronte all'inequivoco disposto normativo relativo alla decorrenza degli aumenti, altro non avrebbe potuto fare che fissarla, ancor piu' chiaramente, dal 1 gennaio 1990. L'esame della doglianza va, di conseguenza, spostato sulla questione di legittimita' costituzionale - logicamente subordinata rispetto a quella gia' sollevata - della disposizione del citato art. 12, quinto comma, nella parte in cui prevede aumenti retroattivi. La questione stessa non e' manifestamente infondata: vero e' che l'art. 23 della Costituzione, come del resto lo stesso art. 53 specificamente relativo alle prestazioni tributarie, di per se' non preclude la retroattivita' di disposizioni impositive; ma, come la retroattivita' di disposizioni tributarie e' preclusa dall'art. 53 quando essa finisca per gravare il soggetto d'imposta per una capacita' contributiva non piu' esistente al momento dell'imposizione (Corte costituzionale, 16 giugno 1964, n. 45, 23 maggio 1966, n. 44, 22 aprile 1980, n. 54, 27 luglio 1982, n. 143, ord. 21 gennaio 1988 n. 51), cosi' sembra che si debba ritenere preclusa la retroattivita' di una prestazione patrimoniale sinallagmatica la cui prestazione corrispettiva sia gia' stata ricevuta dal soggetto onerato, perche' cio' snatura la stessa corrispettivita' del rapporto, non essendo piu' possibile all'onerato, evidentemente, di modificare le scelte passate in considerazione del corrispettivo successivamente imposto; a siffatta retroattivita', impositiva di un corrispettivo su quanto gia' ricevuto e consumato o definitivamente immesso nelle trasformazioni economiche del patrimonio del soggetto, osta, prima ancora che l'equita' e i principi generali del diritto (enucleabili, a titolo esemplificativo, dagli artt. 1258, 1286, 1373, secondo comma, 1458, secondo comma, del codice civile), la ragion naturale. Deve conseguentemente sollevarsi anche al questione della legittimita' costituzionale dell'art. 12, quinto comma, del d.l. n. 90/1990, con riferimento agli artt. 23 e 53 della Costituzione, in via subordinata rispetto alla questione di legittimita' precedentemente trattata, anche nella parte in cui la disposizione di legge prevede aumenti retroattivi, anziche' decorrenti dai vari possibili momenti gradatamente non anteriori all'entrata in vigore del d.l. n. 90/1990. P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 12, quinto comma, del d.l. 27 aprile 1990, n. 90, convertito in legge 26 giugno 1990, n. 165, con riferimento agli artt. 23 e 53, primo comma, della Costituzione, nelle parti in cui: a) demanda ad un regolamento ministeriale di stabilire i criteri per la rideterminazione di canoni, proventi, diritti erariali ed indennizzi comunque dovuti per l'utilizzazione dei beni immobili del demanio e del patrimonio indisponibile e disponibile dello Stato; b) dispone che la rideterminazione dei canoni e proventi suddetti abbia effetto "a decorrere dall'anno 1990" anziche': 1) da un congruo termine successivo alla pubblicazione del decreto ministeriale, ovvero 2) dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale, ovvero 3) dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, ovvero 4) dalla data di entrata in vigore del decreto-legge; Sospende il giudizio in corso; Dispone che a cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Presidenti delle Camere parlamentari. Cosi' deciso in Roma, nella camera di consiglio del tribunale superiore delle acque pubbliche il 1 febbraio 1993. Il presidente: PALAZZOLO Depositata in cancelleria addi' 31 maggio 1993. Il collaboratore di cancelleria: COPPARI 93C0929