N. 44 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 9 settembre 1993
N. 44 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in ncelleria il 9 settembre 1993 (della regione Toscana). Referendum - Istituzione di un Ministero per il coordinamento delle politiche agricole, alimentari e forestali - Attribuzione a detto nuovo Ministero delle funzioni gia' esercitate dal Ministero dell'agricoltura e foreste che avrebbe dovuto invece essere soppresso a seguito dell'esito del referendum abrogativo del 18 aprile 1993 con conseguente trasferimento alle regioni di dette funzioni - Elusione non consentita della volonta' popolare manifestata con il referendum in questione - Violazione della sfera di attribuzione delle regioni - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 251/1975, 24/1981, 223/1983, 26/1987 nonche' alla sentenza n. 35/1993 (ammissibilita' del ref- erendum sul Ministero del turismo e dello spettacolo). (D.L. 4 agosto 1993, n. 272 (Gazzetta Ufficiale n. 182 del 5 agosto 1993)). (Cost., artt. 1, 3, 5, 75, 95, 97, 117, 118 e 119).(GU n.39 del 22-9-1993 )
Ricorso per la regione Toscana, in persona del vice presidente della giunta regionale (in temporanea assenza del Presidente), rappresentato e difeso per mandato a margine del presente atto dall'avv. Alberto Predieri, e presso il suo studio elettivamente domiciliato in Roma, via G. Carducci n. 4, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.l. n. 272/1993 del 4 agosto 1993 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 182 del 5 agosto 1993. 1. - In data 18 aprile 1993 il corpo elettorale veniva chiamato a votare sul quesito "Volete che siano abrogati: - l'art. 1 del regio decreto 12 settembre 1929, n. 1661 'trasformazione del Ministero dell'economia nazionale in Ministero dell'agricoltura e delle foreste; istituzione presso il Ministero dell'agricoltura e delle foreste del sottosegretario di Stato per l'applicazione delle leggi sulla bonifica integrale; istituzione presso il Ministero delle corporazioni di un secondo posto di sottosegretario di Stato, modificazione della denominazione del Ministero della pubblica istruzione in quella di Ministero dell'educazione nazionale, e istituzione presso detto Ministero di un posto di sottosegretario di Stato per l'educazione fisica e giovanile' e - il regio decreto 27 settembre 1929, n. 1663, 'Ripartizione dei servizi, gia' di competenza del Ministero dell'economia nazionale, fra il Ministero dell'agricoltura e delle foreste e il Ministero delle corporazioni?'". 2. - Il corpo elettorale, a maggioranza, accoglieva la proposta, votava per il si', con conseguente decreto del Presidente della Repubblica (n. 176 del 5 giugno 1993) e abrogazione delle norme oggetto della decisione referendaria. 3. - In data 4 agosto 1993 veniva emanato il decreto-legge n. 272/1993 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 agosto 1993, n. 182, con cui - in antitesi e in negazione della decisione popolare - veniva ripristinato il Ministero che in forza dell'abrogazione operata dal referendum era stato soppresso ed eliminato, come organizzazione e come centro di esercizio di funzioni amministrative, istituendosi un Ministero per il coordinamento delle politiche agricole, alimentari e forestali, (art. 2) che altro non e' se non il Ministero soppresso, al quale vengono mantenute quasi tutte le funzioni che, invece, a seguito della soppressione sono automaticamente trasferite alle regioni nella loro interezza, e che ad esse vengono adesso sottratte con un atto che si pone in pieno contrasto con la volonta' popolare, i cui effetti e il cui significato istituzionale sono inequivocabili e di segno completamente opposto, e vanno nella direzione della totale attuazione di un ordinamento regionale quale la Costituzione esige e al quale l'ordinamento comunitario stimola. Tale decreto e' illegittimo per violazione degli artt. 1, 3, 5, 75, 95, 97, 117, 118, 119 della Costituzione. 4. - Un sistema costituzionale non puo' introdurre un congegno eccezionale come e' il referendum (istituto di democrazia diretta in un sistema che, pur con le correzioni, resta rappresentativo parlamentare, che produce una risposta secca, puntuale, di scelta ad un'alternativa altrettanto secca, che ha un grande significato politico-istituzionale, grandissimo nel nostro caso per l'inserimento in un contesto di altri referendum che intendono esprimere una posizione politica innovatrice e diffusa); un sistema costituzionale - dicevamo - non puo' introdurre, dunque, un metodo di decisione che scavalca il Parlamento, per arrivare poi con un decreto-legge a ripristinare lo statu quo ante, con qualche piccola modificazione di dettaglio, a pena di incoerenza e di irragionevolezza non solo dell'atto normativo illegittimamente restauratore della norma abrogata, ma dell'intero sistema costituzionale. Se questo e' sempre vero, lo e' tanto piu' nel nostro caso in cui dietro la scelta propria e netta espressa nell'alternativa si'-no vi era e vi e' una macroscelta nel processo formativo del referendum per la riforma dell'apparato statale, partito questa volta all'interno della Repubblica dalle Regioni medesime, formulatrici della domanda e necessarie beneficiarie della risposta positiva al quesito, e una macroscelta del corpo elettorale, che esprime la sua volonta' di svolta nel senso istituzionale della regionalizzazione e della diminuzione del peso centralistico e la sua volonta', desumibile dal contesto dei referendum che tutti si muovono di pari passo, di una svolta politico-istituzionale. C'e', dunque, una scelta puntuale su un quesito che pone una opzione inequivocabile (come attesta la Corte nella sentenza di ammissibilita' del referendum) nel suo aspetto di decisione "tecnica" strumentale ad una macroscelta regionalista per l'impulso e per il risultato e ad una macroscelta di politica generale. 5. - L'accoglimento del quesito refenderario ha, senza ombra di dubbio, l'effetto di abrogare le leggi indicate nel quesito; ma ha anche quello di impedire che venga votata immediatamente dopo una legge del tutto analoga, addirittura identica a quella abrogata. Lo impongono ragioni di coerenza del sistema costituzionale che comportano l'illegittimita' costituzionale di una legge parlamentare che abroghi il referendum ripristinando, in tutto o in parte, la normativa precedente. Si tratta di illegittimita' per le ragioni in- dicate piu' volte dalla dottrina, non di semplice violazione di una regola di correttezza, come una parte minoritaria afferma. 6. - La decisione popolare e' manifestazione della sovranita' che spetta al popolo in forza dell'art. 1 della Costituzione; il referen- dum e' istituto di legislazione popolare, atto legislativo o se si preferisce atto con forza di legge ordinaria formalmente imputato allo Stato-persona, tanto che e' promulgato dal Presidente della Repubblica come una comune legge ordinaria, anche se ad esso partecipa come organo esclusivo di deliberazione il popolo (di promulgazione parlano V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, II, 1984, p. 334; C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 1982, p. 341: ma comunque vi e' unanimita' nel parlare di atto meramente dichiarativo, che dev'essere inquadrato nella cornice di una sostanziale decisione popolare). Nell'ambito dell'inquadramento normativo del referendum si puo' parlare di atto di legislazione negativa, come ritenere (con V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, II, 1, 1971, p. 88) che il "si'" popolare alla abrogazione sarebbe un "frammento di norma" che viene a saldarsi al sistema normativo complessivo. Norma o frammento di norma, l'atto referendario ha l'effetto abrogante di una norma primaria, che abbiamo detto essere incontestabile, ma costituisce anche una manifestazione di sovranita' che lo pone in una condizione diversa da quella di un atto legislativo parlamentare, tanto che il parlamento non potrebbe legittimamente ripristinare la legge abrogata dal popolo (F. Cuocolo, Note introduttive sul referendum, in Studi XX Ass. Cost., Firenze, 1969, VI, p. 170); e, al momento, non e' necessario soffermarsi a vedere se cio' dipenda dal fatto che la norma o il "frammento di norma", in quanto di fonte popolare, avrebbe un grado superiore alla fonte parlamentare, oppure se si debba dire, forse meno radicalmente, ma con analoga conclusione di illegittimita', che il vizio della legge riprodotta consisterebbe in un eccesso di potere legislativo, nel suo sviamento in frode della Costituzione, analogo a quello che inficia una legge che riproducesse una norma dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale (sull'argomento A. Manzella, Il Parlamento, Bologna, 1977, p. 50); oppure ancora se debba essere sottolineato che l'atto referendario abbia effetto legislativo che puo' abrogare la legge primaria, ma che si pone, rispetto ad essa, in una posizione differenziata per il suo carattere di manifestazione di volonta', che lo pone in posizione sovraordinata rispetto alla legge primaria. Come abbiamo leggi subprimarie ancorche' parlamentari (cioe' quelle che necessariamente debbono porsi, per ragioni di competenza, il parametro delle norme comunitarie), cosi' abbiamo norme abrogative sopraprimarie in quanto manifestazione diretta della sovranita' popolare, che si pongono come norme aventi l'identica forza formale delle leggi primarie, efficacia abrogante della norma primaria, successiva rispetto ad una norma primaria antecedente, ma si pongono anche come manifestazione di indirizzo proveniente dall'organo detentore della sovranita' che condiziona l'eventuale legislazione di adeguamento, se e in quanto essa possa essere necessaria. Il referendum e' una manifestazione diretta della sovranita' popolare affermata dall'art. 1 della Costituzione (S. Galeotti, L'ultimo ostacolo all'operativita' del referendum abrogativo, la determinazione della nuova data del referendum indetto e poi sospeso, in Studi in onore di G. Chiarelli, Milano, 1974, II, p. 1162) che raggiunge un effetto diretto e immediato abrogativo, quindi di normazione negativa del tutto analoga alle sentenze della Corte, secondo opinioni piu' volte espresse da Kelsen in poi. Il referendum e' certamente l'atto che esprime in modo piu' sicuro la volonta' sovrana del popolo e che deve prevalere per un principio organizzativo essenziale del sistema giuridicamente rilevante e quindi vincolante. Nel contrasto fra la volonta' espressa dalle camere e la volonta' popolare espressa in una consultazione diretta, su un quesito preciso e circoscritto, non v'e' dubbio che quest'ultima corrisponde meglio all'orientamento del popolo e quindi esprime in misura piu' intensa il potere sovrano (F. Cuocolo, Istituzioni di diritto pubblico, Milano, 1990, p. 271, il quale aggiunge che potrebbe anche dirsi che l'espressione popolare diretta priva, almeno temporaneamente, le Camere dello stesso potere di decidere sull'argomento gia' deciso dal popolo). Esse, infatti, "rappresentano" il popolo e, pur tenendo conto della atipicita' e delle particolari caratteristiche della rappresentanza politica, non sembra dubbio che il potere di agire in rappresentanza possa subire limitazioni quando lo stesso rappresentato, con atto costituzionalmente corretto, abbia deciso in via diretta su un argomento che per cio' stesso resta sottratto alla competenza delle assemblee. Il che e' anche piu' evidente qualora si consideri il ref- erendum come strumento di controllo e di garanzia, non potendo certamente ammettersi che le camere abbiano il potere di frustrare la decisione popolare che abbia abrogato, e cioe' disvoluto, attraverso uno strumento di controllo costituzionale, una legge da esse approvata. La forza e la giustificazione della rappresentanza politica si fondano pur sempre su una presunzione di corrispondenza fra la volonta' del popolo-rappresentato e quella delle assemblee- rappresentanti e tale presunzione, di massima, trova la sua verifica in occasione del rinnovo delle assemblee. Ma il referendum supera tale presunzione ed accerta in concreto, su una questione particolare, se la corrispondenza gia' presunta esiste o no e, qualora tale accertamento dia risultato negativo, non solo la legge e' abrogata, ma viene a mancare nelle camere (e a maggior ragione nel Governo, con lo strumento della decretazione d'urgenza) lo stesso potere di procedere a un mutamento della situazione creata dal refer- endum. La manifestazione di abrogazione diretta porta alla necessaria prevalenza e supremazia delle manifestazioni di democrazia diretta su tutte le altre, tali da rendere omogenee nella natura le due diverse figure di referendum previste dagli artt. 75 e 138 della Costituzione (v. su quest'ultimo punto, Galeotti, Esigenze e problemi del referen- dum, in Iustitia, Milano, 1970, 282 ss.; F. Modugno, L'invalidita' della legge, Milano, 1970, II, p. 120): con la conseguenza che, per non eludere il significato e l'efficacia propria dell'intervento popolare, dovra' ammettersi il controllo di costituzionalita' della legge che miri, in seguito al referendum, in una forma piu' o meno esplicita, a ripristinare come se nulla fosse accaduto, la situazione antecedente (Modugno, il quale aggiunge che il confronto tra il contenuto del referendum abrogativo, rectius della normativa abrogata con il referendum, e il contenuto della legge successiva induce a ravvisare quindi, quodammodo, in quell'atto, o fatto, il valore costituzionale). Con altre parole, un atto o frammento di atto inserito in un subsistema o fenomeno normativo (senza scendere per il momento a precisazioni che dobbiamo rinviare alla successiva memoria) che proviene da un produttore di norme qual'e' il popolo detentore della sovranita', dev'essere collocato nel suo rango superiore, sovraprimario. Le norme sulla produzione vengono a collocarsi nel nostro sistema costituzionale in attuazione di un principio per cui ogni norma od atto andranno messi in posizione superiore ad altra norma od atto tanto piu' se nell'organo che lo produce e' manifesta la sovranita' popolare o e' piu' vicino il collegamento col popolo; cosicche' quando la gerarchia non venga determinata dall'ordinamento e quando esso non ponga regole di equiordinazione in relazione alla competenza, dal momento che la gerarchia e' una connotazione indispensabile, essa va individuata, nei casi dubbi, con riferimento ai gradi di derivazione dell'organo (o subsistema) produttore della norma, dal popolo, posto in posizione di sovranita', con la conseguenza che l'atto normativo direttamente posto dalla volonta' popolare deve collocarsi nel rango piu' elevato. 7. - Come dicevamo, incontestabile effetto dell'atto normativo referendario e' l'abrogazione. Se il referendum costituisce abrogazione totale delle norme oggetto del quesito ne deriva un vuoto normativo, che e' analogo a quello che deriva dalla sentenza della Corte. Il parallelismo fra l'effetto normativo di legislazione negativa (per usare la formula di Kelsen) delle sentenze della Corte e quello della decisione referendaria e' evidente. Il referendum ha una logica binaria si'-no, quindi abroga-non abroga; la logica e' uguale a quella della Corte si'-no, annulla-non annulla. Ma come l'effetto della logica binaria della Corte porta a necessita' di adeguamenti per superare l'intrusione del vuoto nel tessuto normativo, altrettanto avviene o puo' avvenire quando il vuoto normativo e' opera dell'atto referendario, particolarmente perche' il referendum abrogativo accolto dalla nostra costituzione e' un istituto inserito nella democrazia rappresentativa che in essa viene e deve essere metabolizzato nella accezione dottrinale- culturale e operativa, che con essa convive e la integra con un sistema politico nel quale il demos decide direttamente le singole questioni non piu' assieme ma separatamente e in solitudine (G. Sartori, Che cosa e' la democrazia, Milano, 1993, p. 84), ma in cui il tessuto normativo resta di produzione parlamentare. Puo' darsi, quindi, che vi possano essere necessita' di adeguamento della normazione residua alla decisione popolare, cosi' come possono esservi alla decisione della Corte. Ma e' la decisione, del popolo, o della Corte, che condiziona e conforma lo spazio che il legislatore parlamentare puo' utilizzare per suturare il nuovo ordinamento basato sull'abrogazione, il vuoto cioe', con l'ordinamento residuale; quindi, in tanto vi e' un potere di adeguamento e di sutura, in quanto esso sia utilizzato in modo da non alterare la decisione di rimozione o di soppressione del preesistente e da limitare l'intervento del legislatore al minimo indispensabile, rispettando la scelta di fondo dell'organo che e' posto in posizione funzionalmente sovraordinata (almento in questo caso) al Parlamento. Quest'ultimo (e a fortiori il Governo con lo strumento del decreto- legge) non puo' muoversi in totale liberta', ripristinando la normativa e gli effetti della normativa abrogata e deve seguire le indicazioni della sentenza della Corte e della volonta' popolare, attenendosi a quanto proviene dalla sentenza e dall'atto referendario. Evidentemente, nel primo caso, le sfumature ricche e variabili della sentenza potranno fornire una guida che la poverta' semantica del si'-no referendario non puo' fornire. Ma proprio questa rigidita' impone di considerare eccezionale la deroga al vuoto creato e limitatissime la facolta' di sutura. 8.- Nel nostro caso, il decreto-legge non ha tenuto nessun conto delle norme e del sistema costituzionali, e ha ripristinato piattamente il Ministero abolito, con tutte le sue funzioni, ad onta di una dichiarazione contenuta nell'art. 1, ma smentita in modo globale dalle norme degli articoli successivi. 9. - Lo scopo del referendum e il suo risultato sono molto chiari, come risulta dal suo iter. Esso infatti e' stato proposto dalle regioni, come soggetti che intendevano raggiungere l'abolizione del Ministero per avere l'attribuzione di competenze, come e' stato adeguatamente posto in risalto nelle memorie depositate dai delegati dei consigli regionali del Veneto, della Valle d'Aosta, del Piemonte e delle Marche (punto 3 in fatto alla sentenza 26/1993), i quali hanno rilevato la necessita' nel ricorso al referendum abrogativo per realizzare la soppressione del Ministero e gli adeguamenti della struttura e dei servizi alla mutata situazione per effetto dell'avvenuto decentramento di servizi ministeriali, soprattutto per effetto dell'attuazione dell'ordinamento regionale e del trasferimento o della delega alle regioni della massima parte delle competenze ministeriali. La ratio e' dunque quella dell'abolizione del ministero per completare il trasferimento alle regioni delle funzioni relative all'agricoltura, intesa nel senso determinato dal d.P.R. n. 616 e dai testi comunitari. Come e' stato puntualmente deciso dalla Corte nella sentenza per il referendum gemello sul Ministero del turismo (sent. n. 35/1993) non puo' revocarsi in dubbio la circostanza che il quesito, essendo volto alla abrogazione della stessa legge istitutiva del Ministero, propone, quale unica e puntuale alternativa, quella di sopprimere ovvero mantenere l'organismo ministeriale nel suo complesso. Dice ancora la sentenza della Corte che "neppure e' a dirsi che il referendum di cui si giudica l'ammissibilita' rinvenga a tal fine un qualche ostacolo alla luce dei principi che questa Corte ha avuto modo di affermare in tema di leggi a contenuto costituzionalmente vincolato od obbligatorio, considerato che, nella specie, il quesito propone quale oggetto del voto popolare non un organo o un istituto la cui esistemza e' presupposta dalla Costituzione o che puo' dirsi coessenziale alla struttura ed al funzionamento del Governo, ma unicamente il mantenimento ovvero la soppressione dell'apparato burocratico-amministrativo che il legislatore ha discrezionalmente ritenuto di far assurgere al rango di ministero, cosi' limitandosi a dare attuazione alla riserva legislativa enunciata dall'art. 95, terzo comma, della Costituzione". E' ben vero che, quelli sul turismo e spettacolo e sull'agricoltura sono due referendum separati: ma hanno pero' stessi caratteri e nella sostanza lo stesso oggetto, cioe' la soppressione si un Ministero. Sicche', le finalita' dei promotori possono avere attuazione e l'elettore chiamato a pronunziarsi sul quesito non puo' essere minimamente fuorviato. 10. - La regola della sparizione dall'ordinamento voluta dal corpo elettorale in esito al referendum puo' trovare deroghe, nel senso che, fermo il risultato di fondo, possono essere introdotte limitate eccezioni alla scomparsa totale della normativa con il conseguente vuoto; puo' ammettersi che esso, in parte, possa essere colmato da un intervento del legislatore. La nuova legge dev'essere pero' limitata al minimo indispensabile. La scelta puntuale e univoca del modello di organizzazione e di distribuzione delle funzioni con l'abolizione del Ministero, comporta che esso deve sparire come organizzazione strutturale e come strumento per l'esercizio delle funzioni. Dove le funzioni, dalla legge antecedente, sono suddivise fra Ministero e regioni, la scelta del corpo elettorale comporta che, automaticamente rimosso il ministero, tutte le funzioni debbano essere esercitate dalle regioni, cioe' dai singoli soggetti ognuno nel proprio ambito territoriale, ad eccezione di quelle di coordinamento generale della programmazione, nonche' di rappresentanza unitaria degli interessi italiani nelle sedi comunitarie ed internazionali, che ontologicamente assicurano la coordinazione di un esercizio pluralistico. Non vi e' quindi uno spazio per funzioni e organizzazioni unitarie affidate al ministero al di fuori di quelle indicate. Ne consegue che e' illegittima e irrazionale la previsione del mantenimento di strutture quali Aima, cassa per la formazione della proprieta' contadina, Istituto nazionale nutrizione, Unire, Ense, Ente nazionale risi, Agecontrol S.p.a., Ribs S.p.a., Ente irrigazione Val di Chiana, Ismea, Enea ecc.; in particolare, per quanto concerne l'Aima, occorre rilevare che gli interventi comunitari sono sempre piu' diretti a costituire integrazione di reddito e quindi sono di tipo strutturale; conseguentemente essi sono gia' di competenza regionale ancorche' finanziati dalla sezione garanzia. Non diversamente, e' irragionevole il mantenimento a livello nazionale (che per essere esatti e' una illegittima reviviscenza) del Corpo forestale, la cui regionalizzazione e' strettamente funzionale alla gestione delle foreste ed alla tutela dell'ambiente di stretta competenza regionale, anche alla luce delle positive esperienze delle regioni a statuto sociale. Per le quali puo' essere dato il supporto di strutture organizzative collocate nell'apparato che per costituzione e per legge e' a cio' predisposto, cioe' la Presidenza del Consiglio ove ben puo' essere costituito un "Dipartimento per il coordinamento delle politiche agroalimentari". Al Governo spettano altresi' i poteri sostitutivi, perche' esso dovra' altresi' garantire il rispetto degli impegni contratti dallo Stato globalmente inteso a livello comunitario ed internazionale, attraverso eventuali interventi sostitutivi in caso di singoli inadempimenti regionali; le regioni - al fine di dare maggiore efficacia e concretezza all'azione italiana nelle sedi europee - avranno titolo a partecipare alla formazione degli atti comunitari. 11. - Il decreto-legge, viceversa, ha ricostituito pari pari il ministero soppresso, con un modesto maquillage di mediocre lega. Infatti il decreto-legge n. 272/1993, denunciato alla Corte, restaura il Ministero agricoltura e foreste cambiando solo l'etichetta, in modo tautologico: il Ministero agricoltura foreste diventa Ministero per il coordinamento delle politiche agricole, alimentari e forestali, cioe' essendo oggi il Ministero (come lo era il Ministero agricoltura e foreste) un organo di indirizzo e coordinamento, viene ricostruito lo stesso organismo, tanto nell'ottica funzionale quanto in quella strutturale del mantenimento delle vecchie strutture palesemente inefficenti e inadeguate anche rispetto alle modificazioni dell'apparato di indirizzo e di coordinamento della Presidenza del Consiglio istituito con la legge. Cio' aveva portato la conferenza dei presidenti delle regioni, nel suo documento 6 maggio 1993, ad affermare che al momento la soluzione organizzativa ottimale era quella dell'istituzione di un apposito dipartimento presso la Presidenza del Consiglio, facente capo ad un Ministro. Giustamente la stessa conferenza ricordava che il referen- dum abrogativo e' stato la conseguenza della mancata riforma del Ministero da tempo richiesta anche dalle regioni; della regionalizzazione soltanto parziale avvenuta con il d.P.R. n. 11/1972 e poi con il d.P.R. n. 616/1977; del continuo recupero di competenze ministeriali avvenuto con la legislazione successiva nonostante le frequenti pronuncie della Corte costituzionale; della tendenza del Ministero a porsi come soggetto sovraordinato alle regioni e della sua incapacita' a svolgere invece una effettiva funzione di programmazione, di coordinamento, di tutela e garanzia nelle sedi comunitarie; del suo progressivo assorbimento di sempre maggiori risorse finanziarie di spettanza, invece, delle regioni. Non ultimo, della sua incapacita' di adattarsi al progressivo mutare degli scenari internazionali e nazionali della produzione agricola, sempre piu' tendente alla globalita' del settore agro-industriale e alimentare, ed alla evoluzione dell'ordinamento comunitario. Ormai, la programmazione del settore ha superato il livello nazionale; le grandi opzioni produttive e di mercato sono decise a livello comunitario, mentre la loro attuazione avviene sempre piu' - secondo gli orientamenti comunitari - a livello di politiche regionali. Nel nostro ordinamento, non ha piu' senso un Ministero burocratico, incapace di coordinare, ma teso a gestire spesso in contrapposizione alle regioni. Ad esse devono spettare tutte le funzioni amministrative che attengono al proprio territorio; allo Stato, invece, devono essere attribuite esclusivamente le funzioni di fissazione dei principi generali, il coordinamento generale e la rappresentanza in sede comunitaria ed internazionale; detta rappresentanza deve, peraltro, avvenire in accordo stretto con le regioni; a queste ultime deve essere consentito di avere rapporti diretti con le istituzioni comunitarie. Le regioni devono poter attuare direttamente le normative comunitarie. 12. - Il Ministero che e' stato abolito, in realta' viene addirittura potenziato dall'art. 2, quarto comma, che trasferisce al nuovo Ministero le competenze in materia di pesca e in materia di produzione dei prodotti elencati nell'allegato II del trattato di Roma. 13. - Orbene, e' chiara l'illegittimita' di un atto normativo che nella sostanza riproduce l'atto rimosso dalla decisione popolare. Ed e' alla sostanza della riproduzione in atto normativo successivo del contenuto dell'atto precedente, eliminato dall'ordinamento, che si deve state attenti, dice la Corte nella sentenza n. 223/1983 (punto 4 in diritto) a proposito della reiterazione delle norme sull'indennizzo espropriato dichiarate illegittime dalla Corte, vale a dire in un caso di cui abbiamo posto in evidenza il parallelismo che intercorre fra il vuoto creato dalla Corte e quello creato dalla decisione popolare. 14. - E' chiara questa illegittimita' per le considerazioni svolte; alle quali vanno aggiunte quelle sull'irragionevolezza della norma nella duplice visuale della normativa in se' considerata e della parametrazione della normativa in relazione all'atto normativo referendario. Invero, la ragionevolezza dev'essere valutata in relazione alla ratio dell'atto normativo popolare con effetto negativo ma con valenze indicative, dato che la ratio consisteva nel decretamento dei poteri sino al punto dell'abolizione dell'intera struttura; e, contemporaneamente, la ragionevolezza di una norma di adempimento a seguito di abrogazione dev'essere riportata alla ratio dell'abrogazione, non puntuale ma di istituzione o di complesso organizzatorio, dal momento che non puo' essere accettato il principio che nulla segue all'abrogazione, in quanto vi deve essere invece un adeguamento conforme alla ratio abrogatrice. Nel nostro caso, ad una abrogazione volta a decrementare l'apparato centrale e incrementare gli apparati regionali (che ha in significato di abolizione dell'organizzazione del modello ministeriale e delle sue competenze), al trasferimento conseguenziale delle competenze, alla necessita' di dare spazio ad un adeguamento limitato al minimo indispensabile, secondo criteri di stretta economia, non si e' risposto in modo ragionevole, perche' si e' mantenuto in vita cio' che e' abrogato, e lo si e' mantenuto in modo incongruo ed irragionevole. 15. - Ulteriore manifestazione di irragionevolezza e' la diversa risposta data ai due quesiti sull'abolizione del Ministero dell'agricoltura e di quello del turismo; per quanto riguarda l'abbandono del modello ministeriale in un caso viene data una risposta che elimina il Ministero, mentre, nell'altro, viene data una risposta opposta con il mantenimento del Ministero, con cambio di denominazione e poco piu'. 16. - E' insegnamento ripetuto della Corte che sia pienamente ipotizzabile il sindacato di quest'ultima relativamente agli effetti normativi costituzionalmente illegittimi verificatisi in seguito alla pronuncia referendaria abrogativa (Corte costituzionale, 22 dicembre 1975, n. 251, in Giur. cost., 1975, I, 2895 ss.; 13 febbraio 1981, n. 24, ivi, 123, 13 febbraio 1981, n. 26, ivi, 134; e di recente 3 febbraio 1987, n. 26, in Foro it., 1987, 664 ss.). 17. - Cio' e' pienamente rispondente alle esigenze di coerenza che impongono un intervento della Corte anche in funzione integrativa in una materia notoriamente regolata in modo frammentario. Sappiamo come la dottrina si sia domandata se quando la Corte, per giudicare l'ammissibilita' di un referendum abrogativo, esamina in modo piu' o meno ampio le conseguenze normative che si produrrebbero nell'ordinamento vigente ove fosse approvata dal popolo la richiesta, formula un giudizio di ammissibilita' o valuta la ragionevolezza degli effetti, che risulterebbero introdotti dal referendum in caso di approvazione popolare, rispondendo che e' difficile sostenere che non faccia la seconda delle cose dette. Gli studiosi hanno risposto che la Corte costituzionale e' costretta, con i suoi limitati mezzi, a porre argini ad una legislazione di attuazione dell'art. 75 della Costituzione estremamente lacunosa, superficiale e totalmente improvvida nella valutazione dell'effettivo operare del referendum abrogativo. Se un'esigenza di coerenza del sistema ha imposto alla Corte di provvedere al colmare le lacune del legislatore nella fase antecedente, e' ovvio che le stesse esigenze comportino che la Corte debba intervenire, nella fase dell'adeguamento e dell'attuazione, cioe' dell'effettivo operare dell'effetto. 18. - In conclusione, il decreto di istituzione del Ministero per il coordinamento delle politiche agricole, alimentari e forestali (che in realta' e' solo la ricostituzione del Ministero soppresso) e' illegittimo: alla illegittimita' del mantenimento del Ministero o del Ministro consegue l'illegittimita' di tutte le norme contenute nell'art. 1 inciso "con l'esclusione di quelle di cui agli artt. 2 e 3" del primo comma; nei commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto dell'art. 3; nei commi primo, secondo, terzo, quarto dell'art. 4; nei commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto dell'art. 5.
P. Q. M. Si conclude chiedendo che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' delle norme contenute nell'art. 1 inciso "con l'esclusione di quelle di cui agli artt. 2 e 3" del primo comma, dei commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto dell'art. 3; dei commi primo, secondo, terzo, quarto dell'art. 4; dei commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto dell'art. 5 del d.l. n. 272/1993, per violazione degli artt. 1, 3, 5, 75, 95, 97, 117, 118 e 119, della Costituzione. Roma, addi' 31 agosto 1993 Avv. Alberto PREDIERI 93C0975