N. 577 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 gennaio 1992- 2 settembre 1993
N. 577 Ordinanza emessa il 10 gennaio 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il 2 settembre 1993) dal tribunale amministrativo regionale per la Lombardia sul ricorso proposto da Cataldi Antonio ntro il comune di Milano Impiegato degli enti locali - Destituzione automatica in seguito a sentenza di condanna, passata in giudicato, per uno dei reati specificati dalla norma stessa - Conseguenze - Obbligo incondizionato dell'amministrazione di disporre la destituzione senza alcun margine di discrezionalita' in relazione alla gravita' del reato e all'incidenza del fatto sul regolare svolgimento del servizio - Ritenuta non applicabilita' alla fattispecie della sopravvenuta normativa di cui alla legge 8 giugno 1990, n. 142 - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale nn. 971/1988 e 16/1991. (R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 9, in relazione al r.d. 3 marzo 1034, n. 383, art. 8). (Cost., art. 3).(GU n.41 del 6-10-1993 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1412/1980 proposto da Cataldi Antonio rappresentato e difeso dall'avv. Augusto Viscardi ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Milano, via Podgora, 10, contro il comune di Milano, in personale del sindaco pro-tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'avvocatura comunale ed elettivamente domiciliato presso i suoi uffici in Milano, via Della Guastalla, per l'annullamento della delibera 4 marzo 1980, n. 886, con cui la giunta municipale lo ha dichiarato decaduto di diritto dal posto a decorrere dal 21 gennaio 1978; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Milano; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito, alla pubblica udienza del 10 gennaio 1992, il relatore dott. Vincenzo Franco; Uditi, altresi', i procuratori delle parti; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O Con ricorso notificato il 26 maggio 1980, depositato il 13 giugno successivo, il sig. Antonio Cataldi, nella sua qualita' di ex dipendente del comune di Milano con qualifica di vigile urbano, ha impugnato la delibera 4 marzo 1980, n. 886, con cui la giunta municipale lo ha dichiarato decaduto di diritto dal posto a decorrere dal 21 gennaio 1978, data alla quale era stato previamente sospeso dall'impiego in pendenza di procedimento penale a suo carico. A sostegno del gravame si deduce la illegittimita' costituzionale parziale degli artt. 8 e 9 del t.u. 3 marzo 1934, n. 383, non consentendo detta ultima norma alcuna istruttoria all'amministrazione in ordine al fatto penalmente rilevante, diversamente da quanto stabilito dall'art. 84 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3. Il comune di Milano si e' costituito in giudizio, resistendo alla domanda. Con memoria l'istante ha insistito per l'accoglimento della propria domanda e, in particolare, per il rinvio delle norme sopra indicate alla Corte costituzionale. All'udienza del 10 gennaio 1992 il ricorso e' stato posto in decisione. D I R I T T O Con il presente ricorso, diretto contro la destituzione di diritto pronunciata nei suoi confronti da parte della giunta municipale del comune di Milano, l'istante lamenta la illegittimita' costituzionale dell'art. 9 del t.u. 3 marzo 1934, n. 383, nella parte in cui impone all'amministrazione, per i reati contemplati dal precedente art. 8, di dar corso alla prevista declaratoria di decadenza, al di fuori di ogni possibilita' di apertura del procedimento disciplinare. In memoria la detta deduzione e' stata ulteriormente approfondita con richiamo alla sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, della Corte costituzionale, avente ad oggetto la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 247 del medesimo t.u.; nella specie ricorrerebbero identiche ragioni di caducazione: e cio' sul rilievo che, essendo l'interessato in servizio al momento dell'apertura del procedimento penale nei suoi confronti, non tornerebbe invocabile nella specie l'ordinanza 10 marzo 1988, n. 294, della medesima Corte, che ha dichiarato la inammissibilita' della detta questione di legittimita' costituzionale, eppero' nel diverso caso della esclusione dalla nomina del soggetto condannato per uno dei reati a tal fine contemplati. Prima di passare all'esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza della prospettata deduzione il collegio deve premettere che l'intervenuta abrogazione del t.u. 3 marzo 1934, n. 383, da parte dell'art. 64, lett. c), della legge 8 giugno 1990, n. 142, non spiega alcun effetto preclusivo in ordine al richiesto rinvio. Come, infatti, ha chiarito la Corte costituzionale con la sentenza 11-18 gennaio 1991, n. 16, l'operazione di abrogazione opera esclusivamente ex nunc, con persistenza nel passato della precedente normativa, rispetto alla quale la questione di costituzionalita',ove ritenuta fondata, costituisce il tramite per addivenire al successivo annullamento da parte del Giudice a quo dell'atto impugnato. Per quanto concerne la rilevanza dell'anzidetto vizio occorre, poi, gradatamente osservare che la legge 7 febbraio 1990, n. 19, avente ad oggetto le modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti, autorizza i pubblici dipendenti che siano stati destituiti di diritto a presentare domanda di riammissione in servizio, previa apertura di procedimento disciplinare da parte dell'amministrazione di appartenenza. Tale sopravvenuta novella legislativa sarebbe quindi applicabile alla vicenda all'esame alla condizione, peraltro, che il dipendente ne avesse medio tempore richiesto l'applicazione nei suoi confronti. Tale circostanza non emerge negli atti di causa, ne' e' in alcun modo implicitamente deducibile dalla memoria depositata dall'istante per la discussione del ricorso: di cio' la sezione deve dunque prendere atto ai fini del decidere sulla illustrata questione di costituzionalita'. Ad un diverso ordine di argomentazioni si presta, invece, la legge 18 gennaio 1992, n. 16, che prevede la sospensione e successivamente la decadenza di diritto dall'impiego per tutti i pubblici dipendenti che siano condannati con sentenza definitiva per i reati di cui agli artt. 314 (peculato), 316 (peculato mediante profitto dell'errore altrui), 316- bis (malversazione a danno dello Stato), 317 (concussione), 318 (corruzione per un atto d'ufficio), 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio), 319- ter (corruzione in atti giudiziari) e 320 (corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio) del codice penale. Nel caso concreto il Cataldi risulta condannato per ricettazione a dieci mesi di reclusione, per cui non trova applicazione la indicata previsione, che interdice l'apertura di un procedimento disciplinare per i visti, nominati reati. Va, tuttavia, considerato che la successiva lett. c) della stessa disposizione piu' sopra richiamata estende identico ordine di conseguenze alla diversa ipotesi di condanna penale definitiva per un delitto commesso con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione. Da questo punto di vista il tribunale di Milano ha ritenuto provato a carico dell'imputato, odierno ricorrente, il reato di ricettazione, non essendo stato egli direttamente partecipe alla concussione posta in essere dagli altri vigili in danno dell'automobilista fermato. Tale figura criminosa, pur richiedendo la consapevolezza dell'illecita provenienza del denaro accettato, non pare, tuttavia, assimilabile a quelle pur esemplificativamente indicate dal legislatore e fra di loro accomunate dall'abuso di poteri o dalla violazione di doveri inerenti all'esercizio di una pubblica funzione. In relazione a quanto sopra deve, quindi, concludersi che la prospettata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9 del t.u. 3 marzo 1934, n. 383, e' nella specie rilevante, non reagendo su di essa in alcun modo la disciplina legislativa sopravvenuta e persistendo, per conseguenza, l'interesse del ricorrente a conseguire l'annullamento del provvedimento impugnato. Quanto, infine, alla non manifesta infondatezza della stessa questione e' sufficiente porre in rilievo che l'automaticita' del provvedimento di decadenza stabilita dal ridetto art. 9 pare offensivo del principio della proporzione della sanzione amministrativa al caso concreto (Corte costituzionale 11-18 gennaio 1991, n. 16). Sulla base delle suesposte argomentazioni l'art. 9 del t.u. 3 marzo 1934, n. 383, va dunque rinviato all'esame della Corte costituzionale.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata, con riguardo all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, con riferimento al precedente art. 8 del t.u. 3 marzo 1934, n. 383; Ordina la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone, altresi', la comunicazione della presente ordinanza alle parti in causa ed ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato, nonche' la sua notifica al Presidente del Consiglio dei Ministri; Cosi' deciso in Milano, il 10 gennaio 1992. Il presidente: MARIUZZO Il consigliere: FRANCO Il primo referendario: CERIONI 91C0968