N. 587 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 dicembre 1992- 3 settembre 1993

                                N. 587
      Ordinanza emessa il 18 dicembre 1992 (pervenuta alla Corte
  costituzionale il 3 settembre 1993) dal tribunale amministrativo
  regionale per la Sicilia sul ricorso proposto da Romeo Maria
  Giovanna ed altri contro il Ministero di Grazia e giustizia ed
  altro.
 Magistratura - Uditore giudiziario, gia' referendario parlamentare
    del   Senato   della  Repubblica  -  Attribuzione  di  trattamento
    economico  ad  personam  superiore  a  quello  spettantegli   come
    magistrato,  per  diritto  al computo del maturato economico della
    precedente carriera - Richiesta  di  allineamento  stipendiale  di
    magistrati  di  pari  o  maggiore  anzianita' - Ius superveniens e
    norma di  interpretazione  autentica  -  Divieto  di  adozione  di
    provvedimenti   di   allineamento  stipendiali  "ancorche'  aventi
    effetti anteriori all'11 luglio 1992" - Violazione dei principi di
    eguaglianza,  di  ragionevolezza,  di  imparzialita'  e  di   buon
    andamento   della   p.a.   nonche'   di   pienezza   della  tutela
    giurisdizionale.
 (D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7, settimo comma, convertito
    nella legge 14 novembre 1992, n. 438).
 (Cost., artt. 3, 24, 97 e 113).
(GU n.41 del 6-10-1993 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  2285/92,
 (849/92,  sezione  prima),  proposto  da  Romeo Maria Giovanna, Puleo
 Donatella,  Micela  Francesco,  Fratantonio  Fulvio,  Fici  Giuseppe,
 Saguto  Silvana,  Falcone Pietro, Trizzino Giancarlo, Murgia Roberto,
 Carrara Carmelo, Consiglio  Antonella,  Gozzo  Domenico,  Fazio  Anna
 Maria,  Costanzo Ettore, Ferreri Pier Giorgio, Settineri Amalia, Sole
 Concetta, Pardo  Antonia,  Marino  Fabio,  Porrello  Enrico,  Librino
 Guido,  Leone  Maria,  Di Vitale Salvatore, Palma Anna Maria, Consoli
 Agata, La Lumia Rosanna, Scaduto  Gioacchino,  Morvillo  Alfredo,  De
 Francisci  Ignazio,  Spina  Maria  Patrizia,  Florestano  Cristodaro,
 Pellingra Daniela, Barresi Salvatore, Abbruzzese Anna  Maria,  Giglio
 Daniela, Fasciana Bruno, Randazzo Maria Vittoria, Camassa Alessandra,
 Midulla  Cristina,  Salvo Giuseppe, Russo Massimo, Petralia Bernardo,
 Binenti Roberto, Consolo  Santi,  rappresentati  e  difesi  dall'avv.
 prof.  Sergio  Agrifoglio,  presso  il  cui  studio  in  Palermo, via
 Brunetto  Latini,  34,  sono  elettivamente  domiciliati,  contro  il
 Ministero  di  grazia  e  giustizia  ed  il  Ministero del tesoro, in
 persona dei rispettivi Ministri pro-tempore, rappresentati  e  difesi
 per  legge  dall'avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di  Palermo,
 domiciliataria, per il riconoscimento del diritto  dei  ricorrenti  a
 percepire  una  retribuzione  non  inferiore  a quella corrisposta al
 collega dott.  Esposito, che vanta un minore anzianita' di qualifica,
 e per la condanna dell'amministrazione al pagamento  in  loro  favore
 delle  relative  differenze  retributive,  maggiorate  di interessi e
 rivalutazione monetaria, nonche' per l'annullamento ove occorra,  dei
 provvedimenti  (dei  quali si sconoscono gli estremi), con i quali il
 trattamento economico dei ricorrenti e' stato determinato in  maniera
 diversa da quato richiesto;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni in-
 timate;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato  relatore  alla pubblica udienza del 18 dicembre 1992 il
 consigliere Calogero Adamo, ed  uditi  l'avv.  S.  Agrifoglio  per  i
 ricorrenti  e  l'avvocato  dello  Stato  Gianfranco  Pignatone per le
 amministrazioni resistenti;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto:
                               F A T T O
    I ricorrenti, magistrati dell'ordine giudiziario  in  servizio  in
 Sicilia, invocano l'applicazione del c.d. "allineamento stipendiale",
 introdotto dall'art. 4, terzo comma, del d.l. n. 681/1982 convertito
 in  legge  n.  869/1982,  confermato per il personale di magistratura
 dall'art. 1 della legge 8 agosto 1991, n. 265.
    Espongono di avere tutti un'anzianita'  di  carriera  superiore  o
 uguale a quella del loro collega Antonio Francesco Esposito, il quale
 ha conservato il piu' favorevole trattamento economico maturato nella
 precedente  carriera  di  referendario  parlamentare presso il Senato
 della Repubblica.
    Chiedono pertanto che sia riconosciuto il loro diritto a percepire
 lo stesso trattamento retributivo dell'anzidetto magistrato,  con  la
 condanna  dell'amministrazione  alla  corresponsione  delle  relative
 differenze retributive, con interessi e rivalutazione monetaria.
    Deducono a sostegno del ricorso che  l'istituto  dell'allineamento
 stipendiale, rimedio di carattere generale del pubblico impiego volto
 ad  evitare  situazioni  di  squilibrio  retributivo,  e'  conforme a
 principi costituzionali (art. 36  e  97)  e  sulla  retribuzione  nel
 pubblico   impiego,   secondo   cui   a   parita'  di  funzione  deve
 corrispondere  lo  stesso  trattamento  economico.  Ne'  sarebbe   di
 ostacolo  all'accoglimento della loro domanda la legge 8 agosto 1991,
 n. 265, in quanto avente portata innovativa, e quindi non applicabile
 alla presente fattispecie, nella quale i presupposti si sono maturati
 antecedentemente.
    Resistono le  amministrazioni  intimate,  assumendo  la  efficacia
 interpretativa,  e  quindi  retroattiva,  della  legge  n.  265/1991,
 l'insussistenza  delle  condizioni   che   possano   legittimare   un
 intervento  perequativo - in ragione del precedente servizio prestato
 dal dott. Esposito nell'amministrazione di provenienza -, e  comunque
 l'intervenuta    abrogazione    della   normativa   sull'allineamento
 stipendiale ad opera dell'art. 2, quarto comma, del d.l.  11  luglio
 1992,  n.  333,  convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, con la
 relativa interpretazione autentica di cui all'art.  7  del  d.l.  19
 settembre  1992,  n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n.
 438.
    Con "foglio di lume"  depositato  all'udienza  di  discussione  la
 difesa  dei ricorrenti ha osservato che l'abrogazione della normativa
 sull'allineamento stipendiale, disposta dall'art.  2,  quarto  comma,
 del  d.l.  11  luglio  1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto
 1992, n. 359, e la relativa interpretazione autentica di cui all'art.
 7 del d.l. 18 settembre 1992, n.  384,  convertito  nella  legge  14
 novembre  1992,  n.  438,  non  incidono sulla legge n. 265/1991, che
 disciplina specificamente l'allineamento stipendiale del personale di
 magistratura.
    Comunque  si  tratterebbe  di  disposizioni prive di efficacia sui
 giudizi pendenti, risolvendosi  solo  in  un  divieto,  rivolto  alle
 amministrazioni, di adottare nuovi provvedimenti amministrativi.
    Una   diversa  impostazione,  ad  avviso  degli  interessati,  non
 potrebbe  non  ingenerare   sospetti   di   incostituzionalita'   per
 violazione  dei  principi  di  cui  agli  artt. 3, 24, 97 e 113 della
 Costituzione.
    Alla pubblica udienza del 18 dicembre  1992  i  procuratori  delle
 parti  hanno  chiesto porsi il ricorso in decisione, insistendo nelle
 rispettive conclusioni.
                             D I R I T T O
    1. - Nel far valere la  pretesa  all'allineamento  stipendiale,  i
 magistrati   ricorrenti   premettono  di  avere  tutti  un'anzianita'
 maggiore rispetto a quella del collega  Antonio  Francesco  Esposito.
 Tale   circostanza   e'   pacifica,   non  essendo  stata  contestata
 dall'amministrazione resistente.
    Il presupposto dell'allineamento si sarebbe  realizzato  allorche'
 il  dott.  Antonio Francesco Esposito fu nominato uditore giudiziario
 conservando il piu' favorevole trattamento economico  maturato  nella
 precedente  carriera  di  referendario  parlamentare presso il Senato
 della Repubblica.
    2.  -  Occorre   premettere   che   l'istituto   dell'allineamento
 stipendiale  e'  stato introdotto dall'art. 4, terzo comma, del d.l.
 27 settembre 1982, n. 681, convertito in legge 20 novembre  1982,  n.
 869,  per  il  personale militare, con norma del seguente tenore: "al
 personale con stipendio inferiore a quello spettante al  collega  con
 pari o minore anzianita' di servizio, ma promosso successivamente, e'
 attribuito lo stipendio di quest'ultimo".
    La   giurisprudenza   formatasi  successivamente  ha  riconosciuto
 nell'anzidetta disposizione  un  principio  o  rimedio  di  carattere
 generale,   idoneo   ad   evitare   un'ingiustificata  disparita'  di
 trattamento derivante dalla conservazione di trattamenti  retributivi
 personalizzati:  all'allineamento  consegue  infatti  il riequilibrio
 della retribuzione degli appartenenti al medesimo ruolo, in  possesso
 di   maggiore  anzianita'  (cfr.  di  recente  Corte  costituzionale,
 sentenza n. 105/1992, nonche' Cons.  St.,  sezione  sesta,  26  marzo
 1990,  n.  410;  Corte  conti,  sez. contr. Stato, 13 luglio 1984, n.
 1472; 28 settembre 1984,  n.  1479;  3  febbraio  1985,  n.  1518;  3
 febbraio 1989, n. 2093; 16 luglio 1992, n. 67; t.r.g.a. Trentino AA.,
 sezione  Trento,  12 giugno 1989, n. 174, e 3 settembre 1992, n. 321;
 t.a.r. Sicilia, sezione Catania,  27  agosto  1990,  n.  640;  t.a.r.
 Lazio,  sezione prima, 24 maggio 1991, n. 739, e 11 febbraio 1992, n.
 138; t.a.r. Puglia, sezione Lecce, 13 aprile 1989, n. 315).
    3.  -  Tale  principio,  variamente  inteso  ed  applicato   dalla
 giurisprudenza, che ne ha via via definito gli specifici presupposti,
 e'  stato infine confermato, ma anche delimitato, per il personale di
 magistratura, dalla legge 8 agosto 1991, n. 265.
    All'art. 1 di tale  legge  -  ritenuta  interpretativa,  e  quindi
 retroattiva  -,  e  specificamente  ai  commi  primo  e  terzo, si e'
 richiamata  l'Amministrazione   nel   contestare   le   pretese   dei
 ricorrenti:  la  prima  di  dette  norme  esclude  l'allineamento per
 trattamenti economici conseguiti in settori  diversi  dalle  carriere
 dirigenziali  dello  Stato o equiparate; la seconda esclude, nel caso
 di accesso alla magistratura mediante concorso  di  primo  grado,  la
 valutazione  di trattamenti che nella precedente carriera erano stati
 a loro volta acquisiti mediante allienamento.
    Nessuna di tali limitazioni riguarda peraltro il caso all'esame:
       a)  non la prima, poiche' la carriera di referendario al Senato
 puo' essere equiparata  a  quella  dirigienziale  dello  Stato  (cfr.
 Consiglio Stato, sezione quarta, 26 febbraio 1985, n. 64, che - sulla
 base  di  una  ricognizione della normativa vigente - ha ritenuto che
 anche i dipendenti delle Camere debbano essere considerati dipendenti
 di  un'amministrazione  dello  Stato,  ed  ha  quindi  ritenuto  loro
 applicabile  l'art.  202  del  d.P.R.  10  gennaio 1957, n. 3, per il
 mantenimento del superiore trattamento economico  gia'  in  godimento
 all'atto del passaggio di carriera);
       b)  non la seconda, giacche' il miglior trattamento retributivo
 conservato  dal  dott.  Esposito  non  deriva  da   un   allienamento
 stipendiale  nella  precedente  carriera,  ma soltanto dalla maggiore
 entita' del relativo stipendio, come e' pacifico.
    In ogni caso, il presupposto  da  cui  sorgerebbe  il  diritto  al
 preteso  allineamento stipendiale si e' verificato prima dell'entrata
 in vigore della legge n. 265/1991, e questa non e' retroattiva.
    L'amministrazione sostiene di contro che la natura interpretativa,
 da  riconoscere  alla  legge  n.  265/1991,  farebbe  propendere  per
 l'efficacia retroattiva dell'art. 1 della medesima.
    Ora,  sembra  al  collegio  che  in  realta'  tale normativa abbia
 soltanto   circoscritto   e   limitato   l'istituto,   implicitamente
 riconoscendone  la  portata  generale  e  la  derivazione dalla fonte
 costituita dall'art. 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982,  n.
 681, convertito in legge 20 novembre 1982, n. 869, ma recependolo con
 modificazioni  e precisazioni per le carriere di magistratura, con un
 intervento avente chiara natura innovativa.
    Solo alle disposizioni di cui ai commi quarto e quinto del  citato
 art.  1  va  riconosciuta  natura  interpretativa, e quindi efficacia
 retroattiva.
    Il collegio ritiene, conclusivamente, che le condizioni poste  dal
 primo  e  dal  terzo  comma dell'art. 1 della legge n. 265/1991 siano
 rispettate nella fattispecie e che, cio'  stante,  il  riconoscimento
 del diritto non troverebbe alcun ostacolo.
    Ne'  avrebbe rilevanza l'art. 2, quarto comma, del d.l. 11 luglio
 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n.  359,  emanato
 nelle  more del giudizio, che a decorrere dalla sua entrata in vigore
 ha  abrogato  le  disposizioni  sull'allineamento,  tra  cui   quella
 contenuta  nell'art.  4  del  d.l.  n. 681/1982. L'abrogazione vale,
 infatti, soltanto per il futuro, e non elimina i diritti  gia'  sorti
 in precedenza in virtu' delle norme abrogate.
    4. - Questa soluzione lineare e' pero' preclusa, ora, dall'art. 7,
 settimo  comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella
 legge 14 novembre 1992, n. 438 - invocato dall'avvocatura dello Stato
 -, che recita: "L'art. 2, quarto comma, del d.l. 11 luglio 1992,  n.
 333,  convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 8 agosto 1992, n.
 359, va interpretato nel senso che dalla data di  entrata  in  vigore
 del   predetto   decreto-legge   non  possono  essere  piu'  adottati
 provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche'  aventi  effetti
 anteriori all'11 luglio 1992".
    I  ricorrenti  contestano  l'applicabilita'  di tale normativa nei
 propri confronti, sostenendo che essa non si applichi  nei  confronti
 degli  appartenenti  alle  carriere  di  magistratura,  e comunque ai
 giudizi gia' pendenti; in via gradata dubitano della sua legittimita'
 costituzionale.
    Il   collegio  pero'  ritiene  di  non  poter  aderire  alle  tesi
 prospettate in via principale; ed invero:
       a) il rinvio  operato  dall'art.  1  della  legge  n.  265/1991
 all'art.  4,  terzo  comma,  del  d.l.  27  settembre  1982, n. 681,
 convertito dalla legge 20 novembre 1982, n. 869, ha natura di  rinvio
 formale - operato dalla legge piu' recente a quella che in precedenza
 aveva  disciplinato, in via di applicazione estensiva, le fattispecie
 relative alle carriere dei magistrati - cosi'  che,  venuta  meno  la
 disciplina  di  riferimento,  deve  ritenersi  venuta  meno  anche la
 specifica disciplina di settore che alla prima rinviava;
       b) l'intervento abrogativo appare  avere  efficacia  e  portata
 sostanziale,   risultando  conseguentemente  preclusa  l'applicazione
 delle norme citate tanto alle autorita' amministrative che  a  quelle
 giurisprudenziali.
    5.  -  Il  Collegio  condivide,  invece,  i  dubbi di legittimita'
 costituzionale  in  ordine   all'intervento   legislativo   teso   ad
 attribuire  efficacia  retroattiva  all'abrogazione  della  normativa
 relativa all'allineamento stipendiale.
    Il dato dal quale occorre muovere per impostare  correttamente  la
 questione e' costituito dalla individuazione della ratio della norma.
 L'intervento  e'  quello  -  evidente  -  di  bloccare ogni ulteriore
 applicazione dell'istituto dell'allineamento stipendiale  fondato  su
 norme  gia'  abrogate,  e  per  far  questo  il legislatore ha voluto
 incidere retroattivamente eliminando, ex  tunc,  ogni  effetto  delle
 norme abrogate.
    La   disposizione,   come   si   e'   detto,   e'  formulata  come
 un'interpretazione autentica. In realta',  se  cosi'  fosse,  la  sua
 retroattivita'  dovrebbe arrestarsi al momento dell'entrata in vigore
 della disposizione interpretativa (art. 2, quarto comma, del d.l. n.
 333/1992, convertito in legge n. 359/1992); di fatto si e' introdotta
 un'innovazione, consistente nell'estensione  della  decorrenza  della
 legge interpretata (cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 233/1988 e
 n. 380/1990).
    La  finalita'  perseguita  dalla  legge "interpretata" era (ed e')
 evidentemente quella di  contenere  la  spesa  pubblica  riferita  ai
 trattamenti  stipendiali  del  pubblico  impiego:  finalita'  che non
 appare  irragionevole   o   comunque   sindacabile   nella   presente
 congiuntura della finanza pubblica.
    Cio' che appare invece irragionevole e' l'interpretazione additiva
 successivamente   introdotta.   L'irretroattivita'   costituisce   un
 principio dell'ordinamento, e  la  sua  deroga  si  pone  come  fatto
 eccezionale  da  utilizzare  solo  in presenza di una effettiva causa
 giustificatrice, prevalente sui rapporti preteriti e sul principio di
 affidamento (cfr. Corte costituzionale, sentenze nn.  155/1990  e  n.
 389/1991).
    Nella  specie, viceversa, appaiono lesi vari principi di rilevanza
 costituzionale, come quello dell'affidamento, della  trasparenza  nei
 rapporti  tra  Stato e cittadino, della certezza dei diritti maturati
 per i quali gli interessati coltivavano legittime aspettative,  della
 correttezza della funzione giurisdizionale chiamata ad accertare tali
 diritti,   paralizzata   anch'essa   nel   suo   lineare  svolgimento
 dall'intervento retrospettivo del legislatore, nella  fictio  di  una
 interpretazione autentica.
    La  norma  retroattiva  produce  inoltre un'ingiusta disparita' di
 trattamento, applicandosi a rapporti sorti precedentemente ed  ancora
 pendenti   (cfr.  Corte  costituzionale,  sentenza  n.  39/1993):  la
 disparita' si verifica tra coloro  che,  alla  stregua  del  medesimo
 presupposto  comunque verificatosi prima dell'intervento legislativo,
 avevano gia' ottenuto - per meri fattori estrinseci alla  fattispecie
 ed, al limite, casuali - l'applicazione amministrativa o una sentenza
 favorevole  passata  in  giudicato  (rapporti  esauriti), e tutti gli
 altri (rapporti non ancora esauriti).
    Comunque, se l'abrogazione delle norme concernenti  l'allineamento
 stipendiale  e'  avvenuta  a decorrere dall'11 luglio 1992, il blocco
 dell'allineamento  riferito  a  situazioni  pregresse  non   ha   una
 giustificazione  giuridica.  E  invero, esclusa la materia penale, la
 Costituzione  non   vieta   leggi   retroattive,   ma   esse   devono
 corrispondere  al  generale  criterio  di ragionevolezza e non devono
 violare gli altri principi costituzionali:  condizioni,  queste  che,
 per le anzidette ragioni, non sembrano rispettate.
    6.  -  Sotto gli anzidetti profili appare in effetti assai dubbia,
 ad avviso del collegio, la conformita' della norma di cui  al  citato
 art.  7,  settimo  comma,  del  d.l.  19  settembre  1992,  n.  384,
 convertita in  legge  14  novembre  1992,  n.  438,  ai  principi  di
 uguaglianza,  di ragionevolezza, di imparzialita' e di buon andamento
 dell'amministrazione,    nonche'    di    pienezza    della    tutela
 giurisdizionale,  risultanti  dagli  artt.  3,  24,  97  e  113 della
 Costituzione. Va ritenuta, pertanto,  non  manifestamente  infondata,
 sotto i predetti profili, la relativa questione di costituzionalita'.
    La  questione e' altresi' rilevante ai fini del presente giudizio,
 atteso che la norma  in  parola  e'  preclusiva,  allo  stato,  della
 pretesa azionata in questa sede dai ricorrenti.
    Cio'  posto,  si ritiene di dover sollevare, ai sensi dell'art. 23
 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  siccome  rilevante   e   non
 manifestamente  infondata,  la  questione  di  costituzionalita',  in
 rapporto agli artt. 3, 24, 97 e 113 della  Costituzione,  del  citato
 art.  7,  settimo  comma,  del  d.l.  19  settembre  1992,  n.  384,
 convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438.
    Va pertanto disposta la sospensione del giudizio e  la  rimessione
 degli atti alla Corte costituzionale.
                               P. Q. M.
    Visti  l'art.  134  della  Costituzione e l'art. 23 della legge 11
 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante ai  fini  del  decidere  e  non  manifestamente
 infondata  la  questione  di  costituzionalita'  dell'art. 7, settimo
 comma, del d.l. 19  settembre  1992,  n.  384  ("Misure  urgenti  in
 materia  di  previdenza,  di  sanita'  e di pubblico impiego, nonche'
 disposizioni fiscali"), convertito nella legge 14 novembre  1992,  n.
 438, in rapporto agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione;
    Sospende il giudizio sul ricorso in epigrafe;
    Ordina    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale a cura della segreteria e che  la  presente  ordinanza
 sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei
 Ministri  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
    Cosi' deciso in Palermo, in Camera di consiglio, addi' 18 dicembre
 1992.
                         Il presidente: SERIO
    Il consigliere estensore: ADAMO
                                               Il consigliere: FERLISI
    Depositata in segreteria l'8 luglio 1993
                        Il segretario: MALERBA

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