N. 589 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 settembre 1993

                                N. 589
 Sentenza emessa il 9 luglio 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale
 il 3 settembre 1993) dal tribunale amministrativo regionale per il
 Piemonte sul ricorso proposto da Pognant Airassa Anna, in proprio e
 n.q., ed altre contro l'O.P.A.F.S.
 Previdenza e assistenza sociale - Indennita' di buonuscita
    corrisposta dall'O.P.A.F.S. ai dipendenti dell'ente Ferrovie dello
    Stato - Esclusione dal computo di detta indennita' dell'indennita'
    integrativa  speciale  -  Ingiustificato deteriore trattamento dei
    dipendenti dell'ente Ferrovie dello Stato rispetto  ai  dipendenti
    degli  enti pubblici economici e degli enti locali - Incidenza sui
    principi di proporzionalita'  ed  adeguatezza  della  retribuzione
    (anche  differita)  e  dell'assicurazione  di  mezzi adeguati alle
    esigenze di vita in caso di vecchiaia.
 (Legge 27 maggio 1959, n. 324, art. 1, terzo comma, lettere b) e c),
    sostituito  dalla legge 3 marzo 1960, n. 185, art. 1, primo comma;
    legge 14 dicembre 1973, n. 829, art. 14,  primo  comma;  legge  22
    dicembre 1980, n. 885, art. 1, settimo comma).
 (Cost., artt. 3, 36 e 38).
(GU n.41 del 6-10-1993 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  sentenza  sul  ricorso  n.  2044/90
 proposto  da  Pognant  Airassa  Anna,  in  proprio  e  quale   legale
 rappresentante  della  minore  Faure  Bruna,  Faure Sabrina, Palmieri
 Maria, ved. Sabbatini, Sabbatini Paolo, Sabbatini  Doriano,  Randazzo
 Giovanna   ved.  Tagliavia,  Tagliavia  Rosalia,  Tagliavia  Filippa,
 Tagliavia Teresa, Mazzarelli Letizia ved.   Puntillo,  Cecchin  Clara
 ved.  Allemand,  Allemand  Elena  e Allemand Adriana, rappresentati e
 difesi dall'avv. Carlo Vaira, presso il cui studio sono elettivamente
 domiciliati in Torino, via Bertola n. 59; contro l'O.P.A.F.S.  (Opera
 previdenziale  assistenza ferrovieri dello Stato), in persona del suo
 legale   rappresentante   pro-tempore    rappresentata    e    difesa
 dall'avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di Torino, presso cui e'
 domiciliata in Torino, corso Stati Uniti n.  45,  per  l'accertamento
 del  diritto  dei  ricorrenti a veder computata nella base di calcolo
 della indennita' di buonuscita, gia' in precedenza liquidata ai  loro
 de  cuius  dall'amministrazione  convenuta,  l'indennita' integrativa
 speciale nonche' la condanna dell'ente convenuto al pagamento a  tale
 titolo delle somme in prosieguo meglio specificate;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto di costituzione in giudizio dell'Opera di assistenza
 ferrovieri;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Uditi  alla  pubblica  udienza  del  9  luglio  1992, relatrice la
 dott.ssa Silvia La Guardia,  l'avv.  Aliberti  per  delega  dell'avv.
 Vaira  per  i  ricorrenti  e  l'avv. Carotenuto per l'amministrazione
 resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                         ESPOSIZIONE IN FATTO
    Anna Pognant Airassa e gli altri ricorrenti nominati in  epigrafe,
 qualificatisi  eredi  di ex dipendenti dell'Azienda autonoma ferrovie
 dello Stato (ora Ente ferrovie dello Stato) cessati dal  servizio  in
 epoca  anteriore  all'entrata  in  vigore  della  legge  n. 210/1985,
 adiscono il tribunale per vedersi riconoscere il diritto al  computo,
 nella   base   di  calcolo  dell'indennita'  di  buonuscita  gia'  in
 precedenza  liquidata  ai  rispettivi   de   cuius,   dell'indennita'
 integrativa     speciale    e    per    la    conseguente    condanna
 dell'amministrazione  al  pagamento  delle  somme   specificate   nel
 ricorso.
    Essi  espongono di avere in precedenza evocato in giudizio, avanti
 il pretore di Torino, in funzione  di  giudice  del  lavoro,  l'Opera
 previdenziale   assistenza   ferrovieri   dello   Stato  (O.P.A.F.S.)
 chiedendone  la  condanna  al  pagamento  di  un'integrazione   della
 buonuscita   da   calcolarsi   inserendo   nel   computo  relativo  a
 quest'ultima anche l'indennita' integrativa speciale. L'ente  si  era
 costituito  eccependo  il  difetto  di  giurisdizione  dell'autorita'
 giudiziaria ordinaria e sostenendo,  nel  merito  di  aver  calcolato
 correttamente,  alla luce della legislazione vigente, l'indennita' di
 buonuscita.
    Il pretore si dichiarava carente di giurisdizione.
    I ricorrenti, pertanto, ripropongono quella domanda nella presente
 sede fondandola sulle considerazioni che si riassumono:
      1) violazione ed errata applicazione dell'art. 14 della legge 14
 dicembre  1973,  n. 829, e dell'art. 1, quarto e settimo comma, della
 legge 22 dicembre 1980, n. 885.
    Essi sostengono che, per quanto l'indennita' integrativa  speciale
 non  sia  stata  espressamente  menzionata  dal  citato  art. 14, che
 specifica  la  base  di  calcolo  dell'indennita'  di  buonuscita,  e
 malgrado  l'I.I.S.  sia stata originariamente introdotta, con legge 7
 maggio 1959, n. 324, con semplice funzione assistenziale e non  quale
 voce  della  retribuzione,  nondimeno essa avrebbe, nel tempo, mutato
 natura e sarebbe divenuta parte integrante dello  stipendio,  e  come
 tale   andrebbe   necessariamente   ricompresa   nel   calcolo  della
 buonuscita.  E  cio'  come  risultato  di   un   processo   evolutivo
 sviluppatosi  attraverso significativi interventi del legislatore, il
 quale ha, dapprima, ricompreso l'I.I.S. nella base imponibile su  cui
 applicare  le aliquote dell'imposta sul reddito delle persone fisiche
 (art. 48 del d.P.R. n. 597/1973; art. 42  del  d.P.R.  n.  601/1973),
 indi l'ha annoverata tra gli elementi della retribuzione rilevanti ai
 fini  del  calcolo  dei contributi di previdenza e assistenza sociale
 (art. 22, secondo comma, della legge n. 160/1975).
    Detti  interventi  testimonierebbero,  secondo  i  ricorrenti,  un
 mutamento  radicale  dell'orientamento  legislativo, che risulterebbe
 espresso, piu' di recente, in particolare  dalla  legge  22  dicembre
 1980,  n.  885,  contenente  "norme  di  integrazione  e modifica del
 trattamento   economico,   fisso   ed   accessorio,   del   personale
 dell'Azienda  autonoma  della  ferrovie  dello  Stato", il cui art. 1
 prevede, al quarto comma, che  l'I.I.S.  spettante  al  personale  in
 servizio  e'  ridotta  di L. 90.152 ed inoltre, al settimo comma, che
 "la misura degli stipendi risultanti dall'applicazione  del  presente
 articolo  hanno  effetto  ..  sull'indennita'  di  buonuscita". Nello
 stesso  senso,  e  dunque  a  favore  dell'interpretazione  che  vede
 l'indennita'   integrativa   speciale  assumere  natura  retributiva,
 deporrebbero altre disposizioni entrate in vigore nello  stesso  anno
 1980  e  relative  ad  altre  categorie  di  dipendenti  pubblici  (i
 ricorrenti ricordano l'art. 3, secondo comma, della legge n. 299/1980
 secondo cui gli iscritti all'I.N.A.D.E.L.,  collocati  in  quiescenza
 dopo il 31 dicembre 1973 hanno diritto a vedersi computata nella base
 di  calcolo  del  premio  di  fine  rapporto l'indennita' integrativa
 speciale nella misura prevista dall'art. 1 della legge 31 marzo 1977,
 n. 91);
      2) violazione ed errata applicazione di legge  in  relazione  ai
 principi generali vigenti in materia.
    I  ricorrenti  sostengono che, alla luce delle disposizioni dianzi
 citate,  l'art.  1  della  legge  n.  885/1980  dovrebbe  addirittura
 intendersi  come  ricognizione dell'esistente, confermando un diritto
 alla inclusione dell'I.I.S. nei trattamenti  di  fine  rapporto,  che
 sarebbe   gia'  spettato  sulla  scorta  della  normativa  pregressa.
 Sussisterebbe  quindi,  in  tal  senso,  un  principio  generale  che
 l'O.P.A.F.S. avrebbe disatteso;
      3)  violazione  ed  errata  applicazione  di  legge in relazione
 all'art. 97 della Costituzione ed eccesso di potere per disparita' di
 trattamento e  ingiustizia  manifesta,  in  quanto,  in  alcuni  casi
 l'O.P.A.F.S.  avrebbe incluso nel calcolo del premio di fine rapporto
 anche l'I.I.S., sia pure nella ridotta  misura  imposta  dall'art.  1
 della legge 91/1977, con cio' denotando un atteggiamento non univoco,
 foriero  di  ingiustificate  disparita' di trattamento e contrastante
 col principio di imparzialita' della pubblica amministrazione;
      4) violazione ed errata applicazione di legge  in  relazione  al
 combinato disposto risultante dall'art. 1, secondo comma, della legge
 29  maggio  1982, n. 297 e dall'art. 1, quarto e settimo comma, della
 legge 22 dicembre 1980, n. 885.
    I ricorrenti osservano  che,  nei  loro  confronti,  non  andrebbe
 applicata  neppure  la  limitazione  di cui all'art. 1 della legge n.
 91/1977, secondo cui per  "tutte  le  forme  di  indennita'  di  fine
 rapporto  di  buonuscita  comunque  denominata  e  da qualsiasi fonte
 disciplinate   debbono   essere   esclusi   gli   ulteriori   aumenti
 dell'indennita'  di  contingenza  e  emolumenti aventi analoga natura
 scattati posteriormente al 31 gennaio  1977".  E  cio'  in  quanto  i
 rapporti  di  lavoro  erano  cessati  dopo il 30 maggio 1982, data di
 entrata in vigore della legge 29 maggio 1982, n. 297.
    Quest'ultima legge ha  infatti  abrogato  integralmente  l'art.  1
 della  legge  n.  91/1977  stabilendo  che,  ai  fini del calcolo dei
 trattamenti di fine rapporto la  retribuzione  annua  deve  contenere
 "tutte le somme .. corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a
 titolo  non occasionale con esclusione di quanto corrisposto a titolo
 di rimborso spese" (art. 1 della legge n. 297/1982 cit.).
    I  ricorrenti  ammettono  che  tale  disposizione   non   comporta
 l'integrale  ed  automatica  omogeneizzazione del trattamento di fine
 rapporto  degli  impiegati  del  settore  privatistico  e  di  quelli
 pubblici  (riguardo  ai quali l'art. 4, sesto comma, della legge cit.
 mantiene  ferma  la  disciplina  specifica);   osservano,   tuttavia,
 mutuando  un criterio sovente seguito dalla Corte Costituzionale (es.
 Corte costituzionale 13-18 novembre 1986, n.  236)  che  detta  legge
 estende  i  propri  benefici  anche  ai  pubblici  impiegati  poiche'
 sussisterebbe  "un  collegamento  con  la  normativa  riguardante   i
 dipendenti  privati in precedenza voluto e disposto dal legislatore".
 Collegamento, questo, che, nella specie, dovrebbe essere  individuato
 nella  legge  n.  885/1z980  con  la  quale, superando ogni diverso e
 precedente orientamento, il legislatore avrebbe trattato l'indennita'
 integrativa speciale corrisposta ai ferrovieri quale parte integrante
 dello  stipendio,  come  tale  utile  ai  fini  del   calcolo   della
 buonuscita.  In  virtu',  quindi, del combinato disposto degli art. 1
 legge  n.  885/1980  e  1  della  legge  n.  297/1982,  concludono  i
 ricorrenti,  l'I.I.S.  dovrebbe  essere  ricompresa nel calcolo delle
 somme loro spettanti a titolo di premio di fine rapporto.
    In via subordinata,  per  il  non  creduto  caso  si  ritenga  che
 l'I.I.S.  non  abbia  natura retributiva e, comunque, sia esclusa, in
 forza  della  normativa  vigente  dalla   base   contributiva   della
 buonuscita,   i  ricorrenti  sollevano  eccezione  di  illegittimita'
 costituzionale del combinato disposto risultante dagli art.  1  della
 legge  n.  885/1980 e 14 della legge n. 829/1973 con riferimento agli
 artt. 3, 36 e 38 della Costituzione.
    Tanto  in  considerazione  della  linea  di  tendenza  legislativa
 sviluppatasi negli ultimi decenni e diretta ad assorbire l'indennita'
 integrativa speciale nello stipendio; tendenza  che  ha  trovato  tra
 l'altro  recente  espressione  nella legge 17 settembre 1987, n. 494,
 che ha previsto il  conglobamento  dell'I.I.S.  nello  stipendio  del
 personale  universitario,  degli  enti  pubblici non economici, degli
 enti  locali  delle  aziende  ed  amministrazioni   dello   Stato   a
 ordinamento autonomo, del servizio sanitario nazionale della scuola.
    I  ricorrenti  rammentano  che la Corte costituzionale ha ritenuto
 che talune differenze nella disciplina  positiva  in  materia  vadano
 riguardate,  se  considerate  singolarmente,  come  espressione della
 discrezionalita' legislativa di disporre in ordine alle  modalita'  e
 alla  misura  dei  trattamenti  economici del personale; ma ha, pure,
 evidenziato come "appare ormai indilazionabile un intervento volto  a
 ricondurre  verso una disciplina omogenea i trattamenti di quiescenza
 nell'ambito  del   pubblico   impiego"   e   che   la   accentuazione
 frazionistica   attraverso   la   prosecuzione  dello  spezzettamento
 normativo "potrebbe condurre a valutazioni  globali  della  normativa
 che  sulla  base  dell'accentuazione  del carattere irrazionale delle
 singole componenti, imporrebbero una  valutazione  di  illegittimita'
 della  normativa complessiva" (Corte costituzionale 25 febbraio 1987,
 n. 220).
    Si e' costituita l'O.P.A.F.S. che, eccepita l'inammissibilita' del
 ricorso, ne sostiene, comunque, l'infondatezza in quanto la normativa
 specifica concernente il personale  delle  ferrovie  non  ricomprende
 l'I.I.S.  nella base di computo della buonuscita ed anche l'eccezione
 di incostituzionalita' dovrebbe disattendersi poiche'  manifestamente
 infondata,  tenuto  conto  della  discrezionalita'  del  legislatore,
 ribadita dalle piu' recenti pronunce della  Corte  costituzionale  su
 questioni analoghe tra cui quella relativa al calcolo dell'indennita'
 di buonuscita dei dipendenti statali.
                        MOTIVI DELLA DECISIONE
    I  ricorrenti  chiedono  venga  loro  riconosciuto  il  diritto al
 computo,  nell'indennita'  di  buonuscita  in  precedenza   liquidata
 dall'O.P.A.F.S.,    dell'indennita'   integrativa   speciale   e   la
 conseguente condanna  dell'Opera  previdenziale  al  pagamento  delle
 somme specificate nel ricorso.
    Si  tratta di indennita' di buonuscita relative a rapporti cessati
 in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge 17 maggio  1985,
 n.  210,  onde  al  riguardo  sussiste  la  giurisdizione del giudice
 amministrativo ordinario ai sensi dell'art. 6 della  legge  20  marzo
 1980,  n.  75 (che ha abrogato l'art. 44, terzo comma, della legge 14
 dicembre 1973, n. 829, relativo alla giurisdizione  della  Corte  dei
 conti  sui ricorsi contro provvedimenti definitivi dell'O.P.A.F.S. in
 materia di prestazioni obbligatorie).
    La previsione dell'art. 6 cit., a  seguito  della  trasformazione,
 operata  con  la  legge  n.  210/1985,  dell'Azienda autonoma in Ente
 ferrovie dello Stato e della conseguente privatizzazione del rapporto
 di lavoro dei ferrovieri, e' stata resa, invece,  inapplicabile,  per
 il  futuro, nei confronti di questi ultimi, con la conseguenza che le
 controversie   aventi   ad   oggetto   la   buonuscita    corrisposta
 dall'O.P.A.F.S.  a  dipendenti cessati dal servizio dopo l'entrata in
 vigore  della  menzionata  legge  n.  210/1985  sono  devolute   alla
 giurisdizione  del  giudice ordinario (ed alla competenza del pretore
 in funzione di giudice del lavoro:  vedasi  Cass.  ss.uu.  30  maggio
 1991,  n.  6161);  ma  i  diritti  di  cui  si discute sono, appunto,
 maturati sotto la previgente disciplina.
    Va conseguentemente disattesa  l'eccezione  preliminare  formulata
 dalla amministrazione resistente.
    Nel  merito,  il  ricorso si articola in una serie di motivi con i
 quali si argomenta, in vario modo e sotto profili di volta  in  volta
 diversi, la tesi principale dei ricorrenti - vale a dire quella della
 computabilita',  nella  base di calcolo della buonuscita, anche della
 indennita' integrativa speciale - ed in un motivo subordinato con  il
 quale  essi denunciano la ritenuta illegittimita' costituzionale, per
 contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, del  combinato
 disposto  risultante dagli artt. 1 della legge n. 885/1980 e 14 della
 legge n. 829/1973 ove preclusivi della possibilita' di computo  della
 I.I.S.
    Orbene  l'art. 14 della legge 14 dicembre 1973, n. 829, recante la
 riforma  dell'Opera  di  previdenza  a  favore  del  personale  delle
 ferrovie  dello  Stato, prevede che questa "corrisponde ai dipendenti
 stabili cessati dal servizio, a titolo di indennita'  di  buonuscita,
 la  somma  risultante  dal prodotto dei mesi di servizio utile per un
 dodicesimo dell'80 per cento del  totale  dell'ammontare  dell'ultimo
 stipendio  mensile,  dell'eventuale  assegno personale pensionabile e
 del compenso per ex combattenti".
    Il primo e anche il piu' radicale argomento addotto  a  fondamento
 del  ricorso  e'  quello  che  potrebbe  definirsi  del conglobamento
 dell'indennita' integrativa speciale nello stipendio.
    I ricorrenti prendono, bensi', le  mosse  dal  riconoscimento  del
 fatto  che  l'indennita' integrativa speciale non viene espressamente
 menzionata dall'art. 14 cit. e che, oltretutto,  essa  aveva,  quando
 venne  introdotta con legge 27 maggio 1959, n. 324, semplice funzione
 assistenziale e veniva espressamente dichiarata non computabile  agli
 effetti  del  trattamento di previdenza quiescenza e dell'imposizione
 tributaria. Ma, tanto debitamente premesso,  essi  giungono,  poi,  a
 sostenere,  attraverso  una ricognizione degli interventi legislativi
 che hanno  in  vario  modo  e  per  differenti  finalita'  riguardato
 l'istituto  dell'I.I.S.,  che  l'orientamento legislativo e', via via
 progressivamente ed ormai oggi radicalmente, mutato nel senso di  far
 assumere  all'indennita' integrativa speciale, a pieno titolo, natura
 retributiva, talche' essa dovrebbe riguardarsi come parte  integrante
 dello stipendio.
    La tesi non e' persuasiva.
    L'indennita' integrativa speciale, per quanto in origine nata come
 istituto   avulso  dai  sistemi  pensionistici  e  previdenziali,  ha
 indubbiamente  subito  una  qualche  evoluzione  finendo  per  essere
 sottoposta  alla  imposizione  diretta,  come  ogni  altro reddito di
 lavoro, dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, e  per  essere  inclusa
 nella  base  di  calcolo  dei  contributi  di previdenza e assistenza
 sociale dall'art. 22 della legge 3 giugno 1975, n. 160.
    L'equiparazione  della  indennita'   integrativa   speciale   alla
 retribuzione  realizzata da detta normativa e', peraltro, limitata ai
 fini espressamente previsti dalla stessa e  non  puo'  comportare  un
 effetto  di  abrogazione implicita delle disposizioni contenute nella
 legge n. 324/1959 che prelude espressamente la  computabilita'  della
 indennita'  stessa  agli  effetti  del  trattamento  di  previdenza e
 quiescenza. Il  trattamento  della  I.I.S.  ai  fini  impositivi  non
 autorizza a ritenere la stessa ricompresa pure tra gli elementi utili
 ai fini della liquidazione della buonuscita ed altrettanto e' a dirsi
 quanto  all'art.  22  della  legge  160/1975 il quale, come precisato
 dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 220 dell'11-25  febbraio
 1988,  dispone  unicamente  l'inclusione  dell'I.I.S.  nella  base di
 computo della retribuzione sulla quale vanno calcolati  i  contributi
 per   assegni  familiari  ed  il  testo  legislativo  in  cui  quella
 disposizione e' inserita non riguarda l'indennita' di buonuscita.  Le
 indicate   disposizioni   segnano  -  e'  vero  -  una  tendenza  del
 legislatore, ma tuttavia una tendenza non ancora del  tutto  univoca,
 considerato  che la preclusione del computo della I.I.S. agli effetti
 del trattamento di previdenza e quiescenza e' stata ripresa da  altre
 disposizioni,  quali quelle contenute nel d.P.R. 29 dicembre 1973, n.
 1032, per i dipendenti statali e nell'art. 2  della  legge  20  marzo
 1980, n. 75, che, nell'includere la tredicesima mensilita' nella base
 di  calcolo  della buonuscita, ha ribadito la esclusione dalla stessa
 delle indennita' non espressamente previste dalla legge come utili ai
 fini del trattamento previdenziale.
    Neppure puo' condividersi l'affermazione secondo la quale la legge
 22 dicembre 1980, n. 885, recante norme di  integrazione  e  modifica
 del  trattamento  economico, fisso ed accessorio, del personale della
 Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, denoterebbe un mutamento
 ormai radicale dell'orientamento legislativo la' dove (art. 1, quarto
 e settimo comma) prevede che una  parte  dell'indennita'  integrativa
 speciale,  pari  a circa novantamila lire mensili lorde, va inscritta
 nella base di calcolo, tra l'altro, dell'indennita' di buonuscita; in
 effetti tale importo, e solo esso, viene poi espressamente menzionato
 come stipendio: si ha, cioe', un parziale scorporo dell'I.I.S. che in
 quella misura viene fatto confluire nella diversa  voce  "stipendio".
 La  giurisprudenza  del  Consiglio di Stato ha sempre ritenuto che la
 norma di cui all'art. 1,  terzo  comma,  lett.  b),  della  legge  n.
 324/1959,  in  uno  con  la  natura previdenziale della indennita' di
 buonuscita,  escludesse  ai  fini   della   sua   determinazione   la
 computabilita'  dell'indennita' integrativa speciale, in applicazione
 delle norme del d.P.R. n. 1032/1973 o di altre analogamente impostate
 (cfr. ad es. Cons. Stato, sesta sezione 26 settembre  1985,  n.  475;
 id. 15 settembre 1986, n. 713 e 3 aprile 1985, n. 121).
    Per  le  stesse  ragioni  sinora  esposte  non  puo'  condividersi
 l'affermazione dei ricorrenti, contenuta nel secondo motivo,  secondo
 la  quale  la  disposizione  contenuta  nell'art.  1  della  legge n.
 885/1980  si  limiterebbe   in   realta'   alla   mera   ricognizione
 dell'esistenza   confermando  un  diritto,  che  gia'  sarebbe  stato
 attribuito dalla normativa preesistente,  all'inclusione  dell'I.I.S.
 nei  trattamenti  di fine rapporto; onde anche tale argomentazione va
 disattesa.
    I  ricorrenti  deducono  inoltre  che   il   comportamento   della
 O.P.A.F.S.   sarebbe   viziato   da  violazione  dell'art.  97  della
 Costituzione e da eccesso di potere per disparita' di trattamento  ed
 ingiustizia  manifesta  in considerazione del fatto che in altri casi
 l'Opera stessa avrebbe incluso nella base di calcolo  del  premio  di
 fine  rapporto  anche l'indennita' integrativa, sia pure nella misura
 ridotta prevista dall'art. 1 della legge 31 marzo 1977, n. 9. A  tale
 riguardo,  precisato  che  la controversia involge diritti soggettivi
 onde non si ravvisa la pertinenza di un tipo di censura quale  quella
 di  eccesso  di  potere  caratteristico  della  impugnazione  di atti
 autoritativi, deve osservarsi che eventuali  temporanee  oscillazioni
 interpretative   da   parte  della  amministrazione  non  influiscono
 sull'aspetto della spettanza o meno ai ricorrenti di quanto  da  essi
 preteso.
    Con il quarto motivo i ricorrenti rammentano che la cessazione del
 servizio  nella  specie  era  avvenuta dopo l'entrata in vigore della
 legge 29 maggio 1982, n. 297, che ha abrogato l'art. 1 della legge n.
 91/1977 stabilendo che ai fini del calcolo dei  trattamenti  di  fine
 rapporto,  la  retribuzione  annua  deve  contenere  tutte  le  somme
 corrisposte in  dipendenza  del  rapporto  di  lavoro  a  titolo  non
 occasionale.  I ricorrenti stessi riconoscono che la disposizione non
 comporta l'integrale ed automatica omogeneizzazione  del  trattamento
 di  fine  rapporto  dei  pubblici  impiegati  e di quelli del settore
 privatistico (stante il disposto  dell'art.  4,  sesto  comma,  della
 legge  n. 297/1982) ma affermano (invocando un criterio seguito dalla
 Corte costituzionale, ad  es.  con  la  sentenza  n.  236  del  13-18
 novembre  1986)  che non di meno, essa estenderebbe i propri benefici
 anche nei loro confronti in quanto sussisterebbe un collegamento  tra
 la normativa riguardante i pubblici dipendenti e quella riguardante i
 dipendenti privati. E tale collegamento essi ravvedono nella legge n.
 885/1980.  In  realta',  per le ragioni sopra esposte, l'art. 1 della
 legge n. 885/1980 non puo' essere  inteso  nel  senso  preferito  dai
 ricorrenti  onde l'esaminato motivo risulta fondato su un presupposto
 erroneo e va, quindi, anch'esso respinto.
    Risulta, a questo punto, rilevante il dubbio di  costituzionalita'
 prospettata  dagli  appellanti  relativamente  al  combinato disposto
 degli artt. 1 della legge n. 885/1980 e 14 della legge  n.  629/1973,
 con  riferimento  agli  artt. 3, 36 e 38 della Costituzione; senza la
 soluzione della relativa questione  in  un  senso  o  nell'altro  non
 sarebbe   infatti   possibile  la  decisione  della  controversia  in
 accoglimento   o   meno   della   domanda   di   corresponsione    di
 un'integrazione  della indennita' di buonuscita, liquidata computando
 nella relativa  base  di  calcolo  anche  la  indennita'  integrativa
 speciale.
    La  questione  viene  prospettata  dai  ricorrenti  in termini che
 riprendono argomentazioni gia' sottoposte alla Corte costituzionale e
 da questa disattese  (con  riferimento  alla  situazione,  del  tutto
 corrispondente, per quanto interessa, di dipendenti statali, regolata
 dal  d.P.R.  n.  1032/1973) con la sentenza 25 febbraio 1988, n. 220,
 dichiarativa della  inammissibilita'  della  questione  sollevata  in
 ragione   della  discrezionalita'  del  legislatore  in  ordine  alla
 determinazione della base retributiva utile ai fini  del  trattamento
 di  quiescenza,  in merito ai modi ed alla misura di tale trattamento
 ed all'ammontare delle prestazioni previdenziali.  A  tale  pronuncia
 hanno   fatto   seguito  varie  altre  dichiarative  della  manifesta
 inammissibilita' di questioni identiche o del tutto analoghe a quella
 allora decisa (cfr., in materia di trattamento di fine  rapporto  del
 personale  delle  Ferrovie  dello  Stato,  Corte  costituzionale 8-10
 giugno 1988, n. 641). Tuttavia, proprio nella menzionata sentenza  n.
 220/1988  la  Corte  costituzionale,  esercitando  una  funzione  che
 potrebbe definirsi sollecitatoria del  legislatore,  aveva  osservato
 che  "appare  ormai  indilazionabile un intervento volto a ricondurre
 verso  una  disciplina  omogenea,   i   trattamenti   di   quiescenza
 nell'ambito   del   pubblico   impiego"   e   che   la  accentuazione
 frazionistica  attraverso  la   prosecuzione   dello   spezzettamento
 normativo  "potrebbe  condurre  a valutazioni globali della normativa
 che sulla base della accentuazione del  carattere  irrazionale  delle
 singole  componenti  imporrebbero  una  valutazione di illegittimita'
 della  normativa  complessiva".  Di  qui  l'esigenza,  avvertita  dai
 ricorrenti, di riproporre la questione.
    Tale  questione,  ritenuta  gia'  non  manifestamente infondata in
 quegli identici termini nei quali era stata dichiarata inammissibile,
 e' stata nuovamente sottoposta alla Corte costituzionale, in una piu'
 approfondita prospettazione, volta ad evidenziare tutti  i  possibili
 punti  di  contrasto,  con  gli  artt. 3, 36 e 38 della Costituzione,
 delle norme (art. 1 della legge n. 324/1959 e 3, 37, 38 del d.P.R. n.
 1032/1973) che precludono il computo dell'I.I.S.  nel  calcolo  della
 buonuscita  dei  dipendenti statali, da parte del Consiglio di Stato,
 sezione sesta, con ordinanza 15 novembre 1991, n. 140. In  questa  il
 consiglio ha illustrato un duplice parallelo ordine di considerazioni
 che  inducono  a  dubitare  della  legittimita'  costituzionale delle
 previsioni  normative  sopra  richiamate.   Le   argomentazioni   del
 Consiglio  di  Stato,  che questo collegio pienamente condivide, sono
 perfettamente  trasferibili  con  riferimento  alla  questione  della
 computabilita'   della   I.I.S.  ai  fini  della  liquidazione  della
 buonuscita del personale delle Ferrovie dello Stato le cui posizioni,
 quanto all'aspetto che interessa, sono regolate  in  modo  del  tutto
 analogo a quelle dei dipendenti statali.
    Orbene,  il  primo percorso argomentativo seguito dal Consiglio di
 Stato prende le mosse dalla constatazione della sempre  piu'  marcata
 caratterizzazione   della   indennita'   integrativa  speciale  quale
 elemento  della  retribuzione   da   lavoro   subordinato   e   dalla
 considerazione  "che  la  retribuzione  globale  lorda e' comprensiva
 degli oneri tributari delle condizioni previdenziali e delle ritenute
 pensionistiche previste dalla legge,  cosicche'  il  suo  adeguamento
 alle variazioni del costo della vita, merce' l'indennita' integrativa
 speciale e le variazioni di essa via via succedutesi, non puo' essere
 stato  in  misura  completa in difetto dell'estensione alla stessa di
 tali oneri, contribuzioni e ritenute. Cio'  vuol  dire,  supposta  la
 retribuzione  globale lorda come conforme alla prescrizione dell'art.
 36,  primo  comma,  della  Costituzione,  che  la  stessa   viene   a
 discostarsi  da  tali prescrizioni (proporzionalita' della qualita' e
 quantita'  del  lavoro  prestato  e  sufficienza  alla  garanzia   di
 un'esistenza libera e dignitosa) di tanto quanto oneri, contribuzioni
 e  ritenute  non  si estendono alla sua interezza e quindi anche alla
 indennita' integrativa speciale,  almeno  nella  misura  in  cui  gli
 stessi   ne   comportino   una   maggiorazione   essendo   a   carico
 dell'amministrazione".
    Si osserva quindi che il descritto  effetto  deficitario  rispetto
 alle  prescrizioni  costituzionali  deriva  dall'art. 1, terzo comma,
 lett.  c),  della  legge  27  maggio  1959,  n.  324,   che   sottrae
 l'indennita'  integrativa  speciale  ad  ogni ritenuta e quindi anche
 alla contribuzione obbligatoria  prevista,  nel  caso  del  personale
 delle  Ferrovie  dello  Stato,  dall'art.  36 della legge 14 dicembre
 1973, n. 829.
    Il decremento, constata ancora il Consiglio di Stato, "risulta con
 tanta  maggior  evidenza  per  la  considerazione peggiorativa che le
 ritenute onerose per il lavoratore, quali quelle tributarie e  quelle
 pensionistiche,   sono  state  elise  dall'esenzione  originaria  per
 effetto del d.P.R. 29 settembre 1973 n.  597,  quella  tributaria,  e
 dall'art.  13, primo comma, n. 5, della legge 29 aprile 1976, n. 176,
 quella pensionistica".
    Si condivide quindi l'affermazione secondo cui per quel  tanto  di
 cui  l'indennita'  integrativa  speciale  non  e'  consentito che sia
 maggiorata  a   carico   dell'amministrazione   della   contribuzione
 previdenziale  gli  artt.  1,  terzo  comma, lett. c), della legge 27
 maggio 1959, n. 324, come sostituito dall'art. 1, primo  comma  della
 legge 3 marzo 1960, n. 185, nonche', per quanto concerne i dipendenti
 dell'Ente  Ferrovie  dello  Stato,  l'art. 36 della legge 14 dicembre
 1973, n. 829, sembrano in contrasto con l'art. 36, primo comma, della
 Costituzione nonche', in considerazione della  proiezione  riduttiva,
 da  cio'  provocata,  della  retribuzione  globale  nella  misura del
 trattamento di fine servizio, col successivo art. 38, secondo comma.
    Un secondo ordine di considerazioni - ampiamente sviluppato  nella
 motivazione  della  richiamata  ordinanza  della  sesta  sezione  del
 Consiglio  di  Stato  n.  140/91  -  induce  a  dubitare,  anche  con
 riferimento  al  principio  di  uguaglianza e ragionevolezza espresso
 dall'art. 3 della  Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale
 delle  norme ostative al computo dell'indennita' integrativa speciale
 nel calcolo dell'indennita' di  buonuscita.  Come  si  crede  risulti
 dimostrate   sulla   base   delle   considerazioni   che   precedono,
 l'indennita' integrativa speciale e' sostanzialmente  una  componente
 della  retribuzione  dei  pubblici  dipendenti, al punto di non poter
 essere esclusa legittimamente dalla contribuzione previdenziale senza
 ledere principi costituzionali. Ne deriva che le norme di  legge  che
 la  riguardano  e che ai fini del calcolo della buonuscita prendono a
 riferimento una misura della retribuzione che non comprende l'I.I.S.,
 norme che sono mantenute in vigore dalla disposizione del sesto comma
 dell'art. 1 della legge 29 maggio 1982, n. 297, il cui  primo  comma,
 sostitutivo  del  testo  dell'art. 2120 del codice civile, comprende,
 invece, nella definizione  della  retribuzione  "tutte  le  somme  ..
 corrisposte  in  dipendenza  del  rapporto  di  lavoro,  a titolo non
 occasionale" determinano una disparita' di trattamento, in  contrasto
 con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione,
 per  situazioni  identiche o corrispondenti, posto che la definizione
 della retribuzione contenuta  nell'art.  2120  del  cod.  civ.  viene
 assunta,  dal  quarto comma dell'art. 1 della legge n. 297/1982 cit.,
 come valevole "per tutti i rapporti di lavoro subordinato per i quali
 siano previste forme di indennita' di anzianita', di fine lavoro,  di
 buonuscita   comunque  denominate  e  da  qualsiasi  fonte  regolate"
 eccettuati solo, appunto, quelli dei dipendenti  pubblici,  ai  sensi
 del successivo, menzionato sesto comma.
    Disparita'  di  trattamento,  quella  evidenziata,  che  non  puo'
 trovare giustificazione nel ritenuto  carattere  previdenziale  della
 indennita'  di  buonuscita, che non pare costituire adeguato elemento
 di differenziazione poiche' la previdenza altro non e' che  lo  scopo
 di  tutti  i  trattamenti di fine servizio, i quali si sostanziano in
 retribuzione, non  tanto  differita,  quanto  accantonata  presso  lo
 stesso datore di lavoro o in appositi fondi preordinati alla relativa
 erogazione.
    Disparita' di trattamento sussistono, del resto, anche all'interno
 dell'ambito  (del  pubblico  impiego; basti pensare al trattamento di
 fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti locali, ai cui  fini
 l'art.  3  della  legge  7  luglio  1980,  n.  299, ha assoggettato a
 contribuzione previdenziale  ed  ha  compreso  nel  calcolo  relativo
 l'indennita' integrativa speciale.
    Non  puo'  dirsi, dunque, manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, terzo comma,  lettere  b)  e
 c),  della  legge  27  maggio  1959,  n.  324,  nel  testo sostituito
 dall'art. 1, primo comma, della legge 3 marzo 1960, n. 185,  e  degli
 artt.  14  legge  11 dicembre 1973, n. 829, e 1, settimo comma, della
 legge 22 dicembre 1980, n. 885, in riferimento agli artt. 3, 36 e  38
 della Costituzione.
    Deve quindi sospendersi il giudizio disponendo per la trasmissione
 degli  atti  alla  Corte  costituzionale  affinche' si pronunci sulla
 questione.
                               P. Q. M.
    Respinge i motivi da 1 a 4 del ricorso  e,  sospeso  il  giudizio,
 dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale
 per  la  risoluzione  della  questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1, terzo comma, lettere b) e c) della legge 27 maggio 1959,
 n. 324, nel testo sostituito dall'art. 1, primo comma, della legge  3
 marzo 1960, n. 185, nonche' dell'art. 14, primo comma, della legge 14
 dicembre  1973,  n.  829 e dell'art. 1, settimo comma, della legge 22
 dicembre 1980, n. 885, in relazione agli artt. 3, 36, primo comma,  e
 38,  secondo  comma,  della  Costituzione  e  sospende il giudizio in
 corso;
    Ordina che a cura  della  segreteria  la  presente  pronuncia  sia
 notificata  alle  parti in causa ed alla presidenza del Consiglio dei
 Ministri nonche' comunicata ai presidenti della Camera dei deputati e
 del Senato della Repubblica.
    Cosi' deliberato in Torino nella camera di consiglio del 9  luglio
 1992.
                     Il presidente: GOMEZ DE AYALA
    Il consigliere: MONTINI
                          Il primo referendario, estensore: LA GUARDIA
 93C1003