N. 598 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 1993

                                N. 598
   Ordinanza emessa l'11 marzo 1993 dalla corte d'appello di Bologna
   nel procedimento penale a carico di Carnovale Salvatore ed altri
 Processo penale - Azione civile - Condanna ad una provvisionale -
    Appello - Prevista  possibilita'  di  sospensione  dell'esecuzione
    solo  in caso di grave irreparabile danno - Irrazionale disparita'
    di trattamento rispetto ad una condana di  risarcimento  esaustiva
    immediatamente   esecutiva   impugnabile   senza  limiti,  nonche'
    rispetto alle previsioni  del  codice  di  procedura  civile  come
    aggiornato nel 1990.
 (C.P.P. 1988, art. 600, terzo comma).
 (Cost., art. 3).
(GU n.41 del 6-10-1993 )
                          LA CORTE DI APPELLO
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento penale
 contro:
      1) Carnovale Salvatore, nato a Nicastro (Catanzaro) il 21 giugno
 1933, residente a Carpi (Modena), via Mengoni n. 3;
      2) Carnovale Patrizia, nata a Bologna il 6  dicembre  1955,  ivi
 residente, in via Casaglia n. 34/8›;
      3)  Carnovale  Antonella,  nata  a  Bologna il 7 marzo 1962, ivi
 residente, in via Casaglia n. 34/8›;
      4) Tusa Maurizio, nato a Palermo il 17 ottobre 1957, residente a
 Bologna, via Casaglia n. 34/8›;
      5) Innesto Giovanni, nato a Taranto il 26 agosto 1935, residente
 a Bologna, via A. Stoppato n. 35;
      6) Farina Giorgio, nato a Ferrara il 27 luglio  1947,  residente
 ad Argelato, via Stagni n. 3;
 imputati;
    Carnovale Salvatore, Carnovale Patrizia, Carnovale Antonella, Tusa
 Maurizio e Farina Giorgio:
       A)  del  reato p. e p. dagli artt. 110 e 513 del c.p. e 81 cpv,
 del c.p. perche' in concorso tra loro e con piu' azioni esecutive  di
 un  medesimo  disegno  criminoso  il Carnovale in qualita' di soci di
 maggioranza - direttamente e tramite partecipazioni  azionarie  nella
 societa'  controllante  Sodibo  S.p.a.  detentrice di oltre il 99% di
 azioni  della  controllata  -  della  Donini   International   S.p.a.
 (esercente  attivita'  di  produzione di macchine lavatrici e simili,
 Carnovale Salvatore in qualita' altresi' di membro del  consiglio  di
 amministrazione   della   Donini;  Tusa  Maurizio  e  Farina  Giorgio
 rispettivamente nella qualita' del Presidente e consigliere  delegato
 della Supermatic S.r.l. si avvalevano di mezzi fraudolenti consistiti
 nell'appropriarsi  di  una  fusione  di  alluminio  (precisamente  il
 supporto del cestino dell'oblo') nonche'  di  disegni  tecnici  della
 Donini  S.P.R.  sui  quali  veniva  cancellato  il  marchio  Donini e
 sostituito con quello  Supermatic,  per  utilizzarli  ai  fini  della
 produzione  di  quest'ultima  societa'  direttamente  o  a  mezzo  di
 artigiani  terzisti,  con  cio'  arrecando  turbativa  nell'esercizio
 dell'attivita'  dell'industria della menzionata Donini, deviando alla
 Supermatic S.r.l. tecnologia della prima.
    In Sala Bolognese nel novembre 1989.
    Carnovale Patrizia, Carnovale Salvatore, Carnovale Antonella, Fusa
 Maurizio, Farina Giorgio e Innesto Giovanni:
       B) del delitto p. e p. dagli artt. 110 e 513 del c.p. e 81 cpv,
 del c.p. perche' in concorso tra loro e con piu' azioni esecutive  di
 un  medesimo  disegno criminoso, i Carnovale nella qualita' di cui al
 capo A) di imputazione,  Tusa  Maurizio,  Farina  Giorgio  e  Innesto
 Giovanni  in  qualita'  rispettivamente  il primo di presidente e gli
 altri due di consiglieri delegati  della  Multimax  S.r.l.  (Societa'
 costituita nel luglio 1989 a seguito di mutamento della denominazione
 sociale   della   Supermatic  S.r.l.)  adoperando  mezzi  fraudolenti
 consistiti nel  riprodurre  con  identiche  caratteristiche  tecniche
 materiali  di  montaggio  delle lavatrici Donini e nell'utilizzare ai
 fini della produzione  della  Multimax  disegni  tecnici  Donini  che
 venivano  all'uopo  fotocopiati  e  sui  quali l'Innesto provvedeva a
 cancellare il marchio Donini per apporvi quello Multimax, nonche' nel
 diffondere tra gli operatori del settore la opinione che la  Multimax
 facesse  capo  alla  Donini,  turbavano  l'esercizio  della attivita'
 dell'industria  di  quest'ultima  societa',  deviando  alla  Multimax
 tecnologia  della  stessa e stornando clientela Donini alla Multimax.
 In Sala Bolognese fino al dicembre 1990;
       C) del delitto p. e p. dagli artt. 646, 61, n. 2, e 11,  110  e
 81 cpv, del c.p. perche' i Carnovale in qualita' di soci della Donini
 International  S.p.a.  come  specificato  al  capo A) di imputazione,
 quindi con  abuso  di  relazioni  di  autorita'  rappresentate  dalla
 detenzione  di quote azionarie di maggioranza nella suddetta impresa,
 in concorso tra loro e con il Tusa, il Farina e  l'Innesto  -  questi
 ultimi  consapevoli  del  ruolo  dei  primi  presso  la  Donini - per
 provocare a se' e ad altri un  ingiusto  profitto,  con  piu'  azioni
 esecutive  di  un  medesimo  disegno criminoso si appropriavano della
 fusione di alluminio di cui al capo A) di imputazione e  dei  disegni
 tecnici di cui ai capi A) e B) di imputazione.
    Con   l'aggravante   altresi'  di  avere  commesso  il  fatto  per
 commettere i delitti di cui ai capi A) e B).
    In Sala Bolognese fino al dicembre 1990;
       D) del reato p. e p. dagli artt. 110 e 513 del c.p. perche'  in
 concorso  tra  loro  i  Carnovale  in qualita' di soci di maggioranza
 direttamente  e  tramite  partecipazione  azionarie  nella   societa'
 controllante  Sodibo  S.p.a.,  detentrice  di  oltre il 99% di azioni
 della controllata  -  della  Donini  S.p.a.  esercente  attivita'  di
 produzione  di  macchine  lavatrici e simili - Carnovale Salvatore in
 qualita' altresi' di membro del consiglio  di  amministrazione  della
 Donini,  Tusa Maurizio, Farina Giorgio e Innesto Giovanni in qualita'
 rispettivamente il primo di presidente e gli altri due di consiglieri
 delegati  della  Multimax  S.r.l.   adoperavano   mezzi   fraudolenti
 consistiti  nel riprodurre con identiche caratteristiche materiali di
 montaggio delle lavatrici Donini (o in particolare la maniglia  e  la
 cerniera  dell'oblo',  la sinbologia della maggior parte dei pulsanti
 del  quadro  elettrico  e  consistiti  nell'utilizzare  ai fini della
 produzione Multimax disegni tecnici Donini all'uopo fotocopiato e sui
 quali l'Innesto provvedeva a cancellare il marchio Donini per apporvi
 il  marchio  Multimax,  agendo  in  tal  modo  al  fine  di   turbare
 l'esercizio delle attivita' di industria del Donini.
    Fatto commesso in data antecedente e prossima al marzo 1990.
    In Sala Bolognese, accertato nel novembre 1991 in Rubiera.
    Il giudizio di primo grado si e' concluso con la sentenza del pre-
 tore  di  Bologna  del  28  novembre  1992  il  cui dispositivo e' il
 seguente:
    Visti gli artt. 533, 535 del c.p.p., dichiara Carnovale Salvatore,
 Carnovale  Patrizia,  Carnovale  Antonella,  Tusa  Maurizio,  Innesto
 Giovanni e Farina Giorgio colpevoli dei reati ascrittigli e, ritenuta
 la  continuazione  e  concesse  le  attenuanti generiche equivalenti,
 condanna alla pena di anni uno di reclusione e L. 1.500.000 di  multa
 Carnovale Salvatore; a mesi sei di reclusione e L. 1.000.000 di multa
 tutti  gli altri imputati, oltre al pagamento delle spese processuali
 e tassa di sentenza.  Pena  sospesa  per  Carnovale  Salvatore,  pena
 sospesa e non menzione per gli altri;
    Visto l'art. 538 e segg. del c.p.p. condanna altresi' gli imputati
 al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio, nonche'
 alla  fusione  delle  spese  di  costituzione e difesa a favore della
 parte civile che liquida in complessive L.  10.000.000  per  ciascuna
 parte civile;
    Visto  l'art.  540 del c.p.p. concede alle stesse parti civili una
 provvisionale immediatamente esecutiva di  L.  300.000.000  per  Sara
 Possenti  e  L.  200.000.000  per  ciascuna delle altri parti civili.
 Avverso la predetta sentenza hanno interposto  appello  gli  imputati
 chiedendone  la riforma sia in relazione alla pretesa punitiva sia in
 relazione alle domande risarcitorie delle parti civili.  Gli imputati
 Carnovale Salvatore, Carnovale Patrizia, Carnovale Antonella  e  Tusa
 Maurizio  hanno, inoltre, chiesto a questa corte di procedere in cam-
 era di consiglio e di pronunciare a norma dell'art.   600, secondo  e
 terzo   comma,  del  c.p.p.  la  revoca  della  provvisionale,  o  in
 subordine, la sospensione della  provvisoria  esecuzione  della  loro
 condanna al pagamento di essa e cio' in base ad un affermato grave ed
 irreparabile  danno  su  di  loro  incombente.    Le parti sono state
 sentite nella camera di consiglio dell'11 marzo 1993.   Gli  imputati
 hanno  insistito  per  l'accoglimento delle loro richieste.  Le parti
 civili hanno  eccepito  che  non  corrisponde  a  nessuna  previsione
 normativa  l'istanza  di  revoca  in  questa  sede  della condanna al
 pagamento di una provvisionale.
    L'eccezione e' fondata.
    Nel caso in esame gli imputati appellanti,  come  e'  evidente  ed
 incontroverso,  sono  stati condannati in primo grado al pagamento in
 favore delle parti civili  solo  di  provvisionali.    L'esecutivita'
 immediata  di  questo  tipo di condanna, pur appellabile, e' prevista
 dal secondo comma dell'art. 540  del  c.p.p.  e  con  tale  norma  e'
 concatenata  quella  del  terzo  comma  dell'art. 600 del c.p.p., che
 prevede, appunto, in relazione a quella  esecutivita',  derivante  da
 una  disposizione  di  legge,  solo  la possibilita' della sospensiva
 disposta con ordinanza in camera di consiglio dal giudice di appello.
 Il secondo comma dello stesso art. 600, ove si menziona la revoca, si
 riferisce al solo caso di sentenze con  clausola  esecutiva  concessa
 dal  giudice  di  primo grado a norma del primo comma dell'art. 540 e
 quella revoca, del resto, non riguarda, come  e'  chiaro  secondo  la
 lettera  della  norma  e  come  non  potrebbe  altrimenti  essere, la
 condanna  in  se'  stessa  bensi'  solo  la  provvisoria  esecuzione.
 L'istanza  di  revoca,  da  pronunciare con ordinanza camerale, della
 condanna al pagamento  di  provvisionali,  proposta  dagli  imputati,
 risulta,  quindi,  inammissibile.    Circa la subordinata istanza dei
 predetti  di  sospensione  della  provvisoria  esecuzione  di  quella
 condanna,  le  parti civili hanno dedotto che non vi e' prova di quel
 grave e irreparabile danno,  che  solo  consentirebbe  l'accoglimento
 dell'istanza  stessa, secondo la previsione del terzo comma dell'art.
 600 del c.p.p.  Gli imputati hanno affermato  di  avere  gia'  pagato
 alle   parti   civili  L.  500.000.000,  ma  di  trovarsi  in  "grave
 difficolta'" nel reperire le ulteriori L. 400.000.000 necessarie  per
 completare  il  pagamento nell'ammontare della condanna provvisionale
 che e', appunto, di complessive L. 900.000.000.  Essi hanno precisato
 che dovrebbero "svendere il proprio patrimonio immobiliare".
    Invero, queste mere affermazioni, e tale e' rimasta  anche  quella
 riguardante  il dovere svendere, non fanno emergere la prospettiva di
 un  danno  grave  ed  irreparabile.      In   se'   l'entita'   delle
 provvisionali,   in   relazione   alle   capacita'  economiche  degli
 obbligati, quali sono  implicite  nelle  loro  affermazioni,  non  e'
 sufficiente  perche'  il  danno  sia  definibile  grave e soprattutto
 nessun fatto concreto e sicuro gli obbligati  medesimi  hanno  potuto
 addurre  a dimostrazione dell'irreparabilita' delle conseguenze che a
 loro porterebbe il completo pagamento: a tutto concedere, essi  hanno
 dimostrato  solo che l'adempimento dell'obbligazione, derivante dalla
 condanna, impone loro un'ovvia diminuzione patrimoniale ma non  hanno
 affatto  dimostrato  che  tale  diminuzione  non abbia prospettiva di
 ristoro per una qualche ragione.  E' chiaro, alla stregua  di  quanto
 detto,  che  anche  la  decisione sull'istanza di sospensiva dovrebbe
 essere negativa.  Del resto, le stesse parti istanti hanno sviluppato
 poco gli argomenti pertinenti a questa  richiesta,  dipendente  dalla
 dimostrazione  del  danno grave ed irreparabile, ed hanno soprattutto
 criticato la sentenza, alla quale hanno attribuito molteplici errori,
 che ne dovrebbero determinare  la  riforma  sia  per  le  statuizioni
 penali  che  per quelle civili.  Con riferimento a queste hanno anche
 ampiamente lamentato come il pretore poco o nulla si sia curato della
 prova del danno protestato dalle parti  civili  e  dell'ammontare  di
 esso  e  come  esplicitamente  abbia  dichiarato  di  considerare  la
 condanna risarcitoria complemento della sanzione penale, in se'  poco
 afflittiva.
    Si  deve osservare che gli anzidetti argomenti degli imputati, che
 restano ininfluenti rispetto  ad  una  norma,  che  pone  come  unico
 presupposto  della  sospensione  della  immediata  esecutivita' della
 condanna  appellabile  la  prospettiva   di   un   danno   grave   ed
 irreparabile,  avrebbero  sicura rilevanza nel caso di applicabilita'
 della diversa disciplina che  il  secondo  comma  dell'art.  600  del
 c.p.p.  da'  di  una  materia  analoga.    Questa  norma  va posta in
 relazione col primo comma  dell'art.  540  e  se  ne  ricava  che  la
 condanna  alle  restituzioni  o al risarcimento del danno puo' essere
 dichiarata provvisoriamente esecutiva a richiesta della parte  civile
 "per  giustificati motivi" dal giudice di primo grado e che, ove cio'
 avvenga, il giudice di appello ad istanza del responsabile  civile  e
 dell'imputato  con  ordinanza  in camera di consiglio puo' revocare o
 sospendere la provvisoria esecuzione.
    La norma, che stabilisce questa possibilita', non ne  determina  i
 presupposti,  cosicche'  la parte richiedente puo' portare allo esame
 del giudice di secondo grado ogni argomento idoneo a  determinare  la
 decisione  ed  anche,  quindi,  l'affermata  esistenza  di  gravi  ed
 evidenti  errori  o  carenze  di  motivazione  della  condanna.    Si
 manifesta, dunque, una sostanziale disparita' di trattamento circa la
 possibilita'   di   ottenere  la  sospensione  della  provvisoria  (o
 immediata) esecuzione a seconda che questa si riferisca alla condanna
 al pagamento di una provvisionale sul danno o alla condanna esaustiva
 della  domanda  risarcitoria.    In  questa  disparita'   riceve   un
 trattamento   deteriore   il   condannato   al   pagamento   di   una
 provvisionale,  la  cui  possibilita'  di  avere  la  sospensione  e'
 limitata al ristrettissimo ambito dell'incombere di un danno grave ed
 irreparabile.    C'e' da chiedersi se si tratti di una disparita' che
 derivi da una scelta legislativa motivata  e  nella  quale  si  possa
 individuare un disegno razionale.  A monte della rilevante disparita'
 ve  n'e'  un  altra,  alla  quale  si  e' gia' accennato, relativa al
 trattamento che nei due commi dell'art. 540 del c.p.p. hanno,  quanto
 a  provvisoria  (o  immediata)  esecuzione,  la condanna esaustiva al
 risarcimento del danno e quella al pagamento  di  una  provvisionale.
 La  prima  si  e'  visto  che puo' essere dichiarata provvisoriamente
 esecutiva dal giudice sulla base di giustificati motivi e ad  istanza
 di  parte  mentre la seconda e' sempre "immediatamente esecutiva" per
 disposto di legge.  Anche per questa disparita' c'e' da chiedersi  se
 abbia  un fondamento razionale.  Nella ricerca di una risposta riesce
 utile ampliare la considerazione dei dati normativi  e  puo'  servire
 anche  rilevare  che  nessuna  delle norme del nuovo c.p.p., che sono
 state menzionate, e' ricompresa fra quelle  applicabili,  secondo  le
 disposizioni  transitorie,  ai  processi  che  proseguono  secondo il
 c.p.p.  del  1930  e  cio'  nonostante   che   non   si   riscontrino
 incompatibilita'  evidenti.   Da cio' deriva che coesistono, sia pure
 applicabili in processi diversi, norme profondamente dissimili  circa
 l'esecutivita'   delle   pronunce   sull'azione   civile  riparatoria
 esercitata nel processo penale.
    Il nuovo codice segna, infatti, una profonda innovazione anche  in
 questa  materia.  Si  tratta,  pero', di una innovazone non legata al
 diverso complessivo disegno  del  processo  penale  bensi'  a  scelte
 specifiche,  che  nella  loro  espressione  normativa, tuttavia, sono
 state condizionate da  talune  caratterizzazioni  della  legislazione
 precedente.    Nel  codice  del  1930  non  era  neppure  prevista la
 possibilita'   della   provvisoria   esecutivita'   della    sentenza
 appellabile  nei capi riguardanti l'azione civile.  Solo con la legge
 15 dicembre 1972, n. 773, fu aggiunto l'art.  489- bis  e  introdotta
 la  possibilita'  di declaratoria su istanza della parte civile della
 provvisoria esecutivita' del capo della sentenza di condanna di primo
 grado contenente l'assegnazione di una provvisionale.
    In quel codice, a differenza,  come  meglio  si  vedra',  che  nel
 nuovo,  non era regolato il presupposto della assegnazione alla parte
 civile  di  una  provvisionale  nel  caso  di  condanna  generica  al
 risarcimento  dei danni e con l'art. 489- bis non fu neppure regolato
 il  presupposto  della  concessione,  ad  istanza  di  parte,   della
 provvisoria  esecutivita'.    Quello stesso articolo stabili' che con
 decisione  in  camera  di consiglio il giudice di appello potesse, se
 richiesto, revocare la concessione  della  provvisoria  esecuzione  o
 sospendere  l'esecuzione  iniziata.  Come  per  la  concessione della
 provvisoria esecuzione cosi' anche per la revoca o per la sospensione
 non furono determinati i presupporti, rimessi quindi all'elaborazione
 giurisprudenziale, che poteva individuarne  i  piu'  svariati.    Pur
 senza  ricostruire  precedenti  situazioni  normative, si puo' ancora
 rilevare che le norme degli artt. 489 e 489- bis del  vecchio  codice
 di  procedura  penale  sono  coesistite  con  quelle  del  codice  di
 procedura civile approvato  nel  1940,  regolanti  la  corrispondente
 materia.  Ci  si  riferisce  agli  artt.  278  (condanna  generica  e
 provvisionale), 282  (esecuzione  provvisoria),  283  (concessione  e
 revoca  della provvisoria esecuzione in appello) e 351 (provvedimenti
 sull'esecuzione provvisoria) nonche' 373 (sospensione dell'esecuzione
 della sentenza di appello).  Le coesistenti norme in esame dei codici
 dei due riti manifestano anch'esse notevoli differenze, in gran parte
 non giustificabili dal fatto  specifico  che  quelle  del  codice  di
 procedura  penale  riguardano  l'azione civile innestata nel processo
 penale,  essendovi,  comunque,  nel  c.p.p.  una  diversa  disciplina
 dell'esecutivita'  delle  pronuncie  sull'azione  civile  e di quelle
 sull'azione  penale.    Nel  rito  civile  e'   stata   prevista   la
 concedibilita' ad istanza di parte della provvisoria esecuzione con o
 senza  cauzione  delle  sentenze  appellabili sia per la certezza del
 titolo posto a fondamento  della  domanda  sia  per  l'esistenza  del
 pericolo nel ritardo.
    Nello stesso rito e' stata prevista la possibilita' di condanna al
 pagamento  di  una  provvisionale "nei limiti della quantita' per cui
 (il giudice) ritiene gia' raggiunta la  prova"  ed  e'  previsto  che
 sempre  ad istanza della parte, che ha richiesto questa condanna, sia
 concessa la provvisoria esecuzione di essa "tranne  quando  ricorrono
 particolari  motivi  per rifiutarla".   Ancora nello stesso codice e'
 prevista la possibilita' di un  riesame  ad  istanza  di  parte,  nel
 giudizio  di appello, anticipato rispetto alla decisione del gravame,
 ai fini della revoca della provvisoria esecuzione o della sospensione
 della esecuzione iniziata.  Nel codice di procedura civile  del  1940
 con  la  legge 11 agosto 1973, n. 533, sono stati novellati gli artt.
 431 e 447, stabilendo la provvisoria esecutivita' delle  sentenze  di
 condanna   per   crediti   del  lavoratore  e  di  quelle  emesse  in
 controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie.  Gli
 articoli novellati  prevedono  la  possibilita'  che  il  giudice  di
 appello  con  ordinanza  sospenda  "l'esecuzione" quando dalla stessa
 possa  derivare  all'esecutato  gravissimo  danno.     Nel   panorama
 normativo  vanno  inserite le modifiche al codice di procedura civile
 apportate con la legge 26 novembre 1990, n. 535,  tra  le  quali  qui
 particolarmente  interessano  quelle  degli  artt. 282 e 283 di detto
 codice.  Il nuovo testo dell'art. 282 e': "La sentenza di primo grado
 e'  provvisoriamente  esecutiva  tra  le  parti".    Il  nuovo  testo
 dell'art.  283  e':  "Il  giudice  di  appello  su  istanza di parte,
 proposta con l'impugnazione  principale  e  con  quella  incidentale,
 quando   ricorrano  gravi  motivi,  sospende  in  tutto  o  in  parte
 l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata".
    Questi due articoli sono entrati in vigore dal 2 gennaio 1993, sia
 pure risultando ancora applicabili solo  alle  cause  introdotte  non
 prima di tale data (cosi' per effetto della legge 4 dicembre 1992, n.
 477).    Il  panorama  tracciato  mette  in evidenza come attualmente
 coesistano  nell'ordinamento quattro complessi di norme (cinque se si
 include anche quello relativo alle cause in materia di  lavoro  e  di
 previdenza)  relativi  ad  analoga  materia  ma ognuno notevolmente o
 radicalmente diverso dall'altro.
    Si e' gia' detto che non sono rilevabili  specifiche  ragioni  per
 cui le decisioni appellabili emesse in relazione ad una azione civile
 debbano   avere   trattamento   diverso,   quanto   alla  provvisoria
 esecutivita', se  emessa  in  un  processo  civile  o  se  emesse  in
 connessione  con  un  processo penale.   In particolare una specifica
 ragione non sembra si possa individuare  nel  fatto  che  le  pretese
 civilistiche   azionabili  nel  processo  penale  siano  relative  al
 risarcimento di danni prodotti da un  illecito  costituente  reato  a
 restituzioni.  Si  tratta di pretese comunque azionabili col processo
 civile, ove non ricevono una disciplina differenziata.  In ogni  caso
 l'oggetto  specifico  della  pretesa  civile, azionabile nel processo
 penale, non ha comportato valutazioni univoche in  sede  legislativa,
 tant'e'  vero  che  nel  codice  di  procedura penale del 1930 non e'
 neppure  prevista,  come  gia'  ricordato,  la  possibilita'  che  la
 pronuncia   appellabile  di  accoglimento  di  quella  pretesa  abbia
 provvisoria  esecutivita'  mentre  questa   possibilita'   e'   stata
 introdotta  nel  codice  del  1988  in  relazione  alla  esistenza di
 "giustificati motivi".
    Anche il legislatore del 1988 non ha ritenuto, comunque,  di  fare
 della  immediata  esecutivita' la regola.  Si puo', invece, osservare
 che quel legislatore aveva reso piu' omogeneo  il  trattamento  della
 pronuncia  sull'azione  civile  emessa nel processo penale rispetto a
 quello previsto dal codice di procedura civile, la cui previsione  in
 allora  era  solo di possibilita' della concessione della provvisoria
 esecuzione della sentenza appellabile sulla base della  esistenza  di
 "pericolo  nel ritardo".   A ripristinare un divario netto ed inverso
 tra i due codici di rito, ben oltre quello  derivante  dalla  diversa
 portata delle formule "giustificati motivi" e "pericolo nel ritardo",
 ha provveduto nel 1990 il riformatore del codice di procedura civile,
 che  ha  introdotto  come  regola  la  provvisoria esecutivita' delle
 sentenze civili appellabili,  regola  gia'  applicabile  nei  giudizi
 iniziati  dopo  il  2  gennaio 1993 e che dal 2 gennaio 1994 dovrebbe
 estendersi  anche  ai  giudizi  anteriormente  iniziati.    Anche  su
 un'altro  oggetto  il  legislatore  del  1988  aveva  creato maggiore
 omogeneita' tra i codici dei due  riti  cioe'  circa  il  presupposto
 della condanna al pagamento di una provvisionale alla parte civile in
 caso   di   condanna   generica  in  favore  di  questa,  presupposto
 individuato nel codice del rito civile nella gia' raggiunta prova  di
 una   parte   della   prestazione  richiesta,  parte  alla  quale  la
 provvisionale doveva quantitativamente corrispondere.  La mancanza di
 previsione analoga nel codice del rito penale  del  1930  aveva  dato
 luogo   a   problemi   variamente  risolti  dalla  dottrina  e  dalla
 giurisprudenza, che non dovrebbero piu' avere  spazio  da  quando  il
 secondo  comma  dell'art.  539 del nuovo c.p.p. ha formulazione assai
 simile a quella del secondo comma dell'art. 278 del c.p.p., norma non
 modificata in occasione della riforma del  1990.    Cio'  in  cui  il
 legislatore del 1988, che ha nettamente innovato la regola del c.p.p.
 del  1930,  ha finito inopinatamente anche per distaccarsi dal codice
 del rito civile di allora e' stato nello stabilire nel secondo  comma
 dell'art.  540:  "La  condanna  al  pagamento  della provvisionale e'
 immediatamente esecutiva".
    Si e'  detto  inopinatamente  perche'  quel  legislatore,  proprio
 ancorando   la  provvisionale  allo  unico  presupposto  della  prova
 parziale del danno e, quindi, facendo di quella ad una  provvisionale
 una  condanna  solo quantitativamente diversa da quella che esaurisce
 la domanda risarcitoria, ha inequivocabilmente escluso l'esistenza di
 ragioni capaci di dare supporto ad un  trattamento  diverso  dei  due
 tipi di condanna in ordine alla esecutivita'.
    La condanna ad una provvisionale risulta, lo si ribadisce, solo la
 conseguenza  di  una  prova  per  una  quantita'  minore. La risposta
 all'interrogativo prima formulato  dev'essere  che  resta  del  tutto
 ingiustificato  ed  irrazionale  che  alla  condanna provvisionale si
 conferisca sempre e per legge quella immediata esecutivita'  che  non
 si conferisce alla condanna esaustiva.  Si direbbe che il legislatore
 del 1988 abbia recepito ad amplificato incongruenze precedenti.
    Un'incongruenza  vi  era,  infatti,  nel  codice  del 1930 dopo la
 introduzione dell'art. 489- bis, norma  tale  da  potere  indurre  la
 parte  civile  a  contenere  il proprio impegno probatorio per mirare
 all'ottenimento di  una  provvisionale  assistita  dalla  provvisoria
 esecutivita',  piuttosto  che alla liquidazione definitiva che quella
 esecutivita'  non  avrebbe  consentito.     Altra  incongruenza   era
 contenuta nell'art. 282 del c.p.c., che criticabilmente equiparava la
 condanna  al  pagamento  di provvisionale alla condanna a prestazioni
 alimentari e per entrambe prevedeva  la  concessione  dell'esecuzione
 provvisoria,   salvi  "particolari  motivi  per  rifiutarla"  (questa
 riserva, tuttavia, consentiva al giudice  l'eventuale  valorizzazione
 dell'esistenza  o  della  mancanza,  in  concreto, di analogie tra la
 prestazione oggetto della provvisionale e le prestazioni alimentari).
 Nel sistema derivante dalla riforma  del  rito  civile,  operata  nel
 1990,  le  condanne a provvisionale hanno trattamento omogeneo con le
 altre: tutte sono "provvisoriamente" esecutive  e  l'esecutivita'  di
 tutte  puo'  essere  sospesa  dal  giudice  di appello per gli stessi
 "gravi motivi".
    Dalla ricognizione compiuta e', dunque, risultato che  nel  codice
 di  procedura  penale  del 1988, come un riflesso di precedenti norme
 non rispondenti  ad  un  chiaro  disegno,  si  riscontra  un  diverso
 trattamento,  quanto  alla  provvisoria  (o  immediata) esecutivita',
 delle pronunce di primo grado relative all'azione  civile  a  seconda
 che esse contengano condanna esaustiva o condanna provvisionale ed e'
 risultato che questo diverso trattamento non si giustifica ed anzi e'
 irrazionale,  dato  che  tra  i  due  tipi di condanna vi e' solo una
 differenza quantitativa, secondo  il  chiaro  dettato  normativo  sul
 punto.    E' risultato, pure, che il codice di procedura civile, dopo
 le modifiche in  esso  introdotte  nel  1990,  elimina  ogni  diverso
 trattamento,  quanto  all'esecutivita',  delle  diverse  categorie di
 sentenze di primo grado, perche' a  tutte  conferisce  l'esecutivita'
 provvisoria.  Si e' riscontrato che nel codice di procedura penale al
 diverso  trattamento  relativo  all'esecutivita',  prima specificato,
 delle condanne esaustive e di quelle  provvisionali  corrisponde  nel
 secondo  e  terzo comma dell'art. 600 una diversa possibilita' per la
 parte, che ha subito la condanna, di ottenere dal giudice di appello,
 con decisione interlocutoria  a  seguito  di  un  rito  camerale,  la
 sospensione della provvisoria esecutivita' della condanna stessa.  Si
 e' riscontrato, inoltre, che a chi ha subito la condanna al pagamento
 di una provvisionale, esecutiva per legge, nell'ambito della rilevata
 diversita'  e'  riservato  un trattamento deteriore, giacche' a detta
 parte e' data la  possibilita'  della  sospensione  dell'"esecuzione"
 solo in relazione alla prospettiva di un grave ed irreparabile danno,
 mentre a chi abbia subito una condanna al risarcimento esaustiva, che
 il   giudice   di   primo  grado  abbia  dichiarato  provvisoriamente
 esecutiva, e' data la possibilita' della revoca o  della  sospensione
 della provvisoria esecuzione per ogni motivo che appaia al giudice di
 appello  idoneo  a  sostenere il provvedimento, dato che la norma non
 pone limiti.  Si e' riscontrato, infine, che il predetto trattamento,
 quanto alla possibilita' di sospensione della immediata esecutivita',
 riservato a chi nel processo  penale  abbia  subito  la  condanna  al
 pagamento  di  una  provvisionale, risulta deteriore anche rispetto a
 quello che nel codice di procedura civile, come aggiornato nel  1990,
 e'  riservato  a chi abbia subito quel tipo di condanna ed ogni altro
 tipo di condanna provvisoriamente esecutiva benche' di primo grado.
    Secondo la disposizione aggiornata di detto  codice,  infatti,  e'
 possibile  la sospensione dell'efficacia esecutiva o della esecuzione
 "quanto  ricorrono  gravi  motivi".    Si  tralascia,   perche'   non
 indispensabile  ai  fini  di  questa trattazione, ogni considerazione
 relativa alle implicazioni  delle  diversita'  terminalogica  per  la
 quale nel terzo comma dell'art. 600 del c.p.p., cioe' nella norma che
 crea  il  deteriore  trattamento che si e' detto, si fa menzione solo
 nella sospensione dell'esecuzione, mentre nel comma precedente si  fa
 menzione  oltre che della revoca, della sospensione della provvisoria
 esecuzione (si e' visto, pure,  che  nell'art.  283,  novellato,  del
 c.p.p.   si   menziona  la  sospensione  dell'efficacia  esecutiva  o
 dell'esecuzione), ma va  rimarcato  che  l'individuazione  nel  terzo
 comma  dell'art.  600  del  c.p.p. della categoria del danno grave ed
 irreparabile   come    parametro    della    possibile    sospensione
 dell'esecuzione  -  e  si  intenda  pure che la sospensione non venga
 ristretta  alla  sola  esecuzione  iniziata  -  crea  alla   concreta
 possibilita'  di  questa sospensione un ambito estremamente ristretto
 se non addirittura improbabile.
    L'antecedente terminologico della norma in esame e' dato dal primo
 comma dell'art. 373 del c.p.c., il quale dispone che il  ricorso  per
 cassazione  non  sospende l'esecuzione della sentenza ma aggiunge che
 l'esecuzione stessa puo' essere sospesa con ordinanza dal giudice che
 ha emesso la sentenza "qualora dall'esecuzione possa  derivare  grave
 ed  irreparabile  danno".    Questa  norma, sulla quale a causa della
 disposta inoppugnabilita' dell'ordinanza del giudice di merito non si
 e'  potuta  formare  giurisprudenza  della  Cassazione,   ha   creato
 interrogativi circa la possibilita' di una sospensione disposta prima
 che l'esecuzione sia iniziata, ma soprattutto ha consentito solo rari
 accoglimenti dell'istanza di sospensione, perche' si e' ritenuto, sia
 pure  non da tutti i giudici, che non possa aversi danno irreparabile
 ove la condanna da eseguire riguardi il pagamento  di  una  somma  di
 denaro.    In  effetti,  le  forme  di  danno,  rispetto  alle  quali
 l'irreparabilita' puo' con sufficiente  univocita'  delinearsi,  sono
 quelle che incidono sull'essere piuttosto che sull'avere.
    Se  la  categoria  del  danno grave ed irreparabile puo' risultare
 accettabile nella struttura  di  una  norma,  quale  l'art.  373  del
 c.p.c.,  riguardante  ogni  sorta  di  sentenze  e  che conferisce la
 competenza sulla inibitoria allo stesso giudice che ha pronunciato la
 sentenza,  al  quale,  quindi, e' opportuno demandare l'esame solo di
 fattori estrinsechi, come il  danno,  alla  sentenza  stessa,  quella
 categoria  risulta incongrua, a causa di quanto rilevato, nell'ambito
 di una norma che riguarda, come il  terzo  comma  dell'art.  600  del
 c.p.p.,  solo  statuizioni  di  condanna al pagamento di una somma di
 denaro, quali sono le provvisionali, e che comporta una competenza di
 un giudice diverso di quello della sentenza.
    Ne' appare indiscutibile che i dubbi circa la configurabilita'  di
 un  danno  irreparabile,  come  conseguenza  della  esecuzione di una
 condanna al pagamento di una somma di  danaro,  debbano  venire  meno
 solo  perche'  la  considerazione di quell'irreparabilita' e' entrata
 nella struttura di una nuova norma.
    Si era partiti dal chiedersi se la disparita'  di  trattamento  in
 esame  abbia un fondamento razionale ed il quesito puo', ormai, avere
 una  risposta  negativa.    La  previsione  della   possibilita'   di
 sospensione con ordinanza del giudice di appello della provvisoria (o
 immediata)  esecutivita'  delle  sentenze  appellative,  derivi detta
 esecutivita'  da  provvedimento  del  giudice  di   primo   grado   o
 direttamente  dalla  legge,  per la costanza con cui e' entrata a far
 parte degli  ordinamenti  processuali,  puo'  essere  considerata  un
 principio giuridico.
    Il  fondamento  di  questo  principio  risiede nella necessita' di
 contemperare l'esigenza della rapida tutela giudiziaria  dei  diritti
 violati e l'incertezza delle decisioni finche' non siano divenute de-
 finitive.    Ne  deriva  che  la  scelta  correlata  alla valutazione
 probabilistica del consolidarsi di una decisione nei successivi gradi
 di giudizio e' bene che  non  sia  irretrattabile  ma  consenta  alla
 parte,  che  ne  e'  gravata,  di  ottenere  una nuova valutazione in
 concreto da parte di un giudice (quello della impugnazione ove questa
 sia l'appello).  Di cio' sono espressione le varie  norme  esaminate,
 che  lasciano  al  giudice  dell'inibitoria un ampio spazio decisorio
 perche' o non circoscrivono l'ambito  dei  motivi  esaminabili  o  lo
 indicano  con  formule  assai  generiche come "giustificati motivi" e
 "gravi  motivi".    Anche  l'ampio  spazio  decisorio   del   giudice
 dell'inibitoria  si  manifesta come principio ricorrente.  Rispetto a
 questo si pone come eccezione l'art. 373 del c.p.c., ma  trattasi  di
 tipica  eccezione  confermativa  della regola.   Quell'articolo, come
 gia' visto, si riferisce solo alle sentenze impugnate col ricorso per
 cassazione, cioe' a sentenze che hanno esaurito le fasi di  merito  e
 che, quindi, hanno alta probabilita' di diventare definitive.
    Rispetto a queste si giustifica che la compressione dell'interesse
 alla  rapida  tutela  dei  diritti violati sia prevista solo a fronte
 della   gravita'   e   della   irreparabilita'   delle    conseguenze
 dell'esecuzione.
    Il  presupposto  del  predetto  art.  373  non  ricorre affatto in
 relazione alle decisioni cui si riferisce il  terzo  comma  dell'art.
 600   del   c.p.p.,   che   pure  risulta  ritagliato,  data  la  sua
 formulazione, sullo schema di quell'articolo.   Sul  presupposto  del
 riferimento  a  sentenze  soggette  ad  appello,  gli  unici  termini
 omogenei di confronto del contenuto del predetto terzo comma sono  il
 secondo  comma  dello stesso articolo, l'art. 489- bis del c.p.p. del
 1930 in quanto ancora vigente e l'art. 283  del  c.p.c.  tanto  nella
 originaria  che  nella  nuova formulazione.   Queste norme, capaci di
 fornire  con  la  necessaria  omogeneita'  termini  di  raffronto  in
 relazione al caso di sentenze appellate  immediatamente  esecutive  o
 per  disposto  di  legge  o per statuizione del giudice, prevedono la
 possibilita' di sospensione da parte di giudice di appello per motivi
 non ristretti al pericolo di  grave  ed  irreparabile  danno,  e  per
 motivi,  comunque, rispetto a questo piu' ampi ed eterogenei.  Questa
 disparita' di trattamento, siccome non sorretta da alcuna ragionevole
 giustificazione, appare in contrasto con l'art. 3 della  Costituzione
 e  col  principio  di  uguaglianza in esso sancito.   La questione di
 costituzionalita', che investe  il  terzo  comma  dell'art.  600  del
 c.p.p.  nella  parte  in  cui  limita  la  prevista  possibilita'  di
 sospensione  dell'esecuzione  della  condanna  al  pagamento  di  una
 provvisionale  al solo caso che possa derivarne grave ed irreparabile
 danno, puo' essere sollevato da questa corte in quanto  rilevante  ai
 fini  della  decisione  sull'istanza  di  sospensione  proposta dagli
 imputati.
    La dichiarazione di incostituzionalita' della predetta parte della
 norma  consentirebbe,  infatti,  l'esame,  ora  precluso,  di  motivi
 addotti a sostegno dell'istanza.
                               P. Q. M.
    Visti  gli artt. 1 della legge costituzionale n. 1/1948 e 23 della
 legge n. 87/1953;
    Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale, per contrarieta' all'art. 3 della  Costituzione,  del
 terzo  comma dell'art. 600 del codice di procedura penale nella parte
 in cui limita la prevista possibilita' di sospensione dell'esecuzione
 della condanna al pagamento di una provvisionale  al  solo  caso  che
 possa derivarne grave ed irreparabile danno;
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sulla  istanza  di  sospensione
 dell'esecuzione proposta dagli imputati;
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria  questa   ordinanza   sia
 notificata  al  presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Bologna, addi' 11 marzo-15 aprile 1993
                       Il presidente: IANNACCONE
                                                L'estensore: TERRANOVA
 93C1012