N. 629 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 aprile 1993
N. 629 Ordinanza emessa il 13 aprile 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Firenze nel procedimento penale a carico di Carrabs Guido Ordinamento penitenziario - Detenuti in attesa di giudizio - Richiesta di permessi di colloquio - Provvedimenti di diniego dell'autorita' giudiziaria competente - Mancata previsione dell'obbligo di motivazione anche in mancanza di concrete necessita' di indagine, nonche' della possibilita' di proporre reclamo avverso il diniego - Irragionevole equiparazione di tale situazione a quelle in cui tali necessita' sussistono - Lamentata compressione, per essere rimessi ad un discrezionale provvedimento dell'a.g., dei diritti fondamentali della persona. (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 18, ottavo comma). (Cost., artt. 2, 3, 15 e 29).(GU n.43 del 20-10-1993 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Vista l'istanza depositata il 28 marzo 1993 dal difensore di Carrabs Guido, attualmente detenuto presso la casa circondariale di Arezzo, persona indagata per il reato di associazione per delinquere e sottoposta a misura cautelare, a seguito di fermo, con ordinanza 4 febbraio 1993 per i reati di rapina aggravata compiuta il 9 novembre 1990 in danno della Banca Toscana di Pescia e tentata rapina compiuta in danno delle agenzie di Capannori della Banca Toscana e del Monte dei Paschi di Siena in data 3/4 dicembre 1990 O S S E R V A Il difensore di Carrabs Guido, premesso che sino alla presentazione dell'istanza la procura della Repubblica di Firenze aveva negato il permesso di colloquio alla moglie dell'indagato, senza peraltro rendere noti i motivi del diniego, chiede che tale permesso di colloquio sia accordato dal g.i.p. o in subordine che sia sollevata questione di legittimita' costituzionale degli artt. 18 e 11 ord. pen, 209 e 240 norme coordinamento c.p.p. nella parte in cui dette norme non prevedono l'esclusiva competenza del g.i.p. a decidere sui colloqui tra detenuti e familiari per contrasto con i principi stabiliti dagli artt. 3, 102 e 111 della Costituzione. Deve ritenersi che le doglianze della difesa circa il diniego di colloquio alla moglie del Carrabs e la mancanza formale di motivazione di tale diniego corrisponda a realta'. Infatti, malgrado sin dal 30 marzo 1993 questo ufficio abbia richiesto copia della richiesta di colloquio e del provvedimento di reiezione, inviando anche copia dell'istanza al difensore, nessun atto e nessuna osservazione sono pervenuti dal p.m. Le richieste formulate dal difensore dell'indagato non appaiono accoglibili. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del Carrabs si deve senz'altro ritenere che l'art. 240 del d.lgs n. 271/1989 sia applicabile, come del resto si rileva dal testo stesso della norma, solo ai provvedimenti relativi ai trasferimenti degli imputati soggetti a misura di custodia cautelare in carcere in ospedali civili od altri luoghi di cura. Invero non puo' estendersi l'ambito di applicabilita' di tale norma ne' in considerazione di un supposto carattere paradigmatico della norma contenuta nell'art. 11, secondo comma, ordinamento penitenziario, ne' in considerazione di una supposta corrispondenza delle funzioni dell'ufficio del g.i.p. a quelle precedentemente esercitate dal p.m. o dal giudice istruttore ai sensi dell'art. 209 dello stesso d.lgs. n. 271/1989. Non puo' assumersi che l'art. 11 c. ord. penitenziario funga da norma paradigmatica solo perche' l'art. 18, ottavo comma, e l'art. 30 dell'ordinamento penitenziario (rispettivamente attinenti ai colloqui, visti di corrispondenza e autorizzazioni a colloqui telefonici ed ai permessi per imputati detenuti) contengono dei richiami a tale disposizione. A ben vedere infatti e' ben diversa l'articolazione delle competenze determinata nell'art. 11, secondo comma, in tema di trasferimenti dal carcere all'ospedale rispetto a quella fissata nell'art. 18, ottavo comma, e nell'art. 30. In proposito e' sufficente ricordare che per l'art. 11, secondo comma, e' competente al provvedimento per gli imputati condannati in primo grado il giudice di sorveglianza, per l'art. 18, ottavo comma, il direttore dell'istituto penitenziario per i colloqui dei condannati in primo grado e l'autorita' giudiziaria procedente per visti alla corrispondenza e autorizzazioni alla corrispondenza telefonica, per l'art. 30 e' sempre competente l'autorita' giudiziaria procedente in tutte le fasi del processo. Egualmente non corrispondente alla realta' normativa appare affermare che le funzioni del g.i.p. corrispondano a quelle esercitate, secondo il codice del 1930 dal p.m. nell'istruttoria sommataria e dal g.i. nella formale ignorando che l'attivita' di indagine preliminare e' di competenza in via pressoche' piena del p.m. e che nella materia in esame interessa individuare l'organo giudiziario in grado di contemporare primari diritti della persona soggetta alla misura cautelare (e, indirettamente dei suoi familiari o comunque delle persone a lui vicine) con l'esigenza di repressione dei reati e quindi di tutela della collettivita'. In tale prospettiva appare evidente che tali funzioni non possono, in prima istanza essere attribuite se non all'organo che direttamente segue le indagini e che quindi e' in grado di individuare se e quando debbano prevalere gli uni e gli altri interessi in relazione allo stesso andamento delle indagini ed ai concreti pericoli di inquinamento delle medesime. Proprio in base all'art. 209 disp. attuazione si ritiene pertanto di individuare nel p.m. l'organo che decide sui permessi di colloquio nella fase delle indagini preliminari. Escluso che allo stato della normativa possa configurarsi la competenza del g.i.p. alla concessione dei colloqui tra la moglie e Carrabs Guido, deve altresi' dichiararsi la infondatezza della questione di costituzionalita' delle norme di cui agli artt. 18, 11 ord. pen e 209 e 240 d.lgs. n. 271/1989 in riferimento agli artt. 3, 102 e 111 della Costituzione. Si osserva infatti che contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale il p.m. e' esso stesso organo giurisdizionale e pertanto sotto il profilo della violazione della riserva di giurisdizione non si puo' lamentare alcuna violazione delle norme cositutuzionali citate. Del resto va rilevato che secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione ne' i provvedimenti relativi ai permessi di colloquio, ne' i provvedimenti in materia di trasferimenti agli ospedali civili, ne' in fine quelli relativi ai permessi hanno natura giurisdizionale. Essi infatti non inciderebbero sulla liberta' personale dell'imputato ed hanno mera natura amministrativa attenendo alle modalita' di trattamento del detenuto (v. Cass. sez. sent. 14 febbraio 1990 Scrima; Cass. sez. 1, sent. 3 luglio 1987 Rapisarda; Cass. sez. 1 ord. 7 febbraio 1977 Gattini; Cass. sez. 1 ord. 16 gennaio 1991 Paiusti). Anche sotto il profilo della violazione dell'ar. 111, pertanto, la eccezione di costituzionalita' prospettata dalla difesa appare manifestamente infondata. Si ritiene peraltro che debba sollevarsi di ufficio diversa questione di costituzionalita': la normativa in vigore nella materia in esame (art. 18, ottavo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificata dall'art. 4 della legge 10 ottobre 1986, n. 663), contrariamente a quanto previsto dall'art. 30- bis in materia di permessi, non prevede ne' che i provvedimenti siano motivati ne' che essi siano soggetti ad alcun tipo di reclamo o ad altra forma di controllo. Cio' fa' si' che provvedimenti che comunque incidono - e forse in maniera piu' pregnante di quelli attinenti ai permessi - sul diritto alla vita familiare dei detenuti in attesa di giudizio nonche' sulla loro liberta' di comunicazione - posto che i colloqui sono il mezzo fondamentale, oltre alla corrispondenza ed alle telefonate, per la conservazione di rapporti continui con i familiari - su fondamentali diritti della persona (v. artt. 2 e 29 della Costituzione e art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848, art. 15 della Costituzione) sono, di fatto, rimessi alla completa discrezionalita' dell'organo che li adotta. E' cosi' vanificata sia la garanzia costituzionale di inviolabili diritti della persona sia lo stesso intento del legislatore ordinario. In effetti il legislatore ordinario riconosce ai detenuti definitivi pienamente il diritto ai colloqui con i familiari stabilendo che essi non possono essere rifiutati dall'autorita' carceraria neppure ai condannati sottoposti al regime di sorveglianza speciale. Lo stesso legislatore ordinario all'art. 277 del c.p.p. poi proclama che "le modalita' di esecuzione delle misure devono salvaguardare i diritti delle persone ad essa sottoposta il cui esercizio non sia l'incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto" ed egualmente nell'art. 1 della legge n. 354/1975 afferma che "il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanita' e deve assicurare il rispetto della dignita' della persona". La mancata previsone di motivazione del diniego di colloqui e la mancata previsione di possibilita' di reclamo o comunque di controllo determina inoltre una eguaglianza di trattamento in situazioni di- verse - e quindi una lesione del principio di eguaglianza - in tutti i casi nei quali, non essendo giustificati i dinieghi da concrete esigenze attinenti alle indagini, i detenuti in attesa di giudizio si vedono respinti i permessi di colloquio e sono quindi parificati nel trattamento ai detenuti per i quali, invece, concrete necessita' di indagine giustificano il divieto. Le eccezioni sopra prospettate appaiono rilevanti nel caso in esame essendo evidente che qualora esse fossero accolte la richiesta in esame non dovrebbe essere dichiarata inammissibile perche' presentata ad organo incompetente, ma potrebbe essere o da questo stesso ufficio valutata come reclamo o essere trasmessa all'organo competente per il controllo ove tale organo fosse diversamente indicato. Poiche' trattasi di questione attinente a imputato detenuto se ne segnala la particolare urgenza.
P. Q. M. Respinta l'istanza proposta da Carrabs Guido, di ufficio dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 18, ottavo comma, della legge n. 354/1975 nella parte nella quale non prevede che i provvedimenti di diniego dell'autorita' procedente per i permessi di colloquio debbano essere motivati e soggetti a reclamo, in relazione agli artt. 2 e 29, 15 e 3 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata alle parti (indagato, parti offese, difensore dell'indagato e pubblico ministero) nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere. Firenze addi' 13 aprile 1993 Il giudice per le indagini preliminari: CELOTTI 93C1055