N. 59 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 ottobre 1993

                                 N. 59
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
  cancelleria il 14 ottobre 1993 (della regione Calabria)
 Prorogatio - Disciplina della proroga degli organi amministrativi -
    Obbligo delle regioni a statuto ordinario di adeguare i rispettivi
    ordinamenti ai principi fondamentali stabiliti  dal  decreto-legge
    impugnato  ed  applicabilita'  immediata  delle norme del medesimo
    fino all'assolvimento di detto obbligo da parte  delle  regioni  -
    Previsione  altresi':  a)  della  cessazione dalle funzioni con la
    scadenza del mandato; b) di  un  periodo  massimo  di  proroga  di
    quarantacinque   giorni;   c)  della  sostituzione  da  parte  del
    presidente del collegio nei confronti del collegio inadempiente  -
    Asserita  invasione della sfera di competenza regionale in materia
    di organizzazione degli  uffici  (gia'  esercitata  dalla  regione
    ricorrente  con  legge  5  agosto 1992, n. 13) con incisione sulle
    norme legislative e statutarie che assegnano competenze ad  organi
    collegiali  regionali,  nonche'  sulla  potesta'  statutaria delle
    regioni e sulla disciplina  costituzionale  del  consiglio,  della
    giunta  e  del  presidente - Riferimento alla sentenza della Corte
    costituzionale n. 208/1992 nonche' ai ricorsi nn. 17, 28, 30 e  33
    del  1993  proposti  dalla  stessa  regione  avverso decreti-legge
    (decaduti) di  contenuto  sostanzialmente  identico  a  quello  in
    questione.
 (D.L. 17 settembre 1993, n. 363).
 (Cost., artt. 77, ultimo comma, 117, 118, 121, 122 e 123).
(GU n.44 del 27-10-1993 )
   Ricorre la regione Calabria, in persona del presidente della giunta
 regionale,  on. Guido Rhodio, in forza di delibera 27 settembre 1993,
 n.   3351   della   giunta   regionale   immediatamente    esecutiva,
 rappresentato  e  difeso,  giusta  procura  speciale  a  margine  del
 presente  atto,  dall'avv.  Federico  Sorrentino  e nel suo studio di
 Roma, Lungotevere delle Navi, 30, elettivamente  domiciliato,  contro
 lo  Stato e per esso il Presidente del Consiglio dei Ministri, per la
 dichiarazione d'illegittimita' costituzionale del d.l. 17  settembre
 1993,   n.  363,  recante  "Disciplina  della  proroga  degli  organi
 amministrativi", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 italiana n. 220 del 18 settembre 1993.
                               F A T T O
    1. - Con la sentenza 4 maggio 1992, n. 208, la Corte,  chiamata  a
 pronunciarsi  sulla legittimita' costituzionale di una norma di legge
 regionale che  prevede  la  "decadenza"  dei  comitati  regionali  di
 controllo   non  rinnovati  entro  60  giorni  dalla  loro  scadenza,
 affermava importanti e, sotto certi aspetti, innovativi  principi  in
 materia  di  prorogatio  di  organi  amministrativi.  In particolare,
 esclusa l'esistenza di norme dalle quali possa trarsi la  generalita'
 di  tale  istituto,  essa concludeva che "ogni proroga, in virtu' dei
 principi desumibili dal  citato  art.  97  della  Costituzione,  puo'
 aversi soltanto se prevista espressamente dalla legge e nei limiti da
 questa indicati".
    "Un'organizzazione  caratterizzata  da  un  abituale  ricorso alla
 prorogatio - proseguiva la Corte - sarebbe difatti  ben  lontana  dal
 modello  costituzionale.  Se  e'  previsto  per  legge che gli organi
 amministrativi  abbiano  una  certa  durata  e  che  quindi  la  loro
 competenza sia temporalmente circoscritta, un'eventuale prorogatio di
 fatto sine die - demandando all'arbitrio di chi debba provvedere alla
 sostituzione  di  determinarne  la  durata pur prevista a termine dal
 legislatore ordinario - violerebbe  il  principio  della  riserva  di
 legge  in  materia  di  organizzazione amministrativa, nonche' quelli
 dell'imparzialita' e del buon andamento".
    Escluso, quindi, che alla prorogatio possa atribuirsi  valenza  di
 "principio  di  carattere  generale",  il  Governo  -  non  ritenendo
 sufficiente  lo  strumento  legislativo  ordinario  -   decideva   di
 provvedere  conformemente  ai  suggerimenti della Corte ed a tal fine
 adottava una lunga serie di decreti-legge (nn. 381 e 439 del 1992, 7,
 69, 150, 239 e 363 del 1993): i primi sei decaduti e l'ultimo oggetto
 del presente giudizio.
    In tutti e sette i provvedimenti viene dichiarata la perentorieta'
 della scadenza legislativamente fissata degli  organi  amministrativi
 dello Stato e degli enti pubblici (esclusi quelli elettivi e quelli a
 rilevanza   costituzionale),  stabilendosi  peraltro  un  periodo  di
 proroga non superiore a 45 giorni durante i quali gli organi  scaduti
 possono  adottare  soltanto  gli  atti di ordinaria amministrazione e
 quelli urgenti e indifferibili.
    Si  prevede,   infine,   che,   allorche'   la   competenza   alla
 ricostituzione  spetti  ad organi collegiali, questa venga trasferita
 al Presidente del collegio, qualora essa  non  sia  stata  esercitata
 sino a tre giorni prima del suddetto periodo di proroga.
    Relativamente  alle  nomine  di  competenza  delle regioni e delle
 province autonome di trento e di Bolzano i primi  tre  decreti  legge
 (poi decaduti), all'art. 9, stabilivano che "entro un anno dalla data
 di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto,
 le regioni a statuto ordinario, nonche' le regioni a statuto speciale
 e le province autonome di Trento e di Bolzano, provvedono ad adeguare
 i rispettivi ordinamenti alle disposizioni del presente decreto".
    Tale  formulazione  lasciava intendere un dovere di adeguamento da
 parte degli ordinamenti regionali a tutte le disposizioni del decreto
 legge ed intanto la loro immediata vincolativita' in violazione della
 competenza legislativa e statutaria delle regioni interessate.
    Pur avendo almeno in parte recepito, nella formulazione  dell'art.
 9,  le  osservazioni  critiche  rivolte  dalle  regioni,  neanche  il
 successivo d.l. n. 69/1993 si sottraeva del tutto  alle  censure  di
 invasione  della  competenza regionale: sotto la rubrica "Adeguamento
 della normativa regionale", l'indicato articolo stabiliva,  al  primo
 comma, che "entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge
 di  conversione  del presente decreto, le regioni a statuto ordinario
 regolano le materie disciplinate dal decreto stesso nel rispetto  dei
 principi  fondamentali  posti  dalle  disposizioni in esso contenute.
 Tali disposizioni operano direttamente  nei  riguardi  delle  regioni
 fino a quando esse non abbiano legiferato in materia".
    Sicche'  la  regione  Calabria,  che  gia'  aveva  impugnato sotto
 diversi profili il d.l. n. 7/1993 con  ricorso  discusso  dinanzi  a
 codesta  ecc.ma  Corte all'udienza dello scorso 25 maggio, egualmente
 impugnava il d.l. n. 69/1993. Anche il  ricorso  relativo  a  questa
 seconda impugnativa e' gia' stato discusso, nella camera di consiglio
 del 7 luglio, e, con ordinanza n. 331/1993, la Corte ne ha dichiarato
 la manifesta inammissibilita' per mancata conversione nei termini del
 decreto-legge.
    Infine  tutti  i  decreti  legge successivi al primo, tra le norme
 finali e transitorie, hanno  inserito  una  disposizione  secondo  la
 quale  "restano  confermati  gli  atti  di  ricostituzione  di organi
 scaduti anteriormente alla data di entrata  in  vigore  del  presente
 decreto,  che  siano  stati  adottati,  in  sostituzione degli organi
 collegiali competenti, dai rispettivi presidenti, in conformita' alle
 disposizioni vigenti alla  data  di  compimento  degli  atti  stessi"
 (cioe': in conformita' alle disposizioni dei decreti-legge decaduti).
    2.  -  Decaduto  dunque  il precedente per mancata conversione nei
 termini, il Governo ha emesso altri tre decreti di eguale  contenuto,
 il 150 ed il 239 del 1993, contro i quali pure ha proposto ricorso la
 regione  Calabria,  ed  il  363/1993,  che viene con il presente atto
 impugnato; tali tre ultimi provvedimenti,  riproducendo  quasi  negli
 stessi  sostanziali termini i precedenti, se ne discostano ancora una
 volta per la parte relativa all'adeguamento della normativa regionale
 alle disposizioni da essi recate.
    Stabilisce, infatti, l'art. 9 al primo comma, che "Le disposizioni
 di cui al presente decreto operano direttamente  nei  riguardi  delle
 regioni a statuto ordinario fino a quando esse non avranno adeguato i
 rispettivi ordinamenti ai principi generali ivi contenuti".
    Prescindendo  dal  discutibile  riferimento ai "principi generali"
 contenuti nel  decreto,  tale  articolo,  pur  formulato  in  materia
 parzialmente  differente  rispetto  al  corrispondente  articolo  dei
 precedenti  decreti,  se  per  un  verso,  come  gia'  si   osservava
 relativamente   al   quarto  d.l.,  attenua  l'impatto  sul  sistema
 regionale delle nuove disposizioni legislative, non elimina  tuttavia
 la  lesione  della  competenza  regionale denunciata con i precedenti
 ricorsi; sicche' la regione Calabria, richiamando  le  considerazioni
 gia'  svolte  nei  confronti dei d.d.l.l. nn. 150 e 239 del 1993, il
 cui testo e' stato integralmente riprodotto dal provvedimento che ora
 si  impugna,  deve  ancora rivolgersi all'ecc.ma Corte per denunciare
 l'illegittimita' del  d.l.  17  settembre  1993,  n.  363,  sotto  i
 seguenti profili di
                             D I R I T T O
    Violazione  degli  artt. 117, 118, 122 e 123, anche in riferimento
 all'art.  77  ultimo  comma  della  Costituzione.   Invasione   della
 competenza regionale.
    3. - Preliminarmente deve sottolinearsi che la regione ricorrente,
 ancor prima che il Governo intervenisse con i decreti legge di cui in
 narrativa  a  precisare  e  a  specificare  i principi costituzionali
 richiamati dalla Corte, ha adottato una propria  disciplina,  passata
 indenne  al controllo governativo, del fenomeno della prorogatio, con
 l.r. 5 agosto 1992,  n.  13,  recante  "Disciplina  delle  nomine  di
 competenza  della  regione" (B.U.R. 10 agosto 1992, n. 104). L'art. 8
 di questa legge, in particolare,  stabilisce,  al  primo  comma,  che
 "tutte  le  nomine  e  le  designazioni  di  competenza della regione
 cessano con la scadenza della legislatura nel corso della quale si e'
 proceduto alle nomine o alle designazioni e sono rinnovabili per  una
 sola  volta"; al secondo comma dispone che, "trascorsi novanta giorni
 dall'insediamento del consiglio regionale neo eletto, le persone nom-
 inate o  designate  negli  organismi  indicati  nell'art.  1  (organi
 regionali,  enti dipendenti dalla regione, USL, eccettuati gli organi
 elettivi  e  i  pubblici  dipendenti)  non  possono   continuare   ad
 esercitare  la funzione istituzionale e, nel caso in cui il Consiglio
 regionale non effetui le nomine o le designazioni entro  il  predetto
 termine  ai sensi dell'art. 5 della presente legge (che disciplina il
 relativo  procedimento),  provvede  la  giunta  regionale  ai   sensi
 dell'art.  28 dello statuto" (cioe' in via d'urgenza e con obbligo di
 ratifica entro trenta giorni).
    La legge regionale, dunque, per un verso, e' rispettosa  dell'art.
 97  della  Costituzione  sotto  i  profili indicati dalla sentenza n.
 208/1992  della  Corte:  esclude  la  proroga  di   fatto   a   tempo
 indeterminato  e  provvede  a  interventi sostitutivi e di urgenza in
 caso  di   inadempimento   dell'organo   competente   (il   Consiglio
 regionale);   per  altro  verso  essa  anticipa  medianta'  il  sopra
 descritto meccanismo le disposizioni dei decreti legge  adottati  dal
 Governo.
    Di  qui  la conclusione che il decreto oggi impugnato, che obbliga
 le regioni ad adeguare i propri ordinamenti ai "principi generali" da
 esso posti, non dovrebbe incidere sull'art. 8 della l.r. n.  13/1992,
 il  quale  contiene  disposizioni  di  dettaglio,  bensi' diverse, ma
 sicuramente rispettose dei medesimi principi. Invero, fermo  restando
 il  rispetto  dell'art.  97 della Costituzione, i decreti governativi
 stabiliscono:
      la cessazione delle funzioni con la scadenza del mandato;
      la previsione di un periodo massimo di proroga di 45 giorni;
      la  sostituzione  da  parte  del  Presidente  del  Collegio  nei
 confronti del collegio inadempiente.
    Queste disposizioni corrispondono ad un principio fondamentale che
 vuole  la  cessazione  delle  funzioni  dell'organo alla sua scadenza
 naturale e prevede meccanismi sostitutivi rigidamente articolarti  in
 caso di inerzia dell'organo competente alla ricostituzione.
    Non  par  dubbio  quindi  che  la  legge  regionale n. 13/1992 sia
 coerente con i principi enunciati dal d.l. n.  363/1993,  e  che  la
 diretta operativita' delle disposizioni di cui al decreto stesso, non
 abbia  modo  di  esplicarsi  nei  riguardi della regione Calabria per
 quanto gia' da questa disciplinato, mentre le altre disposizioni  del
 d.l.  relative  al  regime  degli  atti  ed alla responsabilita' per
 mancata ricostituzione nei termini,  potranno  valere  anche  per  la
 regione ricorrente come riferimento per i principi fondamentali della
 materia.
    Qualora pero' il primo comma dell'art. 9 non dovesse essere inteso
 nel  senso  che  i "principi" cui le regioni a statuto ordinario sono
 tenute ad adeguare i rispettivi ordinamenti,  ed  in  quanto  non  vi
 abbiano  gia'  provveduto,  siano  solo  quelli,  gia'  esistenti, da
 ricavarsi dall'art. 97 della  Costituzione,  secondo  le  indicazioni
 della  Corte  (cio' che sembrerebbe essere confermato dal riferimento
 ai principi "generali" anziche' fondamentali del d.l. in questione),
 bensi' come abrogativo della disciplina regionale gia' adottata  e  i
 meccanismi   di  ricostituzione  degli  organi  scaduti  direttamente
 applicabili    alla    regione,    non     puo'     che     dedursene
 l'incostituzionalita' per le ragioni accennate in rubrica.
    4.  -  Per  tale ipotesi viene immediatamente in considerazione il
 secondo comma dell'art. 4, a termini del quale "Nei  casi  in  cui  i
 titolari della competenza alla ricostituzione siano organi collegiali
 e  questi  non  procedano alle nomine o designazioni ad essi spetanti
 almeno tre giorni prima della scadenza del  termine  di  proroga,  la
 relativa  competenza  e' trasferita ai rispettivi presidenti, i quali
 debbono comunque esercitarla entro la scadenza del termine medesimo".
    Questa disposizione viola tanto la competenza regionale in materia
 di "ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti  dalle  regioni"
 (art.  117)  quanto la competenza statutaria delle regioni di diritto
 comune  (art.  123),  incidendo  essa  sulle  norme   legislative   e
 statutarie   che   assegnano  competenze  ad  organi  collegiali.  La
 disposizione impugnata, invero, crea una competenza nuova in capo  ai
 presidenti  di  organi  collegiali,  sottraendo  ai  collegi stessi i
 corrispondenti poteri. Ed e' evidente che  una  statuizione  siffatta
 potrebbe  provenire,  per  gli  uffici  e  gli  enti dipendenti dalla
 regione e per gli  stessi  organi  regionali,  dalla  legge  o  dallo
 statuto regionale.
    Di  piu'  la  disposizione in esame viola, insieme con la potesta'
 statutaria delle regioni, gli artt. 121  e  122  della  Costituzione,
 allorche'  essa  venga  riferita a nomine di competenza del consiglio
 regionale. Infatti, secondo la norma  costituzionale,  il  presidente
 del  consiglio regionale non ha una posizione per cosi' dire autonoma
 dal consiglio stesso dal quale e' eletto per dirigerne i lavori (122,
 terzo comma) ne', a differenza del consiglio, della giunta e del  suo
 presidente  (art. 121, primo comma), possiede una propria ed autonoma
 rilevanza esterna.
    Naturalmente cio' potrebbe non escludere  che  al  presidente  del
 consiglio  regionale vengano conferite funzioni di rilevanza esterna,
 purche' non incompatibili con il suo compito di direzione dei  lavori
 del   consiglio,   ma  tale  attribuzione,  innovando  specificamente
 all'organizzazione regionale,  non  puo'  che  competere  alla  fonte
 statutaria  (art.  123)  e,  sulla  base  di  questa,  al regolamento
 consiliare.
    Ne discende allora l'incostituzionalita', in riferimento ai citati
 parametri,  di  una  norma  statale  che  trasferisce  una competenza
 attribuita al consiglio regionale al  suo  presidente  e  che  fa  di
 questo un organo titolare di poteri amministrativi esterni.
    5.  -  Ugualmente  sulla  competenza  delle  regioni in materia di
 organizzazione dei loro  uffici  e  degli  enti  da  esse  dipendenti
 incidono  le  disposizioni relative al regime di proroga degli organi
 amministrativi scaduti e degli atti da questi emanati (art. 3).  Tali
 disposizioni,  limitando  la  competenza  degli  organi  prorogati  e
 sanzionando come illegittimi gli atti posti in essere al di fuori dei
 limiti da esse  indicati,  incidono  sulla  competenza  regionale  in
 materia, in violazione quindi dell'art. 117 della Costituzione.
    Tale  censura  va  estesa  al  successivo  art.  6 che sancisce la
 nullita' di diritto degli atti compiuti dagli organi scaduti.
    6. - Da ultimo deve denunciarsi l'art. 8  del  decreto  impugnato,
 nella   parte   in  cui  convalida  e  mantiene  fermi  gli  atti  di
 ricostituzione  adottati  dai  presidenti   di   organi   collegiali,
 anteriormente  all'entrata in vigore del decreto, in sostituzione dei
 competenti collegi (secondo comma).
    Questa disposizione viola, non solo l'art. 77, ultimo comma, della
 costituzione, in relazione anche all'art. 15, secondo comma, lett. d)
 della legge n. 400/1988, ma anche, ed inscindibilmente, le competenze
 regionali in materia di organizzazione di uffici ed enti regionali.
    Invero, ove anche dovesse sostenersi che il d.l. impugnato  possa
 comprimere,  nei  sensi  che si sono appena contestati, le competenze
 regionali in materia, esso sicuramente non puo' convalidare cio'  che
 in  base alla costituzione e' invalido e quindi non puo' sottrarre al
 legislatore  ne'   all'amministrazione   regionale   il   potere   di
 qualificare  come  invalidi  atti  applicativi  di  decreti-legge non
 convertiti.
    In altre parole la disposizione impugnata non  solo  incide  sulla
 potesta'  legislativa  regionale  e su quella statutaria al di la' di
 quanto consentirebero gli artt. 117 e 123, ma incide  altresi'  sulla
 competenza  degli  organi collegiali, ai quali sarebbe cosi' impedito
 di revocare gli ellegittimi atti dei loro presidenti e di  provvedere
 diversamente in ordine agli organi scaduti.
    Va  poi  aggiunto  che  la  convalida degli atti compiuti sotto il
 vigore dei precedenti decreti, i quali, a differenza  di  quello  qui
 impugnato e dei tre che lo hanno preceduto, obbligavano le regioni ad
 adeguarsi  alla  totalita'  delle  loro disposizioni, fa si' che atti
 costituzionalmente illegittimi - quali quelli adottati in  esecuzione
 dei  precedenti  decreti  legge  invasivi  della competenza regionale
 garantita dall'art. 117 - vengano ritenuti validi ed efficaci,  senza
 che  la regione possa porvi rimendio, ripristinando l'ordine naturale
 delle competenze.
                               P. Q. M.
    Si chiede che, in accoglimento  del  presente  ricorso,  il  d.l.
 impuganto venga dichiarato incostituzionale in riferimento agli artt.
 77, 117, 118, 121, 122 e 123 della Costituzione.
      Roma, addi' 8 ottobre 1993
                       Avv. Federico SORRENTINO

 93C1076