N. 60 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 22 ottobre 1993

                                 N. 60
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 22 ottobre 1993 (della regione autonoma Valle d'Aosta)
 Controlli amministrativi - Disposizioni in materia di legittimita'
    dell'azione amministrativa - Istituzione presso  ogni  regione  di
    una sezione giurisdizionale della Corte dei conti, presso la quale
    e'  chiamato  a svolgere le funzioni di pubblico ministero un vice
    procuratore generale della Corte dei conti - Facolta' della  Corte
    dei  conti  di  delegare,  per  l'esercizio  delle  sue  funzioni,
    adempimenti istruttori a funzionari di pubbliche amministrazioni e
    di avvalersi  di  consulenti  tecnici  -  Indicazione  degli  atti
    sottoposti  a controllo preventivo di legittimita' (atti normativi
    a  rilevanza  esterna,  atti  giuridici  di  indirizzo,  atti   di
    programmazione  comportanti  spese,  provvedimenti di disposizione
    del demanio e del  patrimonio  immobiliare  eccedenti  la  normale
    amministrazione,   contratti   collettivi   e   provvedimenti  che
    disciplinano l'esercizio di funzioni pubblico-amministrative rela-
    tive a dipendenti delle pubbliche  amministrazioni)  -  Previsione
    dei  modi e contenuti del controllo successivo nei confronti delle
    regioni e degli enti locali - Istituzione di servizi di  controllo
    interno  in tutte le amministrazioni pubbliche per la comparazione
    dei costi e rendimenti e  la  vigilanza  sulla  corretta  gestione
    delle  risorse  pubbliche,  l'imparzialita'  e  il  buon andamento
    dell'azione amministrativa - Istituzione, infine, con decreto  del
    Presidente  della  Repubblica,  su  proposta  del  Presidente  del
    Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro  dell'interno,
    di un servizio ispettivo del Ministero dell'interno col compito di
    redigere   una   relazione   annuale   dell'attivita'   svolta   -
    Interferenza dell'attivita' di  controllo  preventivo  con  quella
    esercitata   per   disposizione  statutaria  dalla  commisione  di
    coordinamento - Invasione della sfera  di  autonomia  regionale  e
    lesione  dei  principi  della  tassativita' e insuscettibilita' di
    estensione da parte del legislatore dei  controlli  sulle  regioni
    affermato  dalla  giurisprudenza  costituzionale  - Adozione dello
    strumento  del  decreto-legge  in  assenza  dei   presupposti   di
    necessita'  ed  urgenza  -  Riferimento  alla sentenza della Corte
    costituzionale n. 229/1989.
 (D.L. 14 settembre 1993, n. 359).
 (Cost., artt. 77, 100, 103, 108, 116 e 125; statuto Valle d'Aosta,
    artt. 2, 3, 4, 29, 38, 43 e 46).
(GU n.45 del 3-11-1993 )
   Ricorre la regione autonoma  Valle  d'Aosta,  in  persona  dell'on.
 presidente  della  giunta  regionale  sig.  Dino  Vierin, debitamente
 autorizzato in forza di delibera della giunta regionale n.  8059  del
 24  settembre  1993,  rappresentato  e difeso dall'avv. prof. Gustavo
 Romanelli, e presso di lui elettivamente domiciliato  in  Roma,  alla
 via  Cosseria  n.  5, in forza di procura per atto notar Bastrenta di
 Aosta in data 30 settembre 1993, rep. n. 15033, contro la  Presidenza
 del  Consiglio  dei  Ministri,  in  persona  dell'on.  Presidente del
 Consiglio pro-tempore, domiciliato per la  carica  in  Roma,  Palazzo
 Chigi,  nonche'  presso  l'avvocatura  generale  dello Stato, via dei
 Portoghesi   n.   12,   per   la   declaratoria   di   illegittimita'
 costituzionale   del   decreto-legge   14   settembre  1993,  n.  359
 (Disposizioni in materia di legittimita' dell'azione amministrativa),
 pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, parte I, n. 217
 del 15 settembre 1993.
    La regione autonoma Valle d'Aosta, come in epigrafe  rappresentata
 e difesa, espone quanto segue.
                               IN FATTO
    Il  d.l.  14  settembre  1993,  n.  359,  meglio  specificato  in
 epigrafe, costituisce il quarto tentativo del Governo di  intervenire
 radicalmente  in  una  materia  tanto  delicata  quanto  quella degli
 strumenti di garanzia della legittimita' amministrativa, che segue ai
 precedenti decreti-legge nn. 54, 143 e 232 del 1993, tutti oggetto di
 giudizi di legittimita' proposti in via principale dalla ricorrente e
 da altre regioni.
    Il  decreto  oggi  impugnato  costituisce  la   riproduzione   del
 precedente  citato decreto-legge 17 luglio 1983, n. 232, senza che si
 siano  tenuti  nel  dovuto   conto   i   rilievi   sui   profili   di
 illegittimita', di cui era affetto quest'ultimo, dedotti dall'odierna
 ricorrente  e da altre regioni con impugnazioni avanti codesta ecc.ma
 Corte.
    Con il decreto in questione  viene  infatti  dettata  una  riforma
 radicale  di  una  fondamentale giurisdizione del nostro ordinamento,
 quale e' quella della Corte dei conti, prevedendo fra l'altro che  in
 tutte  le  regioni  vengano  istituite  sezioni giurisdizionali della
 medesima corte dei conti (art. 1), presso  le  quali,  ai  sensi  del
 successivo  art. 2, secondo comma, e' chiamato a svolgere le funzioni
 di pubblico ministero un vice procuratore generale  della  corte  dei
 conti  (procuratore  regionale),  od  un  altro  magistrato assegnato
 all'ufficio.  I  giudizi  relativi  ai  residenti   all'estero   sono
 devoluti,  ai  sensi  dell'art. 1, sesto comma, alla competenza della
 sezione regionale per il Lazio.
    L'attivita' dei procuratori regionali e' coordinata,  in  base  al
 terzo comma dello stesso art. 2, dal procuratore generale della corte
 dei conti.
    L'ultimo  comma  dell'art.  3 prevede che la corte dei conti possa
 delegare, per l'esercizio delle sue funzioni, adempimenti  istruttori
 a  funzionari di pubbliche amministrazioni ed avvalersi di consulenti
 tecnici.
    L'art.  7,  al  primo  comma,  delimita  il  campo  del  controllo
 preventivo  di  legittimita'  della  corte  dei  conti,  estendolo in
 particolare a:
       c) "atti  normativi  a  rilevanza  esterna,  atti  generali  di
 indirizzo, atti di programmazione comportanti spese";
       d)  "provvedimenti  di  disposizione  del  demanio e patrimonio
 immobiliare eccedenti la normale amministrazione";
       f) "autorizzazioni alla sottoscrizione di contratti collettivi,
 secondo quanto previsto dall'art. 51 del d.lgs. 3 febbraio  1993,  n.
 29";
       g)  "provvedimenti  che  disciplinano  l'esercizio  di funzioni
 pubbliche  autoritative  relative  ai  dipendenti   delle   pubbliche
 amministrazioni".
    A  tali previsioni espresse, se ne aggiunge un'altra, di chiusura,
 che prevede analogo controllo per le materie per le  quali  esso  sia
 ritenuto  opportuno  dal Presidente del Consiglio dei Ministri (lett.
 7). D'altronde, con singolare commistione di potere di controllo e di
 potere normativo, un analogo potere estensivo dell'ambito degli  atti
 soggetti  a  controllo e' attribuito (sia pure, sembrerebbe, soltanto
 rispetto alle amministrazioni statali)  anche  alle  Sezioni  riunite
 della corte dei conti (art. 7, quarto comma).
    Gli  atti  sottoposti  al  controllo debbono essere pubblicati per
 estratto nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, in  base
 alla previsione di cui all'art. 7, terzo comma.
    Ancora  l'art.  7,  al  secondo  comma, disciplina gli effetti del
 controllo  preventivo  della  corte  dei  conti.  In  base   a   tale
 disposizione,  i  provvedimenti  sottoposti  al  controllo preventivo
 divengono esecutivi ove la Corte non ne dichiari la non conformita' a
 legge nel termine di trenta giorni dal ricevimento. Peraltro, in base
 all'ultima parte del secondo comma  dell'art.  7,  l'esecutivita'  e'
 sospesa   se   nel  termine  dei  trenta  giorni  la  Corte  richieda
 chiarimenti od elementi integrativi del giudizio.
    Il sesto comma dell'art.  7  estende  espressamente  il  controllo
 successivo  della  corte dei conti sulla gestione nei confronti delle
 regioni (ivi  comprese,  sembrerebbe,  anche  le  regioni  a  statuto
 speciale)  e degli enti locali, anche se lo vincola al "perseguimento
 degli obiettivi stabiliti dalle leggi statali e di programma".
    L'ultima parte del  settimo  comma  dell'art.  7  fa  carico  alle
 amministrazioni,  per  le  quali  la  corte dei conti abbia formulato
 osservazioni, di comunicare alla Corte medesima le misure adottate.
    Peraltro, l'ottavo comma dell'art. 7 demanda alle relazioni  della
 corte  dei  conti anche la valutazione sul funzionamento degli organi
 interni.
    Infine,  il  nono  comma  attribuisce  alla  Corte  il  potere  di
 richiedere    il    riesame    dei   provvedimenti   adottati   dalle
 amministrazioni pubbliche non territoriali.
    L'art. 9  istituisce  invece,  al  dodicesimo  comma,  servizi  di
 controllo  interno  in  tutte  le  amministrazioni pubbliche ("con il
 compito, di verificare, mediante valutazioni comparative dei costi  e
 dei   rendimenti,  la  corretta  gestione  delle  risorse  pubbliche,
 l'imparzialita' ed il buon andamento dell'azione amministrativa"):  i
 criteri  di  organizzazione  e  la sfera di azione di tali servizi di
 controllo interno sono rigidamente predeterminati dal secondo e terzo
 comma del medesimo art. 9.
    D'altronde, il quarto comma dello stesso articolo  prevede  che  i
 comitati  provinciali  delle  pubbliche  amministrazioni e i comitati
 metropolitani, di cui all'art. 18 del d.l. 24 novembre 1990, n. 344,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 23 gennaio 1991, n. 21, ed
 al d.P.C.M. 10 giugno 1992, si avvalgono  dei  servizi  di  controllo
 interno  delle  amministrazioni  territoriali e periferiche, che sono
 peraltro tenuti a riferire a tali organi in base  all'art.  9,  terzo
 comma, ultima parte.
    Infine,  il  successivo  quinto comma del medesimo art. 9, prevede
 l'istituzione, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri,
 di concerto con il Ministero dell'interno, di un  Servizio  ispettivo
 del   Ministero   dell'interno,   con  una  articolazione  a  livello
 provinciale e  raccordo  funzionale  con  i  comitati  provinciali  e
 metropolitani   teste'  richiamati.  Le  funzioni  di  tale  servizio
 ispettivo, a prescindere  dall'attribuzione  (di  cui  al  precedente
 terzo  comma)  di  un  potere  di  audizione dei servizi di controllo
 interno non sono altrimenti meglio chiarite;  la  seconda  parte  del
 quinto  comma  in  discorso  di  limita  ad attribuirgli la redazione
 annuale  di  una  relazione  sui  risultati  dell'attivita' ispettiva
 svolta (ma i cui confini non sono affatto chiariti), con  indicazione
 dei rimedi necessari a risolvere le disfunzioni riscontrate.
    Deve   peraltro   evidenziarsi  come  il  decreto-legge  impugnato
 contenga norme di tutela delle minoranze  linguistiche  limitatamente
 alle  sole Sezioni giurisdizionali della corte dei conti con sede nel
 territorio della regione Trentino-Alto Adige (art. 1, secondo comma).
    L'art. 10 autoqualifica  le  norme  desumibili  dal  decreto  come
 "norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica".
    La   disciplina  teste'  richiamata  e'  gravemente  lesiva  delle
 attribuzioni della regione autonoma Valle d'Aosta ed  e'  illegittima
 per  vilazione  degli  artt.  3,  77,  100, 103, 108, 116 e 125 della
 Costituzione, nonche' per violazione dei principi dello Statuto della
 regione  autonoma  della  Valle  d'Aosta  (legge  costituzionale   26
 febbraio  1948,  n. 4), ed in particolare dei suoi artt. 2, 3, 4, 29,
 38, 43 e 46, primo comma.
                              IN DIRITTO
    1. - Occorre  preliminaremente  lamentare  che  il  Governo  abbia
 adottato  con  le  forme del decreto-legge delle misure che vengono a
 incidere fortemente sugli assetti istituzionali, e che  per  di  piu'
 violano   illegittimamente  la  sfera  di  autonomia  speciale  della
 ricorrente regione, con un coacervo  di  disposizioni  tra  loro  non
 omogenee,  e  nemmeno  tutte  di per loro corrispondenti al titolo, e
 comunque non caratterizzate da alcuna  esigenza  di  urgenza.  Appare
 quindi   evidente   come  siano  stati  travalicati  i  confini  alla
 decretazione d'urgenza richiamata dall'art. 15,  terzo  comma,  della
 legge  23  agosto 1988, n. 400, che reca la disciplina dell'attivita'
 di  Governo  e  l'ordinamento  della  Presidenza  del  Consiglio  dei
 Ministri.
    Il decreto in questione, assumendo, ma non dimostrando affatto, la
 ricorrenza  dei  presupposti della "necessita'" e dell'"urgenza", in-
 troduce misure  che  sono  di  assai  dubbia  idoneita'  rispetto  al
 perseguimento  dello  scopo  dichiarato  e  che minacciano di rendere
 ancor piu'  complesso,  lento  e  difficile  il  funzionamento  della
 pubblica amministrazione.
    Puo'  incidentalmente  aggiungersi  che  la reiterazione, come nel
 caso di specie, di decreti-legge di  contenuto  normativo  pressoche'
 coincidente  l'uno  con  l'altro,  senza  che  sia mai intervenuta la
 necessaria conversione in legge,  appare  di  per  se'  eversiva  del
 sistema  costituzionale:  in  effetti  sembra trattarsi di prassi non
 dissimile, quanto a ragioni  ispiratrici  e  ad  effetti,  da  quella
 espressamente  vietata  dall'art.  15, secondo comma, lett. c), della
 legge 23 agosto 1988, n.  400  (quest'ultima  disposizione,  come  e'
 noto,  interdice  al Governo di rinnovare decreti-legge dei quali sia
 stata negata la conversione da una delle due Camere).
    La ricorrenza degli estremi della  necessita'  e  dell'urgenza  e'
 anche  piu'  dubbia, se si considera che il decreto oggi impugnato fa
 parte di quella stessa serie di decreti-legge, di contenuto  analogo,
 che  ormai  da  diversi  mesi  si stanno susseguendo l'uno all'altro,
 tutti sul presupposto di una dichiarata, ma indimostrata, urgenza.  A
 tale  serie  appartengono  infatti  i  decreti-legge, non convertiti,
 dell'8 marzo 1993, n. 54, del 15 maggio 1993, n. 143, e del 17 luglio
 1983, n. 232. Sia pure  con  sfumature  in  parte  diverse  i  primi,
 evocando  anch'essi  la stessa suesposta "straordinaria necessita' ed
 urgenza",  esprimevano  in  buona  parte  la  medesima accentuata, ed
 illegittimita', tendenza a comprimere le autonomie regionali.
    D'altronde, che il complesso  delle  norme  recate  dall'impugnato
 decreto  possa  in  tutto  od  in  parte  rispondere  ai requisiti di
 necessita' e di urgenza da esso  evocati  sembra  anche  contraddetto
 dalla   autoqualificazione   (peraltro   irrilevante)   come   "norme
 fondamentali di riforma economico-sociale".
    Essendo appunto indimostrata la ricorrenza di  una  situazione  di
 necessita'  ed  urgenza,  a  torto evocata nella premessa, il decreto
 impugnato viola il precetto dell'art. 77 della Costituzione,  che  fa
 divieto al Governo di emanare decreti che abbiano valore di legge.
    D'altronde,   il   medesimo  ordine  di  censure  sull'inesistenza
 rispetto all'intero provvedimento,  o  quanto  meno  rispetto  a  sue
 specifiche  previsioni,  dei  suddetti  requisiti  di  necessita'  ed
 urgenza e' gia' stato ampiamente sollevato  in  sede  di  discussione
 presso   la   commissione   affari  cosituzionali  del  Senato  della
 conversione in legge del decreto  232/1933:  in  particolare,  si  e'
 rilevato  che le norme recate dal decreto, in quanto "intrinsecamente
 non urgenti", non presentassero i requisiti  previsti  dall'art.  78,
 terzo comma, del regolamento del Senato.
    Conseguentemente,  a  maggioranza, la commissione ha deciso di non
 accogliere la proposta di riconoscere i presupposti di  cui  all'art.
 78,  terzo comma, del regolamento in ordine alle previsioni da 7 a 10
 del decreto impugnato (v. seduta della 1a commissione del Senato  del
 22 luglio 1993).
    Puo' ancora aggiungersi che ben difficilmente sarebbe dimostrabile
 il  presupposto dell'urgenza rispetto ad un intervento che ha assunto
 il carattere di profonda  riforma  giurisdizionale  della  corte  dei
 conti,  che  peraltro trascende i limiti delle attribuzioni riservate
 alla stessa corte dei conti  dall'art.  100  della  Costituzione,  al
 secondo  comma.  Infatti,  quest'ultima  norma  della Costituzione si
 limita a prevedere la possibilita' che, con legge, si  introduca  una
 partecipazione  della  corte  dei conti al controllo preventivo sulla
 gestione finanziaria (e non, come nel decreto impugnato,  su  singoli
 atti) degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, mentre
 non e' affatto previsto che si possa attribuire sic et simpliciter il
 controllo preventivo in questione alla medesima corte dei conti.
    Inoltre,  per  quanto  concerne  le regioni, la Corte non potrebbe
 essere investita neanche della semplice partecipazione  al  controllo
 preventivo:  per  le regioni a statuto ordinario vale la tassativita'
 dei controlli previsti dall'art. 125 della Costituzione  (in  base  a
 tale  principio  venne da codesta ecc.ma Corte dichiarato illegittimo
 l'art. 2, terzo comma, lett. p), della legge n. 400/1988: cfr.  Corte
 costituzionale,  21  aprile  1989, n. 229). A maggior ragione un tale
 vaglio della corte dei  conti  non  e'  ammissibile  per  la  regione
 ricorrente,  per  la  quale,  come  si  rilevera'  nel  prosieguo del
 ricorso, esiste un sistema  tassativo  di  controlli  previsto  dallo
 statuto di autonomia speciale.
    Puo'  aggiungersi  che  il  decreto-legge  impugnato  si  pone  in
 contrasto  anche  con  il   secondo   comma   dell'art.   125   della
 Costituzione,  che  (come  e'  evincibile dalla classificazione degli
 organi  giurisdizionali  di  cui  all'art.  103  della  Costituzione)
 prevede  su  base  regionale  soltanto  l'istituzione  di  organi  di
 giustizia amministrativa che si inseriscono nella  giurisdizione  del
 Consiglio  di  Stato,  quali sono gli odierni t.a.r. E non la prevede
 viceversa per quanto concerne la giurisdizione della corte dei  conti
 (del  resto,  sia  pure  rispetto  ad  altra  questione, si e' sempre
 escluso,  che  la  struttura  su  base  regionale   della   giustizia
 amministrativa di cui all'art. 125 fosse applicabile anche alla corte
 dei  conti:  v.  Corte costituzionale, 7 marzo 1984, n. 52; C. Conte,
 sez. riun., 19 aprile 1988, n. 576/A).
    2. - Deve comunque rilevarsi che il decreto-legge impugnato ha  un
 ambito di applicazione che coincide largamente con quelle materie per
 cui  operano  le  riserve  di  legge di cui agli artt. 100, secondo e
 terzo comma, nonche' 103, secondo comma, e 108 della Costituzione: in
 base a tali norme costituzionali, sono riservate alla legge (in senso
 formale), rispettivamente, la determinazione dei casi e  delle  forme
 in  cui  la  corte  dei  conti  puo'  partecipare  al controllo sulla
 gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato  contribuisce  in  via
 ordinaria,  l'indipendenza della Corte medesima di fronte al Governo,
 l'ambito della giurisdizione della corte dei conti al di fuori  della
 contabilita' pubblica e, infine, l'ordinamento giudiziario.
    Ebbene,  a  prescindere dalla considerazione che, come si tentera'
 di dimostrare nel prosieguo del presente  ricorso,  il  decreto-legge
 impugnato si e' posto comunque per il proprio contenuto intrinseco in
 contrasto  con una pluralita' di precetti costituzionali, e' comunque
 da contestare che lo strumento del decreto-legge possa tener luogo ad
 una legge formale. Ed invero le riserve di legge in questione (tenuto
 conto,  fra  l'altro,  che  sono  finalizzate   anche   a   garantire
 l'indipendenza della corte dei conti rispetto al Governo) non possono
 che avere carattere assoluto. (Nel senso dell'insufficienza, rispetto
 ad analoghi contenuti del d.l. n. 54/1993, con riferimento specifico
 alla   medesima   questione,  v.  la  relazione  del  prof.  Correale
 "Trasparenza e buon andamento: sezioni unite e nuove competenze della
 corte dei conti" al convegno di studio di Roma, 10  giugno  1993,  su
 "Trasparenza,  legalita'  e  buon andamento: il ruolo della corte dei
 conti e delle altre magistrature"). Ed  ancora  piu'  di  recente  e'
 stato  ricordato  che  l'impiego  del  decreto-legge per modificare i
 contenuti di una giurisdizione come  quella  della  corte  dei  conti
 appare  criticabile  anche  perche'  tale procedura ha comportato che
 nemmeno e' stato  acquisito  il  parere  dell'organo  giurisdizionale
 interessato,  quando persino in una fase della nostra storia politica
 caratterizzata da un regime non democratico, con il r.d.  9  febbraio
 1939,  n.  273  si  previde  la  necessita' di acquisire il parere di
 Consiglio di  Stato  e  corte  dei  conti  relativamente  a  tutti  i
 provvedimenti   legislativi   destinati   ad   incidere   sulle  loro
 attribuzioni (Correale,  Prospettive  per  una  organica  gestione  e
 conseguente  tutela  dei  patrimoni pubblici nell'interesse oggettivo
 della collettivita', Relazione al convegno di Perugia  del  settembre
 1993, n. 16).
    D'altro  canto, nel medesimo decreto-legge impugnato si rinvengono
 anche disposizioni, che piu' incidono su alcune delle materie oggetto
 di riserva di legge, cosi' generiche da rimettere di  fatto  al  puro
 arbitrio  del  Governo  la  definizione  del loro effettivo ambito di
 efficacia. Cosi', l'ambito di esplicazione del  potere  di  controllo
 preventivo  della  corte  dei conti, di cui all'art. 7, e' completato
 con una formula  che  consente  la  sottoposizione  ai  controlli  in
 questione  e  degli atti che il Presidente del Consiglio dei Ministri
 ritenga  opportuno.  Il  medesimo  rilievo  puo' farsi a proposito di
 potere estorsivo attribuito alle  sezioni  riunite  nella  corte  dei
 conti  (rilievo  cui  si  aggiunge  la  denunzia della commissione di
 potere di controllo e di  potere  normativo  insita  nella  ricordata
 previsione  di  cui all'art. 7, quarto comma, del decreto impugnato).
 In relazione a quanto sopra appare ancora piu' palese  la  denunziata
 violazione della riserva di legge in materia di controllo della corte
 dei  conti,  di  cui  all'art. 100 della Costituzione, violazione che
 comunque sussiste anche se, per interventi che  incidano  nell'ambito
 in  esame,  dovesse  in ipotesi ritenersi sufficiente il ricorso allo
 strumento del decreto-legge.
    Inoltre, anche a voler prescindere dai  nuovi  contenuti  previsti
 dell'azione  della  Corte,  e'  lo  stesso disegno delle modalita' di
 esercizio che mette fortemente in  pericolo  la  sfera  di  autonomia
 regionale.  Infatti,  mancano  persino sufficienti garanzie in ordine
 all'indipendenza dell'esecutivo  nazionale  di  chi  in  concreto  e'
 chiamato  ad  operare  funzioni  essenziali  anche  nell'ambito delle
 competenze giurisdizionali della  corte  dei  conti.  Si  e'  infatti
 inopinatamente disposto, con l'art. 2, quarto comma, che la corte dei
 conti  possa avvalersi per adempimenti istruttori, di personale delle
 pubbliche  amministrazioni.  Tale  previsione,   specie   in   quanto
 applicabile  all'attivita'  che la corte dei conti sarebbe chiamata a
 svolgere rispetto  alle  regioni  ed  agli  enti  locali,  appare  in
 contrasto  con  la garanzia di indipendenza anche delle giurisdizioni
 speciali, di cui all'art. 108,  secondo  comma,  della  Costituzione,
 espressamente  estesa  tanto ai pubblici ministeri che "agli estranei
 che partecipano all'amministrazione della giustizia".
    3. - La disciplina in esame viene comunque ad incidere  gravemente
 sulla  stessa  sfera  di  autonomia  regionale. Essa infatti comporta
 l'assoggettamento dell'amministrazione regionale e degli enti  locali
 ad  un  controllo  preventivo  della  corte  dei  conti,  diverso  ed
 ulteriore rispetto ai controlli previsti dallo statuto  di  autonomia
 speciale  della Valle d'Aosta (legge costituzionale 26 febbraio 1948,
 n. 4), nel titolo IX (art. 44 e segg.), che costituiscono  un  ambito
 chiuso,    tassativamente    determinato,    attribuito   ad   organi
 specificamente individuati.
    Per di piu', tali controlli vengono ad essere predisposti per atti
 che sono l'espressione stessa dell'autonomia  regionale,  come  nelle
 ipotesi  previste  dalla  lett.  C)  dell'art. 7 (che, lo ricordiamo,
 contempla tutti gli atti normativi a rilevanza esterna, gli  atti  di
 indirizzo e gli atti di programmazione comportanti spese) ed incidono
 altresi'  su materie che appartengono alla competenza esclusiva della
 regione autonoma Valle d'Aosta. Infatti, come si e' visto, le lettere
 d),  f)  e  g)  dell'art.  7  prevedono  l'estensione  del  controllo
 preventivo  rispettivamente  ai  provvedimenti  di  disposizione  del
 demanio   e   patrimonio    immobiliare    eccedenti    la    normale
 amministrazione, all'autorizzazione alla sottoscrizione dei contratti
 collettivi  ed  ai  provvedimenti  che  disciplinano  l'esercizio  di
 funzioni  pubbliche  autoritative  relative   ai   dipendenti   delle
 pubbliche amministrazioni.
    E'   evidente   il  contrasto  con  le  norme  dello  statuto  che
 attribuiscono le materie oggetto di tali previsioni  alla  competenza
 normativa ed amministrativa regionale.
    Infatti,  l'art.  2,  dello  statuto  di  autonomia speciale della
 regione ricorrente attribuisce  alla  competenza  primaria  normativa
 regionale,  fra  l'altro,  alla lett. a) l'ordinamento degli uffici e
 degli enti dipendenti dalla regione e lo stato giuridico ed economico
 del personale, ed alla lett.  f)  le  strade  e  lavori  pubblici  di
 interesse  regionale.  L'art. 3, lett. f) attribuisce alla competenza
 normativa concorrente della regione le finanze regionali e  comunali.
 In  base  all'art.  4 del medesimo Statuto, alla competenza normativa
 regionale sia primaria che concorrente, di cui  agli  artt.  2  e  3,
 corrisponde la potesta' amministrativa della regione.
    Inoltre,  come  gia'  esposto,  e' prevista la possibilita' che il
 Presidente del Consiglio  dei  Ministri  estenda  di  sua  iniziativa
 l'ambito   dei   controlli  in  questione,  con  possibile  ulteriore
 incidenza sulle competenze regionali.
    4. - In ogni caso, il decreto-legge impugnato chiama ad esercitare
 il controllo preventivo in questione un organo non contemplato  dallo
 Statuto di autonomia speciale, il quale, invece, all'art. 46, rimette
 tale  ordine  di  attivita'  in  via  esclusiva  alla  commissione di
 coordinamento, di cui al precedente art. 45. Puo' ricordarsi che  con
 gli  artt.  60  e  segg.  della  legge  16  maggio 1978, n. 196 si e'
 provveduto  a  dettare  la  disciplina  di  attuazione  in  tema   di
 controlli.  Ne  consegue,  fra  l'altro,  che il decreto-legge de quo
 comporta una gravosa duplicazione del controllo previsto.
    D'altra parte, deve pure  rilevarsi  che  soltanto  le  competenza
 normativa   della   regione   ricorrente  puo'  essere  eventualmente
 compressa, ai sensi dell'art. 2  dello  statuto  di  autonomia  della
 regione ricorrente, dalle norme fondamentali delle riforme economico-
 sociali.  Nel  caso  di  specie,  ci  troviamo  invece  nel campo dei
 controlli previsto dall'art. 46 dello statuto, che non conosce alcuna
 eccezione, e possibilita' di compressione.
    E' da notare in particolare che la maggior parte dei provvedimenti
 per i quali dovrebbero operare le forme  di  controllo  anzidette  e'
 gia'  sottoposta  alla  particolare  procedura  di controllo anche di
 merito, comprensivo del potere  di  richiesta  di  riesame,  previsto
 dall'art. 61 della legge n. 196 del 1978.
   Dunque,  con una legge ordinaria, si e' creato ex novo un ordine di
 controlli  che  lo  Statuto   non   contempla,   determinando   cosi'
 un'interferenza  e  compressione  dell'autonomia  regionale;  d'altro
 canto, tale potere di  controllo  e'  stato  devoluto  ad  un  organo
 diverso  da  quello  a cui comunque lo Statuto riserva tale ordine di
 attivita'.
    5. - Rispetto ai primi due decreti che lo hanno preceduto,  quello
 oggi impugnato, in luogo di tentare di ovviare ai numerosi profili di
 incostituzionalita'  gia'  puntualmente  rilevati  nei  ricorsi a suo
 tempo promossi dalla Valle d'Aosta, come da altre regioni, ha seguito
 il decreto 232 del  1993  nell'introdurre  un'ulteriore  evidente  ed
 illegittima compressione della sfera di autonomia regionale.
    Infatti, come si e' visto, con il secondo comma dell'art. 7, si e'
 condizionata l'esecutivita' dei provvedimenti sottoposti al controllo
 preventivo  alla  mancata  declaratoria  di  non conformita' da parte
 della corte dei conti nel termine di trenta giorni dal ricevimento; e
 comunque  si  e'  data  la  possibilita'  alla  corte  dei  conti  di
 sospendere  l'esecutivita'  dei provvedimenti collegata alla potesta'
 di  chiedere  all'ente  che  ha  emesso  il  provvedimento  ulteriori
 adempimenti.
    Dunque,  applicandosi tale previsione anche ai provvedimenti delle
 regioni, ed in particolare anche  a  quelli  della  regione  autonoma
 ricorrente   in   materie   di   sua   competenza,  viene  ad  essere
 ulteriormente compressa la sfera di autonomia  regionale,  attraverso
 un  rilevante  condizionamento  dell'esecutivita'  dei  provvedimenti
 regionali, per di piu' operato mediante controlli non previsti  dallo
 Statuto,  da  organi  comunque  non investiti di una tale potesta' da
 alcuna norma di livello costituzionale (e a forme di un principio  di
 tassativita' dei controlli evincibile dallo Statuto regionale).
    Un'ulteriore  compressione  qualitativa delle competenze regionali
 e' altresi' riscontrabile nella  previsione  di  pubblicazione  nella
 Gazzetta   Ufficiale   della   Repubblica  degli  atti  sottoposti  a
 controllo, nei termini di cui all'art. 7, terzo  comma,  del  decreto
 impugnato.
    6.  -  Il  medesimo  ordine  di  considerazioni puo' essere svolto
 mutatis mutandis anche (nei limiti  in  cui  la  relativa  disciplina
 possa  essere  ritenuta  applicabile  alla  regione  ricorrente), per
 quanto concerne il controllo successivo, di cui  all'art.  7,  quinto
 comma.  Tale controllo successivo, oltre a palesarsi come un'evidente
 ingerenza  nell'autonomia  regionale,  in   quanto   attinente   alla
 valutazione  dell'efficacia  dell'azione amministrativa, si trasforma
 in una duplicazione del  controllo  che  il  consiglio  regionale  e'
 chiamato  ad  effettuare  sull'attivita'  della  giunta regionale, in
 particolare per quanto concerne bilancio e rendiconto consuntivo,  ai
 sensi  dell'art.  29  dello Statuto. (Ne' l'illegittimita' viene meno
 per essere la Corte tenuta a riferire su tale suo  operato  anche  ai
 consigli regionali).
    Peraltro  il  decreto-legge  impugnato  e' caratterizzato anche da
 un'altra grave anomalia, che  contribuisce  ad  incidere  in  maniera
 negativa   sulla   sfera   di   autonomia   regionale,  dato  che  la
 determinazione dei criteri di controllo e' riservata, al quinto comma
 dello stesso art. 7, allo stesso organo del controllo  e'  investito,
 il quale e' chiamato a definirli annualmente.
    7.  -  Del  tutto  ingiustificata  ingerenza  nella sfera di auto-
 organizzazione della regione, e comunque compressione della  potesta'
 normativa   di   cui  all'art.  2,  lett.  a)  dello  Statuto  appare
 l'applicabilita' anche ad essa sella previsione  di  un  servizio  di
 controllo  interno,  nei  termini di cui all'art. 9, primo comma, del
 decreto-legge  impugnato,  la  cui  funzione  non  e'  peraltro   ben
 definita.
    Ad  analogo  ordine  di  considerazioni  si  perviene  per  quanto
 concerne  l'istituzione  del   servizio   ispettivo   del   Ministero
 dell'interno:  quest'ultimo  e'  espressione  del  tutto palese di un
 tentativo di ingerenza da parte dell'apparato  centrale  dello  Stato
 nella   sfera  di  autonomia  regionale.  Tale  ingerenza  che  viene
 evidenziata anche dal vincolo istituito con l'art. 10,  terzo  comma,
 ultima   parte,   dei  servizi  di  controllo  delle  amministrazioni
 territoriali  e  periferiche  rispetto  al  servizio   ispettivo   in
 questione.
    Ma,   a   fronte  dell'incertezza  sulle  finalita'  del  servizio
 ispettivo del Ministero dell'interno, ogni incertezza viene meno  nel
 decreto li' dove si tratta di caratterizzare i poteri che il servizio
 ispettivo  in  questione  puo'  esercitare  (evidentemente  anche nei
 confronti delle regioni).
    8.  -  Per  quanto concerne poi il controllo sugli atti degli enti
 locali ove la disciplina impugnata sia applicabile  anche  agli  enti
 locali  della Valle, occorre ricordare che lo statuto valdostano, con
 l'art. 43, attribuisce la materia alla competenza  legislativa  della
 regione,  salvo  il  rispetto dell'armonia con i principi delle leggi
 dello Stato, e che la regione ha esercitato le proprie competenze con
 la legge regionale 15 maggio 1978, n. 11, e  poi  da  ultimo  con  la
 legge  regionale del 30 giugno 1992, riapprovata il 16 febbraio 1993,
 volta a sostituire la citata legge regionale n. 11 del 1978).
    Inoltre, lo  stesso  art.  43  attribuisce  anche  l'attivita'  di
 controllo in quanto tale sugli enti locali alla regione. E' appena il
 caso  di osservare che il procuratore regionale della corte dei conti
 e' un organo dello Statuto, e non certamente della regione.
    Dunque, il decreto-legge impugnato e' illegittimo, anche in quanto
 comprime una competenza  normativa  della  regione,  che  la  regione
 medesima  ha  peraltro  provveduto  ad esercitare, in una materia che
 appartiene alla competenza  normativa  esclusiva  della  regione,  ed
 attribuisce  ad  un organo dello Stato un'attivita' di controllo, che
 spetta invece alla regione, ai sensi del citato art. 43 dello Statuto
 regionale.
    La medesima censura e' peraltro riferibile anche,  in  parte  qua,
 alla  previsione  di un potere di richiesta di riesame da parte della
 corte  dei   conti   sugli   atti   ritenuti   non   conformi   delle
 amministrazioni  pubbliche non territoriali, in quanto fra esse siano
 ricomprese quelle assoggettate,  anch'esse  ai  sensi  dell'art.  43,
 primo  comma, dello statuto di autonomia speciale al (solo) controllo
 della regione ricorrente.
    9. - L'art. 38 dello Statuto di  autonomia  speciale  della  Valle
 d'Aosta  (legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n. 4), al primo
 comma,  espressamente  sancisce,  in  principio  della  tutela  delle
 minoranze  linguistiche,  di  cui all'art. 6 della Costituzione della
 Repubblica, l'equiparazione nella Valle d'Aosta della lingua francese
 a quella italiana: il che significa che, nel territorio della  Valle,
 non  e'  attribuita  una  posizione  di  preminenza  ne'  alla lingua
 italiana,  ne'  alla  lingua  francese  (v.  in  tali  termini  Corte
 costituzionale,  22  dicembre 1969, n. 156, in Cons. Stato, 1969, II,
 209),  essendo  entrambe  lingue  ufficiali  (cosi':  Barbagallo,  La
 regione  Valle  d'Aosta,  Milano,  Giuffre',  1991, 119). Come ha ben
 evidenziato la Corte costituzionale, in Valle d'Aosta, contrariamente
 a quanto  accade  in  altre  regioni  o  provincie  autonome  (ed  in
 particolare  in  Friuli-Venezia Giulia e nella provincia di Bolzano),
 si ha un bilinguismo perfetto (cfr. Corte costituzionale, 22 dicembre
 1969, n. 156, cit.).
    Il principio costituzionale in questione e' stato tuttavia violato
 dal decreto impugnato, che si e' limitato a  prevedere  (all'art.  1,
 secondo comma, il rispetto della normativa in materia di tutela delle
 minoranze   linguistiche,   esclusivamente   per  quanto  concerne  i
 procedimenti avanti le sezioni giurisdizionali (e  non  anche  per  i
 procedimenti  di  controllo),  e  comunque  soltanto limitatamente al
 territorio della regione Trentino-Alto Adige Valle d'Aosta, non prev-
 edendo per la regione Valle d'Aosta norme di tutela di segno analogo.
    10.  -  Infine,  occorre  puntualizzare  che  non  ha alcun valore
 l'autoqualificazione (di cui all'art. 10) del provvedimento impugnato
 come portatore di norme fondamentali di riforme economico-sociali. E'
 infatti dato del tutto pacifico che una tale  autoqualificazione  sia
 di  per  se' priva di rilevanza, dovendosi invece attribuire una tale
 natura soltanto in  base  alla  natura  obiettiva  del  provvedimento
 normativo, natura che va determinata in base al suo oggetto, alla sua
 motivazione  politico-sociale,  al  suo scopo, alla modificazione che
 possa indurre nei rapporti sociali (conf.: Corte  costituzionale,  25
 luglio 1984, n. 219, in Giur. Cost., 1984, I, 1490).
    In concreto, non sembra che una normativa, tanto di dettaglio come
 quella  oggi  impugnata,  possa  presentare  i  connotati delle norme
 fondamentali di riforma economico-sociale. D'altronde, codesta ecc.ma
 Corte ha avuto  modo  di  evidenziare  che  una  norma  statale  puo'
 legittimamente  incidere  sulle  competenze normative delle regioni a
 statuto speciale, solo in quanto sia considerata "norma  fondamentale
 di  riforma economico sociale"; ed a tale fine e' necessario che essa
 resti norma di principio, cioe' norma che lasci alle  regioni,  nelle
 materie   di   loro  competenze,  uno  spazio  normativo  sufficiente
 all'adattamento alla specifica realta' locale (Corte  costituzionale,
 15  novembre  1988,  n. 1033, in Giur. cost., 1988, I, 5048): proprio
 per il denunziato carattere di dettaglio della disciplina recata  dal
 decreto  impugnato, nel caso di specie non resta affatto alla regione
 ricorrente un tale margine di autonomia normativa.
   Si  chiede  pertanto:  piaccia  all'ecc.ma   Corte   costituzionale
 dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  del  d.l. 14 settembre
 1993, n. 359 (Disposizioni in  materia  di  legittimita'  dell'azione
 amministrativa), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale,
 n. 217, del 15 settembre 1993, ed in particolare dei suoi artt. 1, 2,
 7, 9 e 10, per violazione degli artt. 3, 77, 100, 103, 108, 116 e 125
 della Costituzione, nonche' per violazione dei principi dello statuto
 della  regione  autonoma della Valle d'Aosta (legge costituzionale 26
 febbraio 1948, n. 4), ed in particolare dei suoi artt. 2, 3,  4,  29,
 38,  43  e  46, primo comma, con ogni relativa conseguenza e con ogni
 connessa pronunzia.
      Roma, addi' 13 ottobre 1993
                     Avv. prof. Gustavo ROMANELLI

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