N. 683 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 giugno 1993

                                N. 683
  Ordinanza emessa il 4 giugno 1993 dalla corte d'appello di Palermo
  nel procedimento civile vertente tra il fallimento della S.r.l.
  "Salone Mobile del 2000" e amministrazione finanziaria dello Stato
 Procedure concorsuali - Fallimento (nella specie, a carico di
    societa' a r.l.) - Esclusione dall'attivo dei  beni  sottoposti  a
    misure  di prevenzione patrimoniale (sequestro e confisca) ex lege
    n.  575/1965  (Disposizioni  contro  la   mafia)   -   Conseguente
    impossibilita'  di  soddisfare i crediti non assistiti da garanzie
    reali (chirografari o privilegiati) di terzi incolpevoli,  fondati
    su  titoli  anteriori  al procedimento di prevenzione - Denunciata
    mancata previsione che gli effetti  della  confisca  non  eccedano
    l'ambito  personale  e patrimoniale dell'indiziato onde evitare la
    sottrazione ai terzi incolpevoli dei mezzi  legali  di  tutela  ad
    essi  spettanti  - Compressione del diritto di difesa - Violazione
    dei principi della personalita' della responsabilita' penale e  di
    legalita' per la sottoposizione a misure di sicurezza.
 (Legge 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-ter, quinto comma; legge 13
    settembre  1982,  n.  646,  art. 14; legge 31 maggio 1965, n. 575,
    art. 2-ter, terzo comma; d.l. 14 giugno 1989,  n.  230,  art.  4,
    primo comma, convertito in legge 4 agosto 1989, n. 282).
 (Cost., artt. 24, primo comma, 25, terzo comma, e 27, primo comma).
(GU n.47 del 17-11-1993 )
                          LA CORTE DI APPELLO
   Ha  emesso  la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n.
 115/90 del r.g. cont. civ. di  questa  corte  di  appello,  posta  in
 decisione  nell'udienza  collegiale  del 28 maggio 1993 e promossa in
 questo grado dal fallimento della S.r.l. "Salone Mobile del 2000"  in
 persona  del  curatore  avv.  Alberto  Marino  rappresentato e difeso
 dall'avv. Girolamo Bongiorno, p.zza Virgilio, 26,  mandato  in  calce
 all'atto  di citazione giusta autorizzazione del g.d. del 13 dicembre
 1989, appellante, contro l'amministrazione finanziaria dello Stato in
 persona   del   Ministro   pro-tempore   rappresentato    e    difeso
 dall'avvocatura dello Stato, appellata.
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Si  legge,  testualmente, negli atti di causa che "a seguito della
 dichiarazione di fallimento pronunciata dal tribunale di Palermo  con
 sentenza  del  26  aprile  1985,  della S.r.l. "Salone del Mobile del
 2000", si procedeva alla verifica dello stato passivo, che veniva poi
 depositato  in  cancelleria  e  dichiarato  esecutivo.  Con   ricorso
 depositato  il  19 dicembre 1985, l'amministrazione finanziaria dello
 Stato,    in   persona   del   Ministro,   rappresentata   e   difesa
 dall'avvocatura dello Stato, proponeva opposizione, esponendo che  il
 tribunale  di  Palermo  sezione misure di prevenzione con decreto del
 22-27 febbraio 1984, in applicazione dell'art. 2-ter della  legge  31
 maggio  1965,  n.  575,  aveva  sottoposto  a  sequestro  le quote di
 partecipazione di Sciarratta Francesco e di La Spisa Francesca  Santa
 alla  S.r.l.  "Salone  del  Mobile  del  2000",  nonche' tutti i beni
 aziendali della societa', cui era seguita la  confisca  disposta  con
 decreto  in  data  26  novembre 1984 (definito il 22 ottobre 1986), e
 lamentando che il giudice delegato  aveva  rigettato  la  domanda  di
 separazione  e restituzione proposta dall'Amministrazione medesima ex
 art 103 della l.f., degli anzidetti beni aziendali  inventariati  dal
 curatore.
    Costituitasi,    la    curatela    fallimentare   contestava   che
 l'amministrazione finanziaria dello  Stato  potesse  far  valere,  in
 virtu'  della  disposta  confisca,  un diritto di proprieta' a titolo
 originario sui beni della societa' fallita,  affermando,  invece,  il
 proprio  diritto  di  destinare  tali  beni  alla  soddisfazione  dei
 creditori  e  degli  altri  aventi  diritto,   e   che   la   pretesa
 dell'Amministrazione  avrebbe  dovuto  essere  limitata  soltanto  al
 residuo eventuale, e chiedendo il rigetto dell'opposizione.
    Con ordinanza  collegiale  dell'11-19  aprile  1986  il  tribunale
 sollevava  questione  di  legittimita'  costituzionale della legge 13
 settembre 1982, n. 646, in relazione agli artt. 27, primo  comma,  25
 terzo  comma  e  42  terzo  comma, della Costituzione, sospendendo il
 giudizio. Eppero' con ordinanza 25  marzo-14  aprile  1988  la  Corte
 costituzionale   dichiarava   la   manifesta  inammissibilita'  della
 questione; e la causa veniva infine decisa con  la  sentenza  del  13
 febbraio-18  aprile  1989, con la quale il tribunale adito - premesso
 che le misure di prevenzione a carattere patrimoniale previste  dalla
 legge  n.  646/1982 non consentono alcuno spazio di intervento (nella
 specie) agli organi fallimentari a tutela delle ragioni  della  massa
 dei  creditori,  la  sola tutela dei terzi, titolari di diritti reali
 sulle cose,  essendo  apprestata,  secondo  l'art.  14  della  legge,
 all'interno  del  procedimento  di  prevenzione,  e  restando  invece
 esclusa la tutela di soggetti  titolari  di  crediti,  privi  di  una
 qualsiasi  relazione  giuridica  con  la  cosa  soggetta  a  confisca
 (finanziatori,   fornitori,   lavoratori   subordinati,   promissari,
 acquirenti,  ecc.);  che, pertanto, i beni aziendali detti, sui quali
 era  caduta  la  confisca,  andavano  restituiti  all'amministrazione
 finanziaria   dello   Stato  -  in  accoglimento  della  opposizione,
 dichiarava   che   i   beni    in    parola    andavano    restituiti
 all'amministrazione opponente e che andavano sospese le operazioni di
 liquidazione  dell'attivo  fallimentare; compensava per intero fra le
 parti le spese del giudizio.
    Avverso la sentenza ha proposto appello la "curatela", deducendo:
      1)  che  la  premessa  contenuta  in  sentenza  costituiva   una
 petizione  di  principio,  tant'e'  che  la  giurisprudenza  in  piu'
 occasioni, concependo la confisca come titolo di acquisto a carattere
 derivativo, ha affermato  che  i  beni  costituenti  l'attivo  di  un
 fallimento,  considerati nel loro complesso e nella unita' della loro
 destinazione,  essendo  vincolati  ex  art.  2740   del   c.c.   alla
 soddisfazione  dei  creditori,  possono  essere acquisiti dallo Stato
 solo per quanto residua a conclusione della procedura concorsuale (v.
 tribunale  di  Palermo, sezione misure di prevenzione, 16 aprile 1984
 c/R. Spatola; idem 18  febbraio  1986  c/G.  Pilo),  riconoscendo  la
 prevalenza  della  procedura  fallimentare  su quella delle misure di
 prevenzione,  giacche'  la  confisca  assolve  ad  una  funzione   di
 prevenzione  ed  e'  fondata  su una presunzione di pericolosita' che
 inerisce non alla cosa in se', ma alla relazione in cui essa si trova
 con  l'indiziato  mafioso,  e  nei  limiti  di  tale  relazione,   il
 raggiungimento  delle  finalita'  proprie dell'istituto e' assicurato
 dalla espropriazione dei diritti vantati dall'indiziato sulla cosa  e
 soltanto di essi, senza necessita' di sacrificare situazioni di terzi
 incolpevoli,   con   l'ulteriore   conseguenza  che  nelle  procedure
 fallimentari la perdita della disponibilita' da parte  dell'indiziato
 mafioso  rende  inoperante  la  misura patrimoniale, sicche' lo Stato
 puo' appropriarsi, per confisca,  solo  di  quanto  residuera'  dalla
 liquidazione  concorsuale, cosi' restando salvo lo scopo della legge,
 perche' il mafioso non potra' mai disposrre  dei  beni  confiscati  e
 subastati, neppure nel residuo;
      2)  che  l'affermazione  che  "la tutela dei terzi e' apprestata
 all'interno del procedimento di prevenzione", dimentica che la  legge
 n.  646/1982  prende  in considerazione soltanto i terzi, titolari di
 beni  che   sono   nella   disponibilita'   dell'indiziato   mafioso,
 trascurando  i  terzi  creditori che avrebbero potuto soddisfarsi sui
 beni confiscati;
      3) che errata e' l'affermazione che la legge non appresta tutela
 ai terzi creditori chirografici o privilegiati privi di una qualsiasi
 relazione giuridica con la cosa  soggetta  a  confisca,  giacche'  lo
 Stato in realta' succede al debitore indiziato mafioso solo in quella
 restante  parte  del patrimonio non gravata dalla responsabilita' per
 l'adempimento delle obbligazioni.
    L'amministrazione finanziaria dello Stato costituitasi ha  chiesto
 il  rigetto  del  gravame.  La  causa  e'  stata  posta  in decisione
 all'udienza collegiale del 28 maggio 1993.
                              M O T I V I
    1. - Correttamente il tribunale di  Palermo,  con  l'ordinanza  di
 rimessione  alla  Corte  costituzionale dell'11-19 aprile 1986, aveva
 rilevato come la confisca dei beni in danno del  soggetto  sospettato
 di  appartenenza  ad  associazioni  di  tipo  mafioso, abbia lo scopo
 primario di colpire tutte le forme di reimpiego "pulito" dei capitali
 di illecita provenienza  e  abbia  pertanto  natura  sanzionatoria  e
 repressiva,  posto  che  i  soli  "presupposti, che nel sistema della
 legge assumono rilievo determinante ai fini  dell'applicazione  della
 confisca,  sono  riferiti  ai  pregressi  comportamenti  di  illecito
 arricchimento con valutazione, cioe',  del  tutto  'a  posteriori'  e
 senza   alcuna   indagine   proiettata   in   prospettive  future  di
 prevenzione", tant'e' che la confisca non  colpisce  le  pur  ingenti
 fortune che l'indiziato mafioso possa aver accumulato lecitamente per
 effetto,  ad  esempio,  di  lasciti  ereditari,  ancorche'  le stesse
 possano essere finalizzate "a scopi di sostegno e  di  rafforzamento"
 dell'associazione mafiosa.
    Da   tale  premessa  deriva  la  conferma,  evidenziata  pure  dal
 tribunale, della necessita' che siano avocati allo Stato, nella  loro
 oggettiva  e  materiale consistenza i beni colpiti dalla confisca (v.
 il perentorio disposto degli artt. 2-quinquies, secondo comma,  della
 legge  n.  575/1965 e 4, primo comma, della legge n. 282/1989), senza
 che  si  ponga un problema di concorrenti pretese di terzi creditori,
 ancorche' fondate su titoli anteriori al procedimento di prevenzione;
 rimanendo, cosi' superato uno degli argomenti della curatela, secondo
 cui, ritenuta la natura preminentemente preventiva della confisca, lo
 scopo della legge verrebbe raggiunto egualmente se i  beni  rimangono
 comunque  sottratti  alla  disponibilita'  del  prevenuto  dichiarato
 fallito, perche' acquisiti all'attivo del fallimento.
    2. - Ne'  la  tesi,  che  la  misura  patrimoniale  possa  colpire
 soltanto  quanto risulta dalla liquidazione delle passivita' gravanti
 sui beni confiscati, pur  in  armonia  con  l'esigenza  di  accordare
 tutela ai terzi incolpevoli, trova alcuna giustificazione nel diritto
 positivo,  che  non  disciplina  in alcun modo lo strumento di tutela
 della pretesa ne' consente di ammettere "che lo Stato, che acquisisce
 i beni in base a confisca, sia tenuto  ad  accollarsi  o  comunque  a
 riconoscere le obbligazioni assunte dal prevenuto".
    Ai  sensi  dell'art.  2740 del c.c. infatti il creditore, in forza
 della responsabilita' patrimoniale del debitore, non viene a godere -
 come osserva l'avvocatura dello Stato - di n rapporto diretto  con  i
 beni  del  debitore: il rapporto e', e resta, di natura personale. E'
 questi, infatti che garantisce i creditori con i suoi  beni;  eppero'
 il creditore non ha un diritto immediato sul patrimonio del debitore,
 ma si soddisfa sul patrimonio del debitore mediatamente attraverso la
 persona del debitore.
    Sicche',  come  pure  e' stato osservato in dottrina, il creditore
 (che non sia titolare di un diritto reale,  che  segua  la  cosa  nel
 passaggio  dal  patrimonio del debitore a quello di un terzo) subisce
 il "rovescio patrimoniale del debitore, come avviene in ogni caso  in
 cui  il  debitore  cada  in  disgrazia  economica,  o  compie atti di
 disposizione che, non essendo attuati in frode,  non  possono  essere
 revocati a vantaggio del creditore".
    Per  non  aggiungere  che  se  il giudice civile, del fallimento o
 della esecuzione individuale, limitasse l'oggetto  della  confisca  a
 quanto  residua  dopo  il soddisfacimento delle ragioni dei creditori
 del prevenuto, modificherebbe  il  provvedimento  del  giudice  della
 prevenzione  (non  e'  sperfluo  rilevare  che i provvedimenti citati
 dalla curatela, che hanno limitato la  confisca  al  "residuo",  sono
 stati   emessi  dal  giudice  della  prevenzione)  al  di  fuori  del
 procedimento che e' proprio e senza una positiva previsione di legge.
    E' stato anche osservato che si farebbe raggiungere  all'indiziato
 mafioso  "il  risultato  di  estinguere  i  propri  debiti attraverso
 l'impiego di beni di origine illecita, che invece per  legge  debbono
 essere   confiscati",  con  il  paradosso  "di  veder  funzionare  la
 procedura  fallimentare  (oppure  le   stesse   procedure   esecutive
 individuali)  come uno dei mezzi di reimpiego dei beni costituenti il
 frutto di attivita' illecite".
    3. - Eppero' se la confisca  deve  essere  ablativa  di  qualsiasi
 concorrente  pretesa  di  terzi  creditori sui beni del prevenuto (v.
 piu' chiaramente le disposizioni degli artt.  1  e  4  del  d.l.  n.
 230/1989  convertito  in  legge  n.  282/1989),  non e' dubbio - come
 giustappunto ha rilevato il tribunale nella ordinanza -  che  vengono
 ad  essere  incisi  dal  provvedimento  anche  soggetti  che non sono
 destinatari di alcun intervento sanzionatorio".
    E'  vero  che  i diritti di credito restano integri, cosi' come il
 debitore prevenuto resta gravato dei suoi debiti, ma e' pur vero  che
 da   un   lato  il  prevenuto  "sconta"  la  sanzione  con  beni  che
 sostanzialmente   avrebbero   dovuto   essere   liquidati   per    il
 soddisfacimento  dei  terzi  creditori  e  che  egli avrebbe comunque
 perduto, mentre dall'altro quelli, pur mantenendo  integri  i  propri
 diritti,   vedono   sfumare,  di  fatto  spesso  definitivamente,  la
 possibilita' di soddisfarli.
    Invero nel caso, come nella specie, di incapienza  del  patrimonio
 del  debitore,  la  confisca  cade  soltanto su beni che il prevenuto
 avrebbe  comunque  perduto  per  effetto   delle   azioni   esecutive
 dipendenti  da  titoli  anteriori  alla  confisca  stessa: per cui "a
 fronte della totale inefficenza  della  sanzione  nei  confronti  del
 prevenuto  (tranne  la  mancata  liberazione dai debiti), destinatari
 indiretti o di riflesso di questa restano i terzi creditori", che per
 effetto (nel  caso  di  specie)  dell'accoglimento  dell'opposizione,
 imposto  dalla  disciplina  positiva  della confisca, vengono privati
 della possibilita' attuale di soddisfacimento.
    I profili di incostituzionalita', gia' rilevati dal tribunale,  di
 siffatto meccanismo normativo, guardati sia in relazione all'art. 27,
 primo  comma,  della Costituzione sia in relazione all'art. 25, terzo
 comma, della stessa (perche' e' certo che i terzi creditori non hanno
 meritato  di  subire  alcuna  sanzione  o  alcun  sacrificio,  spesso
 notevole  ed  irreversibile),  sia  ancora  in relazione all'art. 24,
 primo comma, della Costituzione  (poiche'  al  terzo  creditore,  non
 titolare  di  diritti  reali  di  garanzia,  non  e'  consentito  ne'
 all'interno del processo di prevenzione ne' all'interno del  processo
 esecutivo  concorsuale  o  individuale,  l'esercizio  del  diritto di
 soddisfare i propri crediti sulle cose  oggetto  della  procedura  di
 prevenzione,  che  le  stesse  norme  della  citata legge n. 282/1989
 appaiono finalizzate esclusivamente - malgrado quel generico richiamo
 alla tutela dei diritti  dei  terzi,  contenuto  nell'art.  2,  primo
 comma,  -  alla  amministrazione  e  conservazione  delle  cose e dei
 patrimoni  sequestrati  o  confiscati)  rendono  non   manifestamente
 infondata  la  questione  di  costituzionalita' (la cui rilevanza nel
 presente giudizio emerge da quanto sopra esposto anche in  narrativa)
 dell'art.  2-ter,  quinto  comma  della legge 31 maggio 1965, n. 575,
 integrata dall'art. 14 della legge 13  settembre  1982,  n.  646,  in
 relazione  all'art.  24, primo comma, della Costituzione, nella parte
 in cui non prevede che i terzi creditori chirografari o  privilegiati
 del  prevenuto  (o i soggetti di diritti di natura obbligatoria sulle
 cose  del  prevenuto)  per  titoli  anteriori  al   procedimento   di
 prevenzione,  abbiano sia all'interno del processo di prevenzione sia
 all'esterno del medesimo, in sede di giudizio civile di cognizione  o
 di  esecuzione  (individuale o concorsuale), possibilita' di ottenere
 tutela giuridica  satisfattoria  delle  loro  pretese  sui  beni  del
 prevenuto   assoggettati  al  procedimento  di  confisca  o  comunque
 definitivamente  confiscati,  attraverso  tecniche  di  tutela   che,
 spossessando  il  prevenuto, facciano salve le pretese creditorie dei
 terzi medesimi, purche' non soddisfatte sui beni non  sequestrati;  e
 comunque  dello stesso art. 2-ter citato, terzo comma, e dell'art. 4,
 primo comma, del d.l. n. 230/1989 convertito il legge n. 282/1989 in
 relazione agli artt. 27, primo comma, e/o  25,  terzo  comma,  e  24,
 primo  comma,  della  Costituzione,  laddove  non  prevedono  che gli
 effetti della confisca e della devoluzione allo Stato,  non  eccedano
 l'ambito   personale   e   patrimoniale  dell'indiziato  mafioso,  ma
 coinvolgono i terzi di cui sopra, sottraendo loro la possibilita'  di
 soddisfare  i  propri  crediti  (e le proprie pretese) sulle cose del
 prevenuto confiscate, alle condizioni anzi chiarite.
                                P. Q. M.
    Revoca  l'ordinanza  di  assegnazione  della  causa  a   sentenza,
 ritenuta  non  manifestamente  infondata la questione di legittimita'
 costituzionale degli artt. 2-ter, quinto comma, della legge 31 maggio
 1965, n. 575, integrata dall'art. 14 della legge 13  settembre  1982,
 n.  646, in relazione all'art. 24, primo comma, della Costituzione, e
 comunque dello stesso art. 2-ter cit., terzo comma,  e  dell'art.  4,
 primo  comma, del d.l.  n. 230/1989, convertito in legge n. 282/1989
 in relazione agli artt.  27, primo comma, e/o 25, terzo comma, e  24,
 primo   comma,   della   Costituzione,  nei  termini  specificati  in
 motivazione, e ritenuta la rilevanza  della  predetta  questione  con
 riguardo  al presente giudizio; sospende, ai sensi dell'art. 23 della
 legge 11 marzo 1953, n. 87, il  processo  e  ordina  la  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    La  cancelleria  curera' la notifica della presente ordinanza alle
 parti e al Presidente del Consiglio, e la comunicazione della  stessa
 ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Palermo, addi' 4 giugno 1993
                       Il presidente: PALMEGIANO
    Il consigliere estensore: LIBRIZZI
                                 Il collaboratore di cancelleria: MELI
 93C1130