N. 685 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 luglio 1993
N. 685 Ordinanza emessa il 26 luglio 1993 dal pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra la S.p.a. Comital e la S.r.l. I.C.L.A. Esecuzione forzata - Precetto - Debitore: EFIM e societa' controllate - Disciplina speciale - Divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive per i creditori di detti enti per i crediti aventi titolo o causa anteriore al 18 luglio 1992 - Inapplicabilita' dell'azione revocatoria agli atti compiuti dopo tale data dal commissario liquidatore o, su specifica autorizzazione di questi, dalle societa' controllate - Mancata previsione, tra i fini del programma commissariale, della realizzazione dell'interesse dei creditori - Previsto pagamento parziale, per ragioni di utilita' e urgenza, su autorizzazione del Ministro del tesoro, dei debiti delle societa' non integralmente controllate dall'EFIM - Lamentata possibile inapplicabilita' della sospensione dei pagamenti dei debiti delle societa' di cui sopra nei confronti di altre societa' controllate - Prevista convertibilita' in capitale della societa' mutuataria dei crediti nascenti da prestiti concessi da societa' non interamente controllata dell'EFIM ad altra societa' controllata - Violazione del principio della par condicio tra creditori - Compressione del diritto alla tutela giurisdizionale senza alcun apporto all'interesse pubblico generale. (D.L. 19 dicembre 1992, n. 487, art. 6, sesto comma, convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 1993, n. 33, in relazione al d.l. 19 dicembre 1992, n. 487, artt. 2, secondo comma, 6, primo e secondo comma, lett. d), 7, terzo comma, e 8, primo comma). (Cost., artt. 3, 24 e 41).(GU n.47 del 17-11-1993 )
IL PRETORE Letti gli atti e sciogliendo la riserva; OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO 1. - Con atto di precetto notificato in data 23 aprile 1993, la I.C.L.A. S.r.l. intimava alla Comital S.p.a. il pagamento della somma complessiva di L. 4.924.298, riservandosi di agire in separata sede per l'esazione della residua parte del credito risultante dal decreto dichiarato esecutivo, per mancanza di opposizione, in data 31 marzo 1993 e spedito in forma esecutiva in data 15 aprile 1993, con il quale il presidente del tribunale di Torino aveva ingiunto alla societa' debitrice il pagamento dell'importo di L. 25.495.357, oltre interessi e spese. Avverso tale precetto, la Comital S.p.a. proponeva opposizione con atto di citazione notificato in data 28 aprile 1993. Esponeva l'attrice che il precetto de quo era da considerarsi nullo, sia perche' l'atto di intimazione conteneva l'errata indicazione della data di notificazione del decreto ingiuntivo, sia, soprattutto, perche' il d.l. 19 dicembre 1992, n. 487, convertito in legge con modificazioni della legge 17 febbraio 1993, n. 33, avente ad oggetto la soppressione dell'Efim, stabiliva all'art. 6, sesto comma, il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive per i creditori dell'ente stesso e di tutte le societa' controllate, qualora il credito azionato avesse titolo o causa anteriori al 18 luglio 1992. Nel caso di specie sussistevano ambedue i presupposti della norma, in quanto il credito fatto valere dalla I.C.L.A. mediante la procedura monitoria era documentato dalle fatture commerciali n. 1.140/91 e 7/92, emesse rispettivamente in data 19 dicembre 1991 e 31 gennaio 1992, mentre il decreto del Ministro del tesoro in data 31 ottobre 1992, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 264 del 9 novembre 1992, indicava la Comital tra le societa' direttamente o indirettamente controllate dall'Efim. Si costituiva ritualmente la I.C.L.A., contestando gli assunti avversari. In particolare, la convenuta prospettava sotto diversi profili l'illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 6, sesto comma, del d.l. n. 487/1992. Secondo la prospettazione della I.C.L.A., l'impianto previsto dal d.l. n. 487/1992 non avrebbe contemplato alcun intervento o controllo giurisdizionale per la tutela delle ragioni dei creditori, ne' istituito alcun organo preposto alla cura di tali interessi; sarebbe stato inoltre violato il principio della par condicio creditorum, in quanto la sospensione dei pagamenti dei debiti imposta al commissario liquidatore, necessario pendant del divieto di azioni esecutive in vista dell'attuazione del programma di cui all'art. 2, secondo comma, sarebbe stata illegittimamente derogata per alcune categorie di creditori, creando cosi' una disparita' che poteva determinare l'insufficienza del patrimonio delle societa' interessate a soddisfare tutti i creditori nella misura dovuta. La compressione dei diritti dei creditori, infine sarebbe stata ulteriormente aggravata dalla inapplicabilita' degli artt. 2901 del c.c. e 67 della l.f. agli atti compiuti dal commissario e, su sua autorizzazione, dalle societa' controllate, con la conseguente impossibilita' di sottoporre tali atti al sindacato previsto dalle azioni revocatorie (art. 8, primo comma, del d.l. n. 487/1992). Con memoria in data 12 luglio 1993, la I.C.L.A. indicava altri motivi di censura della normativa in questione. In violazione degli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione, l'art. 5 del d.l. n. 487/1992 avrebbe previsto il pagamento integrale dei debiti dell'Efim e delle societa' interamente controllate, sia direttamente sia indirettamente: poiche' la Comital risulta controllata indirettamente dall'Efim per il 99,99% (non si tratta quindi di societa' interamente controllata), l'esigua percentuale di azioni possedute da terzi costituirebbe mero dato formale, insufficiente a giustificare la disparita' di trattamento nei confronti delle societa' interamente controllate. Argomentava ancora la convenuta sostenendo che il "blocco" delle azioni esecutive non era motivato da alcun interesse pubblico prevalente, in quanto il procedimento disciplinato dal d.l. n. 487/1992 presentava anomalie tali da non poter venire qualificato come procedura concorsuale indirizzata al soddisfacimento dei creditori, mentre solo una simile procedura avrebbe costituito "contropartita" idonea a giustificare il sacrificio dei diritti dei creditori. Per tutto quanto fino esposto, la I.C.L.A. instava affinche' gli atti del presente procedimento fossero trasmessi alla Corte costituzionale. 2. - Deve essere preliminarmente affrontato un problema di ordine processuale. Si potrebbe argomentare che le questioni di legittimita' prospettate non siano proponibili nel presente procedimento, poiche', mentre l'art. 6, sesto comma, vieta le azioni esecutive e l'esecuzione stessa inizia con il pignoramento, la mera notifica dell'atto di precetto non sarebbe ancora idonea a giustificare l'eccezione di nullita' ex art. 6, sesto comma. L'opinione e' infondata. E' noto che la notificazione del precetto manifesta in modo esplicito e solenne il proposito del creditore di procedere ad esecuzione forzata. Si tratta, inoltre, di un atto necessario, non potendosi procedere all'esecuzione senza prima intimare formalmente al debitore di adempiere a quanto dovuto. Se, quindi, la notifica del precetto non fa ancora parte del processo esecutivo, e' tuttavia innegabile che tale notifica e' gia' sufficiente per prospettare come imminente l'inizio dell'esecuzione,cosi' da rendere attuale l'interesse ad apporsi ad essa, se ritenuta illegittima. L'art. 615 del c.p.c. prevede pertanto che, quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e questa non e' ancora iniziata, si puo' proporre opposizione al precetto. Di fronte alla domanda ex art. 615 del c.p.c. con cui la Comital ha contestato il diritto di controparte a procedere all'esecuzione in base al disposto dell'art. 6, sesto comma, legittimamente dunque la I.C.L.A. ha replicato sollevando la questione di incostituzionalita'. 3. - La complessita' delle questioni sollevate dalla convenuta richiede, ancor prima di affrontare i profili relativi alla rilevanza e alla manifesta infondantezza delle eccezioni prospettate, alcune premesse di carattere generale. Il d.l. 19 dicembre 1992, n. 487, convertito in legge con modifiche dalla legge 17 febbraio 1993, n. 33, disciplina sia lo scioglimento e la liquidazione dell'Efim, sia la sorte di tutte le societa' controllate dall'ente, direttamente o indirettamente, totalmente o parzialmente. Per raggiungere questo obbiettivo (in riferimento soprattutto alle societa' controllate), il commissario liquidatore predispone un apposito programma che, al fine di consentire la razionalizzazione industriale delle imprese interessate, deve individuare, tra l'altro, le societa', le aziende o parti di esse che possono essere trasferite a terzi, quelle che non sono suscettibili di utile trasferimento, indicando le procedure piu' idonee alla dismessione delle relative attivita', e i principi di ristrutturazione delle societa' operanti nel settore dell'alluminio, secondo un piano triennale (art. 2, secondo comma). Il commissario, con gli amplissimi poteri concessigli dall'art. 4, deve poi provvedere all'attuazione del programma, previa approvazione da parte del Ministro del tesoro di concerto con i Ministri dell'industria e delle partecipazioni statali. Trascorsi due anni dalla data dell'approvazione ministeriale, l'Efim e le societa' che a tale data risultino ancora controllate verranno poste in liquidazione coatta amministrativa (art. 4, terzo comma). Nelle sue linee essenziali, il disegno generale della normativa in questione risulta pertanto il seguente: a seguito di una vasta opera di riorganizzazione industriale, tendente sia a salvaguardare i livelli patrimoniali e occupazionali delle societa' controllate sia a rendere "appetibili" ai terzi compratori le imprese piu' toniche, l'intero sistema economico controllato dall'Efim dovra' essere "smantellato", o mediante il trasferimento a terzi o mediante la liquidazione delle societa' non suscettibili di utile trasferimento, che trascorsi i due anni dovra' avvenire nella forma della liquidazione coatta amministrativa. E' prevista una disciplina particolare per le societa' operanti nel settore dell'alluminio, quale e' la Comital, nei cui confronti dovranno venire attuali i principi di ristrutturazione risultanti dal citato piano triennale. Per quanto riguarda i debiti delle societa' del gruppo, l'art. 5 prevede il pagamento integrale dei debiti dell'Efim e delle societa' controllate per intero, sia direttamente sia indirettamente (tra di esse, come si e' detto, non e' ricompresa la Comital), quando nel programma di cui all'art. 2, secondo comma, ne sia prevista la liquidazione, e limitatamente ai debiti assunti nel periodo in cui il controllo era totale. Per le restanti societa', i debiti dovranno venire accollati dal compratore; in caso di liquidazione, invece, la societa' rispondera' nei limiti del patrimonio. Al fine di permettere una corretta predisposizione e successiva attuazione del programma da parte del commissario, e di evitare ulteriori perdite in capo alle aziende del gruppo, il legislatore ha poi disposto la "cristallizzazione" della situazione patrimoniale dell'Efim e di tutte le societa' controllate alla data del 18 luglio 1992, stabilendo, da un lato, la sospensione dei pagamenti dei debiti da parte di tutte le societa' interessate, con le eccezioni di cui si dira', a far tempo da tale data, e, dall'altro, il divieto di azioni esecutive, concorsuali e cautelari in capo ai creditori per titolo o causa anteriori al 18 luglio 1992, sul patrimonio dell'ente soppresso o delle societa' controllate. Come si vede, il legislatore ha delineato un procedimento amministrativo ad hoc, integralmente predeterminato, in luogo di ricorrere ad una delle procedure tipiche previste dall'ordinamento. Ora, mentre per quanto riguarda l'Efim la disciplina non si discosta sostanzialmente dai principi generali che sottendono alle procedure liquidative attualmente vigenti (cfr. la legge 8 dicembre 1956, n. 1404, per la liquidazione degli enti pubblici non economici, gli artt. 11 e 21 delle disp. att. del c.c. per la liquidazione delle associazioni e fondazioni, nonche', riguardo agli enti pubblici economici, la normativa relativa alla liquidazione coatta amministrativa), tranne che per il carattere amministrativo e non giurisdizionale di ogni fase del procedimento, compresa quella di formazione dell'elenco dei crediti ammessi (art. 5, quarto comma), per quanto riguarda le societa' controllate la disciplina appare del tutto singolare ed anomala, tanto da aver suscitato in dottrina parecchi dubbi di legittimita'. In realta', una corretta valutazione dell'istituto non puo' prescindere anzitutto dall'individuazione della sua esatta natura. Sotto questo profilo, sono state spesso sopravvalutate le affinita' sia con la liquidazione coatta amministrativa, sia con l'istituto della straordinaria amministrazione delle grandi imprese in crisi. E' innegabile che anche questi ultimi due istituti siano giustificati dalle finalita' pubblicistiche connesse all'attivita' delle diverse categorie di imprese ad esse soggette, le quali involgono molteplici interessi, o perche' attengono a particolari settori dell'economia nazionale o esercitano su di essa una concreta influenza per le loro dimensioni, o perche' si trovano in posizione di complementarieta', dal punto di vista teleologico o organizzativo, con la p.a. (cfr. Corte costituzionale nn. 159/1975 e 87/1969). Purtuttavia, esistono importanti argomenti per sostenere la prevalenza, in tali due procedure, della natura satisfattiva dei creditori, rispetto a quella conservativa e risanatoria delle imprese interessate. La stessa Corte costituzionale, con le sentenze nn. 222/1984 e 155/1980 (in tema di liquidazione coatta amministrativa), e 181 e 185 del 1987 e 41/1985 (in tema di amministrazione straordinaria), si e' soffermata sugli aspetti giurisdizionali delle procedure de quibus, sottolineandone le affinita' negli obbietttivi con la procedura fallimentare. In particolare, per quanto concerne l'amministrazione straordinaria, bastera' ricordare che la procedura viene disciplinata, salvo contraria indicazione, dagli artt. 195 e segg. e 237 della l.f. (art. 1, quinto comma, del d.l. n. 26/1979), e che la continuazione dell'esercizio dell'impresa costituisce ipotesi meramente eventuale, dovendosi in mancanza procedere direttamente alla fase concorsuale (art. 2 del d.l. n. 26/1979); del resto la Corte costituzionale, dichiarando la legittimita' dell'estensione alla amministrazione straordinaria delle norme che disciplinano la liquidazione coatta amministrativa, e soprattutto di quelle aventi ad oggetto i delitti di bancarotta, ha precisato che " .. accomuna le due procedure la finalita' di attuare la responsabilita' patrimoniale delle imprese soggette mediante la soddisfazione dei creditori .." (Corte costituzionale n. 185/1987). Ancora, non va dimenticato che la suprema Corte, nel ritenere manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle leggi nn. 95/1979 e 544/1981 nella parte in cui pongono il divieto di azioni esecutive individuali, pur facendo riferimento alla funzione di risanamento perseguita dalla normativa dell'amministrazionestraordinaria, non ha mancato di aggiungere che tale risanamento si risolve in un vantaggio per gli stessi creditori, sottolineando cosi' la permanenza della finalita' satisfattiva della procedura (Cass. n. 11445/90). Nel procedimento che qui interessa, invece, deve ritenersi prevalente l'aspetto conservativo (pur se inteso non come mantenimento delle strutture patrimoniali ed occupazionali in capo all'ente disciolto e alle societa' controllate, ma come continuazione dell'attivita' in seguito a cessione a terzi) e risanatorio. L'assunto e' confortato da diversi argomenti. La procedura di cui al d.l. n. 487/1992 vale anzitutto per tutte le societa' controllate dall'Efim, e quindi anche per quelle non insolventi, o altrimenti in stato di crisi, o comunque responsabili di irregolarita' di funzionamento, tanto e' vero che l'art. 6, secondo comma, prevede che il commissario possa proporre al Ministro del tesoro la deroga alla sospensione dei pagamenti, purche' si tratti di societa' che abbiano chiuso in attivo il bilancio dell'anno 1991 o di uno degli anni del biennio precedente. La messa in liquidazione coatta amministrativa, inoltre, e' considerata solamente come ipotesi residuale, qualora la societa', allo scadere dei due anni dalla data di approvazione del programma, risulti ancora controllata dall'Efim, mentre e' evidente che la legge individua la cessione a terzi (o, in subordine, la liquidazione attuata dal commissario) come la soluzione preferibile. Non va neppure dimenticato che per le societa' operanti nel settore dell'alluminio, quale la Comital, la funzione satisfattiva della procedura sembra comunque porsi in secondo piano rispetto all'attuazione dei principi di ristrutturazione delle imprese interessate, secondo il piano triennale di cui si e' detto. 4. - Se quanto finora detto e' vero, deve preliminarmente prospettarsi la questione della legittimita' del divieto delle azioni esecutive a fronte di un programma con prevalenti funzioni conserva- tive e risanatorie, e non immediatamente satisfattive. Bisogna ammettere che la legittimita' di tale divieto non puo' essere posta in dubbio. Di fronte al prevalente interesse generale diretto a evitare l'incontrollato diffondersi degli effetti della crisi di un importante gruppo di imprese, quale e' quello controllato dall'Efim, il legislatore ben puo' sottoporre a temporanea e limitata compressione il diritto di agire da parte dei creditori, senza che ne risulti la rilevante violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione. Il nostro ordinamento, del resto, prevede gia' almeno un altro istituto con prevalenti finalita' risanatorie a fronte del quale e' sancito il divieto delle azioni esecutive, e cioe' l'amministrazione controllata disciplinata dagli artt. 187 e segg. della l.f. Ora, poiche' per opinione unanime l'amministrazione controllata deve considerarsi un beneficio concesso all'imprenditore per tentare di risanare le sorti dell'impresa (e, si noti bene, di una singola impresa), a maggior ragione si puo' ritenere che una temporanea limitazione dei diritti dei creditori sia giustificata da una crisi diffusa e importante quale e' quella dell'intero gruppo delle aziende facenti capo all'Efim. Senonche', in virtu', dei principi generali dell'ordinamento, si deve comunque escludere che la compressione dei mezzi di tutela dei creditori possa assumere connotazioni tali da portare alla perdita del diritto (cfr. Corte costituzionale nn. 159/1975 e 87/1969, cit.). Cio' significa che la compressione dovra' essere temporanea, e tale da non privare il soggetto della tutela giurisdizionale necessaria per non svuotare di effettivita' il proprio diritto. Ancora, per evitare una illegittima violazione del principio di uguaglianza e del principio di liberta' dell'attivita' economica (qualora il creditore sia un imprenditore), non potranno essere previste ingiustificate deroghe al divieto di azione e al correlativo obbligo del creditore di non effettuare pagamenti in spregio della par condicio. Invero, e' evidente che a un creditore puo' essere imposto un differimento nella soddisfazione del proprio diritto, in quanto anche gli altri creditori subiscano analogo sacrificio, e in quanto siano adottate le opportune cautele affinche' il debitore non sminuisca ingiustificatamente l'integrita' del patrimonio con cui deve adempiere alle obbligazioni assunte (art. 2740 del c.c.). Qualora, invece, l'improponibilita' delle azioni esecutive non fosse accompagnata dalle garanzie che devono in ogni caso controbilanciare il sacrificio sopportato dai creditori, l'improponibilita' stessa assumerebbe il carattere di una sostanziale ed inammissibile espropriazione del credito. Si stratta quindi, attesa l'astratta legittimita' del principio di cui all'art. 6, sesto comma, del d.l. n. 487/1992 in relazione alle finalita' perseguite dal legislatore, di verificare se la regola de qua sia inserita in un contesto di norme che tutelino i creditori, oppure se il tenore globale del complesso normativo di riferimento sia tale da compromettere i diritti di questi. In quest'ultima ipotesi, invero, non e' chi non veda che il mancato rispetto delle condizioni che devono accompagnare il divieto delle azioni esecutive si rifletterebbe direttamente sul divieto stesso, rendendolo illegittimo. Ora, sotto il profilo della temporaneita' del divieto ex art. 6, sesto comma, la normativa in esame non appare costituzionalmente viziata. Al piu' tardi trascorso un biennio dall'approvazione del programma, le societa' ancora controllate dall'Efim dovranno essere assoggettate a liquidazione coatta amministrativa, e verra' quindi avviata la procedura satisfattiva (art. 4, terzo comma). E' vero che esiste tra quest'ultima norma e l'art. 2, secondo comma, un problema di coordinamento, poiche' i principi di ristrutturazione delle societa' operanti nel settore dell'alluminio, indicati nel programma del commissario, devono essere attuati secondo un piano triennale, destinato pertanto a protrarsi oltre la scadenza del termine di cui all'art. 4, terzo comma. E' ragionevole ritenere, tuttavia, che allo spirare del triennio non si potranno adottare soluzioni diverse da quella gia' illustrata, nel senso che le imprese, non liquidate o cedute in precedenza, dovranno essere sottoposte a liquidazione coatta amministrativa. Per quanto concerne invece la tutela giurisdizionale di cui possono usufruire i creditori delle societa' controllate non totalmente, la questione e' piu' complessa. Nella procedura disegnata dal d.l. n. 487/1992, sono atribuiti al commissario poteri molto vasti, finalizzati ad attuare con la piu' ampia discrezionalita' la razionalizzazione industriale delle societa' controllate; solo con l'avvio della eventuale liquidazione coatta amministrativa si ritorna ad un procedimento tipico, con collaudate garanzie giurisdizionali. Ora, stante la difficolta' dell'opera affidata al commissario, il legislatore ha ritenuto di limitare la sua responsabilita' alle ipotesi di dolo e colpa grave, secondo un principio di opportunita' di cui esistono nell'ordinamento altre applicazioni (es. art. 2236 del c.c.); inoltre, con l'evidente scopo di conferire stabilita' agli atti posti in essere in esecuzione del programma (e per non "scoraggiare" i terzi interlocutori), ha sancito l'inapplicabilita' a tali atti delle disposizioni di cui agli artt. 2901 del c.c. e 67 della l.f. (art. 8, primo comma). Senonche', la scelta legislativa in ordine all'inammissibilita' delle revocatorie suscita notevoli perplessita', poiche' viene a determinare un sensibile aggravamento della posizione dei creditori, non legittimati ad impugnare gli atti commissariali ed intanto immobilizzati nelle azioni esecutive. Si puo' ammettere che, nell'ambito della riorganizzazione di un vasto ed importante gruppo industriale, il commissario debba avere di mira esclusivamente l'attuazione del piano generale, e che questo ampio disegno debba pertanto prevalere di fronte agli aspetti particolari delle singole vicende aziendali. Il commissario, pero', non ha certo il potere di sacrificare ingiustificatamente i diritti di alcuno, ne' risulta ragionevole, per attribuire certezza agli atti commissariali, rendere insindacabili quelli tra essi incidenti sulla consistenza patrimoniale delle societa' del gruppo, e quindi idonei a influire direttamente sulle possibilita' di soddisfacimento dei creditori. Sotto questo aspetto, la non assogettabilita' alle azioni revocatorie della gestione commissariale non appare ne' giustificata ne' proporzionata allo scopo che si intende perseguire, ne' tantomeno rispettosa delle ragioni dei creditori, le cui aziende, non va dimenticato, potrebbero a loro volta risentire, in seguito alla sospensione dei pagamenti, di una crisi di non minore gravita' di quella che affligge le aziende del gruppo Efim. Quanto appena detto, da porre in relazione agli atti di diritto privato occorrenti per l'attuazione del programma (cfr. art. 4, primo comma), offre lo spunto per un'ulteriore censura della normativa de qua. La stessa disposizione di cui all'art. 8, primo comma, unitamente ad altre previsioni del decreto-legge (l'applicazione della sospensione dei pagamenti anche alle societa' controllate in bonis, salvo il disposto di cui all'art. 6, terzo comma, nonche' l'indicazione, come unico fine del programma, della razionalizzazione industriale delle societa' controllate), dimostra che il legislatore ha inteso perseguire esclusivamente l'interesse ad una organica e completa liquidazione del gruppo, omettendo di richiamare, anche quale criterio sussidiario nell'ambito delle scelte da operare, l'interesse dei creditori. Ora, se si considera che in tutti gli istituti di analoga natura tale interesse e' sempre tenuto in considerazione (si veda, per l'amministrazione controllata, la deliberazione dei creditori di cui all'art. 189 della l.f.; per la liquidazione coatta amministrativa, l'istituzione del comitato di sorveglianza di cui all'art. 198 della l.f., i cui membri devono essere possibilmente scelti tra i creditori; per l'amministrazione straordinaria, la necessaria presenza di uno o due creditori nel comitato di sorveglianza, nonche' l'esigenza di tener conto anche dell'interesse dei creditori nella scelta della continuazione dell'esercizio dell'impresa), sorge il dubbio se il divieto delle azioni esecutive non debba essere quantomeno accompagnato dalla previsione tra i fini del programma della realizzazione dell'interesse dei creditori. In relazione a tale profilo, la questione di legittimita' dell'art. 6, sesto comma, non e' manifestamente infondata. Invero l'utilita' sociale di giungere alla liquidazione dell'intero gruppo facente capo all'Efim non puo' far passare in secondo piano la considerazione dell'interesse dei creditori. Questi, con la sospensione dei pagamenti ed il divieto delle azioni esecutive, sopportano un pesante aggravio nella gestione delle loro aziende, e tale temporaneo sacrificio dei loro diritti non puo' non essere bilanciato, almeno, da una accurata valutazione dei loro interessi in sede di attuazione del programma. Del resto se e' vero, come si e' detto, il d.l. n. 487/1992 persegue finalita' risanatorie piu' che immediatamente satisfattive, e' altrettanto vero che il legislatore non poteva predisporre un'adeguata procedura se non incidendo direttamente sulla sfera giuridica dei creditori: le loro ragioni devono pertanto venire in considerazione, poiche' l'utilita' sociale, sottesa al procedimento de quo, non puo' prescindere da un equo contemperamento di tutti gli interessi in gioco. Non vi e' quindi alcun motivo per non considerare anche l'interesse dei creditori tra i criteri di valutazione che devono giudare le scelte discrezionali del commissario. Va ancora aggiunto che, ritenendo ammissibile la totale pretermissione dell'interesse dei creditori dai fini della procedura, verrebbe inoltre a concretarsi per i creditori una irragionevole limitazione della tutela giurisdizionale in sede amministrativa. E' chiaro, infatti, che gli atti di approvazione ministeriale dell'operato del commissario (operato, va ripetuto, incidente sulla consistenza del patrimonio aziendale del debitore, che conserva la sua funzione essenziale di garanzia) possono utilmente essere impugnati dai creditori di fronte agli organi di giurisdizione amministrativa, solo in quanto sia prospettato un vizio dell'atto amministrativo circa il modo di intendere e realizzare il proprio interesse (cfr. Cass. n. 11445/90, cit.). Qualora, invece, l'interesse dei creditori non fosse ricompreso tra i criteri di indirizzo dell'azione commissariale, i creditori stessi vedrebbero svuotato di contenuto il loro diritto di azione innanzi al giudice amministrativo, essendo assai dubbio che il perseguimento del solo fine della razionalizzazione industriale del gruppo Efim possa determinare il sorgere in capo ai creditori di un interesse legittimo al corretto esercizio dell'azione amministrativa (e non determinare, al contrario, la natura meramente fattuale di quest'interesse). Al contrario, la diretta incidenza delle scelte commissariali sulla loro sfera giuridica, nonche' la loro particolare e qualificata posizione nei confronti della procedura, impone il riconoscimento ai creditori della posizione sostanziale dell'interesse legittimo ad invocare in proprio favore le norme stabilite per l'esercizio del potere amministrativo. Ritornando alla verifica delle condizioni che devono accompagnare il divieto delle azioni esecutive, si e' piu' sopra detto che la temporanea compressione dei diritti dei creditori puo' essere giustificata solo in quanto sia rispettata la par condicio, e in quanto il patrimonio del debitore non venga ingiustificatamente depauperato. Tali condizioni non sono rispettate da tre disposizioni del decreto de quo. In primo luogo, viene in considerazione l'art. 6, primo comma, nella parte in cui stabilisce che il commissario puo' disporre, per ragioni di utilita' ed urgenza e con l'autorizzazione del Ministro del tesoro, il pagamento parziale dei debiti delle societa' controllate (il pagamento totale, com'e' ovvio, non crea pregiudizio ad alcun creditore, ne' va dimenticato che tutta la normativa in esame viene valutata in riferimento ai creditori delle societa' controllate non integralmente, per le quali non e' previsto il pagamento totale dei debiti, ma solo nei limiti del patrimonio). Ora, tale norma non puo' essere interpretata nel senso di prevedere degli acconti ai creditori, o ad alcune categorie di essi (in questo caso ne risulterebbe palese la legittimita'), poiche' tale finalita' e' gia' contemplata dall'art. 4, dodicesimo comma, che richiama i criteri di cui all'art. 2, settimo comma, della legge Prodi, ma nel senso di prevedere il pagamento soltanto di alcuni creditori. Sotto questo profilo, la norma appare ingiustamente discriminatoria e idonea a condizionare gravemente l'attivita' economica delle imprese non favorite, le quali non solo continuano a non vedere pagati i propri crediti e sono bloccate sul fronte delle azioni esecutive, ma vedono pregiudicata dall'attuale pagamento ad altri creditori anche la prospettiva futura del soddisfacimento. Non si vede, del resto, quali ragioni di utilita' ed urgenza potrebbero giustificare la violazione della par condicio, che, al contrario, permette la compressione dei diritti dei creditori proprio a condizione che venga rispettata la posizione di uguaglianza. Le altre due disposizioni che contribuiscono a rendere eccessivamente gravosa la preclusione per i creditori dell'esercizio delle azioni esecutive, sono strettamente connesse tra loro. La prima e' l'art. 6, secondo comma, lett. d), nella parte in cui prevede che non si applichi la sospensione dei pagamenti dei debiti da una societa' controllata non totalmente dall'Efim nei confronti di un'altra societa' controllata. Occorre premettere che l'art. 6, secondo comma, disciplina le ipotesi in cui non si applica la sospensione dei pagamenti da parte dell'Efim e delle societa' controllate. Si tratta di ipotesi in cui il mancato pagamento potrebbe ostacolare l'attivita' del commissario e l'attuazione del programma (ad esempio, i debiti della gestione commissariale), oppure per le quali la sospensione non avrebbe utilita' alcuna, stante la previsione di pagamento integrale (ad esempio, per i debiti dell'Efim e delle societa' interamente controllate per le quali sia prevista la liquidazione). Tra le varie ipotesi previste, vi e' anche quella di cui alla lett. d), per la quale la sospensione non si applica ai debiti delle societa' controllate nei confronti di altre societa' controllate. Senonche', mentre tale previsione e' giustificata qualora la societa' debitrice sia controllata integralmente dall'Efim, essendo in questo caso disposto il pagamento totale dei debiti, non si giustifica invece qualora l'ente debitore sia una societa' controllata solo parzialmente, per l'evidente alterazione della par condicio. In altri termini, si viene a creare una disparita' di trattamento tra i creditori di una societa' controllata solo parzialmente dall'Efim, a seconda che il creditore sia un soggetto "normale" oppure un'altra societa' controllata, poiche' quest'ultima ha diritto al pagamento. Neppure tale disparita' acquista ragionevolezza se posta in relazione al buon esito del programma, in quanto non vi e' motivo per ritenere che gli spostamenti di denaro all'interno del gruppo possano agevolare la riorganizzazione industriale, mentre i creditori subiscono un immediato pregiudizio per la diminuzione patrimoniale del proprio debitore. In altri termini, se la legge dispone di "cristallizzare" la situazione patrimoniale delle societa' interessate esistente alla data del 18 luglio 1992, appare conforme ai principi che tutti i creditori subiscano lo stesso trattamento, anche se uno di essi sia per avventura un'altra societa' del gruppo. La norma de qua, tuttavia, non vale per i debiti di qualsiasi natura, ma deve essere coordinata con il disposto dell'art. 7, terzo comma, il quale prevede che i crediti derivanti da prestiti tra societa' controllate siano convertiti in capitale sociale delle societa' mutuatarie. In altri termini, la norma di cui all'art. 6, secondo comma, lett. d), riguarda tutti i debiti delle societa' controllate verso altre societa' controllate, ad eccezione di quelli nascenti da prestiti tra societa' del gruppo, per i quali vale la disciplina di cui all'art. 7, terzo comma. Anche quest'ultima norma, pero', non si sottrae a censura per la disparita' di trattamento tra i creditori delle societa' controllate non totalmente, a seconda che la societa' debitrice abbia effettuato dei prestiti ad altra societa' controllata, oppure no. Invero, a parte i problemi derivanti dall'applicazione della norma, interessa in questa sede rilevare il pregiudizio subito dai creditori della societa' mutuante. Mentre tale societa' dovrebbe di regola concorrere con gli altri creditori, e soddisfarsi in pari proporzione (con la conseguenza che il suo patrimonio si incrementerebbe del ricavato, e i propri creditori ne trarrebbero il corrispondente vantaggio), in seguito alla disposizione di cui all'art. 7, terzo comma, la prospettiva diventa piu' difficile. A fronte della conversione del credito in capitale sociale, invero, trova applicazione l'art. 2350 del c.c., che prevede per ogni azione l'attribuzione del diritto alla parte proporzionale del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, e cioe' dopo il pagamento di tutti i creditori. E' quindi evidente che la procedura ex art. 7, terzo comma, determina il peggioramento delle aspettative dei creditori della societa' mutuante rispetto ai creditori delle altre societa' controllate. Riassumendo quanto finora detto, la norma di cui all'art. 6, sesto comma, che pone il divieto delle azioni individuali esecutive, appare in linea astratta legittima in relazione alle finalita' perseguite dal legislatore. Tuttavia, in riferimento ai creditori delle societa' controllate dall'Efim in maniera non integrale, vi sono singoli aspetti del d.l. n. 487/1982 che rendono non manifestamente infondata la questione della legittimita' costituzionale del divieto de quo, poiche' determinano la possibilita' che tali creditori subiscano delle conseguenze pregiudizievoli ben piu' gravi di quelle legittimamente imposte, e piu' precisamente: l'art. 8, primo comma, nella parte in cui sancisce l'inapplicabilita' degli artt. 2901 del c.c. e 67 della l.f. agli atti compiuti dopo il 18 luglio 1992 dal commissario liquidatore e, su specifica autorizzazione di questi, dalle societa' controllate; l'art. 2, secondo comma, nella parte in cui non prevede, tra le finalita' che deve realizzare il programma commissariale, l'interesse dei creditori; l'art. 6, primo comma, nella parte in cui prevede che il commissario, per motivate ragioni di utilita' ed urgenza, su autorizzazione del Ministro del tesoro, possa sempre disporre il pagamento parziale dei debiti delle societa' controllate non totalmente; l'art. 6 secondo comma, nella parte in cui prevede che la sospensione dei pagamenti non si applica ai debiti delle societa' controllate non totalmente nei confronti di altre societa' controllate; l'art. 7, terzo comma, qualora la societa' mutuante sia controllata non totalmente. In altre parole, questi singoli aspetti del d.l. n. 487/1992 impediscono che la preclusione dell'esercizio delle azioni esecutive sia bilanciata da una adeguata "contropartita", creando al contrario uno squilibrio, che appare ingiustificato, tra la ratio del divieto e le conseguenze da esso derivanti. Si tratta ora di affrontare il profilo della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, sesto comma, cosi' come prospettata. La questione e' rilevante. Invero, a fronte dell'intenzione della I.C.L.A. di procedere ad esecuzione forzata nei confronti della Comital, e dell'immediata eccezione di quest'ultima in ordine alla nullita' dell'azione esecutiva ex art. 6, sesto comma, la societa' creditrice ha legittimamente lamentato l'ingiustizia del sacrificio ad essa imposto. Ne deriva che il presente procedimento non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione (art. 23 della legge n. 87/1953). Si potrebbe opporre che, costituendo il divieto delle azioni esecutive uno degli strumenti portanti e necessari di qualsiasi procedura liquidatoria o conservativa, non sarebbe corretto prospettare la questione di legittimita' dell'art. 6, sesto comma, ma il creditore dovrebbe eventualmente sollevare l'eccezione nei confronti delle altre norme sopra illustrate, qualora ne risultasse concretamente pregiudicato (ad esempio, nell'ipotesi in cui il commissario abbia posto in essere un atto suscettibile di impugnazione e x art. 2901 del c.c.). L'assunto e' infondato. Anzitutto, il problema della costituzionalita' delle disposizioni citate non e' direttamente pertinente al presente processo. Tali norme interessano in questa sede perche' costituiscono il contesto in cui si inserisce il divieto delle azioni esecutive: e' pero' quest'ultimo istituto ad essere immediatamente sospettato di illegittimita', in quanto, proprio per l'impianto normativo in cui e' operante, appare ingiustamente discriminatorio. In secondo luogo, sarebbe in palese contrasto con l'art. 24 della Costituzione imporre intanto una non lieve compressione del diritto di azione, e costringere poi il creditore, in nome di una intoccabile presunzione di legittimita' del divieto delle azioni esecutive nell'ambito di una procedura liquidativa o risanatoria, ad un gravoso onere di controllo delle attivita' del debitore, per essere in grado di sollevare tempestivamente la questione di legittimita' delle norme (diverse dall'art. 6, sesto comma) nei suoi confronti pregiudizievoli. Le conclusioni esposte sono del resto conformi a quanto affermato in tema di amministrazione controllata dalla suprema Corte, la quale ha ritenuto rilevante la questione di legittimita' avente ad oggetto il divieto delle azioni esecutive in relazione all'intera legge Prodi, osservando che " .. il procedimento in corso ha per oggetto l'inefficacia del pignoramento immobiliare nell'ambito dell'amministrazione controllata; onde appare evidente la diretta in- fluenza su di esso della contestazione, involgente in ogni sua parte la legge in esame, secondo cui il legislatore speciale avrebbe precluso ai creditori, senza contropartita, l'esercizio dell'azione esecutiva, con pregiudizio dello stesso diritto sostanziale di credito .." (Cass. n. 11445/90, cit). Deve pertanto dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, sesto comma, in relazione alle norme del d.l. n. 487/1992 sopra indicate. 5. - Non possono invece venire accolte le altre censure prospettate dalla I.C.L.A. In particolare: a) deve ritenersi manifestamente infondata la questione derivante dalla presunta disparita' di trattamento dei creditori, discriminati sulla base di un dato puramente formale, quale la percentuale di controllo. In altri termini, la convenuta lamenta la disparita' di trattamento tra i creditori di una societa' controllata integralmente dall'Efim (per i quali e' previsto, per il periodo corrispondente, il pagamento totale), e i creditori di una societa' controllata solo parzialmente (per i quali il pagamento viene contenuto nei limiti del patrimonio), qualora la pluralita' degli azionisti sia un dato privo di qualsiasi rilevanza sostanziale. Nell'ipotesi della Comital, infatti, l'Efim ha un controllo azionario pari al 99,99%. A questo proposito, occorre sottolineare che la previsione del d.l. n. 487/1992 in ordine al pagamento integrale dei debiti dell'Efim e delle societa' interamente controllate, riposa sul principio ex art. 2362 del c.c., in base al quale, in caso di insolvenza, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni risultano essere appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente. Ora, la giurisprudenza costante ed unanime ha sempre precisato che l'applicazione dell'art. 2362 del c.c. richiede il controllo azionario nella misura del 100%, non potendosi ritenere unico l'azionista qualora le azioni facciano al contrario capo a piu' persone, indipendentemente dall'esiguita' della percentuale posseduta da qualche socio. Verrebbero altrimenti messi in crisi tutti i principi in materia societaria, introducendo inoltre una inammissibile "correzione" della volonta' delle parti e dell'oggetto del contratto sociale sulla base di un inafferrabile criterio di esiguita' della partecipazione. Ne consegue che il dato formale della presenza di piu' azionisti puo' venire messo in discussione solo quando, per il tramite di mandatari o di intestazioni fittizie o fraudolente, tutte le azioni facciano sostanzialmente capo ad un unico soggetto (v. per tutte, Cass. nn. 2879/85 e 6712/82). Risulta pertanto evidente che la disciplina del d.l. n. 487/1992 sotto questo profilo e' del tutto conforme ai principi generali; b) e' parimenti manifestamente infondata, ed irrilevante, la questione di legittimita' dell'art. 6, secondo comma, lett. f), nella parte in cui dispone che la sospensione dei pagamenti non si applica ai prestiti obbligazionari di cui alla legge 22 ottobre 1986, n. 910 (legge finanziaria 1987), al d.l. 19 ottobre 1985, n. 547, convertito nella legge 20 dicembre 1985, n. 749, e alla legge 27 dicembre 1983, n. 730 (legge finanziaria 1984). La legge finanziaria del 1987 (art. 3, undicesimo e tredicesimo comma), quella del 1984 (art. 38), nonche' il d.l. n. 547/1985 (artt. 1 e 3) hanno infatti previsto l'autorizzazione per gli enti di gestione delle partecipazioni statali a fare ricorso alla BEI per la contrazione di appositi mutui, nonche' ad emettere obbligazioni sul mercato interno. Ora, poiche' l'onere dei suddetti mutui ed obbligazioni e' stato assunto a carico del bilancio dello Stato, correttamente l'art. 6, secondo comma, lett. f), in esame dispone che il pagamento verra' effettuato dal Tesoro. Deriva dalla normativa illustrata che solamente l'Efim aveva il potere di emettere le obbligazioni e di contrarre i prestiti de quibus, per cui nessun pagamento e' dovuto dalle societa' controllate. E' quindi evidente che tale normativa non interessa minimamente le societa' controllate, ne' i loro creditori; c) e' infine, manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 6, quarto comma, nella parte in cui prevede che la sospensione dei pagamenti non si applichi agli enti finanziatori delle societa' controllate. L'interpretazione prospettata della norma, infatti, non puo' essere accolta. Premesso che l'art. 6, sesto comma, pone non facili problemi esegetici, ai fini che qui interessano, tuttavia, il secondo periodo dello stesso art. 6, sesto comma, non lascia adito a dubbi interpretativi, statuendo chiaramente che "Ad essi (ai contratti ed alle operazioni di finanziamento) si applicano le norme di cui all'art. 5, primo comma, qualora si tratti di obbligazioni assunte dall'ente soppresso o dalle societa' di cui alla lett. b) del predetto comma". Risulta quindi ovvio che la disciplina dei debiti nei confronti delle banche e degli enti finanziatori non assume connotati diversi rispetto agli altri creditori, in quanto e' previsto il pagamento integrale di tali debiti solo se contratti dall'Efim o dalle societa' controllate totalmente, mentre per le altre societa' controllate vale il consueto regime del pagamento nei limiti del patrimonio, con il conseguente divieto delle azioni esecutive e la correlativa sospensione dei pagamenti. Nessun pregiudizio reca pertanto l'art. 6, quarto comma, alle ragioni dei creditori delle societa' controllate.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, sesto comma, del d.l. 19 dicembre 1992, n. 487, convertito con modifiche dalla legge 17 febbraio 1993, n. 33 (in relazione all'art. 8, primo comma, dello stesso decreto-legge, nella parte in cui dispone l'inapplicabilita' degli artt. 2901 del c.c. e 67 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, agli atti compiuti, dopo il 18 luglio 1992, dal commissario liquidatore e, su specifica autorizzazione di questi, dalle societa' controllate dall'Efim; all'art. 2, secondo comma, dello stesso decreto-legge, nella parte in cui non prevede tra i fini del programma commissariale la realizzazione dell'interesse dei creditori; all'art. 6, primo comma, dello stesso decreto-legge, nella parte in cui prevede che il commissario puo' sempre disporre, per motivate ragioni di utilita' e urgenza, su autorizzazione del Ministro del tesoro, il pagamento parziale dei debiti delle societa' controllate dall'Efim in maniera non integrale; all'art. 6, secondo comma, lett. d), dello stesso decreto-legge, nella parte in cui provede che la sospensione dei pagamenti dei debiti di cui al primo comma non si applica ai debiti di societa' controllate non totalmente dall'Efim nei confronti di altre societa' controllate; all'art. 7, terzo comma, dello stesso decreto-legge, nella parte in cui prevede che i crediti nascenti da prestiti concessi da una societa' controllata non totalmente dall'Efim ad altra societa' controllata, su proposta del commissario liquidatore, ivi compresi quelli nascenti dalla escussione relativa a garanzie rilasciate antecedentemente alla data del 17 luglio 1992, siano convertiti in capitale della societa' mutuataria); Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso, iscritto al n. 4468 r.g. 1993 della pretura di Torino e vertente tra la Comital S.p.a. e la I.C.L.A. S.r.l.; Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Torino il 26 luglio 1993 Il pretore: FABBRO 93C1132