N. 688 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 settembre 1993

                                N. 688
  Ordinanza emessa il 24 settembre 1993 dal tribunale di Santa Maria
  Capua Vetere sulle richieste di riesame proposte da Esposito
  Antonio ed altri
 Processo penale - Sequestro preventivo - Procedimento incidentale di
    riesame  di  misure  coercitive reali richiesto a indagati ex art.
    416-bis del c.p. - Inversione dell'onere della prova  -  Lamentata
    operazione  di  mera  ratifica operata da organo giurisdizionale -
    Compressione del diritto di difesa dell'indagato - Violazione  del
    principio  di buon andamento dell'amministrazione giudiziaria e di
    quello   dell'obbligo    di    motivazione    dei    provvedimenti
    giurisdizionali - Limitazione del diritto di proprieta'.
 Mafia - Provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa -
    Possesso  ingiustificato, anche per interposta persona, di beni di
    valore  sproporzionato  alla  attivita'  svolta   o   ai   redditi
    dichiarati  -  Configurazione  di tale condotta come reato proprio
    richiedendosi per il soggetto attivo la qualifica di indagato  per
    determinati  reati  o di soggetto nei cui confronti si proceda per
    l'applicazione di una misura di prevenzione - Irragionevolezza  in
    considerazione della non definitivita' delle suddette qualifiche -
    Irragionevolezza   -   Compressione  del  diritto  di  difesa  con
    violazione del principio di presunzione di innocenza.
 (C.P.P. 1988, artt. 321, comb. disp., e 324; legge 7 agosto 1992, n.
    356, art. 12-quinquies, modificato dal d.l. 20  maggio  1993,  n.
    153, art. 5, lett. a)).
 (Cost., artt. 3, 24, 27, 42, 97 e 111, primo comma).
(GU n.47 del 17-11-1993 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha  pronunziato  la  seguente ordinanza sulla richiesta di riesame
 nell'interese di  Esposito  Antonio,  Esposito  Mario,  Verone  Olga,
 Loberto  Elisabetta  e Lopatriello Maria Pia e riguardante decreto di
 sequestro preventivo, emesso dal G.I.P. -  sede,  nei  confronti  dei
 suddetti, in data 10 agosto 1993.
   Letti  gli  atti;  rilevato che, diversamente da quanto opinato dal
 difensore all'odierna udienza camerale, sussiste il  presupposto  per
 l'impugnato  sequestro,  in  quanto  gli attuali ricorrenti risultano
 sottoposti a procedimento penale per il reato  ex  art.  416-bis  del
 codice penale;
    Cio'  posto  il  tribunale ravvisa la rilevanza e la non manifesta
 infondatezza di una prima questione di  legittimita'  costituzionale,
 per  contrasto del combinato disposto degli articoli 321 e 324 c.p.p.
 con:
       a) l'art. 24 della Costituzione,  per  il  sacrificio  imposto,
 senza   alcun   ragionevole   bilanciamento,  al  diritto  di  difesa
 dell'indagato (che, a norma dell'art. 61 del c.p.p., deve godere  dei
 medesimi  diritti  e  garanzie  poste  a  favore  dell'imputato), per
 l'irrilevanza di qualsiasi sua concreta difesa nel merito (sia pur ad
 onere di prova invertito), dovendosi il  tribunale  del  riesame,  de
 iure  condito,  limitare  ad  una  mera "astratta" verifica cartolare
 della  correlazione  fra la rubrica del reato presupposto, l'avvenuta
 iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335
 del c.p.p. ed - infine  -  della  sua  sussumibilita'  in  una  delle
 ipotesi  di reato previste dall'art. 12-quinques della legge 7 agosto
 1992, n. 356, cosi' come modificato dall'art. 5, lett. a)  del  d.l.
 20  maggio  1993,  n.  153,  astenendosi  da  ogni  valutazione sulla
 concreta  sussistenza  di  indizi  di  colpevolezza,  nonche'   sulla
 gravita'  degli  stessi;  ed invero, le garanzie difensive apprestate
 dall'ordinamento non possono scendere al  di  sotto  di  quei  minimi
 livelli  previsti  anche  nei procedimenti incidentali, se non con la
 inevitabile conseguenza di essere negate;
       b) gli artt. 97 e 111, primo comma, della Costituzione, perche'
 e' contrario  ai  principi  di  buon  andamento  dell'amministrazione
 giudiziaria  impiegare  un  organo  giurisdizionale  in un'operazione
 burocratica di mera ratifica,  che  si  colloca  al  di  fuori  delle
 garanzie  del  contraddittorio  e  dell'obbligo  di motivazione sulle
 deduzioni, in punto di diritto e  di  fatto,  prodotte  dalle  parti,
 nonche'  dell'obbligo  di  verifica della sussistenza degli indizi di
 colpevolezza del reato ascritto all'indagato e della  gravita'  degli
 stessi;  elementi  di  giudizio,  questi che, alla luce dei parametri
 costituzionali suindicati, non possono e non debbono mancare, nemmeno
 in un procedimento incidentale giurisdizionale di natura penale.
    In particolare, nella fattispecie,  a  norma  dell'art.  2727  del
 c.c.,  e'  consentito  a  questo  tribunale "presumere", cioe' trarre
 delle conseguenze da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato.
    Nel caso in esame, pero', l'art. 321 del c.p.p.,  per  cosi'  come
 interpretato  dal  diritto  vivente, impedisce a questo tribunale del
 riesame proprio di "presumere", cioe' accade che, in un "procedimento
 di sospetto", qual e' quello di cui all'art. 12-quinquies della legge
 7 agosto 1992, n. 356, cosi' come modificato dall'art.  5,  lett.  a)
 del  d.l.  20  maggio  1993,  n. 153, che puo' sfociare in attivita'
 giurisdizionale suscettibile di incidere  negativamente  nella  sfera
 patrimoniale del cittadino indagato, un provvedimento giurisdizionale
 non  deve essere motivato ne' in ordine alla sussistenza degli indizi
 di colpevolezza, ne' in ordine alla gravita' degli stessi.
    Viceversa, ad avviso di questo giudice remittente, non puo' e  non
 deve essere vulnerato il principio costituzionale che vuole che tutti
 i provvedimenti giurisdizionali debbano essere motivati.
    Infatti,  a  norma dell'art. 111 della Costituzione, devono sempre
 essere esternate (anche nelle ordinanze del tribunale del riesame) le
 ragioni per le quali si fa luogo  o  meno  alla  compressione  di  un
 diritto  soggettivo,  costituzionalmente tutelato, qual e' il diritto
 di proprieta'.
    Il giudice rimittente chiede, in altri termini, l'affermazione del
 principio che anche nel procedimento incidentale di riesame di misure
 coercitive reali, non  soltanto  deve  essere  data  all'indagato  la
 concreta  possibilita'  di difendersi, deducendo fatti e circostanze,
 ma che il tribunale  del  riesame  deve  avere  il  potere-dovere  di
 accogliere,  ovvero  di  disattendere  le prospettazioni delle parti,
 qualora  ritenute  non  significative  o  fuorvianti,  dandone  pero'
 puntuale  giustificazione  con  una motivazione che sia "concreta" (e
 non gia' astratta)' contrariamente a quanto attualmente previsto  dal
 combinato  disposto  delle  norme  denunciate  (artt.  321  e 324 del
 c.p.p.).
    Tutto  cio'  -  ad  avviso  del  tribunale  -  e'  il  fine  della
 motivazione  di  qualunque  provvedimento  giurisdizionale;   quello,
 cioe',  di comprovare l'osservanza, fra l'altro, dei canoni di logica
 e d'imparzialita' e di darne contezza al cittadino ed, eventualmente,
 al giudice di legittimita' chiamato a sindacarne in contenuti;
       c) l'art.  42  della  Costituzione,  per  essere  prevista  una
 limitazione  del  diritto  di  proprieta',  al di fuori degli scopi e
 della funzione di cui alla riserva di  legge  contenuta  nel  secondo
 comma del citato art. 42 della Costituzione.
      Si noti, infatti, che l'art. 832 del codice civile, definisce la
 proprieta'  come  "il  diritto  di godere e di disporre delle cose in
 modo pieno ed esclusivo, entro i  limiti  e  con  l'osservanza  degli
 obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico".
    A  differenza  dello  statuto Albertino, che all'art. 29 stabiliva
 che "tutte le proprieta', senza alcuna eccezione, sono  inviolabili",
 l'art.  42  della  Costituzione  ha  previsto  che  "la proprieta' e'
 pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti
 o a privati. La proprieta' privata e' riconosciuta e garantita  dalla
 legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti,
 allo   scopo  di  assicurarne  la  funzione  sociale  e  di  renderla
 accessibile a tutti. La proprieta'  privata  puo'  essere,  nei  casi
 preveduti  dalla  legge,  e  salvo  indenizzo, espropriata per motivi
 d'interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti  della
 successione  legittima e testamentaria ed i diritti dello Stato sulle
 eredita'".
    Dal che discende che e' proprio  la  stessa  Costituzione  che  ha
 fissato  i limiti e le finalita' attraverso le quali e' consentito al
 legislatore delimitare - o addirittura sacrificare - l'esercizio  del
 diritto di proprieta'.
    Posto  che  quello  di proprieta' e' un diritto soggettivo, la sua
 tutela, oltre ad essere garantita dall'art. 42 della Costituzione, e'
 espressamente disciplinata dalle norme del  libro  sesto  del  codice
 civile.
    Vero  e  proprio  principio  di civilta' giuridica e', poi, quello
 fissato dall'art. 2697 del c.c., in  base  al  quale  "chi  vuol  far
 valere   un   diritto  in  giudizio  deve  provare  i  fatti  che  ne
 costituiscono il fondamento".
    Nel caso di  specie,  l'inversione  dell'onere  della  prova,  che
 l'art.  12-quinques  della  legge  7  agosto 1992, n. 356, cosi' come
 modificato dall'art. 5 lett. a) d.l. 20  maggio  1993,  n.  153,  ha
 trasferito  dal  titolare  dell'accusa,  e  dal giudice - che ne deve
 verificare la sussistenza - a carico di colui che, avendo la qualita'
 di  "indagato",  ovvero  di  persona   "nei   cui   confronti   pende
 procedimento penale", si pone - ad avviso del tribunale, in contrasto
 con i canoni costituzionali.
    Dal  che  discende  la  non manifesta infondatezza di un ulteriore
 profilo di  illegittimita'  costituzionale,  rilevante  nel  presente
 giudizio,  e  cioe'  il contrasto dell'art. 12-quinques della legge 7
 agosto 1992, n. 356, cosi' come  modificato  dall'art.  5,  lett.  a)
 d.l. 20 maggio 1993, n. 153 con:
       a)  gli  artt.  3  e  24  della  Costituzione,  per  l'ingiusta
 compressione del diritto  di  difesa  dell'indagato  per  il  delitto
 previsto dalla norma denunciata.
    Essa  si  configura  -  infatti  - come un reato a condotta mista,
 prima  commissiva  (possesso  o  disponibilita'  di  beni  di  valore
 sproporzionato  all'attivita'  svolta  e  a  redditi dichiarati), poi
 omissiva (mancata giustificazione del possesso  legittimo  dei  beni,
 strettamente   connessa   all'inversione   dell'onere  della  prova),
 cosicche' il diritto  di  difesa  risulta  compromesso,  non  potendo
 l'indagato,  diversamente  da  tutti  gli altri indagati, esercitarlo
 anche a mezzo del  silenzio  che,  al  contrario,  nella  fattispecie
 integra  proprio  uno  degli  elementi  oggettivi  del  reato  di cui
 all'art. 12-quinques della legge 7 agosto 1992, n. 356' e  successivi
 modificazioni.
    La   norma   denunciata  realizza,  pertanto,  una  disparita'  di
 trattamento  tra  gli  indagati  per  il  reato   di   cui   all'art.
 12-quinques,  i  quali  non  possono  avvalersi della facolta' di non
 rispondere e gli indagati per gli altri reati.
    In buona sostanza, pur essendo la qualita' specifica di "indagato"
 ovvero di "persona nei  cui  confronti  pende  procedimento  penale",
 necessariamente  destinata  ad  evolversi  nel procedimento, la norma
 incriminatrice prescinde totalmente dell'instabilita' processuale  in
 itinere,   che   caratterizza   l'elemento   soggettivo   del  reato,
 confliggendo  apertamente  con  il  principio  di  ragionevolezza   e
 logicita',  garantito  dall'art.  3  della Costituzione, a fronte dei
 diversi     esiti     processuali     del      reato      presupposto
 (assoluzione/condanna).
    D'altra  parte,  proprio  perche' la norma denunciata non esige la
 condanna per i  reati  presupposti,  che  sottenderebbero  delittuosi
 trasferimenti   di  ricchezze,  ma  unicamente  la  sottoposizione  a
 siffatti procedimenti, la  mancata  giustificazione  della  legittima
 accumulazione  patrimoniale  comporta che la condanna per il reato di
 cui all'art. 12-quinques derivi non gia'  dall'impulso  del  pubblico
 ministero  nella  ricerca  delle prove, bensi' da una condotta che la
 Costituzione garantisce ad ogni imputato, attraverso  il  diritto  di
 difesa  (art. 24, secondo comma) e la presunzione di non colpevolezza
 (art. 27, secondo comma);
       b) l'art. 27 della Costituzione, configurando la norma in esame
 una ipotesi di reato proprio, ancorata alla  qualita'  transitoria  e
 neutra  di  "indagato",  ovvero  di  "coloro  nei cui confronti pende
 procedimento penale", secondo la  novella  introdotta  dal  d.l.  20
 maggio  1993,  n. 153, per una delle ipotesi delle fattispecie di cui
 al secondo comma della norma denunciata.
    Tale qualita',  a  differenza  di  quella  del  soggetto  nei  cui
 confronti  e'  stata emessa sentenza di condanna o e' stata applicata
 una  misura  di  prevenzione  personale,  passate  in  giudicato,  ha
 carattere  tutt'altro  che  definitivo  e  non  dovrebbe avere alcuna
 rilevanza giuridica,  attesa  la  presunzione  di  innocenza  di  cui
 all'art. 27 della Costituzione.
    A  riprova  di  cio'  si  considerei  anche che, in concreto, puo'
 verificarsi,  in  assenza  di  un  preliminare   accertamento   della
 sussistenza  dei  "gravi  indizi  di  colpevolezza",  inibito proprio
 dall'art. 321 del c.p.p. (a sua volta dianzi denunciato), che  in  un
 momemnto  successivo  all'eventuale  condanna  per  il  reato  di cui
 all'art. 12-quinques della legge 7 agosto 1992, n.  356,  cosi'  come
 modificato  dall'art.  5,  lett. a) d.l., 20 maggio 1993, n. 153, e'
 possibile la caducazione dello status di "indagato" o,  comunque,  di
 soggetto  "nei  cui confronti pende procedimento penale", presupposto
 necessario per  configurare  il  reato  stesso,  cosi'  realizzandosi
 l'adozione di un'illegittima misura ante delictum.
   Giova  ricordare che di tanto erano ben consapevole i Ministri pro-
 tempore dell'interno e di grazia e giustizia, i quali introdussero il
 reato come emendamento in fase di legge di conversione.
    Infatti negli atti parlamentari  del  Senato  della  Repubblica  -
 Assemblea  (resoconto  stenografico  della  seduta pomeridiana del 23
 luglio  1992)  si  legge:  "Certo,  in  quest'ultimo  caso   dobbiamo
 convenire  che  si  realizza  un  ribaltamento  di  uno  dei principi
 generali in materia di prove, dal momento che e' lo stesso soggetto a
 dovere dimostrare  la  provenienza  e  la  natura  lecita  delle  sue
 sostanze per non incorrere in sanzioni penali .." (Ministro Mancino);
    "  ..So  bene che si agisce qui su un terreno difficile e delicato
 per i poteri conferiti  alle  pubbliche  Autorita'  di  incidere  sui
 diritti   e  sui  beni  della  persona,  prima  ancora  che  rigorosi
 accertamenti probatori si siano  compiuti  in  sede  giudiziaria  ..)
 (Ministro Martelli).
    Ed   invero,  essendo  punito,  se  non  giustifica  la  legittima
 provenienza dei beni, l'indagato  per  il  delitto  di  cui  all'art.
 12-quinques  della legge 7 agosto 1992, n. 356 (cosi' come modificato
 dall'art. 5,  lett.  a),  del  d.l.  20  maggio  1993,  n.  153)  e'
 obbligato,   a  fronte  delle  ritenuta  sproporzione  dei  beni,  ad
 attivarsi per dimostrare la propria innocenza, contraddicendo il  suo
 legittimo  diritto  di  non  rispondere e di non collaborare, dovendo
 l'accusa essere suffragata dal pubblico Ministero che l'allega.
    Del resto  la  Corte  costituzionale,  gia'  con  la  sentenza  n.
 110/1968 dichiaro' incostituzionale l'art. 708 del cod. pen., perche'
 contrastante  con  l'art.  3  della  Costituzione, nella parte in cui
 faceva  richiano,  per  l'imputato,  alle  condizioni  personali   di
 condannato  per  mendicita'  di  ammonito,  di sottoposto a misure di
 sicurezza personale, o  a  cauzione  di  buona  condotta,  attesa  la
 diversita'  di  situazioni  soggettive  nelle  quali possono venire a
 trovarsi  i  cittadini  sottoposti  a  cosi'   variegate   condizioni
 personali.
    Nel  caso  di  specie,  le  osservazioni ed i rilievi che la Corte
 costituzionale     formulo'     rispettivamente     per     escludere
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  708  del  cod.  pen. con
 riferimento a coloro che avevano gia' riportato  condanna  per  reati
 contro il patrimonio e per ritenerla, invece, con riguardo alle altre
 categorie   di  soggetti,  sembra  si  attaglino  perfettamente  alla
 previsioine della norma incriminatrice di  cui  all'art.  12-quinques
 della legge 7 agosto 1992, n. 356, cosi' come modificato dall'art. 5,
 lett.  a)  del  d.l.  20  maggio  1993,  n.  153,  e - pertanto - ne
 confermano e ne rafforzano il sospetto di incostituzionalita'.
    E' indubitabile, alla  stregua  delle  suesposte  motivazioni,  la
 rilevanza  delle  dedotte questioni di illegittimita' costituzionale,
 dovendo questo tribunale decidere sul  proposto  riesame  e  pertanto
 verificare   concretamente   la   sussistenza  dei  gravi  indizi  di
 colpevolezza nei riguardi dell'indagato.
    E' altresi' in re ipsa la non manifesta infondatezza delle dedotte
 questioni di illegittimita'  costituzionale,  a  dimostrazione  delle
 quali  si  richiamano,  oltre  alle motivazioni dianzi esposte, anche
 quelle contenute nelle ordinanze di remissione che  hanno  denunciato
 il sospetto di incostituzionalita' di alcune delle medesime norme, ed
 in  particolare  le  ordinanze  datate  17 febbraio 1993 (in Gazzetta
 Ufficiale, - prima serie speciale, anno 1993, n. 19)  e  22  febbraio
 1993  (in Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, anno 1993, n. 21)
 della Corte suprema di cassazione e quelle datate 2 novembre 1992 (in
 Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale,  anno  1993,  n.  5)  e  12
 novembre  1992  (in  Gazzetta  Ufficiale,  prima serie speciale, anno
 1993, n. 19) del tribunale di Salerno, rispettivamente  iscritte  nel
 registro   degli  atti  di  promovimento  del  giudizio  della  Corte
 costituzionale, anno 1993, ai nn. 228, 207, 21 e 198.
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt.  134   della   Costituzione,   1   della   legge
 costituzionale  9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953,
 n. 87;
    Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale  del
 combinato  disposto  degli  artt.  321  e 324 del codice di procedura
 penale, per contrasto con gli articoli 24, 42, 97 e 111, primo comma,
 della Costituzione e dell'art. 12-quinques della legge 7 agosto 1992,
 n. 356, cosi' come modificato dall'art. 5,  lett.  a)  del  d.l.  20
 maggio  1993,  n. 153, con gli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione e,
 conseguentemente, dispone l'immediata trasmissione  degli  atti  alla
 Corte costituzionale e sospende il presente giudizio;
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria la presente ordinanza sia
 notificata  all'indagato,  al   difensore,   al   procuratore   della
 Repubblica  presso  il  tribunale di S. Maria Capua Vetere (Caserta),
 nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata  ai
 Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.
      S. Maria Capua Vetere, addi' 24 settembre 1993
                       Il presidente: DI PERSIA

 93C1135