N. 689 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 agosto 1993

                                N. 689
  Ordinanza emessa il 24 agosto 1993 dal tribunale di sorveglianza di
 Torino  nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Bruschi
 Valentino
 Ordinamento penitenziario - Condannati affetti da Aids - Differimento
    dell'esecuzione  della  pena  previsto  come obbligatorio anziche'
    facoltativo come stabilito per altre  categorie  di  malati  gravi
    (soggetti  affetti da tumore o diabetici) - Riserva ai primi di un
    trattamento  ingiustificatamente  privilegiato  -  Incidenza   sul
    diritto  da  riconoscersi  alle  vittime  dei reati alla effettiva
    punizione dei medesimi, sulla funzione rieducativa della pena, sul
    diritto  alla  salute  e  sulla  funzione  giurisdizionale   della
    magistratura  di  sorveglianza "obbligata" nei casi in questione a
    sospendere l'esecuzione  della  pena  senza  poter  accertare  una
    concreta incompatibilita' con lo stato detentivo.
 (C.P., art. 146, n. 3, modificato dal d.l. 14 maggio 1993, n. 139,
    art. 1, convertito in legge 14 luglio 1993, n. 222).
 (Cost., artt. 2, 3, 27, 32 e 111).
(GU n.47 del 17-11-1993 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Emette  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento di sorveglianza
 relativo alla concessione di differimento di pena all'udienza del  24
 agosto  1993  premesso  che  il  detenuto Bruschi Valentino nato il 4
 dicembre 1962 a Cisliano (MI), c/o  comunita'  "Saman"  ostpitale  di
 Bondeno  (FE)  in  espiazione pene anni 3 mesi 8 res. sent. 29 maggio
 1991 Corte di appello di Torino piu' anni 1  recl.  sent.  29  maggio
 1991  Corte  di  appello  Torino difeso dall'avv. di uff. Vittone del
 Foro di Torino;
    Visto il parere pv. eccezione del p.g.;
    Visti gli atti del procedimento di sorveglianza sopra specificato;
    Verificata, preliminarmente, la  regolarita'  delle  comunicazioni
 relative   ai   prescritti   avvisi   al   rappresentante  del  p.m.,
 all'interessato ed al difensore;
    Considerate le risultanze delle  documentazioni  acquisite,  delle
 investigazioni e degli accertamenti svolti, della trattazione e della
 discussione di cui a separato processo verbale;
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    In data 22 dicembre 1992 il tribunale di sorveglianza di Torino ha
 emesso  la  seguente  ordinanza: "In data 19 settembre 1992 Valentino
 Bruschi,  sopra  generalizzato,  ha  indirizzato  al  magistrato   di
 sorveglianza  di  Vercelli una richiesta di differimento pena in base
 al d.l. n. 374 dell'11 settembre 1992.  I  documenti  allegati  alla
 domanda  sono: a) la certificazione di A.I.D.S. conclamata rilasciata
 dall'ospedale S. Andrea di Vercelli a firma del primario del  reparto
 malattie  infettive;  b)  una dichiarazione di dimissione del Bruschi
 dall'ospedale  S.  Andra  di  Ferrara  del  18  settembre  1992.   Il
 magistrato  di sorveglianza di Vercelli con decreto 25 settembre 1992
 ha sospeso ai sensi  dell'art.  4  del  citato  d.l.  e  684  c.p.p.
 l'esecuzione della sentenza di condanna 29 maggio 1991 della Corte di
 appello  di  Torino ad anni 3 e mesi 8 di reclusione e della sentenza
 Corte di appello Torino 29 maggio 1991 ad anni 1 di reclusioone ed ha
 trasmesso gli atti al tribunale di sorveglianza di Torino. Al termine
 dell'odierna udienza, svoltasi in assenza  del  Bruschi,  sentiti  il
 difensore  ed  il  procuratore  generale  il  collegio  ha  sollevato
 d'ufficio l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 146 c.p. cosi'
 come modificato dall'art. 4 d.l. 12 novembre 1992 n. 431.
                             D I R I T T O
    Per illustrare in modo adeguato l'eccezione di incostituzionalita'
 della citata norma e' indispensabile puntualizzare alcuni prinicpi di
 ordine Costituzionale in tema di obligatorieta' dell'esecuzione della
 sentenza di condanna a pena detenitva.
    In ogni  ordinamento  giuridico  e'  riconosciuto  allo  Stato  la
 potesta' di esigere la sottoposizione all'esecuzione delle condanne a
 pena  detentiva  di  tutti  coloro  dei  quali sia stata accertata la
 colpevolezza nei modi e nei termini stabiliti dalla legge.
    L'art. 3 della Costituzione e l'art. 3 del c.p.  sono  espressione
 di  siffatto  principio.    Pertanto  sussite  l'obbligo per tutte le
 persone condannate a pena detentiva di subire la pena.  L'adempimento
 di questa obbligazione non ammette di regola eccezioni.  Le deroghe a
 questo dovere sono legislativamente previste negli  artt.  146,  147,
 148,  163,  171,  172,  174, 222 secondo capoverso del codice penale.
 Limitando la nostra indagine all'esame degli artt. 146 e 147 del c.p.
 si  rileva  che  il  legislatore  nell'anno  1930,  ovverosia   prima
 dell'introduzione  degli  artt. 27 e 32 della Costituzione, (art. 27:
 le pene non possono consistere in un trattamento contrario  al  senso
 di   umanita';   art.   32:  La  Repubblica  tutela  la  salute  come
 fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita'),
 ha  previsto  una  normativa  in  cui sono garantiti i diritti teste'
 espressi   alle   persone   condannate   a   pene   detentive   prima
 dell'esecuzione della pena ovvero nel corso della carcerazione.
    Il rinvio e' obbligatorio o facoltativo.  Il rinvio e' previsto in
 modo obligatorio (art. 146 del c.p.):
       a) se deve essere eseguito contro una donna incinta;
       b) se deve essere eseguita contro una donna che abbia partorito
 da meno di sei mesi.
    La   finalita'  di  questo  eccezionale  istituto  e'  palese:  il
 legislatore ritiene che sia contrario al senso di umanita' consentire
 che una donna incinta  partorisca  in  carcere  ovvero  che  stia  in
 carcere  con  un  neonato  di  pochi mesi.   L'eccezionalita' dei due
 eventi impone il sacrificio del dirito dello Stato a dare  esecuzione
 alla  pena  detentiva  nei  confronti  di una donna che trovasi nelle
 condizioni dianzi descritte.   Questa  deroga  e'  accettabile  anche
 sotto  un  altro profilo: la rinuncia all'esercizio di detta potesta'
 ha una durata limitata nel tempo.  In tale ipotesi l'organo  preposto
 alla  decisione  e' obbligato "ope legis" a conoscere il beneficairio
 richiesto  ecquisendo  la  certificazione  sanitaria  comprovante  le
 condizioni   previste   dall'art.      146   del  c.p.     Il  rinvio
 dell'esecuzione  della  pena  e'  facoltativo  nei   seguenti   casi:
 "L'esclusione della pena puo' essere differita (art. 147 c.p.):
      1) se e' presentata domanda di grazia (174) e l'esecuzione della
 pena non deve essere differita a norma dell'articolo precedente;
      2)  se una pena restrittiva della liberta' personale deve essere
 eseguita contro chi  si  trova  in  condizioni  di  grave  infermita'
 fisica;
      3)  se  una pena restrittiva della liberta' deve essere eseguita
 contro donna, che ha partorito da piu' di sei mesi ma da meno  di  un
 anno,  e  non  vi  e'  modo  di  affidare il figlio ad altri che alla
 madre".
    La differenza essenziale fra le due ipotesi di rinvio  della  pena
 e'  rappresnetata  dal  ruolo  svolto dall'organo preposto a decidere
 sulle istanze.  Prima di illustrare questo dato saliente e' opportuno
 ricordare che, ai sensi dell'art. 589 del  c.p.p.  (codice  abrogato)
 gli  organi  delegati  alla  decisione  erano  il  pretore ed il p.m.
 competente, ed il Ministro di grazia e giustizia "quando l'ordine  di
 carcerazione era gia' stato eseguito" (norma questa ultima dichiarata
 incostituzionale  nell'anno 1979).  L'art. 22 della legge n. 663 anno
 1986 ha radicalmente modificato la competenza in ordine  agli  organi
 decisionali.  Invero con tale norma e' stato stabilito che:
      "in  ciascun  distretto  di  Corte  di  appello  e  in  ciascuna
 circoscrizione territoriale di sezione distaccata di Corte di appello
 e'  costituito  un   tribunale   di   sorveglianza   competente   per
 l'affidamento   in   prova   al   servizio   sociale,  la  detenzione
 domiciliare, la semiliberta', la liberazione condizionale (176 c.p.),
 la riduzione di pena per  la  liberazione  anticipata,  la  revoca  o
 cessazione   dei   suddetti   benefici,   il  rinvio  obbligatorio  o
 facoltativo dell'esecuzione  delle  pene  detentive  ai  sensi  degli
 articoli 146 e 147, numeri 2 e 3, del codice penale, nonche' per ogni
 altro provvedimento ad esso attribuito dalla legge".
    Questa  normativa  e' stata recepita anche nell'art. 684 del nuovo
 codice di procedura penale.
    "Il  tribunale  di  sorveglianza  (677)  provvede  in  ordine   al
 differimento  dell'esecuzione  delle  pene detentive e delle sanzioni
 sostitutive della semidetenzione e  della  liberta'  controllata  nei
 casi  previsti  dagli artt. 146 e 147 del codice penale, salvo quello
 previsto dall'art. 147 primo  comma  del  codice  penale,  nel  quale
 provvede  il  Ministero  di grazia e giustizia.  Il tribunale ordina,
 quando occorre, la  liberazione  del  detenuto  e  adotta  gli  altri
 provvedimenti   conseguenti".     Questa  nuova  disciplina,  che  ha
 individuato nel tribunale di  sorveglianza  l'organo  legittimato  ad
 emettere  la  decisione  nei  casi previsti dagli artt. 146 e 147 del
 c.p. ha evidenti riflessi in ordine  alla  natura  del  provvedimento
 consluso  del  procedimento  relativo.    Invero, sul piano formale e
 sostanziale, e' stata estesa anche alla materia di  cui  alla  citata
 norma la competenza giurisdizionale del tribunale di sorveglianza che
 era  stata  introdotta  per  le misure alternative dalla legge n. 354
 anno 1975.  Infatti il tribunale di  sorveglianza,  composto  da  due
 giudici   ordinari  e  da  due  esperti,  risolve  imparzialmente  il
 conflitto tra il potere dello Stato di esigere  che  la  sentenza  di
 condanna e pena detentiva sia eseguita o continui ad essere eseguita,
 ed il diritto del condannato a chiedere che la sentenza di condanna a
 pena  detentiva non sia eseguita o sia sospesa nelle ipotesi previste
 negli artt. 146 e 147 del c.p.
    La procedura prevista per la definizione  di  questo  giudizio  e'
 disciplinata  dagli  artt. 666, 678 del c.p.p.  All'interno di questa
 unica funzione  giurisdizionale  del  tribunale  di  sorveglianza  si
 devono pero' distinguere le ipotesi di cui alla'rt. 146 c.p. rispetto
 a  quelle  di  cui all'art. 147 del c.p.  Invero, cosi' come e' stato
 evidenziato  sopra,  nella  trattazione  delle  ipotesi  disciplinate
 nell'art.  146  del  c.p.  il  tribunale  svolge un ruolo notarile in
 quanto il legislatore ha inteso impedire in  modo  assoluto,  per  le
 predette  persone  condannate,  il loro ingresso in carcere: l'organo
 giudicante si limita quindi a verificare se sussistano le  condizioni
 oggettive  sopra descritte sulla base di una certificazione sanitaria
 pubblica  ed  in  caso  di  riscontro  positivo  concede  il   rinvio
 dell'esecuzione delle pene.
    Questa  notevole limitazione al potere giurisdizionale dell'organo
 giudicante, derogatorio rispetto rispetto ai prinicpi generali di cui
 agli artt. 3 e 111 della  Costituzione,  e'  ampiamente  giustificato
 dalle  ragioni  dianze  espresse.    Nell'ambito delle ipotesi di cui
 all'art. 147 del c.p. ed in particolare per quella di cui al n. 2  il
 procedimento giurisdizionale si sviluppa, sia nella fase istrutturia,
 sia  in  quella  decisionale,  senza limitazione di sorta e nel pieno
 rispetto  degli  arrt.  111,  27,  32   e   3   della   Costituzione.
 Nell'esercizio  di  questa  funzione  giurisdizionale  i tribunali di
 sorveglianza e la Corte di cassazione sezione I hanno  elaborato  una
 giurisprudenza  in  ordine all'interpretazione dell'art. 147 n. 2 del
 c.p. i cui cardini sono espressi dalle seguenti sentenze della  Corte
 di  Cassazione.   Sentenza sez. I 7 maggio 1991, n. 213 (Reina): " ..
 che ai sensi del citato art. 147 n. 2 c.p., l'esecuzione  della  pena
 puo'  essere  sospesa se deve essere eseguita nei confronti di chi si
 trova in condizioni di grave infermita' fisica; che per individuare i
 presupposti  in  presenza  dei   quali   e'   legittimo   un   rinvio
 dell'esecuzione  della  pena  e'  d'uopo aver riguardo a tre principi
 desumibili della Costituzione: il principio di uguaglianza di tutti i
 cittadini  di  fronte  alla  legge  senza  distinzione  di condizioni
 personali (art.3), nonche' quelli secondo cui  le  pene  non  possono
 consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' (art. 27 e la
 salute  e'  un  diritto fondamentale dell'individuo (art. 32); che da
 tali principi e' agevole  desumere:  a)  che  le  pene  inflitte  dai
 competenti   organi   giurisdizionali  debbono  essere  eseguite  nei
 confronti di coloro che le hanno riportate; b)  che  tale  esecuzione
 non   e'   preclusa   da  eventuali  stati  patologici  del  soggetto
 suscettibili di generico miglioramento o di una piu' adeguata cura  a
 seguito  del  ritorno alla liberta', non esistendo malato al quale la
 cessazione della detenzione non arrechi giovamento, quanto meno sotto
 il profilo psicologico;  c)  che  in  tanto  uno  stato  morboso  del
 condannato  legittima  la  sospensione  dell'esecuzione  in quanto la
 prognosi sia infausta quoad vitam, ovvero il soggetto possa giovarsi,
 in liberta', di cure e trattamenti indispensabili non praticabili  in
 stato  di  detenzione, neppure mediante ricovero in ospedali civili o
 in altri luoghi esterni di cura ai  sensi  dell'articolo  II  secondo
 comma  legge  26  luglio 1975 n. 354, ovvero, ancora, a cagione della
 gravita' delle condizioni, l'espiazione della  pena  si  appalesi  in
 contrasto  con  il  senso  di  umanita'  del quale si e' detto; che i
 giudici di merito hanno escluso che ricorra nella specie alcuna delle
 situazioni teste' enunciate; che,  invero,  detti  giudici,  con  una
 motivazione  immune  da  vizi  logico-giuridici,  sulla  scorta della
 documentazione medico acquisita anche mediante un'indagine  peritale,
 hanno  ritenuto che le patologie dalle quali il ricorrente e' affetto
 non si manifestano, allo  stato,  con  sintomatologie  denotanti  una
 particolare  gravita'  e  non  trasformano  la pena in un trattamento
 contrario al senso di umanita'; che la terapia prescritta dai  medici
 al  Reina,  consiste  in  un trattamento farmacologico per via orale,
 puo'  essere  adeguatamente  praticata  permanendo  l'attuale  status
 detentionis;    che,   l'irreversibilta'   dell'infezione   contratta
 (sieropositivita' "da HIV, non ancora  evoluta  in  A.I.D.S.  vero  e
 proprio)  non  comporta,  ipso  iure, il differimento dell'esecuzione
 della pena se non quando la stessa si manifesti con una  patologia  a
 prognosi  infausta  ravvicinata, ovvero le condizioni di salute siano
 tali da rendere la protrazione della detenzione in contrasto  con  il
 senso  di  umanita'  e,  quindi la Carta fondamentale dello Stato (v.
 art. 27 terzo comma della Costituzione).
    Sentenza sez. I 31 ottobre 1990 - Pennone: "Enrico Pennone ricorre
 per cassazione avverso l'ordinanza 6 aprile 1990,  con  la  quale  il
 tribunale  di  sorveglianza  di  Torino  ha rigettato la richiesta di
 differimento dell'esecuzione della pena ex  art.  1472  del  c.p.  Il
 ricorso  non puo' essere accolto in quanto il provvedimento impugnato
 risulta immune da denunciati vizi di violazione di legge  e  mancanza
 di  motivazione.  Esso,  per  vero, e' sorretto da adeguata e congrua
 motivazione  che  trova  puntuale  riferimento  sulla  documentazione
 sanitaria  in  atti  volta  a  dare  certezza che, allo stato, pur in
 presenza  di  A.I.D.S.,  non  sussistono  a  carico  dell'interessato
 patologie  determinanti  periodo di morte imminente e percio' tali da
 giustificare l'applicazione dell'eccezionale  istituto  di  cui  alla
 norma. D'altro canto, il protocollo terapeudico, stabilito dai medici
 per  il  Pennone,  di  natura  completamente  farmacologica, ben puo'
 essere praticato perdurando l'attuale stato di detenzione, salvi  gli
 eventuali  ricoveri  ospedalieri.  Vi  e'  da  rilevare  infine  che,
 l'irreversibilita' dell'infezione suddetta non comporta ipso iure, il
 differimento dell'esecuzione della pena se non quando  dia  luogo  ad
 una  patologia  di  prognosi  infausta  ravvicinata, ovvero quando le
 condizioni di salute del condannato siano divenute  cosi'  gravi,  da
 rendere  la protrazione della detenzione in contrasto con il senso di
 umanita' e percio' con l'art. 27 terzo comma della  Costituzione.  Il
 rigetto  del  ricorso  comporta la condanna del ricorrente alle spese
 processuali. Per questi motivi. La Corte  di  cassazione,  visti  gli
 artt. 611 e 616 c.p.p. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
 pagamento delle spese di procedimento. Roma, li' 31 ottobre 1990".
    Ai   fini   di   un   maggiore  approfondimento  del  problema  e'
 indispensabile richiamare il contenuto della relazione medico  legale
 affidato al Primario dell'ospedale delle malattie infettive di Torino
 "Amedeo  di  Savoia"  e  sulla  cui base il tribunale di sorveglianza
 aveva deciso sull'istanza del detenuto Pennone  di  cui  alla  citata
 sentenza   31   ottobre  1990  della  Cassazione:  "Giudizio  clinico
 conclusivo  soggetto  cui  e'  stata  posta  diagnosi   di   A.I.D.S.
 conclamata,  momento  senza  infezioni  opportunistiche  in  atto. La
 sieropositivita' per l'HIV-AG, il valore della betaduermicroglobulina
 e il decremento dei linfociti  T4  rendono  necessaria  una  regolare
 monitorizzazione delle condizioni cliniche e dei parametri bioumorali
 per  cogliere  l'eventuale  comparsa  di infezioni opportunistiche o,
 comunque, l'aggravarsi dell'insufficienza immunitaria.  Risposte  aia
 quesiti:  a)  condizioni  generali  e cliniche sufficienti, non segni
 obiettivabili di infezioni opportunistiche in atto. b) Il paziente e'
 affetto da A.I.D.S.  conclamata  in  quanto  nel  gennaio  scorso  ha
 superato  esofagite  da  candida  peraltro  guarita  con  la corretta
 terapia somministratagli, come  dimostra  il  referto  del  controllo
 esofagoscopico   eseguito   il   26  gennaio  1991.  c)  L'infermita'
 (l'A.I.D.S.) e' grave e determina, nel tempo, pericolo di  morte.  d)
 La   malattia   (l'A.I.D.S.)   e'   infermita'   grave   a  carattere
 irreversibile, allo stato attuale delle conoscenze, la cui durata  e'
 pero'  difficile  da prevedere, essendo strettamente correlata con il
 tipo  di  infezione   opportunistica   che   ne   ha   caratterizzato
 l'insorgenza   e  l'evoluzione.  e)  L'infezione  opportunistica  (la
 condidosi espfagea) e' attualmente in fase di quiescenza un'eventuale
 riattivazione della medesima potrebbe comunque essere trattata presso
 il centro clinico della casa circondariale a patto, ovviamente che il
 paziente accetti le visite mediche e  la  terapia  prescrittagli.  f)
 Attualmente  la  situazione  clinica  e'  compatibile con lo stato di
 carcerazione anche  se  e'  necessario  continuare  a  controllare  i
 parametri  immunologici  del paziente che risulta essere positivo per
 l'antigene HIV ed  avere  avuto,  negli  ultimi  mesi  un  decremento
 significativo  dei  linfociti  T4.  g)  Buona  parte  degli  esami di
 controllo per il monitoraggio dell'evoluzione dell'infezione e  della
 risposta al trattamento dell'infezione possono essere eseguiti presso
 il  laboratorio  della  casa  circondariale.  Per  quelli  da inviare
 all'ospedale Amedeo di Savoia, distante circa 2 chilometri)  i  tempi
 son  quelli  tecnici,  vale  a  dire  qualche  ora  in  piu' rispetto
 all'attesa delle risposte per i pazienti  ricoverati:  la  differenza
 essendo  costituita  dal tempo impiegato nel trasporto dei prelievi e
 nel ritiro dei rispettivi referti. h)  Ritengo  che  la  formulazione
 dell'ultimo  quesito  sia  insufficientemente precisa e, soprattutto,
 che   non   possa  comportare  una  risposta  univoca.  Le  circolari
 ministeriali inoltre, a quanto mi risulta, non sono leggi, e  qualora
 fossero   da   considerare   tali  esse  renderebbero  superflui  gli
 accertamenti peritali. La diagnosi di A.I.D.S.  si  pone  in  seguito
 alla  comparsa  delle  infezioni  opportunistiche  le  quali non sono
 sempre caratterizzate  dalla  stessa  gravita'  e  soprattutto  dalla
 stessa  prognosi nel tempo. Secondo la nostra esperienza, ad esempio,
 le forme che si manifestano con un'esofagite  da  candida  hanno  una
 sopravvivenza  di  almeno  tre  anni  e,  inoltre,  non e' per solito
 l'esofagite a determinare l'exitus del paziente  ma  bensi'  un'altra
 infezione  piu'  grave  e  ad  evoluzione  piu'  drammatica che vi si
 sovrappone. In sintesi, un  comune  cittadino  nelle  condizioni  del
 periziato  non  verrebbe  trattenuto  in  ospedale ma ritornerebbe in
 famiglia e curato a domicilio. La stessa cosa non  accadrebbe  invece
 in   caso   di   polmonite   da   penumocisti  in  fase  acuta  o  di
 neurotoxplasmosi  o  di  meningite  da  criptococco.  Non  e'  quindi
 possibile,  a  mio  avviso, emettere un giudizio di carattere formale
 circa la compatibilita' o meno con la vita carceraria  dei  soggetti.
 Gli ampi stralci della decisione della Corte di cassazione ed i passi
 significativi della relazione medico-legale teste' citata documentano
 quindi in modo rigoroso che:
       A)  Il  tribunale  di sorveglianza non esaminata in astratto la
 compatibilita' tra una malattia grave, irreversibile ed ingravescente
 e lo stato detentivo, ma valuta in concreto se il quadro  clinico  di
 un  detenuto  affetto  da malattia grave ed irreversibile sia tale da
 determinare l'incompatibilita' del suo stato di malato grave  con  la
 prosecuzione della detenzione.  Nell'esercizio, ai sensi dell'art. 11
 della  Costituzione,  di questa funzione giurisdizionale il collegio,
 di  cui  fanno  parte  un  esperto  in  medicina  ed  un  esperto  in
 psichiatria,  procede  ad  una  puntuale  applicazione  dei  principi
 fissati in modo costante dalla Corte di cassazione e teste' riferiti.
     B) In tale contesto trovano puntuale  applicazione  per  tutti  i
 detenuti affetti da malattia grave:
       1)  Il principio di cui all'art. 27 della Costituzione: infatti
 laddove il tribunale rileva che la espiazione della pena si  appalesa
 per  quel  soggetto  contrario  con  il  senso di umanita', ordina la
 sospensione della pena.
       2) Il principio di cui all'art. 32 della Costituzione:  infatti
 esaminando  la  singola  domanda  di  un detenuto affetto da malattia
 grave, il tribunale qualora accerti in concreto che la cura  di  tale
 malattia non e' praticabile in un determinato istituto penitenziario,
 ordina  il  differimento  della  pena  fissandone  caso  per  caso il
 periodo.
       3) Il principio di cui all'art. 3  della  Costituzione:  invero
 tutti  coloro  che  sono  affetti  da  malattia  grave irreversibile,
 ingravescente e abbisognevole di particolari cure farmacologiche sono
 assoggettate  alla  stessa  disciplina  senza   alcuna   distinzione.
 Pertanto  dall'entrata  in  vigore  del citato art. 22 della legge n.
 663  anno  1986  ogni  tribunale  di  sorveglianza  ha  provveduto  a
 concedere  la  sospensione della pena anche agli ammalati di A.I.D.S.
 conclamata o con  grado  di  deficienza  immunitaria  grave,  purche'
 fossero state accertate le condizioni stabilite nella citata sentenza
 della cassazione.
       4)  Tutti  i  provvedimenti  del tribunale, positivi o negativi
 sono fondati su una  ampia  documentazione  sanitaria  e  talvota  su
 perizie    medico-legali    disposte   nei   casi   piu'   complessi.
 Conclusivamente sul punto si  puo'  affermare  che  grazie  a  questa
 normativa,  peraltro  coerente con le citate disposizioni della Corte
 costituzionale, il problema dei detenuti  e  dei  condannati  liberi,
 colpiti da grave forme di malattia incompatibile con la detenzione e'
 disciplinato  in  modo  unitario  e  congruo.  Inoltre  il sistema ha
 approntato un altro strumento, la detenzione  domiciliare  (art.  47-
 ter ordinamento penitenziario), grazie al quale i detenuti gravemente
 ammalati,  la cui pena residua e' inferiore o pari ad anni 2, possono
 espiare  la  pena  nelle  proprie  abitazioni  o  in   altri   luoghi
 opportunamente  predisposti  per  le  cure  mediche e farmacologiche.
 Citiamo un dato statistico significativo che  conferma  la  validita'
 degli   strumenti  normativi  teste'  illustrati:  nell'anno  1991  i
 tribunali di sorveglianza hanno concesso n.  511  rinvii  della  pena
 detentiva ex art. 146 e 147 del c.p.; e n. 346 detenzioni domiciliari
 ex art. 47-ter o.p.
    Questi   dati  sono  stati  pubblicati  nel  bollettino  n.  1  di
 informazione  della  magistratura  di   soveglianza   del   consiglio
 superiore della magistratura.  E' superfluo evidenziare che una parte
 cospicua  di  detti  provvedimenti  riguardano condannati, detenuti o
 liberi, affetti da A.I.D.S. conclamata o con  deficienza  immunitaria
 grave.    Si puo' pertanto affermare che, in tema di tutela della sa-
 lute dei detenuti gravemente ammalati, la legislazione  vigente,  con
 il  supporto  determinante  dell'amministrazione penitenziaria, della
 magistratura di sorveglianza e della Corte  di  cassazione,  pone  il
 nostro  Stato  in  una  posizione  di  avanguardia nel contesto delle
 nazioni.  Nonostante cio', e' stata introdotta, in modo  inopinato  e
 senza   alcun  dibattito  culturale  e  scientifico,  una  disciplina
 autonoma e differenziata i tema di differimento  della  pena  per  le
 persone detenute o condannate a pena detentiva, ma libere, affette da
 A.I.D.S. conclamata o con deficit immunitario grave, stabilendone ope
 legis  l'incompatibilita'  assoluta  con  lo  stato  detentivo con le
 seguenti disposizioni.
    "Art. 4 d.l. 12 novembre 1992: nel primo comma dell'art. 146  del
 c.p.  e'  aggiunto  il  seguente  numero:  (3) se deve aver luogo nei
 confronti di persona affetta da  infezione  da  H.I.V.  nei  casi  di
 incompatibilita'  con  lo stato di detenzione ai sensi dell'art. 286-
 bis, primo comma del codice di procedura penale".
    Art. 3 d.l. 12 novembre 1992: "l'incompatibilita' sussiste, ed e'
 dichiarata dal giudice, nei casi di A.I.D.S. conclamata  o  di  grave
 deficienza immunitaria".
    Il  primo sentimento che si prova a leggere questa disposizione e'
 quello di stupore.   Invero la stessa commissione  nazionale  per  la
 lotta  all'I.D.S.,  ha recentemente affermato: "che il quadro clinico
 delle  infezioni  da  H.I.V.  e'  caratterizzato   da   una   estrema
 dinamicita' e varieta' di situazioni per cui possono verificarsi casi
 di   paziente   affetti   dalla   infezione   H.I.V.  in  uno  stadio
 epidemiologicamente  non  classificabile   con   A.I.D.S.   (soggetti
 classificati  come  4  A,  4 C2, 4 E), che pure versano in condizioni
 clinicamente gravi e che necessitano di  quegli  stessi  inderogabili
 provvedimenti  sanitari (controlli, ricoveri, terapie) che sono stati
 previsti per i soggetti in fase A.I.D.S. La  stessa  commissione  ha,
 altresi', precisato che le suddette indicazioni debbano rappresentare
 un contributo nel difficile compito di valutare, nei singoli casi, la
 sussistenza  delle condizioni che consentono il permanere del soggeto
 in ambiente carcerario o che  ne  consigliano  il  trasferimento  nel
 domicilio o in struttura esterna".
    "Circolare  n. 3320/5770 del 20 luglio 1991 del direttore generale
 del D.A.P.".  Sottolineiamo che la predetta  commissione  nel  citato
 documento  ha  evedenziato  "il  difficile  compito  di valutare, nei
 singoli casi, la  sussistenza  delle  condizioni  che  consentono  il
 permanere  del  soggetto in ambiente carcerario".  Di fronte a questo
 esplicito riconoscimento della difficolta' di valutare caso per  caso
 la  incompatibilita'  fra  stato detentivo e la malattia, lo stupore,
 dianzi espresso,  assume  la  connotazione  dello  sbigottimento  nel
 constatare che e' stato introdotto per legge un principio assoluto di
 incompatibilita'  tra  la  malattia  dell'A.I.D.S.    ed  il carcere,
 scientificamente errato e giuridicamente contrastante con i  principi
 fissati negli artt. 2, 3, 27, 32 e 111 della Costituzione.  Invero la
 valutazione  delle  condizioni  di  un  malato di A.I.D.S.   non puo'
 discendere da una semplice conta dei linfociti  CD4  (=T4),  che  pur
 essendo  un'espressione del deterioramento dello stato immunitario, e
 quindi di una situazione di rischio, non ha di per se' significato di
 A.I.D.S.  in  fase  grave.  La  gravita'  della  malattia  e'  invece
 espressa,  oltre  che  dal  numero  dei  T4,  dal  tipo  di infezione
 opportunistica   e   soprattutto   dalla   localizzazione    d'organo
 dell'infezione stessa.  Va da se' che una polmonite interastiziale da
 Pneumocystis   carinii   o   da   Cytomegalovirus,   con   una  grave
 compromissione della fusione respiratoria, o una lesione  neurologica
 da  Toxiplasma gondii, o una encefalite da Cytomegalovirus o da virus
 erpetico, a parita' di numero di T4,  sono  ben  piu'  gravi  di  una
 esofagite   da   Candida  albicans  che  offre,  tra  l'altro,  buone
 prospettive di remissione. E' insomma difficile stabilire  a  priori,
 su basi teoriche, la gravita' di una quadro clinico di un ammalato di
 A.I.D.S.  e  conseguentemente  e'  assurdo  definire  a priori la sua
 incompatibilita' con lo stato detentivo.
    Le affermazioni teste' espresse sono  comprovate  da  una  vicenda
 giudiziaria  che  e' stata esaminata dal tribunale di sorveglianza di
 Torino.  I medici dell'ospedale "Amedeo di Savoia" di  Torino  il  25
 febbraio  1986  avevano diagnosticato al detenuto A.C. la malattia di
 A.I.D.S.   conclamata in seguito ad un  ricovero  per  una  candidosi
 esofagea che dopo la cura e' andata in remissione. Nel corso di circa
 7 anni vi sono stati episodi di recidiva della stessa malattia che si
 sono  risolti  con esito positivo.   Attualmente persiste per A.C. la
 diagnosi   di   A.I.D.S.   conclamata   in   assenza   di    malattie
 opportunistiche,  con un deficit immunitario esplicitato da un numero
 di  linfociti  T/CDA  +  pari  a  463  per  mmc.    Il  tribunale  di
 sorveglianza  di  Torino, con decisione del 28 giugno 1991 aveva gia'
 respinto la richiamata formulata da A.C. ai sensi dell'art. 147 n.  2
 c.p.  La  Corte  di  cassazione  sez.  I  con sentenza n. 4946 del 17
 dicembre 1991 aveva respinto il ricorso con la seguente  motivazione:
 a)  l'infermita'  del condannato, pur essendo grave ed irreversibile,
 in assenza di malattia opportunistica non e' compatible con lo  stato
 detenitvo  anche a causa della fase di quiescenza dell'AI.D.S.; b) la
 terapia in atto e' stata magistralmente condotta".
    Orbene   con   l'innovazione   normativa   teste'   esposta,  A.C.
 documentando la diagnosi di candidosi esofagea del 26  febbraio  1986
 ha  ottenuto  dal  magistrato  di  sorveglianza il 25 ottobre 1992 la
 sospensione dell'esecuzione della pena ex art. 684  del  c.p.p.    La
 situazione  teste' illustrata e' del tutto identica a quella di altri
 5 detenuti per i  quali  il  magistrato  di  sorveglianza  di  Torino
 recentemente  ha  emesso i provvedimenti di esposizione della pena ex
 art. 684 del c.p.p.  Nei casi di specie, grazie  alla  citata  norma,
 sono  state  annullate  le  decisioni del tribunale di sorveglianza e
 della Corte di cassazione, senza peraltro consentire il riesame delle
 singole richieste al tribunale di sorveglianza.  Dal punto  di  vista
 giuridico  le  citate disposizioni sconvolgono alla radice il sistema
 normativo teste' illustrativo in  tema  di  differimento  pena  e  si
 pongono  in  modo chiaro in totale contrasto con gli artt. 2-3-27-111
 della Costituzione.
    L'art. 4 del d.l.  citato  pare  innanzitutto  in  contrasto  con
 l'art. 2 della Costituzione laddove viene a smentire l'assunto di una
 generalizzata  tutela  dei  diritti inviolabili dell'uomo, quantomeno
 nei confronti di coloro i cui interessi risultino  aggrediti  da  chi
 trovasi  nelle condizioni descritte dal decreto stesso, che si vedono
 privati di efficace tutela penale in assenza dello strumento  che  ne
 assicura  la  necessaria  forza  intimidatrice.    Piu'  evidente  si
 manifesta il  contrasto  con  il  principio  di  uguaglianza  sancito
 dall'art.  3 della nostra Carta costituzionale.  Irragionevole appare
 infatti la discriminazione dei malati "comuni" rispetto agli  affetti
 da  H.I.V.  (in  particolre  ove  si  rifletta  che la scienza medica
 riscontra i  medesimi  caratteri  di  gravita',  irreversibilita'  ed
 ingravescenza  - tipici della patologia da H.I.V. - in molte malattie
 la cui elencazione richiederebbe molte pagine).   Su  questo  aspetto
 specifico  dell'intervento  discriminatorio  della  nuova  normativa,
 intendiamo  offrire  all'attenzione  della  Corte  costituzionale  la
 esperienza  vissuta  dal  collegio  giudicante nel corso dell'odierna
 udienza in cui, visivamente e concretamente, e' apparsa in  tutta  la
 sua evidenza la discriminazione introdotta con il citato art. 4 tra i
 detenuti ammalati da A.I.D.S. conclamata o con deficienze immunitarie
 grave   e  tutti  gli  altri  detenuti  affetti  da  malattie  gravi,
 irreversibili ed ingravescenti.
    Durante  l'udienza  odierna  il  tribunale  ha   esaminato   sette
 richieste  formulate ai sensi delle citate norme del d.l. e del d.m.
 fra le quali quella  di  Bruschi  Valentino  oggetto  della  presente
 eccezione.    Nella  stessa  udienza il collegio ha trattato anche la
 domanda formulata ex art. 147 n. 2  del  c.p.  dal  detenuto  Rotundo
 Guerino.     La  prima  macroscopia  differenziazione  e'  di  ordine
 procedurale e formule. Le sette richieste, formulate ai  sensi  delle
 citate  norme,  sono  suffragate da una sola certificazione sanitaria
 comprovante  l'A.I.D.S.  conclamata  o  da  analisi  di   laboratorio
 attestanti  una  deficienza immunitaria pari od inferiore agli indici
 di cui all'art.  3 del d.m. Sanita'.  Nel caso di specie per  Bruschi
 Valentino,  sieropositivo  dal  1989,  l'A.I.D.S. conclamata e' stata
 diagnosticata nell'ospedale Sant'Andrea di Vercelli  durante  un  suo
 ricovero nel reparto infettivo per "Esofagite da Candida".
    Il  magistrato  di sorveglianza di vercelli ha sospeso a favore di
 Bruschi l'esecuzione dell'ordine di carcerazione ad  anni  quattro  e
 mesi  otto  di  reclusione  ai  sensi dell'art. 684 del c.p.p. grazie
 all'art. 4 del  d.l.  n.  374/1992  ed  ha  trasmesso  gli  atti  al
 tribunale di sorveglianza di Torino.  Rotundo Guerrino detenuto nella
 casa circondariale di Torino ha formulato istanza di cui all'art. 147
 n.  2  del  c.p.  il  29  luglio  1992.   A tale richiesta sono stati
 allegati: a) la cartella  clinica  3  marzo  1989  del  ricovero  del
 Rotundo  presso  il servizio di recupero e rieducazione funzionale di
 Torino  comprovante  "una  grave  tetraparesi  spastica  con  vescica
 neurologica,  e  lo  stato  di  scarsa  autonomia motoria; b) perizia
 medico-legale di parte  comprovante  la  citata  infermita';  c)  due
 provvedimenti  della  Corte  di appello di Torino sez. II con i quali
 furono concessi al Rotundo Guerino gli arresti domiciliari durante il
 procedimento di secondo grado.
    Il magistrato di sorveglianza di Torino con decreto 30 luglio 1992
 ha respinto la richiesta formulata ex art. 684 c.p.p. "in quanto  pur
 in  presenza di un quadro clinico grave non vi sono in atto patologie
 acute che potrebbero  evolversi  positivamente  con  un  pericolo  di
 sospensione  della  pena".    Il  tribunale di sorveglianza, cui sono
 stati trasmessi gli atti, ha acquisito altresi' le cartelli  cliniche
 dei  recenti ricoveri del Rotundo presso l'ospedale maggiore di Parma
 ed ha disposto una perizia medico-legale affidata a  due  esperti  di
 medicina  legale.  Dopo il deposito della relativa relazione e' stata
 fissata per  la  trattazione  l'odierna  udienza.    Dai  dati  sopra
 illustrati   risulta   cosi'  evidente  che  la  malattia  denunciata
 dall'ospedale   Sant'Andrea   di   Vercelli   comprovante    A.I.D.S.
 conclamata  per  una  esofagite  da  candida riscontrata nel dicembre
 dell'anno 1991 e riguardante Bruschi Valentino e' una malattia  grave
 ed  irreversibile;  anche  la  tetraparesi  spastica con annullamento
 delle capacita' motorie e  delle  funzioni  sfinteriche  ed  uretrali
 accertate  sin  dal  1989  nei  confronti  di  Rotundo Guerino e' una
 malattia grave, irreversibile ed ingravescente.    Orbene  nel  primo
 caso   grazie  al  recente  intervento  normativo  il  magistrato  di
 sorveglianza  ha   dovuto   "ope   legis"   sospendere   l'esecuzione
 dell'ordine di carcerazione.
    Nel   secondo  caso  il  magistrato  di  sorveglianza,  nella  sua
 autonomia di giudizio, ha  ritenuto  che  allo  stato  non  vi  erano
 elementi per concedere la sospensione dell'esecuzione della pena.
    La  pratica  del  Bruschi e' stata portata all'esame del tribunale
 senza alcun altro accertamento (peraltro non previsto  dalle  recenti
 normative),   per   la   pratica  del  Rotundo  e'  stata  necessaria
 l'acquisizione  delle  cartelle   cliniche   dei   recenti   ricoveri
 ospedalieri  e  l'effettuazione  di  una  perizia medico-legale.   La
 divaricazione fra le due procedure  si  e'  accentuata  ulteriormente
 nella  fase decisionale di competenza del tribunale.  Invero, qualora
 il tribunale non avesse sollevato l'eccezione di  incostituzionalita'
 dell'art.  4  sopra  citato, la vicenda processuale della pratica del
 Bruschi    avrebbe     avuto     una     definizione     "obbligata".
 L'incompatibilita'  che il tribunale avrebbe dovuto dichiarare tra lo
 stato detentivo e la malattia del Bruschi e' stata gia' decretata dal
 legislatore, ed il collegio, sulla base della  citata  documentazione
 sanitaria  del  dicembre  1991 dell'ospedale di S. Andrea di Vercelli
 comprovante l'esofagite da candida in soggetto  affetto  da  A.I.D.S.
 era  tenuto  ad  emettere  un provvedimento di rinvio dell'esecuzione
 della pena.
    Invero  il  provvedimento  conclusivo del procedimento "e' un atto
 dovuto".  Per contro nel processo Rotundo il collegio giudicante, per
 stabilire se costui, affetto da malattia gravissima, irreversibile ed
 ingravescente, fosse meritevole o meno del  beneficio  richiesto,  ha
 analizzato  tutta  la documentazione teste' elencata ed ha discusso a
 lungo anche le risposte formulate dal  collegio  peritale  che,  alla
 lettera  F della relazione, ha testualmente concluso "La malattia non
 si deve  ritenere  incompatibile  col  regime  carcerario  detentivo,
 purche'  siano  osservate le condizioni esposte nella discussione del
 caso".
    Orbene il tribunale ha disatteso il giudizio espresso  dai  periti
 ed  ha concesso a Rotundo il differimento della pena per mesi dodici.
 L'ordinanza  relativa,  ampiamente  motivata  su  questo  punto,   ha
 espresso le valutazioni di ordine medico legale che hanno ispirato la
 decisione di disattendere, sia pur in parte, il giudizio del collegio
 peritale.    In  detta ordinanza, preso atto che la malattia grave ed
 irreversibile comporta  per  il  soggetto  un  carico  di  sofferenza
 quotidiana  elevato  e'  stato riconosciuto a Rotundo il diritto alla
 sospensione della pena.
    In  tal  modo,  il  tribunale,  esercitando  la  sua  funzione  di
 interprete  della  legge  ha  risolto,  con  ordinanza  motivata,  il
 conflitto tra il potere dello Stato di esigere  che  la  sentenza  di
 condanna  a  pena  detentiva  emessa  nei  confronti di Rotundo fosse
 eseguita, ed il diritto di costui,  affetto  da  malattia  grave,  di
 chiedere  la  sospensione  della  pena, tutto cio' nel pieno rispetto
 degli artt. 3 e 111 della Costituzione.  Altrettanto irragionevole  e
 discriminante  appare  la  citata  normativa  rispetto  agli ammalati
 "comuni"  con  particolari  riferimenti  anche  all'art.  111   della
 Costituzione.  Nelle due vicende giudiziarie teste' illustrate appare
 palese  che nella vicenda Bruschi e' del tutto vanificata la funzione
 giurisdizionale della magistratura di sorveglianza nell'esercizio del
 suo compito istituzionale di dirimere il  conflitto  tra  il  diritto
 dello  Stato  ad  eseguire  le  sentenze di condanna a pene detentive
 emesse nei confronti di Bruschi ed il suo  diritto  alla  sospensione
 della pena.
    Questo  conflitto e' stato preventivamente risolto dal legislatore
 con le  citate  norme:  il  tribunale  deve  limitarsi  a  dichiarare
 l'incompatibilita' tra lo stato detentivo e la malattia diagnostica a
 Bruschi  dal  primario  dell'ospedale Sant'Andrea di Vercelli.  Nella
 vicenda  Rotundo  il   potere   interpretativo   del   tribunale   di
 sorveglianza  si e' sviluppato al piu' alto grado di professionalita'
 ed in piena consonanza con l'art. 111 della Costituzione.   Il  nuovo
 orientamento   normativo   non  puo'  dirsi  piu'  aderente  al  dato
 costituzionale neppure sotto il profilo del rispetto degli artt.  27,
 terzo comma e 32,  primo  comma,  poiche'  l'esito  della  esperienza
 medico-scientifica  in  materia  rivela  come  l'infezione  da H.I.V.
 presenti caratteri di estrema dinamicita' e varieta'  di  situazioni,
 in  rapporto  alle  quali va concretamente provato che l'applicazione
 della pena leda il fondamentale diritto alla salute o si  risolva  in
 un  trattamento contrario al senso di umanita' (prescindendo dai casi
 in  cui  la  cessazione  delle  cure  e  della  assistenza   comunque
 assicurate  dalle  strutture carcerarie si tradurra' in danno di quei
 soggetti che si vogliono invece favorire).
    Con ben diversa puntualita' la problematica sovraesposta era stata
 recepita  nella  circolare  n.  3370/5770  del  Ministero di grazia e
 giustizia del 25 luglio 1991 sopra ricordata  -  avente  appunto  per
 oggetto  "I  detenuti affetti da sindrome da H.I.V. -, dove dato atto
 della notevole variabilita' ed incostanza del  quadro  clinico  delle
 infezioni   da   H.I.V.,   si  rimandava  al  giudizio  degli  organi
 competenti, investiti dal "difficile compito di valutare, nei singoli
 casi, la sussistenza delle condizioni che consentono il permanere del
 soggetto in ambiente carcerario o che ne consigliano il trasferimento
 presso il domicilio  o  in  una  struttura  esterna".    Pertanto  la
 invocata  disciplina  del  rinvio  obbligatorio  della  pena  per gli
 affetti da H.I.V. e/o A.I.D.S. conclamata - come modificata a seguito
 dell'entrata in vigore del d.l. 12 novembre 1992, n.  431  -  appare
 inficiata  dal  vizio  di  illegittimita'  costituzionale; In data 24
 giugno 1963 la Corte costituzionale ha emesso la  seguente  sentenza:
 "Ritenuto che il tribunale di sorveglianza di Torino ha sollevato con
 sette  distinte  ordinanze  questioni  di legittimita' costituzionale
 dell'art. 146, n. 3, del  codice  penale  aggiunto  dall'art.  4  del
 decreto-legge   12   novembre  1992,  n.  431  (Disposizioni  urgenti
 concernenti  l'incremento  dell'organico   del   corpo   di   polizia
 penitenziaria,   il   trattamento  di  persone  detenute  affette  da
 infezione da H.I.V., le modifiche  al  testo  unico  delle  leggi  in
 materia  di stupefacenti e le norme per l'attivazione di nuovi uffici
 giudiziari), assumendo che  la  norma  impugnata,  nel  prevedere  il
 rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena per i soggetti affetti
 da  infezione  da  H.I.V. nei casi previsti dall'art.  286-bis, primo
 comma, del codice di  procedura  penale,  inserito  dall'art.  3  del
 medesimo  decreto-legge n. 431 del 1992, considerato che le ordinanze
 sottopongono alla Corte la medesima questione, ancorche'  riferita  a
 fonti  normative  diverse,  e che, pertanto, i relativi giudizi vanno
 riuniti per essere decisi con un unico provvedimento; che il  decreto
 legge  12  novembre  1992,  n.  431, non e' stato convertito in legge
 entro il termine prescritto, come risulta dal comunitario  pubblicato
 nella Gazzetta Ufficiale n. 8 del 12 gennaio 1993; che altrettanto e'
 accaduto per il decreto-legge 12 gennaio 1993, n. 3, come risulta dal
 comunicato  pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale n. 60 del 13 marzo
 1993; che, pertanto, in conformita'  alla  giurisprudenza  di  questa
 Corte  (vedi, da ultimo, le ordinanze nn. 229, 116 e 51 del 1993), la
 questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile".    Il
 fascicolo riguardante Bruschi e' stato quindi restituito al tribunale
 di  sorveglianza  dalla  cancelleria  della Corte costituzionale.   I
 decreti  legge  menzionati  nella   citata   sentenza   della   Corte
 costituzionale  sono  stati  reiterati  due volte (con d.l. 13 marzo
 1993, n. 60; d.l. 14 maggio 1993, n. 139).  La camera  dei  deputati
 ed  il Senato della Repubblica con legge 14 luglio 1993, n. 222 hanno
 convertito il precitato decreto legge 14 maggio 1993,  n.  139.    E'
 stata  quindi  rifissata  udienza  per  la  trattazione  del processo
 relativo al Bruschi  Valentino.    Al  termine  dell'udienza  odierna
 svoltasi  in assenza del predetto Bruschi, sentiti il difensore ed il
 procuratore generale, il collegio ha sollevato d'ufficio la questione
 dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 146,  n.  3  del  codice
 penale  cosi' come modificato dall'art. 1 della legge 14 luglio 1993,
 n. 222 che ha convertito il decreto legge 14 maggio 1993, n. 139.
                             D I R I T T O
    L'eccezione  proposta e' ammissibile: invero con la conversione in
 legge del citato d.l. 14 maggio 1993, n. 135  sono  venute  meno  le
 ragioni  per  le quali la Corte costituzionale con la citata sentenza
 ha dichiarato inammissibile la  eccezione  proposta  con  l'ordinanza
 sopra  trascritta  del  22 dicembre 1992.   L'art. 146, n. 3 del c.p.
 cosi' come modificato dalla legge 14 luglio 1993, n. 222  e'  viziato
 di illegittimita' costituzionale in quanto viene a porsi in contrasto
 con:
      1)  l'art.  2 della Costituzione, in quanto smentisce "l'assunto
 di  una  generalizzata  tutela  dei  diritti  inviolabili  dell'uomo,
 aggrediti  da  chi  trovasi  nelle  condizioni  descritte dal decreto
 stesso, che si vedono privati di efficace tutela  penale  in  assenza
 dello strumento che ne assicura la necessaria forza intimidatrice".
      2)   l'art.  3  della  Costituzione,  perche'  irragionevolmente
 discrimina i malati "comuni" rispetto alle persone affette da H.I.V.,
 posto che  la  scienza  medica  riconosce  i  medesimi  caratteri  di
 gravita', irreversibilita' ed ingravescenza in molte altre patologie;
      3) l'art. 111 della Costituzione, giacche' risulta vanificata la
 funzione della magistratura di sorveglianza "di dirimere il conflitto
 tra il diritto dello Stato ad eseguire le sentenze di condanna a pene
 detentive"   e  il  diritto  del  condannato  al  differimento  della
 esecuzione della pena;
      4)  gli  artt.  27,  terzo  comma,  e  32,  primo  comma,  della
 Costituzione,  in  quanto,  tenuto  conto  dei  caratteri  di estrema
 dinamicita' che presenta la infezione  da  H.I.V.  e  considerata  la
 varieta'   di   situazioni  che  la  stessa  determina,  deve  essere
 "cocretamente  provato  che  l'applicazione  della   pena   leda   il
 fondamentale  diritto  alla  salute  o  si  risolva in un trattamento
 contrario al senso di umanita'".
    Gli argomenti che rendono accoglibile la precitata eccezione  sono
 stati  ampiamente  esposti  nell'ordinanza 22 dicembre 1992 riportata
 integralmente nella presente e che devono  essere  integralmente  qui
 richiamati.      Confortano  detto  giudizio  le  seguenti  ulteriori
 considerazioni.   In data 7 agosto 1993  e'  stata  indirizzata  alla
 questura  di  Torino  la seguente nota: Si prega cortesemente, con la
 massima urgenza, di inviare i carichi pendenti relativi ad  eventuali
 denunce riportate dalle seguenti persone successivamente alla data di
 scarcerazione:  Di  Forti  Gian  Claudio,  nato  a  Caltanisetta il 5
 dicembre 1957 (scarcerato il 15 ottobre 1992); Grosso Giovanni,  nato
 a  Torino  il 27 dicembre 1959 (scarcerato il 16 ottobre 1992); Falbo
 Salvatore, nato a Militello il  24  luglio  1950  (scarcerato  il  16
 ottobre  1992);  Callegari  Adriano, nato a Adria il 20 novembre 1950
 (scarcerato il 16 ottobre 1992); Battaglia Vincenzo, nato a Torino il
 18 febbraio 1958 (scarcerato il 16 ottobre 1992, attualmente detenuto
 c/o la casa circondariale di Torino);  La  Marca  Francesco,  nato  a
 Riesi il 18 maggio 1962 (scarcerato il 13 gennaio 1993) Cappa Angelo,
 nato  a  Candela  il  17  maggio  1958 (scarcerato il 28 aprile 1993;
 Attanasio Ferdinando, nato a Torino il 2 febbraio 1958 (scarcerato il
 13 maggio 1993); Sciuto Salvatore, nato a Siracusa il 10 luglio  1946
 (scarcerato il 2 giugno 1993); Mammoliti Michele, nato a Torino il 31
 gennaio  1961  (scarcerato il 15 marzo 1993); Nigito Salvatore nato a
 Raddusa il 16 settembre 1955 (scarcerato il 16 ottobre 1992).
    Tutte  le precitate persone erano state scarcerate ex art. 684 del
 c.p.p. dal magistrato di sorveglianza in applicazione  dell'art.  146
 n.  3  del  c.p. cosi' come modificato dai citati decreti legge.  Con
 nota dell'11-13 agosto 1993 la divisione anticrimine  della  questura
 di Torino ha dato la seguente risposta:
       A)  Di  Forti  Gianclaudio  scarcerato  il  15 ottobre 1992 per
 A.I.D.S. conclamata fine pena 26 aprile 2001; il 13 gennaio  1993  e'
 stato   arrestato   per  porto  abusivo  di  arma  e  successivamente
 scarcerato il 20 gennaio 1993 ai sensi dell'art. 286-bis  c.p.p.;  il
 12  maggio  1993  e'  stato  denunciato dai carabinieri di Torino per
 detenzione e spaccio di sostanza stupefacente; il 28 luglio  1993  e'
 stato  arrestato  per evasione dagli arresti domiciliari e detenzione
 di sostanza stupefacente e scarcerato in data 14 agosto 1993;
       B) Grosso Giovanni scarcerato il 15 ottobre 1992  per  A.I.D.S.
 conclamata. E' stato denunciato dalla questura di Torino per furto il
 30 novembre 1992.
       C)  Battaglia  Vincenzo  scarcerato  il  16  ottobre  1992  per
 A.I.D.S. conclamata; il 1 novembre 1992 e' stato denunciato per furto
 di autovettura dal commissariato S. Paolo di Torino; il  15  novembre
 1992 e' stato arrestato dai carabinieri di Collegno per furto di auto
 e  guida  senza  patente e successivamente scarcerato ex art. 286-bis
 del c.p.p.; il 15 febbraio 1993 e' stato arrestato per danneggiamento
 e scarcerato nello stesso giorno ex art. 286-bis del  c.p.p.;  il  22
 marzo  1993  e'  stato arrestato dalla questura di Torino per furto e
 subito scarcerato ex art. 286-bis del c.p.p.; il  25  marzo  1993  e'
 stato  sottoposto ad indagini dal commissariato di P.S.  S. Paolo per
 furto di autovettura; il 28 marzo 1993 e' stato sottoposto a fermo di
 p.g. dal nucleo carabinieri di Torino per rapina; il 10  giugno  1993
 e'  stato  arrestato  per rapina (art. 628 secondo e terzo comma, del
 c.p.) e condannato ad anni uno con  sentenza  g.i.p.  Torino  dal  10
 giugno 1993;
       D)  La  Marca Francesco scarcerato ex art. 684 del c.p.p. il 13
 gennaio 1993 per A.I.D.S. conclamata;  il  17  marzo  1993  e'  stato
 arrestato per uso e spaccio di sostanza stupefacente e scarcerato per
 art.  286-bis  del  c.p.p.  in  pari data; il 10 agosto 1993 e' stato
 arrestato dalla questura di Torino per rapina aggravata e  scarcerato
 il 23 agosto 1993 dal g.i.p. di Torino in applicazione dell'art. 286-
 bis del c.p.p.;
       E)  Sciutto  Salvatore  scarcerato il 2 giugno 1993 ex art. 684
 del c.p.p. per  A.I.D.S.  conclamata;  il  4  giugno  1993  e'  stato
 arrestato  dalla questura di Torino per oltraggio e reati inerenti le
 sostanze stupefacenti e scarcerato l'8 giugno 1993  ex  art.  286-bis
 del c.p.p.;
       F)  Attanasio  Ferdinando  scarcerato il 13 maggio 1993 ex art.
 684 del c.p.p. per A.I.D.S. conclamata; il 1  luglio  1993  e'  stato
 arrestato per evasione dagli arresti domiciliari e scarcerato ex art.
 286-bis del c.p.p. subito dopo;
       G)  Nigito  Salvatore  scarcerato il 6 ottobre 1992 ex art. 684
 del c.p.p. per A.I.D.S.; l'8 giugno  1993  e'  stato  denunciato  dai
 carabinieri di Rivoli per danneggiamento.
    Gli  episodi teste' elencati documentano in mdo inequivocabile che
 per le  citate  persone  detenute  il  legislatore  ha  imposto  alla
 magistratura  di  sorveglianza  l'obbligo  della  loro  scarcerazione
 attenuando cosi', in modo non temporaneo ma definitivo, la tutela dei
 diritti dei consociati ad essi apprestata riconoscendo allo Stato  la
 potesta'  di  mettere  in  esecuzione  le sentenze di condanna a pene
 detentive, con il corrispondente obbligo delle persone condannate  di
 sottoporsi  alla restrizione della loro liberta'.  Principio che sino
 all'introduzione dell'art. 146 n. 2 del c.p.  non consentiva  deroghe
 di  carattere  defintivo.    Invero tutti i soggetti citati e Bruschi
 Valentino sono stati affrancati  in  modo  defintivo  dal  dovere  di
 subire la condanna a pena detentiva ad essi inflitta per i fatti gia'
 definitivi  sino  alla  data  odierna  con sentenza di condanna, e da
 definire con future sentenze in ordine ai reati gia' commessi  e  che
 in futuro potranno compiere.
                                P. Q. M
    Visti  gli  artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
 1955;  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente   infondata,   con
 riferimento  agli  artt.  2,  3 primo comma, 27 terzo comma, 32 primo
 comma e  111,  primo  comma,  della  Costituzione,  la  questione  di
 incostituzionalita'   dell'art.  146,  n.  3,  del  c.p.  cosi'  come
 modificato dall'art. 1 della legge 14 luglio 1933,  n.  222,  che  ha
 convertito  il  d.l.  14  maggio  1933,  n.  139, nella parte in cui
 prevede il rinvio obbligatorio dell'esecuzione  della  pena  se  deve
 avere  luogo  nei confronti di persona affetta da infezione da H.I.V.
 nei casi di incompatibilita' con lo  stato  di  detenzione  ai  sensi
 dell'art. 286-bis primo comma, del codice di procedura penale;
    Sospende il presente giudizio;
    Ordina    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Ordina che a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  venga
 notificata  all'interessato,  alla  procura  generale di Torino ed al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti  del
 Senato e della Camera dei deputati della Repubblica.
    Torino, cosi' deciso in data 24 agosto 1993.
                        Il presidente: FORNACE

 93C1136