N. 690 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 agosto 1993

                                N. 690
  Ordinanza emessa il 24 agosto 1993 dal tribunale di sorveglianza di
  Torino nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Di Forti
  Gianclaudio
 Ordinamento penitenziario - Condannati affetti da Aids - Differimento
    dell'esecuzione  della  pena  previsto  come obbligatorio anziche'
    facoltativo come stabilito per altre  categorie  di  malati  gravi
    (soggetti  affetti da tumore o diabetici) - Riserva ai primi di un
    trattamento  ingiustificatamente  privilegiato  -  Incidenza   sul
    diritto  da  riconoscersi  alle  vittime  dei reati alla effettiva
    punizione dei medesimi, sulla funzione rieducativa della pena, sul
    diritto  alla  salute  e  sulla  funzione  giurisdizionale   della
    magistratura  di  sorveglianza "obbligata" nei casi in questione a
    sospendere l'esecuzione  della  pena  senza  poter  accertare  una
    concreta incompatibilita' con lo stato detentivo.
 (C.P., art. 146, n. 3, modificato dal d.l. 14 maggio 1993, n. 139,
    art. 1, convertito in legge 14 luglio 1993, n. 222).
 (Cost., artt. 2, 3, 27, 32 e 111).
(GU n.47 del 17-11-1993 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Emette  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento di sorveglianza
 relativo alla concessione di differimento  pena  all'udienza  del  24
 agosto  1993  premesso che il detenuto Di Forti Gianclaudio nato il 5
 dicembre 1957 a Caltanissetta, residente in Torino, via F.lli Garrone
 n.  61/29,  in  espiazione  pene  anni  dieci,  mesi  cinque,  giorni
 ventitre, di reclusione inflittegli con provv. di cum. n. 1055/91/Res
 del  16  giugno  1992,  proc.  Rep.  Torino  difeso dall'avv. di uff.
 Vittone del foro di Torino;
    Visto il parere fav. eccezione del p.g.;
    Visti gli atti del procedimento di sorveglianza sopra specificato;
    Verificata, preliminarmente, la  regolarita'  delle  comunicazioni
 relative   al   prescritti   avvisi   al   rappresentante  del  P.M.,
 all'interessato ed al difensore;
    Considerate le risultanze delle  documentazioni  acquisite,  delle
 investigazioni e degli accertamenti svolti, della trattazione e della
 discussione di cui a separato processo verbale;
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    In  data  15 dicembre 1992, il tribunale di sorveglianza di Torino
 ha  emesso  nei  confronti  di  Di  Forti  Gianclaudio  la   seguente
 ordinanza.
    Rilevato   che   Di  Forti  Gianclaudio  ha  avanzato  istanza  di
 differimento dell'esecuzione della pena, rientrando nella  previsione
 dell'art.  146  del  c.p. cosi' come modificato dalla legge 14 luglio
 1993, n. 222;
      che tale  intervento  legislativo  ha  ampliato  l'ambito  della
 disciplina   del  rinvio  obbligatorio  dell'esecuzione  della  pena,
 inserendovi il seguente principio: "Nel primo comma  l'art.  146  del
 cod.  pen. e' aggiunto il seguente numero: La esecuzione di una pena,
 che non  sia  pecuniaria,  e'  differita:  se  deve  aver  luogo  nei
 confronti  di  persona  affetta  da  infezione  da  HIV  nei  casi di
 incompatibilita' con lo stato di detenzione  ai  sensi  dell'articolo
 286-bis, comma 1, del codice di procedura penale";
      che  il  sopracitato  articolo  286-bis del c.p.p., definisce in
 questi termini i casi di incompatibilita' con lo status  detentionis;
 "L'incompatibilta'  sussiste,  ed e' dichiarata dal giudice, nei casi
 di Aids conclamata o di grave deficienza immunitaria".
    Rilevato che ne risulta sconvolto il preesistente  assetto  voluto
 dal  legislatore del 1930 che, mediante il ricorso allo strumento del
 rinvio  facoltativo  (art.  147  del  c.p.),  consentiva   all'organo
 giurisdizionale  competente  di valutare caso per caso, eventualmente
 con il supporto di idonea perizia medica, la concreta  necessita'  di
 differire  l'esecuzione  della sanzione penale, evitando di incorrere
 in apodittiche generalizzazioni.
    Tale sistema normativo, che tutelava  lo  specifico  interesse  di
 tutti i malati (ivi compresi gli affetti di H.I.V.) che si trovassero
 "in  condizioni  di  grave  infermita'  fisica"  (art. 147, n. 2, del
 c.p.), appariva conforme alla lettera ed  allo  spirito  del  dettato
 costituzionale,  come  riaffermato  dalla  Corte  di cassazione nella
 pronuncia n. 2136 del 7 maggio 1991.
    Integrale rispetto trovava il principio secondo cui "La Repubblica
 riconosce e  garantisce  i  diritti  inviolabili  dell'uomo"  di  cui
 all'art.  2  della  Carta  costituzionale,  assicurando  comunque una
 generale tutela penale ai soggetti titolari degli  interessi  lesi  o
 minacciati dalle fattispecie criminose commesse - o commissibili - da
 autori  trovantesi  nelle  condizioni enumerate nell'art. 286-bis del
 c.p.p., esigenza che poteva venir variamente compressa o  addirittura
 sacrificata  solo allorquando collidesse con diversi principi di pari
 rilevanza e dignita', di volta in volta individuati in concreto dagli
 organi giurisdizionali.
    Piena osservanza si garantiva inoltre al principio di  uguaglianza
 di  tutti  i  cittadini  di  fronte  alla  legge senza distinzione di
 condizioni personali (art. 3), e cio' sotto un triplice profilo:
       a) ribadendo  come  le  pene  inflitte  dai  competenti  organi
 giurisdizionali debbano essere eseguite nei confronti di tutti coloro
 che  le hanno riportate, con esclusione di categorie di "intoccabili"
 aprioristicamente stabilite;
       b) evitando differenziazioni tra i soggetti affetti da HIV  e/o
 AIDS  conclamata  e coloro che sono preda di infezioni e malattie dal
 medesimo esito infausto  ai  quali,  pur  in  presenza  degli  stessi
 presupposti anche in merito ai tempi di evoluzione della patologia in
 atto, non e' estesa questa piu' favorevole disciplina;
       c)  salvaguardando  una uniformita' di trattamento tra titolare
 dell'interesse protetto e  autore  del  fatto  di  reato  affetto  da
 infezione da HIV con la mancata previsione di un astratto "diniego di
 tutela"  del primo causa le particolari condizioni del secondo, al di
 fuori di uno specifico accertamento da parte  dell'autorita'  a  cio'
 preposta.
    Neppure  potevano dirsi violati i basilari principi secondo cui le
 pene non possono consistere  in  trattamenti  contrari  al  senso  di
 umanita'   (art.   27)   e  la  salute  e'  un  diritto  fondamentale
 dell'individuo (art. 32) dal momento che, qualora il soggetto potesse
 giovarsi,  in  liberta',  di  cure  e  terapie   indispensabili   non
 praticabili  in  stato  di  detenzione - neppure mediante ricovero in
 ospedali civili od in altri luoghi esterni di cura ai sensi dell'art.
 11 o.p. - ovvero, ancora, a cagione della gravita' delle  condizioni,
 l'espiazione  della  pena di appalesasse in contrasto con il senso di
 umanita',  soccorreva  sempre  l'istituto   del   c.d.   differimento
 facoltativo   (art.   147   del   c.p.)  che  permetteva  di  ovviare
 tempestivamente a tali situazioni abnormi.
    Rilevato che l'innovazione legislativa  citata,  inserendo  questa
 nuova  ed  autonoma  ipotesi  di rinvio obbligatorio in aggiunta alla
 originaria  previsione  limitata  alla  donna  incinta  o  che  abbia
 partorito  da  meno di sei mesi (art. 146 del c.p., nn. 1 e 2), ha di
 fatto mescolato situazioni  radicalmente  distanti  fra  loro,  l'una
 connotata  da una rinuncia definitiva all'applicazione della sanzione
 penale, le altre incidenti sulla pretesa punitiva solo in termini  di
 momentanea  sospensione,  per fatti, quali la gravidanza o la nascita
 di un bambino da meno di sei mesi, che non sono a tutta evidenza "una
 grave infermita' fisica".
    Rilevato che e' stata in tal modo introdotta per  i  soggetti  che
 versano  nelle  condizioni  di cui all'art. 286-bis, primo comma, del
 c.p.p. (in quanto richiamato dall'art.  146,  n.  3,  del  c.p.)  una
 ingiustificata - a parere di questo tribunale - clausola di immunita'
 penale,  una  sorta di astratta previsione di non assoggettabilita' a
 sanzione,  spogliando  una  specifica  categoria  di  persone   della
 soggettivita' attiva penale.
    Rilevato che l'attuale sistema normativo sembra presentare aspetti
 di  incostituzionalita', contrariamente a quanto sopraevidenziato con
 riferimento alla pregressa disciplina.
    L'art. 146, n. 3, cosi' come modificato pare innanzitutto porsi in
 contrasto con l'art. 2 della Costituzione, laddove viene  a  smentire
 l'assunto   di  una  generalizzata  tutela  dei  diritti  inviolabili
 dell'uomo,  quantomeno  nei  confronti  di  coloro  i  cui  interessi
 risultino  aggrediti  da  chi  trovasi nelle condizioni descritte dal
 decreto stesso, che si vedono privati di efficace  tutela  penale  in
 assenza   dello   strumento  che  ne  assicura  la  necessaria  forza
 intimidatrice.
    Piu' evidente si  manifesta  il  contrasto  con  il  principio  di
 uguaglianza sancito dall'art. 3 della nostra Carta costituzionale.
    Irragionevole   appare  la  discriminazione  dei  malati  "comuni"
 rispetto agli affetti da HIV (in particolare ove si rifletta  che  la
 scienza   medica   riscontra   i   medesimi  caratteri  di  gravita',
 irreversibilita' ed ingravescenza - tipici della patologia da  HIV  -
 anche  nella  maggior  parte delle malattie di tipo neoplastico ed in
 alcune  forme  patologiche  di  tipo  cronico,   come   la   malattia
 diabetica).
    Del pari ingiustificata la creazione di una categoria di individui
 sottratta  (nel senso sopravisto) al generale assioma per cui le pene
 inflitte vanno eseguite nei confronti di tutti coloro  che  le  hanno
 riportate,  nonche'  il  fatto che nella comparazione fra l'interesse
 del soggetto leso e quello dell'autore di reato affetto da HIV  debba
 sempre   soggiacere   il   primo,   indipendentemente   da  una  piu'
 approfondita analisi del caso di specie.
    Rilevato che il nuovo orientamento normativo non puo'  dirsi  piu'
 aderente al dato costituzionale neppure sotto il profilo del rispetto
 degli  artt. 27, terzo comma e 32, primo comma, poiche' l'esito della
 esperienza medico-scientifica in materia rivela come  l'infezione  da
 HIV   presenti   caratteri  di  estrema  dinamicita'  e  varieta'  di
 situazioni, in rapporto  alle  quali  va  concretamente  provato  che
 l'applicazione  della pena leda il fondamentale diritto alla salute o
 si  risolva  in  un  trattamento  contrario  al  senso  di   umanita'
 (prescindendo  dai  casi  in  cui  la  cessazione  delle cure e della
 assistenza  comunque  assicurate  dalle   strutture   carcerarie   si
 tradurra' in danno di quei soggetti che si vogliono invece favorire).
    Con ben diversa puntualita' la problematica sopraesposta era stata
 recepita  nella  circolare  n.  3370/5770  del  Ministero di grazia e
 giustizia del 25 luglio 1991 - avente appunto per oggetto "I detenuti
 affetti da  sindrome  da  HIV"  -  dove,  dato  atto  della  notevole
 variabilita' ed incostanza del quadro clinico delle infezioni da HIV,
 si  rimandava  al  giudizio  degli  organi  competenti, investiti dal
 "difficile compito di valutare,  nei  singoli  casi,  la  sussistenza
 delle condizioni che consentono il permanere del soggetto in ambiente
 carcerario  o che ne consigliano il trasferimento presso il domicilio
 o in una struttura esterna".
    Rilevato  inoltre  che  l'obbligo  imposto  alla  magistratura  di
 sorveglianza  di  sospendere  l'esecuzione senza potere esercitare il
 diritto, riconosciuto dall'art. 111 della Costituzione,  di  dirimere
 caso  per  caso  il conflitto tra lo Stato ad eseguire le sentenze di
 condanna  a  pena  detentiva  ed  il  diritto   del   condannato   al
 differimento  dell'esecuzione  della  pena  si  risolve in una palese
 contraddizione con l'art. 111 della Costituzione.
    Rilevato   pertanto   che   la   invocata  disciplina  del  rinvio
 obbligatorio della pena per gli affetti da HIV e/o Aids conclamata  -
 come  modificata  a  seguito  dell'entrata  in  vigore  del  d.l. 12
 novembre 1992, n. 431 - appare inficiata dal vizio di  illegittimita'
 costituzionale".
    In  data  24  giugno  1993  la  Corte  costituzionale ha emesso la
 seguente sentenza: "Ritenuto che  il  tribunale  di  sorveglianza  di
 Torino  ha  sollevato  con  sette  distinte  ordinanze  questioni  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 146, n. 3,  del  codice  penale
 aggiunto dall'art. 4 del d.l. 12 novembre 1992, n. 431 (Disposizioni
 urgenti  concernenti  l'incremento dell'organico del corpo di polizia
 penitenziaria,  il  trattamento  di  persone  detenute   affette   da
 infezione  da HIV, le modifiche al testo unico delle leggi in materia
 di  stupefacenti  e  le  norme  per  l'attivazione  di  nuovi  uffici
 giudiziari),  assumendo  che  la  norma  impugnata,  nel prevedere il
 rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena per i soggetti affetti
 da infezione da HIV nei casi previsti dall'art. 286-bis, primo comma,
 del codice di procedura penale, inserito  dall'art.  3  del  medesimo
 d.l.  n.  431/1992,  considerato  che le ordinanze sottopongono alla
 Corte la medesima questione, ancorche' riferita a fonti normative di-
 verse, e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti  per  essere
 decisi  con un unico provvedimento; che il d.l. 12 novembre 1992, n.
 431, non e' stato convertito in legge entro  il  termine  prescritto,
 come  risulta dal comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 8
 del 12 gennaio 1993; che altrettanto e'  accaduto  per  il  d.l.  12
 gennaio  1993,  n.  3,  come  risulta  dal comunicato publicato nella
 Gazzetta Ufficiale n.  60  del  13  marzo  1993;  che,  pertanto,  in
 conformita'  alla giurisprudenza di questa Corte (vedi, da ultimo, le
 ordinanze nn. 229, 116 e 51  del  1993),  la  questione  deve  essere
 dichiarata manifestamente inammissibile.
    Il  fascicolo  riguardante  Di  Forti  Gianclaudio e' stato quindi
 restituito al tribunale di sorveglianza dalla cancelleria della Corte
 costituzionale.
    I decreti legge  menzionati  nella  citata  sentenza  della  Corte
 costituzionale  sono  stati  reiterati  due volte (con d.l. 13 marzo
 1993, n. 60; d.l. 14 maggio 1993, n. 139).
    La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica con legge  14
 luglio  1993,  n.  222, hanno convertito il precitato d.l. 14 maggio
 1993, n. 139.
    E' stata quindi rifissata udienza per la trattazione del  processo
 relativo al Di Forti Gianclaudio.
    Al  termine  dell'udienza odierna svoltasi in assenza del predetto
 Di Forti,  sentiti  il  difensore  ed  il  procuratore  generale,  il
 collegio  ha  sollevato  d'ufficio  la  questione dell'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 146, n. 3,  del  codice  penale  cosi'  come
 modificato  dall'art.  1  della  legge 14 luglio 1993, n. 222, che ha
 convertito il d.l. 14 maggio 1993, n. 139.
                             D I R I T T O
    L'eccezione proposta e' ammissibile: invero con la conversione  in
 legge  del  citato  d.l. 14 maggio 1993, n. 135, sono venute meno le
 ragioni per le quali la Corte costituzionale con la  citata  sentenza
 ha  dichiarato  inammissibile  la  eccezione proposta con l'ordinanza
 sopra trascritta del 22 dicembre 1992.
    L'art.  146,  n.  3, del c.p. cosi' come modificato dalla legge 14
 luglio 1993, n. 222, e' viziato di illegittimita'  costituzionale  in
 quanto viene a porsi in contrasto con:
      1)  l'art.  2 della Costituzione, in quanto smentisce "l'assunto
 di  una  generalizzata  tutela  dei  diritti  inviolabili  dell'uomo,
 aggrediti  da  chi  trovasi  nelle  condizioni  descritte dal decreto
 stesso, che si vedono privati di efficace tutela  penale  in  assenza
 dello strumento che ne assicura la necessaria forza intimidatrice";
      2)   l'art.  3  della  Costituzione,  perche'  irragionevolmente
 discrimina i malati "comuni" rispetto alle persone  affette  da  HIV,
 posto  che  la  scienza  medica  riconosce  i  medesimi  caratteri di
 gravita', irreversibilita' ed ingravescenza in molte altre patologie;
      3) l'art. 111 della Costituzione, giacche' risulta vanificata la
 funzione della magistratura di sorveglianza "di dirimere il conflitto
 tra il diritto dello Stato ad eseguire le sentenze di condanna a pene
 detentive"  e  il  diritto  del  condannato  al  differimento   della
 esecuzione della pena;
      4)  gli  artt.  27,  terzo  comma,  e  32,  primo  comma,  della
 Costituzione, in  quanto,  tenuto  conto  dei  caratteri  di  estrema
 dinamicita'  che  presenta  la  infezione  da  HIV  e  considerata la
 varieta'  di  situazioni  che  la  stessa  determina,   deve   essere
 "concretamente   provato   che  l'applicazione  della  pena  leda  il
 fondamentale diritto alla salute  o  si  risolva  in  un  trattamento
 contrario al senso di umanita'".
    Gli  argomenti che rendono accoglibile la precitata eccezione sono
 stati ampiamente esposti nell'ordinanza 15  dicembre  1992  riportata
 integralmente nella presente e che devono essere qui richiamati.
    Confortano detto giudizio le seguenti considerazioni.
    In data 7 agosto 1993 e' stata indirizzata alla questura di Torino
 la  seguente  nota: Si prega cortesemente, con la massima urgenza, di
 inviare i carichi pendenti relativi ad  eventuali  denunce  riportate
 dalle seguenti persone successivamente alla data di scarcerazione: Di
 Forti   Gianclaudio,   nato   a  Caltanissetta  il  5  dicembre  1957
 (scarcerato il 15 ottobre 1992); Grosso Giovanni, nato a Torino il 27
 dicembre 1959 (scarcerato il 16 ottobre 1992); Falbo Salvatore,  nato
 a  Militello  il  24  luglio  1950  (scarcerato  il 16 ottobre 1992);
 Callegari Adriano, nato ad Adria il 20 novembre 1950  (scarcerato  il
 16  ottobre  1992);  Battaglia Vincenzo, nato a Torino il 18 febbraio
 1958 (scarcerato il 16 ottobre 1992),  attualmente  detenuto  c/o  la
 Casa  Circondariale di Torino) La Marca Francesco, nato a Riesi il 18
 maggio 1962 (scarcerato il 13 gennaio 1993);  Cappa  Angelo,  nato  a
 Candela  il  17 maggio 1958 (scarcerato il 28 aprile 1993); Attanasio
 Ferdinando, nato a Torino il 2 febbraio 1958 (scarcerato il 13 maggio
 1993);  Sciuto  Salvatore,  nato  a  Siracusa  il  10   luglio   1946
 (scarcerato il 2 giugno 1993); Mammoliti Michele, nato a Torino il 31
 gennaio  1961 (scarcerato il 15 marzo 1993); Nigito Salvatore, nato a
 Raddusa il 16 settembre 1955 (scarcerato il 16 ottobre 1992).
    Tutte le precitate persone erano state scarcerate ex art. 684  del
 c.p.p.  dal magistrato di sorveglianza in applicazione dell'art. 146,
 n. 3, del c.p. cosi' come modificato dai citati decreti legge.
    Con nota dell'11-13 agosto 1993  la  divisione  anticrimine  della
 questura di Torino ha dato la seguente risposta:
       a) Di Forti Gianclaudio, scarcerato il 15 ottobre 1992 per Aids
 conclamata fine pena 26 aprile 2001;
       il 13 gennaio 1993 e' stato arrestato per porto abusivo di arma
 e  successivamente  scarcerato  il 20 gennaio 1993 ai sensi dell'art.
 286-bis del c.p.p.;
       il 12 maggio 1993 e' stato denunciato dai carabinieri di Torino
 per detenzione e spaccio di sostanza stupefacente;
       il 28 luglio 1993 e' stato arrestato per evasione dagli arresti
 domiciliari e detenzione di sostanza  stupefacente  e  scarcerato  in
 data 14 agosto 1993;
       b)  Grosso  Giovanni,  scarcerato  il  15 ottobre 1992 per Aids
 conclamata. E' stato denunciato dalla questura di Torino per furto il
 30 novembre 1992;
       c) Battaglia Vincenzo scarcerato il 16 ottobre  1992  per  Aids
 conclamata;
       il 1 novembre 1992 e' stato denunciato per furto di autovettura
 dal commissariato S. Paolo di Torino;
       il  15  novembre  1992  e'  stato  arrestato dai carabinieri di
 Collegno per furto di auto e guida senza  patente  e  successivamente
 scarcerato ex art. 286-bis del c.p.p.;
       il  15  febbraio  1993  e' stato arrestato per danneggiamento e
 scarcerato nello stesso giorno ex art. 286-bis del c.p.p.;
       il 22 marzo 1993 e' stato arrestato dalla  questura  di  Torino
 per furto e subito scarcerato ex art. 286-bis del c.p.p.;
       il   25   marzo  1993  e'  stato  sottoposto  ad  indagini  dal
 commissariato di p.s. S. Paolo per furto di autovettura;
       il 28 marzo 1993 e' stato sottoposto a fermo di p.g. dal nucleo
 carabinieri di Torino per rapina;
       il 10 giugno 1993 e' stato  arrestato  per  rapina  (art.  628,
 secondo e terzo comma, del c.p. e condannato ad anni uno con sentenza
 g.i.p. Torino del 10 giugno 1993);
       d)  La  Marca Francesco scarcerato ex art. 684 del c.p.p. il 13
 gennaio 1993 per Aids conclamata;
       il 17 marzo 1993 e'  stato  arrestato  per  uso  e  spaccio  di
 sostanza  stupefacente  e  scarcerato  per art. 286-bis del c.p.p. in
 pari data;
       il 10 agosto 1993 e' stato arrestato dalla questura  di  Torino
 per  rapina  aggravata  e  scarcerato il 23 agosto 1993 dal g.i.p. di
 Torino in applicazione dell'art. 286-bis del c.p.p.;
       e) Sciuto Salvatore scarcerato il 2 giugno 1993 ex art. 684 del
 c.p.p. per Aids conclamata;
       il 4 giugno 1993 e' stato arrestato dalla  questura  di  Torino
 per  oltraggio e reati inerenti le sostanze stupefacenti e scarcerato
 l'8 giugno 1993 ex art. 286-bis del c.p.p.;
       f) Attanasio Ferdinando scarcerato il 13 maggio  1993  ex  art.
 684 del c.p.p. per Aids conclamata;
       il  1 luglio 1993 e' stato arrestato per evasione dagli arresti
 domiciliari e scarcerato ex art. 286 del c.p.p. subito dopo;
       g) Nigito Salvatore scarcerato il 6 ottobre 1992  ex  art.  684
 del c.p.p. per Aids;
       l'8  giugno  1993 e' stato denunciato dai carabinieri di Rivoli
 per danneggiamento.
    Gli episodi teste' elencati documentano in modo inequivocabile che
 per le  citate  persone  detenute  il  legislatore  ha  imposto  alla
 magistratura  di  sorveglianza  l'obbligo  della  loro  scarcerazione
 attenuando cosi', in modo non temporaneo ma definitivo, la tutela dei
 diritti dei consociati ad essi apprestata riconoscendo allo Stato  la
 potesta'  di  mettere  in  esecuzione  le sentenze di condanna a pene
 detentive, con il corrispondente obbligo delle persone condannate  di
 sottoporsi alla restrizione della loro liberta'.
    Principio  che sino all'introduzione dell'art. 146, n. 2, del c.p.
 non consentiva deroghe di carattere definitivo.
    Invero tutti i soggetti citati e Di Forti Gianclaudio  sono  stati
 affrancati in modo definitivo dal dovere di subire la condanna a pena
 detentiva  ad  essi inflitta per i fatti gia' definiti sino alla data
 odierna con sentenza di condanna, e da definire con  future  sentenze
 in ordine ai reati gia' commessi e che in futuro potranno compiere.
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento
 agli artt. 2, 3, primo comma, 27, terzo comma,  32,  primo  comma,  e
 111,    primo    comma,   della   Costituzione,   la   questione   di
 costituzionalita' dell'art. 146, n. 3, del c.p. cosi' come modificato
 dall'art. 1 della legge 14 luglio 1993, n. 222, che ha convertito  il
 d.l.  14  maggio  1993, n. 139, nella parte in cui prevede il rinvio
 obbligatorio dell'esecuzione della  pena  se  deve  avere  luogo  nei
 confronti  di  persona  affetta  da  infezione  da  HIV  nei  casi di
 incompatibilita' con  lo  stato  di  detenzione  ai  sensi  dell'art.
 286-bis, primo comma, del codice di procedura penale;
    Sospende il presente giudizio;
    Ordina    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Ordina che a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  venga
 notificata  all'interessato,  alla  procura  generale di Torino ed al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti  del
 Senato e della Camera dei deputati della Repubblica.
    Torino, cosi' deciso in data 24 agosto 1993.
                        Il presidente: FORNACE

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