N. 690 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 agosto 1993
N. 690 Ordinanza emessa il 24 agosto 1993 dal tribunale di sorveglianza di Torino nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Di Forti Gianclaudio Ordinamento penitenziario - Condannati affetti da Aids - Differimento dell'esecuzione della pena previsto come obbligatorio anziche' facoltativo come stabilito per altre categorie di malati gravi (soggetti affetti da tumore o diabetici) - Riserva ai primi di un trattamento ingiustificatamente privilegiato - Incidenza sul diritto da riconoscersi alle vittime dei reati alla effettiva punizione dei medesimi, sulla funzione rieducativa della pena, sul diritto alla salute e sulla funzione giurisdizionale della magistratura di sorveglianza "obbligata" nei casi in questione a sospendere l'esecuzione della pena senza poter accertare una concreta incompatibilita' con lo stato detentivo. (C.P., art. 146, n. 3, modificato dal d.l. 14 maggio 1993, n. 139, art. 1, convertito in legge 14 luglio 1993, n. 222). (Cost., artt. 2, 3, 27, 32 e 111).(GU n.47 del 17-11-1993 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Emette la seguente ordinanza nel procedimento di sorveglianza relativo alla concessione di differimento pena all'udienza del 24 agosto 1993 premesso che il detenuto Di Forti Gianclaudio nato il 5 dicembre 1957 a Caltanissetta, residente in Torino, via F.lli Garrone n. 61/29, in espiazione pene anni dieci, mesi cinque, giorni ventitre, di reclusione inflittegli con provv. di cum. n. 1055/91/Res del 16 giugno 1992, proc. Rep. Torino difeso dall'avv. di uff. Vittone del foro di Torino; Visto il parere fav. eccezione del p.g.; Visti gli atti del procedimento di sorveglianza sopra specificato; Verificata, preliminarmente, la regolarita' delle comunicazioni relative al prescritti avvisi al rappresentante del P.M., all'interessato ed al difensore; Considerate le risultanze delle documentazioni acquisite, delle investigazioni e degli accertamenti svolti, della trattazione e della discussione di cui a separato processo verbale; SVOLGIMENTO DEL PROCESSO In data 15 dicembre 1992, il tribunale di sorveglianza di Torino ha emesso nei confronti di Di Forti Gianclaudio la seguente ordinanza. Rilevato che Di Forti Gianclaudio ha avanzato istanza di differimento dell'esecuzione della pena, rientrando nella previsione dell'art. 146 del c.p. cosi' come modificato dalla legge 14 luglio 1993, n. 222; che tale intervento legislativo ha ampliato l'ambito della disciplina del rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena, inserendovi il seguente principio: "Nel primo comma l'art. 146 del cod. pen. e' aggiunto il seguente numero: La esecuzione di una pena, che non sia pecuniaria, e' differita: se deve aver luogo nei confronti di persona affetta da infezione da HIV nei casi di incompatibilita' con lo stato di detenzione ai sensi dell'articolo 286-bis, comma 1, del codice di procedura penale"; che il sopracitato articolo 286-bis del c.p.p., definisce in questi termini i casi di incompatibilita' con lo status detentionis; "L'incompatibilta' sussiste, ed e' dichiarata dal giudice, nei casi di Aids conclamata o di grave deficienza immunitaria". Rilevato che ne risulta sconvolto il preesistente assetto voluto dal legislatore del 1930 che, mediante il ricorso allo strumento del rinvio facoltativo (art. 147 del c.p.), consentiva all'organo giurisdizionale competente di valutare caso per caso, eventualmente con il supporto di idonea perizia medica, la concreta necessita' di differire l'esecuzione della sanzione penale, evitando di incorrere in apodittiche generalizzazioni. Tale sistema normativo, che tutelava lo specifico interesse di tutti i malati (ivi compresi gli affetti di H.I.V.) che si trovassero "in condizioni di grave infermita' fisica" (art. 147, n. 2, del c.p.), appariva conforme alla lettera ed allo spirito del dettato costituzionale, come riaffermato dalla Corte di cassazione nella pronuncia n. 2136 del 7 maggio 1991. Integrale rispetto trovava il principio secondo cui "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo" di cui all'art. 2 della Carta costituzionale, assicurando comunque una generale tutela penale ai soggetti titolari degli interessi lesi o minacciati dalle fattispecie criminose commesse - o commissibili - da autori trovantesi nelle condizioni enumerate nell'art. 286-bis del c.p.p., esigenza che poteva venir variamente compressa o addirittura sacrificata solo allorquando collidesse con diversi principi di pari rilevanza e dignita', di volta in volta individuati in concreto dagli organi giurisdizionali. Piena osservanza si garantiva inoltre al principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzione di condizioni personali (art. 3), e cio' sotto un triplice profilo: a) ribadendo come le pene inflitte dai competenti organi giurisdizionali debbano essere eseguite nei confronti di tutti coloro che le hanno riportate, con esclusione di categorie di "intoccabili" aprioristicamente stabilite; b) evitando differenziazioni tra i soggetti affetti da HIV e/o AIDS conclamata e coloro che sono preda di infezioni e malattie dal medesimo esito infausto ai quali, pur in presenza degli stessi presupposti anche in merito ai tempi di evoluzione della patologia in atto, non e' estesa questa piu' favorevole disciplina; c) salvaguardando una uniformita' di trattamento tra titolare dell'interesse protetto e autore del fatto di reato affetto da infezione da HIV con la mancata previsione di un astratto "diniego di tutela" del primo causa le particolari condizioni del secondo, al di fuori di uno specifico accertamento da parte dell'autorita' a cio' preposta. Neppure potevano dirsi violati i basilari principi secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' (art. 27) e la salute e' un diritto fondamentale dell'individuo (art. 32) dal momento che, qualora il soggetto potesse giovarsi, in liberta', di cure e terapie indispensabili non praticabili in stato di detenzione - neppure mediante ricovero in ospedali civili od in altri luoghi esterni di cura ai sensi dell'art. 11 o.p. - ovvero, ancora, a cagione della gravita' delle condizioni, l'espiazione della pena di appalesasse in contrasto con il senso di umanita', soccorreva sempre l'istituto del c.d. differimento facoltativo (art. 147 del c.p.) che permetteva di ovviare tempestivamente a tali situazioni abnormi. Rilevato che l'innovazione legislativa citata, inserendo questa nuova ed autonoma ipotesi di rinvio obbligatorio in aggiunta alla originaria previsione limitata alla donna incinta o che abbia partorito da meno di sei mesi (art. 146 del c.p., nn. 1 e 2), ha di fatto mescolato situazioni radicalmente distanti fra loro, l'una connotata da una rinuncia definitiva all'applicazione della sanzione penale, le altre incidenti sulla pretesa punitiva solo in termini di momentanea sospensione, per fatti, quali la gravidanza o la nascita di un bambino da meno di sei mesi, che non sono a tutta evidenza "una grave infermita' fisica". Rilevato che e' stata in tal modo introdotta per i soggetti che versano nelle condizioni di cui all'art. 286-bis, primo comma, del c.p.p. (in quanto richiamato dall'art. 146, n. 3, del c.p.) una ingiustificata - a parere di questo tribunale - clausola di immunita' penale, una sorta di astratta previsione di non assoggettabilita' a sanzione, spogliando una specifica categoria di persone della soggettivita' attiva penale. Rilevato che l'attuale sistema normativo sembra presentare aspetti di incostituzionalita', contrariamente a quanto sopraevidenziato con riferimento alla pregressa disciplina. L'art. 146, n. 3, cosi' come modificato pare innanzitutto porsi in contrasto con l'art. 2 della Costituzione, laddove viene a smentire l'assunto di una generalizzata tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, quantomeno nei confronti di coloro i cui interessi risultino aggrediti da chi trovasi nelle condizioni descritte dal decreto stesso, che si vedono privati di efficace tutela penale in assenza dello strumento che ne assicura la necessaria forza intimidatrice. Piu' evidente si manifesta il contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della nostra Carta costituzionale. Irragionevole appare la discriminazione dei malati "comuni" rispetto agli affetti da HIV (in particolare ove si rifletta che la scienza medica riscontra i medesimi caratteri di gravita', irreversibilita' ed ingravescenza - tipici della patologia da HIV - anche nella maggior parte delle malattie di tipo neoplastico ed in alcune forme patologiche di tipo cronico, come la malattia diabetica). Del pari ingiustificata la creazione di una categoria di individui sottratta (nel senso sopravisto) al generale assioma per cui le pene inflitte vanno eseguite nei confronti di tutti coloro che le hanno riportate, nonche' il fatto che nella comparazione fra l'interesse del soggetto leso e quello dell'autore di reato affetto da HIV debba sempre soggiacere il primo, indipendentemente da una piu' approfondita analisi del caso di specie. Rilevato che il nuovo orientamento normativo non puo' dirsi piu' aderente al dato costituzionale neppure sotto il profilo del rispetto degli artt. 27, terzo comma e 32, primo comma, poiche' l'esito della esperienza medico-scientifica in materia rivela come l'infezione da HIV presenti caratteri di estrema dinamicita' e varieta' di situazioni, in rapporto alle quali va concretamente provato che l'applicazione della pena leda il fondamentale diritto alla salute o si risolva in un trattamento contrario al senso di umanita' (prescindendo dai casi in cui la cessazione delle cure e della assistenza comunque assicurate dalle strutture carcerarie si tradurra' in danno di quei soggetti che si vogliono invece favorire). Con ben diversa puntualita' la problematica sopraesposta era stata recepita nella circolare n. 3370/5770 del Ministero di grazia e giustizia del 25 luglio 1991 - avente appunto per oggetto "I detenuti affetti da sindrome da HIV" - dove, dato atto della notevole variabilita' ed incostanza del quadro clinico delle infezioni da HIV, si rimandava al giudizio degli organi competenti, investiti dal "difficile compito di valutare, nei singoli casi, la sussistenza delle condizioni che consentono il permanere del soggetto in ambiente carcerario o che ne consigliano il trasferimento presso il domicilio o in una struttura esterna". Rilevato inoltre che l'obbligo imposto alla magistratura di sorveglianza di sospendere l'esecuzione senza potere esercitare il diritto, riconosciuto dall'art. 111 della Costituzione, di dirimere caso per caso il conflitto tra lo Stato ad eseguire le sentenze di condanna a pena detentiva ed il diritto del condannato al differimento dell'esecuzione della pena si risolve in una palese contraddizione con l'art. 111 della Costituzione. Rilevato pertanto che la invocata disciplina del rinvio obbligatorio della pena per gli affetti da HIV e/o Aids conclamata - come modificata a seguito dell'entrata in vigore del d.l. 12 novembre 1992, n. 431 - appare inficiata dal vizio di illegittimita' costituzionale". In data 24 giugno 1993 la Corte costituzionale ha emesso la seguente sentenza: "Ritenuto che il tribunale di sorveglianza di Torino ha sollevato con sette distinte ordinanze questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 146, n. 3, del codice penale aggiunto dall'art. 4 del d.l. 12 novembre 1992, n. 431 (Disposizioni urgenti concernenti l'incremento dell'organico del corpo di polizia penitenziaria, il trattamento di persone detenute affette da infezione da HIV, le modifiche al testo unico delle leggi in materia di stupefacenti e le norme per l'attivazione di nuovi uffici giudiziari), assumendo che la norma impugnata, nel prevedere il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena per i soggetti affetti da infezione da HIV nei casi previsti dall'art. 286-bis, primo comma, del codice di procedura penale, inserito dall'art. 3 del medesimo d.l. n. 431/1992, considerato che le ordinanze sottopongono alla Corte la medesima questione, ancorche' riferita a fonti normative di- verse, e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con un unico provvedimento; che il d.l. 12 novembre 1992, n. 431, non e' stato convertito in legge entro il termine prescritto, come risulta dal comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 8 del 12 gennaio 1993; che altrettanto e' accaduto per il d.l. 12 gennaio 1993, n. 3, come risulta dal comunicato publicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13 marzo 1993; che, pertanto, in conformita' alla giurisprudenza di questa Corte (vedi, da ultimo, le ordinanze nn. 229, 116 e 51 del 1993), la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile. Il fascicolo riguardante Di Forti Gianclaudio e' stato quindi restituito al tribunale di sorveglianza dalla cancelleria della Corte costituzionale. I decreti legge menzionati nella citata sentenza della Corte costituzionale sono stati reiterati due volte (con d.l. 13 marzo 1993, n. 60; d.l. 14 maggio 1993, n. 139). La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica con legge 14 luglio 1993, n. 222, hanno convertito il precitato d.l. 14 maggio 1993, n. 139. E' stata quindi rifissata udienza per la trattazione del processo relativo al Di Forti Gianclaudio. Al termine dell'udienza odierna svoltasi in assenza del predetto Di Forti, sentiti il difensore ed il procuratore generale, il collegio ha sollevato d'ufficio la questione dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 146, n. 3, del codice penale cosi' come modificato dall'art. 1 della legge 14 luglio 1993, n. 222, che ha convertito il d.l. 14 maggio 1993, n. 139. D I R I T T O L'eccezione proposta e' ammissibile: invero con la conversione in legge del citato d.l. 14 maggio 1993, n. 135, sono venute meno le ragioni per le quali la Corte costituzionale con la citata sentenza ha dichiarato inammissibile la eccezione proposta con l'ordinanza sopra trascritta del 22 dicembre 1992. L'art. 146, n. 3, del c.p. cosi' come modificato dalla legge 14 luglio 1993, n. 222, e' viziato di illegittimita' costituzionale in quanto viene a porsi in contrasto con: 1) l'art. 2 della Costituzione, in quanto smentisce "l'assunto di una generalizzata tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, aggrediti da chi trovasi nelle condizioni descritte dal decreto stesso, che si vedono privati di efficace tutela penale in assenza dello strumento che ne assicura la necessaria forza intimidatrice"; 2) l'art. 3 della Costituzione, perche' irragionevolmente discrimina i malati "comuni" rispetto alle persone affette da HIV, posto che la scienza medica riconosce i medesimi caratteri di gravita', irreversibilita' ed ingravescenza in molte altre patologie; 3) l'art. 111 della Costituzione, giacche' risulta vanificata la funzione della magistratura di sorveglianza "di dirimere il conflitto tra il diritto dello Stato ad eseguire le sentenze di condanna a pene detentive" e il diritto del condannato al differimento della esecuzione della pena; 4) gli artt. 27, terzo comma, e 32, primo comma, della Costituzione, in quanto, tenuto conto dei caratteri di estrema dinamicita' che presenta la infezione da HIV e considerata la varieta' di situazioni che la stessa determina, deve essere "concretamente provato che l'applicazione della pena leda il fondamentale diritto alla salute o si risolva in un trattamento contrario al senso di umanita'". Gli argomenti che rendono accoglibile la precitata eccezione sono stati ampiamente esposti nell'ordinanza 15 dicembre 1992 riportata integralmente nella presente e che devono essere qui richiamati. Confortano detto giudizio le seguenti considerazioni. In data 7 agosto 1993 e' stata indirizzata alla questura di Torino la seguente nota: Si prega cortesemente, con la massima urgenza, di inviare i carichi pendenti relativi ad eventuali denunce riportate dalle seguenti persone successivamente alla data di scarcerazione: Di Forti Gianclaudio, nato a Caltanissetta il 5 dicembre 1957 (scarcerato il 15 ottobre 1992); Grosso Giovanni, nato a Torino il 27 dicembre 1959 (scarcerato il 16 ottobre 1992); Falbo Salvatore, nato a Militello il 24 luglio 1950 (scarcerato il 16 ottobre 1992); Callegari Adriano, nato ad Adria il 20 novembre 1950 (scarcerato il 16 ottobre 1992); Battaglia Vincenzo, nato a Torino il 18 febbraio 1958 (scarcerato il 16 ottobre 1992), attualmente detenuto c/o la Casa Circondariale di Torino) La Marca Francesco, nato a Riesi il 18 maggio 1962 (scarcerato il 13 gennaio 1993); Cappa Angelo, nato a Candela il 17 maggio 1958 (scarcerato il 28 aprile 1993); Attanasio Ferdinando, nato a Torino il 2 febbraio 1958 (scarcerato il 13 maggio 1993); Sciuto Salvatore, nato a Siracusa il 10 luglio 1946 (scarcerato il 2 giugno 1993); Mammoliti Michele, nato a Torino il 31 gennaio 1961 (scarcerato il 15 marzo 1993); Nigito Salvatore, nato a Raddusa il 16 settembre 1955 (scarcerato il 16 ottobre 1992). Tutte le precitate persone erano state scarcerate ex art. 684 del c.p.p. dal magistrato di sorveglianza in applicazione dell'art. 146, n. 3, del c.p. cosi' come modificato dai citati decreti legge. Con nota dell'11-13 agosto 1993 la divisione anticrimine della questura di Torino ha dato la seguente risposta: a) Di Forti Gianclaudio, scarcerato il 15 ottobre 1992 per Aids conclamata fine pena 26 aprile 2001; il 13 gennaio 1993 e' stato arrestato per porto abusivo di arma e successivamente scarcerato il 20 gennaio 1993 ai sensi dell'art. 286-bis del c.p.p.; il 12 maggio 1993 e' stato denunciato dai carabinieri di Torino per detenzione e spaccio di sostanza stupefacente; il 28 luglio 1993 e' stato arrestato per evasione dagli arresti domiciliari e detenzione di sostanza stupefacente e scarcerato in data 14 agosto 1993; b) Grosso Giovanni, scarcerato il 15 ottobre 1992 per Aids conclamata. E' stato denunciato dalla questura di Torino per furto il 30 novembre 1992; c) Battaglia Vincenzo scarcerato il 16 ottobre 1992 per Aids conclamata; il 1 novembre 1992 e' stato denunciato per furto di autovettura dal commissariato S. Paolo di Torino; il 15 novembre 1992 e' stato arrestato dai carabinieri di Collegno per furto di auto e guida senza patente e successivamente scarcerato ex art. 286-bis del c.p.p.; il 15 febbraio 1993 e' stato arrestato per danneggiamento e scarcerato nello stesso giorno ex art. 286-bis del c.p.p.; il 22 marzo 1993 e' stato arrestato dalla questura di Torino per furto e subito scarcerato ex art. 286-bis del c.p.p.; il 25 marzo 1993 e' stato sottoposto ad indagini dal commissariato di p.s. S. Paolo per furto di autovettura; il 28 marzo 1993 e' stato sottoposto a fermo di p.g. dal nucleo carabinieri di Torino per rapina; il 10 giugno 1993 e' stato arrestato per rapina (art. 628, secondo e terzo comma, del c.p. e condannato ad anni uno con sentenza g.i.p. Torino del 10 giugno 1993); d) La Marca Francesco scarcerato ex art. 684 del c.p.p. il 13 gennaio 1993 per Aids conclamata; il 17 marzo 1993 e' stato arrestato per uso e spaccio di sostanza stupefacente e scarcerato per art. 286-bis del c.p.p. in pari data; il 10 agosto 1993 e' stato arrestato dalla questura di Torino per rapina aggravata e scarcerato il 23 agosto 1993 dal g.i.p. di Torino in applicazione dell'art. 286-bis del c.p.p.; e) Sciuto Salvatore scarcerato il 2 giugno 1993 ex art. 684 del c.p.p. per Aids conclamata; il 4 giugno 1993 e' stato arrestato dalla questura di Torino per oltraggio e reati inerenti le sostanze stupefacenti e scarcerato l'8 giugno 1993 ex art. 286-bis del c.p.p.; f) Attanasio Ferdinando scarcerato il 13 maggio 1993 ex art. 684 del c.p.p. per Aids conclamata; il 1 luglio 1993 e' stato arrestato per evasione dagli arresti domiciliari e scarcerato ex art. 286 del c.p.p. subito dopo; g) Nigito Salvatore scarcerato il 6 ottobre 1992 ex art. 684 del c.p.p. per Aids; l'8 giugno 1993 e' stato denunciato dai carabinieri di Rivoli per danneggiamento. Gli episodi teste' elencati documentano in modo inequivocabile che per le citate persone detenute il legislatore ha imposto alla magistratura di sorveglianza l'obbligo della loro scarcerazione attenuando cosi', in modo non temporaneo ma definitivo, la tutela dei diritti dei consociati ad essi apprestata riconoscendo allo Stato la potesta' di mettere in esecuzione le sentenze di condanna a pene detentive, con il corrispondente obbligo delle persone condannate di sottoporsi alla restrizione della loro liberta'. Principio che sino all'introduzione dell'art. 146, n. 2, del c.p. non consentiva deroghe di carattere definitivo. Invero tutti i soggetti citati e Di Forti Gianclaudio sono stati affrancati in modo definitivo dal dovere di subire la condanna a pena detentiva ad essi inflitta per i fatti gia' definiti sino alla data odierna con sentenza di condanna, e da definire con future sentenze in ordine ai reati gia' commessi e che in futuro potranno compiere.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 27, terzo comma, 32, primo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, la questione di costituzionalita' dell'art. 146, n. 3, del c.p. cosi' come modificato dall'art. 1 della legge 14 luglio 1993, n. 222, che ha convertito il d.l. 14 maggio 1993, n. 139, nella parte in cui prevede il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena se deve avere luogo nei confronti di persona affetta da infezione da HIV nei casi di incompatibilita' con lo stato di detenzione ai sensi dell'art. 286-bis, primo comma, del codice di procedura penale; Sospende il presente giudizio; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga notificata all'interessato, alla procura generale di Torino ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati della Repubblica. Torino, cosi' deciso in data 24 agosto 1993. Il presidente: FORNACE 93C1137