N. 70 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 5 novembre 1993
N. 70 Ricorso per la questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 5 novembre 1993 (della regione Trentino-Alto Adige) Banca - Testo unico delle leggi in materia bancaria - Riserva alla Banca d'Italia della vigilanza sugli istituti di credito e subordinazione di poteri regionali ad un parere vincolante della stessa Banca d'Italia a fini di vigilanza - Lamentata riduzione dei poteri spettanti alle regioni in materia a mera titolarita' formale con sovrapposizione della predetta vigilanza alle valutazioni di competenza regionale - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 175/1991 e 40/1992. (D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 159). (Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 5, punto 3, 16, primo comma, e 107, primo comma).(GU n.47 del 17-11-1993 )
Ricorso per la regione Trentino-Alto Adige, in persona del Presidente della Giunta regionale pro-tempore dott. Tarcisio Andreolli, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 1413 del 14 ottobre 1993 (all. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale del 15 ottobre 1993 (rep. n. 2820) rogata dall'ufficiale rogante avv. Franco Visetti, segretario della giunta regionale (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Valerio Onida di Milano, con domicilio eletto in Roma presso lo stu- dio dell'avv. Gualtiero Rueca, Largo della Gancia n. 1, contro - il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 159 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, testo unico delle leggi in materia bancaria, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 230, supplemento ordinario, del 30 settembre 1993, per violazione: degli artt. 5, punto 3, e 16, primo comma, dello statuto speciale, cosi' come attuati dall'art. 1 e dall'art. 3, primo, secondo e terzo comma del d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234, in quanto stabiliscono le competenze regionali in materia di enti creditizi; dell'art. 107, primo comma, dello statuto, in quanto dispone lo speciale procedimento di attuazione. F A T T O La ricorrente regione e' titolare di competenze costituzionali in materia di enti creditizi. Infatti, secondo gli artt. 5, n. 3), e 16 primo comma, dello statuto speciale di autonomia spetta alla regione potesta' legislativa e amministrativa in materia di "ordinamento degli enti di credito fondiario e di credito agrario, delle casse di risparmio e delle casse rurali, nonche' delle aziende di credito a carattere regionale". Ed in relazione a cio', il d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234, ha disposto (art. 1, primo comma) che rientrano nella competenza regionale le attribuzioni gia' esercitate dallo Stato sia direttamente che tramite enti e istituti pubblici. Rimane nella competenza degli organi statali (art. 1, terzo comma, d.P.R. n. 234/1977) soltanto la disciplina della raccolta del risparmio, dell'esercizio del credito, con il relativo controllo e vigilanza sugli enti ed aziende di credito, ivi compresa l'emanazione dei provvedimenti di carattere generale adottati per tutto il territorio dello Stato (che cioe' non riguardano gli enti di credito regionali in quanto tali). Si noti che, come meglio si esporra', la normativa di attuazione (art. 3, secondo e terzo comma) si preoccupa anche e specificamente dei raccordi tra le funzioni demandate alla regione e i compiti degli organi statali, espressamente prevedendo talora che siano sentiti il Ministero del tesoro e la Banca d'Italia, talaltra su proposta della Banca stessa. In questa situazione di competenze interviene ora il decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, testo unico delle leggi in materia bancaria, emanato sulla base della delega disposta dall'art. 25, secondo comma, della legge 19 febbraio 1992, n. 142. Il testo unico ora emanato sostituisce tutte le disposizioni precedentemente vigenti in materia e costituisce, ad ogni effetto, nuova disciplina legislativa della materia. Per quanto interessa l'oggetto del presente ricorso, l'art. 159 di tale testo unico (decreto legislativo n. 385 del 1993) contiene una complessa disciplina, fondata: sulla riserva alla Banca d'Italia delle funzioni di vigilanza; sulla subordinazione - oltretutto operata direttamente dalla legislazione statale - di poteri propri della ricorrente regione ad un parere vincolante della stessa Banca d'Italia, sempre a "fini di vigilanza"; sul carattere inderogabile e prevalente attribuito a talune norme, che si traduce in una spoliazione di funzioni regionali; sul vincolo della legislazione regionale ai predetti "principi" inderogabili. Senonche' tale insieme di disposizioni, che evidentemente diminuisce e sminuisce la potesta' legislativa e amministrativa della regione, risulta altresi' costituzionalmente illegittimo per le seguenti ragioni di D I R I T T O 1. - Violazione degli artt. 5, punto 3, e 16, primo comma, dello statuto speciale, cosi' come attuati dall'art. 1 e dall'art. 3, primo, secondo e terzo comma del d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234. Come ricordato in narrativa, la regione ha competenza generale in materia di enti e aziende di credito a carattere regionale. Secondo l'art. 3, primo comma, del d.P.R. n. 234/1977, la titolarita' regionale riguarda, tra l'altro, i provvedimenti aventi ad oggetto: "la istituzione, l'autorizzazione alla costituzione e alla fusione" (lett. a); "l'autorizzazione all'inizio delle operazioni" (lett. b); "l'autorizzazione alle casse rurali ed artigiane ad operare fuori dai limiti territoriali purche' nell'ambito regionale" (lett. c); "l'approvazione delle modifiche statutarie" (lett. d); "l'amministrazione straordinaria nonche' la revoca dell'autorizzazione e la messa in liquidazione delle aziende di credito" (lett. f); l'assunzione di taluni servizi a favore di enti publici (lett. g); la nomina di amministratori e di sindaci nei casi in cui la nomina e' demandata per legge agli organi di vigilanza, nonche' i benestare che la legge demanda agli organi di vigilanza per la nomina di funzionari (lett. f). Varra' la pena di osservare che con la sentenza n. 40/1992, giudicando dell'impugnazione da parte della regione delle disposizioni in materia di credito fondiario stabilite dalla legge n. 175/1991, codesta ecc.ma Corte costituzionale ha ritenuto che le competenze regionali siano stabilite con "formule normative che, per la loro precisione" sarebbero state incompatibili con disposizioni che venissero "a sovrapporsi ed a incidere nell'esercizio dei poteri assegnati, per il settore creditizio, alla sfera regionale" (punto 2 in diritto). E solo per il fatto che codesta Corte costituzionale, nel silenzio della legge statale sul punto, ritenne che le nuove disposizioni non si applicassero al Trentino-Alto Adige fu evitata la conseguente dichiarazione di illegittimita' costituzionale. Ancor piu' specificatamente, la citata sentenza espressamente respinse la tesi giustificatrice erariale, fondata sulla competenza generale dello Stato in materia di raccolta del risparmio, di esercizio del credito, di controllo e vigilanza, dato che tale competenza statale "oltre che riferirsi ad interventi di carattere generale connessi alla 'disciplina' del settore - va comunque coordinata con l'esistenza di quei poteri amministrativi a contenuto particolare, che il primo comma dell'art. 3 riferisce all'ambito delle competenze della regione". Ora, quell'invasione delle competenze regionali che nell'occasione della controversia conclusa dalla sentenza n. 40/1992 era solamente potenziale, dato il silenzio della legge statale sull'ambito di applicazione della normativa, e' invece esplicita ed evidente nell'art. 159 del decreto legislativo n. 385/1993. In effetti, esso e' espressamente dedicato alle "Regioni a statuto speciale". Il suo primo comma contiene la generale affermazione che "le valutazioni di vigilanza sono riservate alla Banca d'Italia". Se con cio' si vuol dire che spetta alla Banca d'Italia la vigilanza sul concreto esercizio dell'attivita' creditizia e sulle relative operazioni, la cosa risulta ovvia, dato che la regione ricorrente, non ha specifica competenza su cio'. Non si puo' tuttavia estendere tale affermazione su un piano generale, dato che i poteri regionali di cui all'art. 3, primo comma, del d.P.R. n. 234/1977, sopra descritti, sono evidentemente comprensivi di taluni provvedimenti propri degli organi di vigilanza bancaria. Ma il fatto e' che nell'impugnato decreto legislativo tale affermazione - alquanto curiosa come primo comma di una disposizione riguardante le competenze regionali - ha principalmente la strumentale funzione di fornire un supporto di principio alla vera e propria interferenza nei poteri regionali stabilita, dietro lo schermo dei "fini di vigilanza", dal secondo comma dello stesso articolo. Dispone infatti quest'ultimo che "nei casi in cui i provvedimenti previsti dagli art. 14, 31, 36, 56 e 57 sono attribuiti alla competenza delle regioni, la Banca d'Italia esprime, ai fini della vigilanza, un parere vincolante". Risulta con cio' evidente che la titolarita' regionale dei poteri viene ridotta a puro involucro formale, mentre le valutazioni sostanziali proprie del potere vengono illegittimamente sottratte alla regione e trasferite alla banca d'Italia: non esiste infatti una valutazione per i "fini di vigilanza" che non interferisca, ed addirittura si sovrapponga completamente, alla valutazione di competenza regionale. Si consideri, ad esempio, il potere di autorizzare l'attivita' bancaria, previsto dall'art. 14. Secondo il secondo comma, tale autorizzazione puo' essere negata soltanto quando "non risulti garantita la sana e prudente gestione": e tale regola, essendo di principio e derivando direttamente da normativa comunitaria, trova applicazione anche nella regione Trentino-Alto Adige. Nel regime generale, l'autorizzazione e' di competenza appunto della Banca d'Italia, mentre per gli enti e istituti operanti nel territorio regionale vi e' una specifica competenza della regione. In tale contesto, e' del tutto chiaro che il "parere vincolante" della banca d'Italia altro non e' che un marchingegno rivolto ad aggirare la competenza regionale stabilita in materia dallo Statuto e dalle disposizioni di attuazione: dato che non esiste alcuna altra valutazione per presunti ed asseriti "fini di vigilanza" da affiancare all'unica valutazione dovuta, sulla possibilita' di sana e prudente gestione. Ed analoghe considerazioni valgono per tutti gli altri poteri previsti dagli art. 31, 36, 56 e 57 in materia di fusioni, trasformazioni, modifiche statuarie. Si aggiunga che, se anche si volesse ritenere che esiste, in relazione agli atti in questione, una specifica valutazione per fini di vigilanza, cio' non potrebbe portare alla vanificazione dei poteri regionali, come accade invece con il meccanismo di raccordo previsto dalla legislazione impugnata. Neppure potrebbe dirsi che le valutazioni di vigilanza sono eminentemente tecniche, e come tali insuscettibili di essere compiute dai normali organi regionali. A smentire in radice una simile ipotetica affermazione vale la disposizione dell'art. 9, primo comma, dello stesso d. legislativo n. 385, secondo la quale "contro i provvedimenti adottati dalla banca d'Italia nell'esericizio dei poteri di vigilanza a essa attribuiti dal presente decreto legislativo e' ammesso reclamo al C.I.C.R.". Da un lato, tale disposizione mostra chiaramente che, anche nel sistema generale, da ultimo gli stessi poteri di vigilanza vengono esercitati da un organo politico governativo. D'altro lato, tale disposizione mette anche in rilievo un ulteriore aspetto di illegittimita' comportato dalle disposizioni del secondo comma dell'art. 159. Secondo il meccanismo da esso disposto, infatti, il cosidetto "parere" della Banca d'Italia, essendo per legge vincolante, e' in realta' un atto, ove lesivo, impugnabile e reclamabile: con il paradossale risultato che i poteri statutariamente regionali verrebbero in definitiva esercitati .. dal C.I.C.R. Oppure, se si negasse la ricorribilita' del parere al C.I.C.R., ne risulterebbe, non meno paradossalmente, che nel sistema generale la Banca d'Italia e' subordinata nelle valutazioni al C.I.C.R., mentre solo di fronte alla regione, titolare costituzionale della competenza, essa sarebbe sovrana e assoluta arbitra. Comunque si consideri la situazione, e' chiara e dimostrata l'illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata. Ma il contrasto con le norme di attuazione dello statuto, che sembra evidente, appare ancor piu' evidente se si considera che tali norme gia' si pongono e risolvono in modo preciso e puntuale il problema del raccordo tra compiti regionali e poteri ed interessi statali. Precisamente, il secondo comma precisa che i provvedimenti in materia di istituzione, autorizzazione alla costituzione e alla fusione vanno assunti sentito il Ministero del tesoro; il terzo comma dispone che i provvedimenti in materia statutaria e circa l'assunzione di determinati servizi vanno assunti sentiti il Ministero del tesoro e la Banca d'Italia; il comma quarto dispone che i provvedimenti di nomina di amministratori e sindaci vanno assunti in certi casi su motivata proposta, parzialmente vincolante, della Banca d'Italia, in altri casi sentito il Ministero del tesoro. Senza scendere in ulteriori dettagli, e' del tutto chiaro che il tema dei raccordi e rapporti tra autorita' locali e autorita' centrali e' disciplinato in modo preciso a livello di norme di attuazione, e che tale sistema non puo' essere contraddetto e sconvolto dal legislatore ordinario. Qualche ulteriore considerazione richiede la disposizione del terzo comma dell'art. 159, ai sensi della quale da una parte "sono inderogabili e prevalgono sulle contrarie disposizioni gia' emanate le norme dettate dal primo e secondo comma nonche' dagli art. 15, 16, 26 e 47", dall'altra restano "ferme le competenze attribuite agli organi regionali nella materia disciplinata dall'art. 26". Tale disposizione e' in primo luogo assai oscura. Che ogni nuova disposizione prevalga su quelle "gia' emanate" e' per se' ovvio, mentre la qualificazione di "inderogabili" sembra avere un possibile significato solo se riferita all'esercizio della funzione legislativa regionale: ma anche sotto questo profilo essa e' del tutto inutile, essendo ovvio che la legislazione regionale non potrebbe mai "derogare" a poteri previsti con statali dalla legge statale, se tali poteri fossero costituzionalmente legittimi. In definitiva, l'unico reale contenuto normativo sembra quello ricavabile a contrario dalla seconda parte della disposizione, secondo la quale, come detto, restano "ferme le competenze attribuite agli organi regionali nella materia disciplinata dall'art. 26": con la conseguenza di riservare invece allo Stato i poteri in ipotesi regionali previsti dagli altri articoli citati nella prima parte della disposizione (15, 16 e 47). Se cosi' si deve intendere, tale contenuto normativo verrebbe a realizzare un trasferimento di competenze dalle regioni allo Stato, con conseguente ulteriore illegittimita' per le ragioni sopra esposte. Il quarto comma dell'art. 159 dispone che "le regioni a statuto speciale alle quali sono riconosciuti, in base alle norme di attuazione dei rispettivi statuti, poteri nelle materie disciplinate dalla direttiva n. 89/646/C.E.E., provvedono a emanare norme di recepimento della direttiva stessa nel rispetto delle disposizioni di principio non derogabili contenute nei commi precedenti". Nella sua seconda parte (rispetto delle disposizioni di principio non derogabili), la disposizione nella sua formulazione letterale sembra non fare altro che ribadire un limite ovvio, dato il carattere concorrente della competenza regionale. In realta', tuttavia, nel suo contesto specifico, la disposizione appare rivolta ad ulteriormente rafforzare, trasformandole in presunti principi inderogabili per la legislazione regionale, quelle che non sono altro, come sopra illustrato, che vere ed illegittime spoliazioni e restrizioni della competenza regionale realizzate dai precedenti commi. Sotto questo profilo, percio' la disposizione richiede anch'essa, ad avviso della ricorrente Regione di essere coinvolta nella dichiarazione di illegittimita' costituzionale. 2. - Violazione dell'art. 107, primo comma, dello statuto speciale. Invasione da parte del legislatore delegato di materia riservata alle norme di attuazione. Si e' data priorita' agli argomenti rivolti ad illustrare l'illegittimita' delle impugnate disposizioni nel loro specifico contenuto. Va pero' osservato che, anche a prescindere da esso, le disposizioni impugnate, venendo a modificare, limitare o comunque specificare in via attuativa l'ambito dei poteri assegnati alla regione dallo statuto di autonomia illegittimamente incidono in materia riservata alla speciale procedura individuata, per la regione Trentino-Alto Adige, dell'art. 107, primo comma, dello statuto stesso (secondo il quale sui decreti legislativi di attuazione e' sentita una commissione paritetica). Il carattere necessario del ricorso al procedimento di attuazione, e la sua non fungibilita' con altre fonti normative sia pure a carattere primario, appaiono pacifici ed incontestati nella giurisprudenza costituzionale (tra le altre: sentenze n. 180/1980; 451/1988 e 224 del 1990): sicche' non sembrano essere possibili dubbi sulla illegittimita' delle disposizioni contestate anche sotto un profilo preliminare e formale. 3. - Specifica illegittimita' della diretta operativa della disposizione che sottopone i poteri regionali a parere vincolante della Banca d'Italia. Violazione dell'art. 2 del d.P.R. n. 266/1993. Nel prevedere che la Banca d'Italia esprima un parere vincolante il secondo comma dell'art. 159 da' diretta disciplina ad un procedimento amministrativo regionale, con disposizione immediatamente applicabile. Ora, cio' contraddice le regole costituzionali sui rapporti tra fonte statale e fonte di autonomia nella disciplina delle materie regionali, cosi' come esse sono state chiarite ed interpretate dall'art. 2 del d.P.R. n. 266/1992. Secondo tale disposizione, infatti, la legislazione regionale e provinciale deve essere adeguata i principi e norme costituenti per essa vincoli entro sei mesi dalla pubblicazione, mentre nel frattempo restano applicabili le disposizioni regionali e provinciali preesistenti (primo comma). Sembra chiaro che l'immediata operativita' disposta ora da legislatore statale contraddice tali fondamentali regole, costituenti parte integrante delle garanzie dello statuto speciale, come riconosciuto dallo stesso d.P.R. del 1991, art. 1; con conseguente ulteriore illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata.
Tutto cio' premesso, la ricorrente regione Trentino-Alto Adige, come sopra rappresentata e difesa chiede che l'eccellentissima Corte costituzionale voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 159 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, Testo unico delle leggi in materia bancaria, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 230, supplemento ordinario, del 30 settembre 1993, per violazione delle disposizioni di rango costituzionale ed integrativo indicate ed illustrate nel ricorso. Avv. prof. Giandomenico FALCON 93C1143