N. 699 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 settembre 1993

                                N. 699
 Ordinanza emessa il 27 settembre 1993 dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  il  tribunale di Cuneo nel procedimento penale a
 carico di Reina Bruno
 Processo penale - Fase preliminare - Rigetto dell'applicazione della
    pena   concordata   per   ritenuta  incongruita'  della  stessa  -
    Proseguimento del procedimento con il rito abbreviato -  Lamentata
    omessa  previsione di incompatibilita' del giudice che ha respinto
    la richiesta, formulando una valutazione di  merito  -  Violazione
    dei  principi  della  legge  delega,  nonche'  di  eguaglianza, di
    terzieta' del giudice e della sua soggezione solo alla legge.
 (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 25, 76, 77 (in relazione alla legge 16 febbraio
    1987, n. 81, art. 2, direttiva 76), e 101).
(GU n.48 del 24-11-1993 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Sciogliendo la riserva nel procedimento  penale  n.  37/1993,  nei
 confronti   di   Ronga  Pasquale,  Reina  Bruno,  Beraudo  Raffaello,
 imputati:
       a) il Ronga del delitto p. e p. dell'art. 73, primo comma,  del
 d.P.R.  n.  309/1990  e  81 cpv. per aver detenuto e venduto con piu'
 attuazioni di unica risoluzione, rilevanti quantita' di  stupefacente
 a  base  di eroina e Reina Bruno, e mediamente gr. 25 per volta e con
 frequenza settimanale e su pagamento di L. 140.000;
       b) Ronga P. e Reina B. del delitto p. e p. dagli artt. 110  del
 c.p. e 73, primo comma, del d.P.R. n. 309/1990, per avere in concorso
 tra  loro venduto a Beraudo Raffaello gr. 15 di sostanza stupefacente
 a base di eroina (detenuti dal Ronga e venduti con la mediazione  del
 Reina, al Beraudo su corrispettivo di L. 180.00 al grammo);
       c)  il  Reina  B.  del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv e 73,
 primo comma, del d.P.R., n. 309/1990 per aver  detenuto  a  scopo  di
 commercio  lo  stupefacente  sub  a)  e  per averlo venduto a persone
 imprecisate ed a Beraudo Raffaello;
       d) Beraudo Raffaello, del delitto p. e p. dagli artt.  81  cpv.
 del  c.p.  e  73,  primo comma, del d.P.R. n. 309/1990, per avere con
 piu' azioni di un'unica determinazione, detenuto a fine di  commercio
 lo  stupefacente  descritto  sub  b) e sub c) e per averlo venduto in
 piu' occasioni a persone imprecisate.
    Ha pronunciato la seguente ordinanza, osservando al termine  delle
 indagini  preliminari  il  p.m.  chiedeva  il rinvio a giudizio degli
 imputati Ronga Pasquale, Reina Bruno, Baraudo Raffaele in  ordine  ai
 reati come sopra loro contestati.
    Alla  udienza  preliminare  del  27  aprile 1993 compariva il solo
 Beraudo, il quale, previa separazione dei giudizi,  veniva  giudicato
 secondo  il  rito abbreviato e condannato alla pena di anni tre, mesi
 sei e giorni 20 di reclusione, nonche' L. 25.000.000 di multa.
    In limine alla successiva udienza preliminare, fissata  il  giorno
 24   settembre   1993   a   seguito   di  alcuni  rinvii  determinati
 dall'impossibilita'a comparire degli imputati, la difesa del Ronga  o
 che  rifiutava  di comparire benche' regolarmente tradotto dalla casa
 circondariale di Pisa - chiedeva che il processo venisse definito  in
 tale  sede,  ex  art.  439,  secondo  comma, del c.p.p. ed il p.m. si
 riserva di prestare il consenso.
    Contemporaneamente il Reina, con il consenso  del  p.m.,  chiedeva
 l'applicazione  della  pena di anni due di reclusione e L. 10.000.000
 di multa.
    Il g.i.p., disposta nuova separazione del  processo  ex  art.  18,
 secondo  comma,  del  c.p.p.,  con  successiva ordinanza rigettava la
 proposta, non ritenendo congrua la pena in relazione alle  risultanze
 degli  atti  processuali  a  carico  del  Reina,  giusto  il richiamo
 all'art.  444  del  c.p.p.,  cosi'  come  integrato dalla sentenza n.
 313/1990 della Corte costituzionale.
    La difesa, conseguentemente, chiedeva, con  l'adesione  del  p.m.,
 procedersi  col  giudizio  abbreviato;  il  g.i.p.,  ritenuto  che il
 processo potesse essere definito allo stato degli atti, accoglieva la
 richiesta.
    A questo punto, tuttavia, la  difesa  eccepiva  l'incompatibilita'
 del  g.i.p. a partecipare al giudizio, richiamandosi alla sentenza n.
 399 del 26 ottobre 1992 della Corte costituzionale.
    In relazione a  tale  eccezione,  questo  giudice  preliminarmente
 rileva  che  -  come comunemente ritenuto anche nel vigore del codice
 previgente - le cause di incompatibilita' sono solo  quelle  indicate
 dalla  legge, sicche' le norme che le prevedono non sono suscettibili
 di interpretazione estensiva, ne' analogica.
    Ne'  tantomeno,   appare   possibile   e   conforme   al   sistema
 un'interpretazione  estensiva  od  analogica  delle numerose sentenze
 della Corte che si sono occupate del  tema  dell'incompatibilita'  di
 cui  all'art.  34,  secondo  comma,  del  c.p.p.,  cosi'  come invece
 prospettato dalla difesa dell'imputato. Nessuna di tali pronunce (nn.
 496/1990, 401 e 502 del 1991, 124, 186 e  391  del  1992),  a  quanto
 consta, ha investito la norma citata nei termini qui considerati.
    Peraltro,  proprio  dall'esame  di queste ultime, ed alla luce del
 caso in esame, discendono  ulteriori  dubbi  sulla  costituzionalita'
 dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p.
    In proposito, giova ricordare come la Corte, fin dalla sentenza n.
 313/1990  abbia chiarito come l'applicazione della pena concordata ai
 sensi  dell'art.  444  del  c.p.p.   presupponga   un   giudizio   di
 insussistenza   delle   condizioni   che   possono   giustificare  il
 proscioglimento  nel  merito  ai  sensi  dell'art.  129  del  c.p.p.;
 comporti  una  valutazione  non soltanto di legittimita', ma anche di
 merito circa la correttezza della definizione giuridica del  fatto  e
 circa  la  sussistenza  di  circostanze attenuanti o aggravanti ed il
 loro bilanciamento; implichi, infine, che "il giudice possa  valutare
 la   congruita'  della  pena  indicata  dalle  parti,  rigettando  la
 richiesta   in   ipotesi   sfavorevole   di    valutazione"    (Corte
 costituzionale n. 313/1990)".
    La  giurisprudenza  della  Corte,  d'altro canto, ha provveduto ad
 ampliare  il  contenuto  dell'art.  4,  secondo  comma,  del  c.p.p.,
 stabilendo,   tra   gli   altri,   il   principio   giusto  il  quale
 l'incompatibilita'  va  ravvisata  (e  circoscritta)   ai   casi   di
 duplicita'  di giudizio di merito sullo stesso oggetto. "In essi - si
 e'  osservato  -  il  rischio  che  la  valutazione   conclusiva   di
 responsabilita'  sia  o possa apparire condizionata dalla propensione
 del giudice a confermare una propria precedente  decisione  e'  cosi'
 pregnante  da  poter  concretamente  incidere  sulla  garanzia  di un
 giudizio che sia il  frutto  genuino  ed  esclusivo  di  elementi  di
 valutazione  e  di prove assunte nel processo e del dispiegarsi della
 difesa delle parti" (Corte costituzionale n. 124/1992).
    Orbene,  appare  evidente  a  questo   giudice   come   tutte   le
 considerazioni  che  precedono,  in  tema  di "patteggiamento" da una
 parte e di incompatibilita' dall'altra bene si attaglino alla vicenda
 in esame, specie ove si consideri che l'ordinanza con  cui  e'  stata
 rigettata  la  richiesta  di applicazione pena ai sensi dell'art. 444
 del c.p.p. presuppone che siano state risolte in senso positivo tutte
 le  questioni  che  precedono  in  senso  logico quella relativa alla
 congruita' della pena, concernenti tanto la insussistenza di  ragioni
 tali  da  giustificare  il  proscioglimento  ex  art. 129 del c.p.p.,
 quanto la sussistenza dei presupposti  di  una  condanna  sulla  base
 delle risultanze delle indagini preliminari.
    Non solo. Proprio l'aver ritenuto la pena non congrua (presentata,
 peraltro, nei limiti massimi di estensione consentiti dalla legge) ex
 art.  444  del c.p.p., implica che accanto alla valutazione di merito
 si e'  accompagnata  l'altra,  circa  l'applicabilita'  di  una  pena
 superiore a quella prospettata.
    Ne   risultano   violati,  pertanto,  gli  artt.  76  e  77  della
 Costituzione per contrasto con i  principi  ispiratori  di  cui  alla
 direttiva  76 (art. 2) della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81; il
 principio della terzieta' del giudice e della sua soggezione soltanto
 alla legge (artt. 25 e  101  della  Costituzione);  il  principio  di
 uguaglianza  (art.  3 della Costituzione), dal momento che, alla luce
 dei precedenti interventi della Corte costituzionale,  casi  analoghi
 finiscono con l'essere trattati in misura diversa.
    A  quest'ultimo  proposito  elementi  comuni  alla  situazione qui
 esaminata possono essere individuati nelle  sentenze  n.  502/1991  e
 186/1992.
    In  particolare nella prima delle pronunce richiamate, la quale ha
 dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  34,  secondo
 comma, del c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a
 partecipare  al giudizio (da intendersi in senso ampio, cfr. sentenza
 n. 401/1991 ed ordinanza n. 180/1992) del g.i.p. che ha rigettato  la
 richiesta  di  decreto di condanna, vengono affermati principi, parte
 dei quali in precedenza riportati, che  ben  si  prestano  ad  essere
 applicati al caso in esame, principi successivamente richiamati anche
 dalla sentenza n. 186/1992.
    Quest'ultima,  peraltro,  in motivazione dichiara l'illegittimita'
 dell'art. 34, secondo comma, del  c.p.p.  "nella  parte  in  cui  non
 prevede  l'incompatibilita' a partecipare al giudizio del giudice che
 abbia rigettato la richiesta di applicazione di  pena  concordata  ex
 art. 444 del c.p.p.", senza ulteriori specificazioni.
    Il  dispositivo,  tuttavia - cosi' come corretto dall'ordinanza n.
 313/1992 - fa espresso riferimento al giudice del dibattimento e  non
 al  giudice  delle  indagini  preliminari,  il quale, con particolare
 riguardo al  g.i.p.  presso  il  tribunale,  fin  dal  momento  della
 richiesta  di rinvio a giudizio ha piena conoscenza di tutti gli atti
 contenuti nel fascicolo del p.m.
    Si rende, pertanto, ad avviso di questo  giudice,  necessaria  una
 pronuncia   da  parte  della  Corte  costituzionale  in  punto,  onde
 stabilirne, anche attraverso una pronuncia di manifesta infondatezza,
 la compatibilita' o meno per la prosecuzione del  giudizio  che  allo
 stato viene sospeso.
    Il  dubbio circa la costituzionalita' dell'art. 34, secondo comma,
 del c.p.p., infine, permane e non puo' dirsi superato  anche  qualora
 si   ritenga  che,  proprio  dalla  piena  conoscenza  degli  atti  e
 dall'esame delle risultanze dell'indagine preliminare,  discende  una
 valutazione   unitaria   del   fatto,   degli   elementi   a   carico
 dell'imputato,  della  congruita'   della   pena   eventualmente   da
 comminare,   valutazione   con   cui  successivamente  si  vengono  a
 confrontare  le  richieste  di  riti  speciali  e  che  non  comporta
 necessariamente una duplicita' del giudizio di  merito  sul  medesimo
 oggetto.
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata con  riferimento
 agli  artt.  3,  25,  101,  76  e  77  la  questione  di legittimita'
 costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p. nella parte in
 cui  non  prevede  l'incompatibilita'  a  partecipare   al   giudizio
 abbreviato  per  il  giudice  delle  indagini  preliminari  che abbia
 rigettato la richiesta di applicazione  di  pena  concordata  di  cui
 all'art. 444 del c.p.p.;
    Sospende  il  giudizio  in corso nei confronti dell'imputato Reina
 Bruno, attualmente sottoposto alla  misura  cautelare  degli  arresti
 domiciliari  e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
 costituzionale;
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza  venga
 notificata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Cuneo, addi' 27 settembre 1993
           Il giudice per le indagini preliminari: GIANOGLIO

 93C1159