N. 402 SENTENZA 5 - 18 novembre 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Lavoro (rapporto di) - Mensa aziendale - Valore effettivo  dei  pasti
 ed  indennita'  sostitutiva  di  mensa  - Incidenza su altri istituti
 retributivi - Norma interpretativa  di  esclusione  -  Richiamo  alla
 sentenza  n.  3888 della Corte di cassazione - Insindacabilita' della
 scelta legislativa - Non fondatezza.
 
 (D.-L.  11  luglio  1992, n. 333, art. 6, quarto comma, convertito in
 legge 8 agosto 1992, n. 359).
 
 (Cost., artt. 3, 24, 101, 102 e 104)
 
(GU n.48 del 24-11-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof.  Cesare  MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo
    VARI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 4,  del
 d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n.
 359  (Misure  urgenti  per  il  risanamento  della finanza pubblica),
 promossi con le seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 23 novembre 1992 dal  Pretore  di  Torino
 nei  procedimenti  civili  riuniti  vertenti  tra Vittorioso Maria ed
 altri e la S.p.a. Fiat Auto, iscritta al n. 15 del registro ordinanze
 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  5,
 prima serie speciale, dell'anno 1993;
      2)  ordinanza  emessa  il 24 dicembre 1992 dal Pretore di Torino
 nel procedimento  civile  vertente  tra  Acutis  Luigi  e  la  S.p.a.
 Microtecnica,  iscritta  al  n.  84  del  registro  ordinanze  1993 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  10,  prima
 serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti  gli atti di costituzione di Pisicoli Vincenza, della S.p.a.
 Fiat Auto e della S.p.a. Microtecnica nonche' gli atti di  intervento
 del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 5 ottobre 1993 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Uditi gli avvocati Massimo D'Antona e Luciano Ventura per Pisicoli
 Vincenza, Paolo Tosi e Rosario Flammia per la S.p.a. Fiat Auto, Paolo
 Tosi  per  la  S.p.a.  Microtecnica  e l'Avvocato dello Stato Antonio
 Bruno per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio promosso da Maria Vittorioso e altri
 contro la S.p.a. Fiat  auto  per  ottenere  la  condanna  al  maggior
 accantonamento  ai  fini  del  trattamento  di  fine  rapporto  e  al
 pagamento di  differenze  retributive  a  vario  titolo  dovute  (per
 festivita', ferie, gratifica natalizia ecc.), computando l'indennita'
 sostitutiva  della mensa per il valore reale del pasto e non soltanto
 per  quello  convenzionale   (fissato   da   un   accordo   aziendale
 nell'importo  di  lire  172  giornaliere),  il Pretore di Torino, con
 ordinanza del 23 novembre 1992, ha  sollevato,  in  riferimento  agli
 artt.  3,  24,  101,  102  e  104  della  Costituzione,  questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 4, del d.-l. 11 luglio
 1992, n. 333, convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359.
    La norma impugnata fa "salve, a far data dalla loro decorrenza, le
 disposizioni  degli  accordi  e  dei  contratti   collettivi,   anche
 aziendali,  pur  se  stipulati  anteriormente alla data di entrata in
 vigore  del  presente  decreto,  che  prevedono   limiti   e   valori
 convenzionali  del servizio di mensa e dell'importo della prestazione
 sostitutiva di esso, percepita da chi  non  usufruisce  del  servizio
 istituito,  a  qualsiasi  effetto  attinente  ad  istituti  legali  e
 contrattuali del rapporto di lavoro subordinato".
    Premesso: a) che a partire dal 1989 la giurisprudenza  prevalente,
 sul  presupposto  che  il servizio di mensa assume natura retributiva
 quando sia prevista una indennita' sostitutiva per coloro che non  ne
 usufruiscono,  ha  affermato  l'incidenza del suo valore reale (e non
 solo di quello convenzionale) sugli elementi retributivi indiretti  o
 differiti;  b) che, in contrasto con questa giurisprudenza, l'art. 6,
 comma 3, del d.l. n. 333 del 1992 ha introdotto una nuova  disciplina
 della  materia  per  il  futuro,  la quale esclude, salvo pattuizioni
 collettive in deroga, la computabilita' nella retribuzione,  ad  ogni
 effetto,  del  valore  del  servizio  di  mensa  e dell'importo della
 prestazione pecuniaria sostitutiva di  esso;  il  giudice  remittente
 ritiene  che  il  successivo  comma  4  ha "una portata indubbiamente
 retroattiva nella parte in  cui  sancisce  la  salvezza  delle  dette
 pattuizioni  collettive  a  far  data dalla loro decorrenza". Sarebbe
 stata cosi' disposta la sanatoria  di  clausole  collettive  colpite,
 secondo   la   giurisprudenza   sopra  richiamata,  da  nullita'  per
 contrarieta' alle norme imperative di legge che impongono il  calcolo
 delle  voci  retributive  indirette o differite su tutti gli elementi
 della retribuzione.
    La deroga al principio  di  cui  all'art.  11  delle  disposizioni
 preliminari  al  codice civile sarebbe: a) irrazionale, perche' viola
 la certezza del diritto sanando una situazione di nullita'  negoziale
 risalente per un periodo di oltre quarant'anni;
  b)  invasiva  delle attribuzioni dell'autorita' giudiziaria, perche'
 modifica d'imperio  la  giurisprudenza  prevalente  condizionando  in
 senso   opposto  la  decisione  dei  giudizi  in  corso;  c)  lesiva,
 conseguentemente, anche del diritto di difesa dei cittadini.
    2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla Corte si e' costituito uno dei
 lavoratori in causa.  Premesso  che  e'  dubbia  la  rilevanza  della
 questione,  dovendosi escludere l'intenzione della norma impugnata di
 convalidare clausole collettive attributive al servizio di  mensa  di
 valori  monetari  puramente simbolici, essa conclude in subordine per
 una dichiarazione di illegittimita' costituzionale.
    3. - Si e' pure costituita la societa' convenuta chiedendo che  la
 questione sia dichiarata infondata e formulando riserva di deduzioni,
 alle   quali   ha  provveduto  con  un'ampia  memoria  depositata  in
 prossimita' dell'udienza di discussione.
    Si osserva anzitutto che i dubbi di costituzionalita'  prospettati
 dall'ordinanza  di rimessione sono eliminati in radice dalla sentenza
 n. 3888 del 1993 pronunciata dalla Corte  di  cassazione,  a  sezioni
 unite, nell'esercizio della funzione nomofilattica prevista dall'art.
 374,  secondo comma, cod. proc. civ. La sentenza nega che il servizio
 di mensa, la cui fruizione dipende  da  una  scelta  del  lavoratore,
 abbia  per  se  stesso  natura  retributiva,  mancando  il  nesso  di
 corrispettivita' con la prestazione di lavoro: la  qualificazione  di
 retribuzione  puo'  ad  esso  accedere  solo in virtu' di un precetto
 dell'autonomia  collettiva  e  nei  limiti   del   valore   monetario
 convenzionalmente  fissato dalle clausole che prevedono un'indennita'
 sostitutiva  per  i  lavoratori  che  non  profittano  del  servizio.
 Pertanto, l'art. 6, comma 4, del d.l. n. 333 del 1992 non e' norma di
 interpretazione  autentica,  ne'  retroattivamente  innovativa, ma si
 limita a confermare, convertendolo  in  una  disposizione  esplicita,
 quello  che fino al 1989 era il diritto pacificamente applicato nella
 materia de qua e del  quale  le  Sezioni  unite  riconoscono  ora  la
 conformita' ai principi.
   Comunque,  soggiunge  la societa' convenuta, anche ammesso - giusta
 l'interpretazione seguita dal giudice  remittente  e  respinta  dalle
 Sezioni unite - che si tratti di norma innovativa munita di efficacia
 retroattiva,  essa  non  viola  nessuno  dei parametri costituzionali
 invocati. Non offende  il  principio  di  razionalita',  perche'  non
 retroagisce  "per  quasi  quarant'anni",  come asserisce il giudice a
 quo, sanando clausole collettive nulle per contrarieta' a  norme  im-
 perative  di  legge,  bensi'  impone  retroattivamente una disciplina
 legale    corrispondente    alla    contrattazione    collettiva    e
 all'interpretazione  dell'accordo  interconfederale  20  aprile 1956,
 recepito nel d.P.R. 14 luglio 1960, n. 1026, ripetutamente confermata
 da  accordi  aziendali  e  per  quasi  quarant'anni  applicata  senza
 contrasti   dalla   giurisprudenza.   Non   invade   la  sfera  delle
 attribuzioni del potere  giudiziario  perche'  non  mira  a  definire
 specifici  giudizi  in  corso,  ma  regola  in  generale  la  materia
 muovendosi su un piano diverso da quello del giudice. Non  contrasta,
 infine,  col  diritto  di  difesa, perche' non preclude al giudice la
 decisione di merito imponendogli di dichiarare d'ufficio l'estinzione
 dei giudizi pendenti,  ma  semplicemente  detta  una  regola  per  la
 decisione del merito.
    4.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
 sia dichiarata non fondata con argomenti  analoghi  a  quelli  teste'
 riferiti, senza escludere peraltro una valutazione di irrilevanza sul
 riflesso  che le disposizioni del citato accordo interconfederale non
 contrastano con norme imperative di legge: non con l'art. 2121, testo
 del 1942, in tema di indennita' di anzianita', perche' il servizio di
 mensa non e' equiparabile alla retribuzione in natura, ne' con l'art.
 5  della  legge  27 maggio 1949, n. 260, modificato dalla legge n. 90
 del 1954, in tema di compenso per  festivita',  perche'  la  "normale
 retribuzione  globale  di fatto", ivi prevista come base del computo,
 concerne le sole componenti monetarie del salario.
    5. - Nel corso di un giudizio promosso da Luigi Acutis  contro  la
 S.p.a.  Microtecnica la questione e' stata nuovamente sollevata dallo
 stesso Pretore di Torino con ordinanza di identico tenore in data  24
 dicembre 1992.
    6.  - Nel giudizio davanti alla Corte si e' costituita la Societa'
 Microtecnica chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.  In
 una  memoria depositata nell'imminenza dell'udienza di discussione la
 Societa' richiama la piu' volte citata  sentenza  n.  3888  del  1993
 della  Corte  di  cassazione,  la quale, anche a suo avviso, dissolve
 ogni questione di costituzionalita' e in particolare quella sollevata
 dall'ordinanza  del  Pretore  di  Torino.  Aggiunge  una   serie   di
 argomentazioni  analoghe  a quelle sviluppate dalla difesa della Fiat
 nell'altro giudizio, sottolineando che le ragioni con cui le  Sezioni
 unite  hanno  escluso ogni profilo di incostituzionalita' della norma
 impugnata,  qualificandola  come  legge  confermativa   del   diritto
 vivente, conducono alla medesima conclusione anche se la si considera
 come  legge  introduttiva  di  una  nuova  disciplina  con  efficacia
 retroattiva.
    7. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri
 chiedendo  che  la  questione sia dichiarata infondata per gli stessi
 motivi indicati nell'intervento spiegato nell'altro giudizio.
                        Considerato in diritto
    1. - Con due ordinanze di identico tenore il Pretore di Torino  ha
 sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3, 24, 101, 102 e 104 della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  6,
 comma  4,  del  d.-l.  11  luglio 1992, n. 333, convertito in legge 8
 agosto 1992,  n.  359,  nella  parte  in  cui  attribuisce  efficacia
 retroattiva  alla  norma  del comma precedente, facendo "salve, a far
 data dalla loro decorrenza,  le  disposizioni  degli  accordi  e  dei
 contratti collettivi, anche aziendali, pur se stipulati anteriormente
 alla  data  di  entrata in vigore del presente decreto, che prevedono
 limiti e valori convenzionali del servizio di mensa di cui al comma 3
 e dell'importo della prestazione sostitutiva di  esso,  percepita  da
 chi  non  usufruisce  del  servizio  istituito,  a  qualsiasi effetto
 attinente a istituti legali e contrattuali  del  rapporto  di  lavoro
 subordinato".
    2. - I giudizi di legittimita' costituzionale introdotti dalle due
 ordinanze  hanno  il medesimo oggetto; pertanto e' opportuno disporne
 la riunione affinche' siano definiti con unica sentenza.
    3. - La questione non e' fondata.
    L'art. 6, comma 3, del d.-l. n. 333 del 1992 esclude il valore del
 servizio di mensa e l'importo dell'indennita' sostitutiva dalla  base
 di   computo   agli  effetti  degli  istituti  retributivi  legali  e
 contrattuali  del  rapporto  di  lavoro  subordinato,  salva  diversa
 disposizione  dell'autonomia  collettiva,  alla  quale  e' rimesso il
 potere  di  decidere  se  e  in  quale  misura  il   servizio   debba
 considerarsi  retribuzione  ai  detti  effetti.  A  questa  norma  il
 successivo comma 4, cui e' limitato l'incidente di costituzionalita',
 conferisce efficacia retroattiva.
    Riconosciuta  tale  efficacia, ha scarsa importanza stabilire se i
 commi 3 e 4  costituiscano  una  norma  innovativa  con  clausola  di
 retroattivita'  oppure  una  norma  interpretativa,  per  sua  natura
 retroattiva. Nell'uno e nell'altro  caso  la  legge  e'  soggetta  al
 controllo  di  conformita'  al  principio  di  ragionevolezza secondo
 criteri analoghi. La stessa ordinanza di rimessione, che cataloga  la
 norma  come  innovativa, richiama poi, ai fini della valutazione alla
 stregua dell'art. 3 della Costituzione, la giurisprudenza  di  questa
 Corte in tema di interpretazione autentica.
    Non  si  puo'  invece  seguire  l'ordinanza la' dove ravvisa nella
 norma  impugnata  una  "disposizione  a  sanatoria"  di   pattuizioni
 collettive  ritenute nulle dalla giurisprudenza per contrarieta' alle
 norme imperative di legge che vincolano il parametro di computo delle
 voci retributive di cui e' causa a  una  nozione  onnicomprensiva  di
 retribuzione.  Sulla  base  di  una  falsa  analogia con la questione
 decisa dalla sentenza di questa Corte n. 155 del 1990, apparentemente
 suggerita dalla lettera della legge, che fa "salvi" i disposti  della
 contrattazione   collettiva   in  ipotesi  colpiti  da  nullita',  la
 valutazione del  giudice  a  quo  ascrive  alla  norma  censurata  un
 significato  autonomo,  mentre  essa  fa corpo col comma precedente e
 solo da questa connessione sistematica riceve senso. Il comma  4  non
 opera  direttamente,  sanandone la (pretesa) nullita', sulle clausole
 collettive che commisurano la computabilita' del  servizio  di  mensa
 all'importo   convenzionale   dell'indennita'   sostitutiva,   bensi'
 sostituisce (retroattivamente) alla precedente  regola  di  giudizio,
 formulata  in  via interpretativa dalla giurisprudenza, una specifica
 regola legale alla stregua  della  quale  le  dette  clausole  devono
 considerarsi  ab origine validamente stipulate. La retroattivita' non
 determina la reviviscenza di clausole nulle, bensi' elimina in radice
 la precedente valutazione di nullita'.
    Cosi' precisata nei suoi contenuti, la volonta' del legislatore e'
 sovrana, sia o meno in contrasto con  la  giurisprudenza  concorde  o
 quasi   concorde,   e   incontra  soltanto  il  limite  dei  principi
 costituzionali. Ma per dire violato il  principio  di  ragionevolezza
 non  e'  sufficiente  il  rilievo che "la finalita' avuta di mira dal
 legislatore e' stata quella di intervenire per  modificare  d'imperio
 un'interpretazione giurisprudenziale sgradita". La legittimita' di un
 intervento  legislativo  con  forza  retroattiva  non e' contestabile
 nemmeno quando esso sia  determinato  dall'intento  di  "rimediare  a
 un'opzione  interpretativa  consolidata nella giurisprudenza in senso
 divergente  dalla  linea  di  politica  del  diritto  giudicata  (dal
 legislatore)  piu'  opportuna"  (ord.  n.  480 del 1992). In tal caso
 requisito di giustificazione della retroattivita' e' che  il  diverso
 modello   di   decisione   imposto  dalla  legge  sopravvenuta  fosse
 ragionevolmente prospettabile, in relazione ai rapporti anteriormente
 costituiti, in alternativa a quello applicato dalla giurisprudenza.
    4.1. - Nell'indirizzo giurisprudenziale  contrastato  dalla  norma
 impugnata  non  sono  riscontrabili  i caratteri di una situazione di
 diritto consolidata al punto da far ritenere improbabile l'ipotesi di
 soluzione  alternativa,  e  quindi   tale   che   la   retroattivita'
 dell'intervento legislativo possa reputarsi lesiva della certezza dei
 rapporti  giuridici.  L'indirizzo  in  parola  e' rappresentato da un
 gruppo  di  sentenze  della  Sezione lavoro della Corte di cassazione
 racchiuso nel periodo  1989-1992  e  contrapposto  a  una  precedente
 giurisprudenza  ultratrentennale  che riconosceva pacificamente piena
 validita' all'accordo interconfederale 20 aprile 1956,  recepito  nel
 d.P.R.  14 luglio 1960, n. 1026, e ai successivi accordi aziendali in
 materia.
    Nonostante il mutato orientamento giurisprudenziale, la disciplina
 dell'accordo  citato  e'  stata  confermata  dall'art.  11-  bis  del
 contratto  collettivo  14 dicembre 1990 per il settore metalmeccanico
 privato e successivamente ribadita  in  una  dichiarazione  congiunta
 delle  Segreterie  nazionali  della  FIOM-CGIL, della FIM-CISL, della
 UILM-UIL e  della  FISMIC  contestualmente  alla  firma  dell'accordo
 aziendale  7  febbraio 1991 sulle mense per gli stabilimenti Fiat. La
 reazione unanime delle organizzazioni sindacali - in  relazione  alle
 quali  la  norma  denunciata  si  pone  come  legge  di sostegno e di
 salvaguardia dell'autonomia collettiva - si spiega sul  riflesso  che
 il nuovo corso inaugurato dalla sentenza della Corte di cassazione n.
 3483  del  1989,  ove  si  fosse consolidato, avrebbe determinato una
 distribuzione di incrementi di reddito, complessivamente  di  ingente
 ammontare,  escludendone totalmente i dipendenti delle imprese medio-
 piccole, che non  erogano  ne'  servizio  di  mensa,  ne'  indennita'
 sostitutiva,  e  con  forti  sperequazioni anche tra i lavoratori che
 usufruiscono del servizio, a cagione delle modalita' assai  varie  di
 erogazione  e  delle  differenze  di costo da azienda ad azienda e da
 luogo a luogo.
    4.2. - Il mutato orientamento della giurisprudenza di legittimita'
 non solo non ha guadagnato il consenso delle organizzazioni sindacali
 dei lavoratori, ma ha  trovato  opposizione,  motivata  con  sentenze
 ampiamente  argomentate,  anche in una parte dei giudici di merito, e
 nemmeno e' rimasto immune da divergenze in seno alla stessa Corte  di
 cassazione.  Con  una  decisione  chiaramente  in  controtendenza  la
 sentenza n. 7179 del 1991 ha statuito che "l'erogazione dei pasti  da
 parte  del  datore di lavoro non costituisce una componente in natura
 della retribuzione", ne' vale a imprimerle tale carattere la semplice
 previsione di un'indennita' sostitutiva, da considerarsi, in mancanza
 di una diversa espressa volonta' contrattuale, "mero rimborso spese".
    L'art. 6, commi 3 e 4, del d.-l. n. 333 del 1992 altro non  e'  se
 non  la  traduzione  in  termini  normativi  di  questa massima e del
 corollario che ne discende in ordine alla  natura  dispositiva  della
 norma:  esso  comporta  l'attribuzione  all'autonomia  collettiva del
 potere  di  fissare  discrezionalmente,  senza   vincolo   di   alcun
 parametro,  la  misura  dell'incidenza  del  servizio  di mensa sugli
 istituti  legali  e  contrattuali  del  rapporto  di   lavoro.   Tale
 corollario  esclude  che  si possa trarre argomento di irrazionalita'
 della legge dall'esiguita' (determinata dai processi inflattivi della
 moneta) della somma prevista dai contratti  collettivi  a  titolo  di
 indennita'  sostitutiva. Di cio' sembra consapevole lo stesso giudice
 remittente, visto  che  nel  dispositivo  dell'ordinanza  non  si  fa
 questione di rivalutazione della somma.
    Giova   pure   osservare,   sempre   ai   fini   del  giudizio  di
 ragionevolezza, che la legge sotto esame ha eliminato  l'incongruenza
 dell'ultima  giurisprudenza  col  trattamento fiscale del servizio di
 mensa. L'art. 48, comma 2, lett. d) del d.lgs. 22 dicembre  1986,  n.
 917,  esclude  in  ogni  caso  le somministrazioni in mense aziendali
 dagli  elementi  concorrenti  alla formazione del reddito imponibile,
 differenziandole  quindi,  pur  quando  sia  prevista   un'indennita'
 sostitutiva, dai "compensi in natura" previsti nei commi 1 e 3.
    4.3. - Per decidere il presente incidente di costituzionalita' non
 occorre  entrare nel merito delle opposte interpretazioni espresse in
 progressione di tempo dalla Corte di cassazione, il cui contrasto  e'
 stato  composto dalle Sezioni unite con la sentenza n. 3888 del 1993.
 Entro il limite della ragionevolezza, e sempre che  siano  rispettati
 gli  altri  precetti  costituzionali,  la  scelta  del legislatore e'
 insindacabile, indipendentemente dall'esattezza  dell'interpretazione
 sulla quale e' caduta.
    Percio'   la   pronuncia   dell'organo  investito  della  funzione
 nomofilattica, che ha confermato la "tesi  interpretativa"  dominante
 fino  al  1989, constatando la "sostanziale convergenza" con essa del
 ius  superveniens,  viene   qui   in   considerazione   come   indice
 rafforzativo  del  convincimento,  gia'  raggiunto aliunde, della non
 arbitrarieta'  dell'efficacia  retroattiva  attribuita   alla   legge
 sopravvenuta.
    5.  -  Infondata e' pure la censura riferita agli artt. 101, 102 e
 104  della  Costituzione.  La  legge  impugnata  non   appare   mossa
 dall'intento  di  influire  su  concrete fattispecie sub iudice; essa
 stabilisce, in  via  generale,  e  retroattivamente,  una  regola  di
 giudizio  che  i giudici, nell'adempimento della loro funzione, hanno
 l'obbligo di applicare anche ai rapporti  sorti  nel  passato,  ferma
 l'intangibilita'  delle situazioni gia' definite con sentenza passata
 in giudicato o in via transattiva. Tale obbligo non e' per se  stesso
 lesivo  della  sfera del potere giudiziario (cfr. sentenza n. 118 del
 1957): la retroattivita' non tocca la potestas iudicandi,  bensi'  il
 modello  di  decisione  cui l'esercizio della potesta' deve attenersi
 (sentenze nn. 6 del 1988 e 39 del 1993).
    Per la medesima ragione non  sussiste  l'asserita  violazione  del
 diritto di difesa (art. 24 della Costituzione).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara   non  fondata  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 4, del d.-l. 11 luglio
 1992, n.  333  (Misure  urgenti  per  il  risanamento  della  finanza
 pubblica),  convertito  nella legge 8 agosto 1992, n. 359, sollevata,
 in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 102 e 104  della  Costituzione,
 dal Pretore di Torino con le ordinanze in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, 5 novembre 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                         Il redattore: MENGONI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 18 novembre 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C1178