N. 718 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 giugno 1993

                                N. 718
 Ordinanza   emessa  l'8  giugno  1993  dal  pretore  di  Vicenza  nei
 procedimenti civili riuniti vertenti tra il comune di Foza ed altri e
 l'I.N.P.S.
 Lavoro (rapporto di) - Esclusione per i contratti d'opera o per
    prestazioni professionali stipulati da province, comuni, comunita'
    montane e loro consorzi e I.P.A.B. (anche se anteriori  alla  data
    di entrata in vigore della norma impugnata) della configurabilita'
    di  un rapporto di lavoro subordinato - Sottrazione al giudice del
    potere di interpretare, autonomamente e indipendentemente da  ogni
    altro  potere,  i  fatti  da  cui dipende se un rapporto di lavoro
    debba
    qualificarsi subordinato o autonomo - Disparita' di trattamento
    dei lavoratori, a seconda che il datore di lavoro sia un privato o
    lo  Stato  ovvero  un  ente  locale,  con incidenza sulla garanzia
    previdenziale.
 (Legge 23 dicembre 1992, n. 948, art. 13, secondo e terzo comma,
    sostituito dal d.-l. 18 gennaio 1993, n. 9, art. 6-bis, convertito
    nella legge 18 marzo 1993, n. 67).
 (Cost., artt. 3, 36, 38, 101 e 104).
(GU n.50 del 9-12-1993 )
                              IL PRETORE
    A scioglimento della riserva;
                            RILEVA IN FATTO
    Con ricorso depositato  il  15  giugno  1989  il  comune  di  Foza
 proponeva  opposizione a d.i. emesso dal g.l. di Vicenza il 16 maggio
 1989 e notificato il 26 maggio 1989 con il quale veniva  ingiunto  su
 richiesta  dell'I.N.P.S.  il pagamento della somma di L. 32.000.263 a
 titolo di contributi previdenziali e sociali omessi ed accessori.
    Rilevava che l'I.N.P.S. fondava detta pretesa sulla qualificazione
 del rapporto di lavoro instaurato dal sopraindicato  comune  con  tal
 Martini   Dilvo  come  avente  natura  subordinata,  anziche'  natura
 autonoma.
   Contestava detta qualificazione giuridica, atteso  che  il  Martini
 aveva  sottoscritto  un contratto d'opera con il comune de quo avente
 ad oggetto il trasporto degli alunni della scuola materna, e che,  in
 concreto,  la  prestazione eseguita dal Martini non aveva i requisiti
 della subordinazione, ne' tanto meno poteva ritenersi costituito  tra
 le parti un rapporto di pubblico impiego.
    Concludeva per la revoca del d.i. opposto.
    Si costituiva l'I.N.P.S. cosi' prospettando le proprie ragioni.
    Assumeva  che  l'Ispettorato  del lavoro, a seguito di sopralluogo
 del 20 giugno 1988 aveva accertato l'affidamento in via  continuativa
 dal 1 settembre 1983 al 31 marzo 1988, da parte del comune opponente,
 del  servizio  trasporto  alunni  da  e  per le scuole del territorio
 comunale al sig. Martini  Dilvo,  e  cio'  in  forza  di  un  formale
 contratto  d'opera,  mentre  il  concreto svolgimento del rapporto di
 lavoro corrispondeva in toto ad un rapporto di lavoro subordinato.
    Concludeva per la reiezione del ricorso.
    Nel corso di causa, a seguito  della  emanazione  della  legge  23
 dicembre  1992,  n.  498  (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 29
 dicembre 1992, serie generale, n. 304) e partitamente  dell'art.  13,
 l'I.N.P.S.  sollevava  eccezione  di incostituzionalita' nella citata
 norma per violazione degli artt. 3, 38, 101 e 104 della Costituzione.
    Analoghi ricorsi venivano presentati dal comune di  Asiago  e  dal
 comune di Foza. Riunite le cause e tutto cio' premesso.
                          OSSERVA IN DIRITTO
    Il  contratto stipulato tra il Martini ed il comune di Foza (cosi'
 come quelli indicati negli altri due ricorsi  riuniti)  rinnovato  di
 anno  in  anno,  e  formalmente  definito  d'opera,  prevede  che  il
 lavoratore - coltivatore diretto - si assuma  il  servizio  trasporto
 alunni  della  scuola  dell'obbligo  mediante  pulmino  di proprieta'
 dell'amministrazione comunale; il  comune  si  accolla  le  spese  di
 manutenzione,   gestione,   assicurazione  e  di  carburante,  indica
 analiticamente i percorsi da effettuarsi giornalmente; corrisponde al
 lavoratore un compenso giornaliero lordo.
    L'obbligo  del  lavoratore  consiste  nel  guidare detto pulmino e
 provvedere alla pulizia dello stesso.
    In altri contratti stipulati tra i comuni opponenti e i lavoratori
 la p.a. si e' inoltre riservata la facolta' di impartire direttive  e
 modifiche  unilaterali dei tempi e delle modalita' per l'espletamento
 del servizio (es. comune di  Asiago),  e  la  retribuzione  e'  stata
 determinata  ad ore (L. 7.000 orarie per cinque ore giornaliere, come
 risulta dal contratto stipulato dal comune di Asiago).
    Tenuto conto di tutti tali elementi, ritiene il g.l., in  adesione
 agli  assunti difensivi dell'I.N.P.S., doversi qualificare i rapporti
 di lavoro in oggetto come aventi natura subordinata e non autonoma.
    E cio' sia con  riferimento  ai  c.d.  "indici"  rivelatori  della
 subordinazione,   evidenziati   compiutamente   dalla   meno  recente
 giurisprudenza di  legittimita'  (inserimento  del  lavoratore  nella
 organizzazione  del  datore;  uso  di  mezzi  e strumenti del datore;
 assenza di rischio economico d'impresa; modalita' di retribuzione de-
 terminate in base  al  tempo  e  non  al  risultato  ecc.);  sia  con
 riferimento alla piu' recente giurisprudenza di legittimita' tendente
 a  rivalutare,  ai  fini  classificatori  del contratto di lavoro, la
 effettiva volonta' negoziale delle parti,  cosi'  come  manifestatasi
 non  solo  al momento della stipulazione del contratto ma anche nella
 fase esecutiva del rapporto, nella quale emerge quale sia l'effettivo
 assetto dei reciproci interessi effettivamente voluto dalle parti.
    Secondo tale orientamento vanno individuati come tratti distintivi
 del rapporto di lavoro subordinato, inteso  come  vincolo  giuridico,
 l'assoggettamento  ad  etero-direzione  (sinteticamente definito come
 "obbligo di obbedienza") (cfr. Cass. 10 luglio  1991,  n.  7608);  la
 continuita'  della  prestazione  nel  tempo,  di tal che il creditore
 della prestazione lavorativa puo' fare  affidamento  sulla  estesione
 nel  tempo  della  obbligazione, essendo impossibile contrattualmente
 per il lavoratore rifiutare in qualsiasi momento  l'esecuzione  della
 attivita'  (c.d.  obbligo  giuridico  di  rendere la prestazione); il
 coordinamento spazio-temporale della prestazione inteso come  vincolo
 contrattuale   circa  la  collocazione  spaziale  e  temporale  della
 prestazione  stessa  (e  non  come  modo   di   essere   storicamente
 osservabile dell'attivita' esecutiva del lavoro).
    Alla  luce  di tali criteri, i rapporti di lavoro in oggetto vanno
 qualificati come di lavoro subordinato.
    L'art. 13 della legge n. 498/1992 statuisce che: "le  province,  i
 comuni,   le   comunita'   montane  e  le  Ipab  non  sono  soggetti,
 relativamente ai contratti d'opera o per prestazioni professionali  a
 carattere individuale da essi stipulati, all'adempimento di tutti gli
 obblighi  derivanti  dalle  leggi  in  materia  di  previdenza  e  di
 assistenza, non ponendo in essere i  contratti  stessi,  rapporti  di
 subordinazione".
    Recita  il  secondo  comma: "le disposizioni di cui al primo comma
 hanno natura interpretativa e si applicano anche  ai  contratti  gia'
 stipulati alla data di entrata in vigore della presente legge".
    I  casi  di  specie  sottoposti  all'esame  del  giudicante  vanno
 decisamente risolti in applicazione di tale citata  norma,  in  forza
 della  quale  e'  inibita  al  giudice  la  facolta' di configurare i
 rapporti di lavoro sopra indicati come di lavoro subordinato, dovendo
 questi essere considerati, ope legis, di lavoro autonomo.
    Da    cio'    discende    la    rilevanza   della   questione   di
 incostituzionalita' eccepita  dall'I.N.P.S.  e  ritenuta  fondata  da
 questo  giudicante,  seppur per motivi parzialmente diversi da quelli
 enunciati dall'ente convenuto.
    Ed invero puo' dubitarsi della  incostituzionalita'  del  primo  e
 soprattutto  del  secondo  comma dell'art. 13 della legge n. 498/1992
 sotto vari profili.
    Il  primo  comma  appare  violare  il   principio   costituzionale
 dell'art. 36.
    Infatti  con  tale  norma  e'  detto  che  i soggetti pubblici ivi
 indicati  non  sono  soggetti  relativamente  ai  contratti   d'opera
 all'adempimento  di  tutti gli ogglighi derivanti da leggi in materia
 di previdenza ed assistenza, non ponendo in essere, questi contratti,
 rapporti di subordinazione.
    Gia' la Corte costituzionale con sentenza n. 121 del  23-25  marzo
 1993, dichiarando la parziale illegittimita' costituzionale dell'art.
 11 della legge 22 giugno 1961, n. 520, in relazione all'art. 36 della
 Costituzione  ha  precisamente  evidenziato  che non e' consentito al
 legislatore "negare  la  qualificazione  giuridica  dei  rapporti  di
 lavoro subordinati a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura,
 ove  da  cio'  derivi  l'inapplicabilita'  delle  norme  inderogabili
 previste dall'ordinamento  per  dare  attuazione  ai  principi,  alla
 garanzia  e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro
 subordinato".
    Nel caso in esame il legislatore ha inteso proprio contravvenire a
 tale divieto,  escludendo  comunque  l'applicazione  della  normativa
 previdenziale-assistenziale a rapporti che di fatto potrebbero essere
 ritenuti di lavoro subordinato.
    Sotto  questo  profilo  appare  poi  violato anche l'art. 38 della
 Costituzione.
    Va infine rilevato che il primo comma dell'art.  13  citato  viola
 inoltre  il  principio  di  uguaglianza  disposto  dall'art.  3 della
 Costituzione,  atteso  che   viene   introdotta   una   irragionevole
 distinzione  tra datori di lavoro privati e datori di lavori pubblici
 e, all'interno di  questi  ultimi,  tra  datori  di  lavoro  pubblici
 "privilegiati"  (comuni,  province,  Ipab,  comunita'  montane e loro
 consorzi) per i  quali  vale  la  regola  in  esame,  ed  altri  "non
 privilegiati"  (es.  regioni,  e  amministrazione  statale  o enti di
 emanazione degli stessi) esclusi dall'applicazione di tale regola.
    La violazione  del  principio  di  uguaglianza  riguarda  anche  i
 prestatori  di  lavori in favore degli enti pubblici citati dall'art.
 13 e lavoratori esercenti la medesima attivita'  per  conto  di  enti
 pubblici diversi da quelli tassativamente indicati dall'art. 13.
    L'irragionevolezza   della  norma  in  esame  appare  pertanto  di
 immediata percezione.
    La censura di incostituzionalita' del  primo  comma  dell'articolo
 citato  ha  rilevanza  nella  presente  controversia, atteso che tale
 disposizione, per effetto del secondo comma avente formalmente natura
 interpretativa, tende a disciplinare anche il caso di specie.
    Passando all'esame del secondo comma dell'art. 13  ritiene  questo
 giudicante che esso violi l'art. 3 della Costituzione.
    Ed  invero il secondo comma attribuisce natura interpretativa alle
 disposizioni del primo  comma,  conferendogli  efficacia  retroattiva
 ossia  la  possibilita'  di  applicazione  anche  ai  contratti  gia'
 stipulati al dicembre 1992.
    Questo   giudicante  dubita  della  natura  interpretativa  e  non
 innovativa della norma in esame.
    Ripetutamente la suprema Corte (es. Cass. 6 marzo 1992, n. 2740) e
 la Corte costituzionale (es. 28 gennaio 1993, n. 39) hanno  affermato
 che perche' una norma possa qualificarsi di interpretazione autentica
 non e' sufficiente la qualificazione riportata nel titolo o nel testo
 della norma, ma occorre indagare la sua reale natura.
    La  predetta  qualifica va riservata alla norma che si riferisca e
 si saldi con quella da interpretare ed intervenga esclusivamente  sul
 significato  normativo  di  quest'ultima,  senza  pero'  intaccare  o
 integrare il dato testuale ma  solo  chiarendone  o  esplicandone  il
 contenuto   ovvero  escludendo  od  enucleando  uno  dei  significati
 possibili,  e  cio'  al  fine  di  imporre  poi   all'interprete   un
 determinato significato normativo.
    Nel  caso  di  specie,  le  norme da interpretare, ossia quelle di
 qualificazione del rapporto (art. 2222 e segg. del codice  civile  ed
 art.  2094  del  codice  civile)  sono  chiare,  e  non  necessita di
 interpretazioni  autentiche,  soprattutto  se  in  riferimento   alla
 qualita' "personale" del datore di lavoro.
    Tale   norma   appare  dunque  confliggere  con  il  principio  di
 ragionevolezza desumibile dall'art. 3 della Costituzione.
    Va da ultimo rilevato che non appare  trascurabile  l'osservazione
 circa  il  reale "oggetto" della interpretazione "autentica" la' dove
 si fa riferimento non a norme di legge bensi' a contratti.
    L'interpretazione  autentica,  per  essere  tale,  deve  avere  ad
 oggetto norme generali ed astratte.
    Nel  caso in esame, l'interpretazione autentica riguarda contratti
 specifici, relativi  a  precisi  casi  concreti  (datore  di  lavoro;
 comune,  province  etc.; prestatore di lavoro con contratto d'opera o
 per prestazioni professionali), e  va  ad  interpretare  dei  veri  e
 propri fatti concreti.
    Se  appare  indubitabile  che  spetti  al legislatore il potere di
 effettuare  una  data  interpretazione  di  una  legge   o   di   una
 disposizione di legge, non essendo cio' di per se' lesivo della sfera
 riservata  al  potere  giudiziario,  non  sembra, ad avviso di questo
 giudicante, che cio' possa riguardare l'interpretazione dei contratti
 stipulati prima della emanazione della citata legge n. 498/1992,  ne'
 dei  rapporti  di  fatto  posti  in essere in esecuzione dei predetti
 contratti.
    In tal senso puo' dubitarsi della violazione, da parte delle norme
 in esame, degli artt. 101 e 104 della Costituzione.
    Sotto  altro  profilo  appare  infine  violato  l'art.  36   della
 Costituzione  il quale collega alle prestazioni di lavoro subordinato
 il  diritto  all'equa  retribuzione,   che   matura   contestualmente
 all'esecuzione  delle  predette prestazioni, cosicche' una esclusione
 ex post della natura subordinata del rapporto  finisce  per  incidere
 negativamente   sui   diritti  oramai  definitivamente  acquisiti  al
 patrimonio del lavoratore.
                               P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'(art.  13  della legge 23 dicembre
 1992, n. 498/92) (*) per contrasto con gli artt. 3, 36, 38, 101 e 104
 della Costituzione;
    Dispone  l'immediata  degli  atti del presente giudizio alla Corte
 costituzionale;
    Sospende il processo in corso e dispone che la presente  ordinanza
 sia notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri e
 comunicato ai Presidenti della Camera e del Senato.
      Vicenza, addi' 8 giugno 1993
                          Il pretore: PERINA
    (*)  Con ordinanza in data 21 luglio 1993, n. 3152/A cron., emessa
 ai sensi degli artt. 287 e 288 del c.p.c., questo pretore del  lavoro
 ha disposto correggersi il presente provvedimento nel seguente senso:
 la'  dove  nel  dispositivo si legge "art. 13 della legge 23 dicembre
 1992, n. 498/92" deve intendersi invece: "art. 13,  secondo  e  terzo
 comma,  della  legge  23  dicembre 1992, n. 948, nel testo sostituito
 dell'art. 6- bis del d.-l. 18 gennaio  1993,  n.  9,  convertito  con
 legge 18 marzo 1993, n. 67".
    Del cui la presente annotazione.
      Vicenza, addi' 13 agosto 1993
                        Il cancelliere: ORRICO

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