N. 725 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 - 22 novembre 1993
N. 725 Ordinanza emessa il 23 novembre 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale il 22 novembre 1993) dal pretore di Brescia nel procedimento penale a carico di Duina Santo Processo penale - Persona offesa costituita parte civile - Possibilita' di essere sentita nella forma di testimonianza anziche' di esame come per il responsabile civile e l'imputato - Lamentata disparita' di trattamento con incidenza sul diritto di difesa nei confronti di questi ultimi. Processo penale - Possibilita' di condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno anche quando la pronuncia penale e' fondata solo sulle dichiarazioni della costituita parte civile - Lamentata disparita' di trattamento tra imputati nonche' fra soggetti che propongono la domanda civile nel processo penale e quelli che invece la avanzano solo in sede civile - Violazione dei principi di ragionevolezza e del contraddittorio. (C.P.P. 1988, artt. 197, 208 e 538). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.51 del 15-12-1993 )
IL PRETORE Letti gli atti del proc. pen. n. 138/91 p.m.g. e n. 779/92 r.g. pretura circondariale di Brescia; OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO 1. - A seguito di indagini preliminari il p.m. rinviava a giudizio, dinnanzi a questo pretore, Duina Santo per rispondere del reato p. e p. dall'art. 341 del c.p. per avere offeso l'onore di Giglio Antonio, postino, a causa e nell'esercizio delle sue funzioni. All'odierno dibattimento Giglio Antonio si costituiva parte civile; il p.m. svolgeva la relazione e chiedeva ammetersi le prove come da lista ritualmente depositata (nella quale era indicato come testimone anche il Giglio suddetto); anche le altri parti provvedevano alle rispettive esposizioni e richieste di prove ex art. 493 del c.p.p. Questo pretore, ex art. 495 del c.p.p., ammetteva le prove e provvedeva, per quanto riguardava la testimonianza della costituita parte civile, con la presente ordinanza notificata alle parti nelle forme di legge. 2. - Con la presente ordinanza vengono impugnati gli artt. 197, 208 e 538 del c.p.p. in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione: a) nella parte in cui prevedono che, in dibattimento, le dichiarazioni della parte civile possano essere assunte nella forma della testimonianza; b) nei limiti in cui l'art. 538 consenta che il giudice penale pronunci condanna alle restituzioni e al risarcimento dei danni anche quando la pronuncia penale si fondi esclusivamente sulle dichiarazioni della costituita parte civile. 3. - Prima di passare al merito della questione una premessa si impone. Il processo e' forma della azione inteso il concetto di forma come struttura (Gestalt tedesco); per cui in subiecta materia assume rilievo il "come" un fatto (inteso questo in senso lato) venga evocato in giudizio. Infatti, per quanto afferisce proprio ai mezzi di prova, dagli artt. 191 e 192 del c.p.p. il "come", normativamente disciplinato, costituisce criterio di validita' del mezzo di prova e, quindi, di esistenza del fatto-oggetto della prova. Tant'e' che il giudice potra' desumere cio' solo attraverso mezzi di prova ritualmente acquisiti. E' evidente, allora, che la fondatezza o meno di una questione di legittimita' costituzionale nonche' la sua rilevanza (in astratto ed in concreto) va valutata proprio in riferimento alla suesposta "essenzialita'" delle forme nel processo. In tale contesto anche i parametri costituzionali di riferimento vanno adeguati alla suddetta connotazione delle norme processuali. Orbene l'art. 3 della Costituzione, come e' noto, impone ed esige identita' di disciplina normativa per identita' di situazioni fattuali; il che', applicato alle norme processuali e riferito alle forme di assunzione delle prove, impone ed esige che ad identita' di situazione deve corrispondere identita' di forma di assunzione. A sua volta l'art. 24 della Costituzione, per la parte che qui interessa, impone ed esige il principio del contraddittorio che, nel suo nucleo essenziale, connota ogni specie di processo; esso si concreta nella possibilita' che deve essere riconosciuta a tutte le parti del processo ed in eguale misura, di incidere sull'esito del giudizio. Ne consegue - atteso che la partecipazione delle parti al processo e' realizzata anche attraverso le forme di assunzione dei mezzi di prova - che, anziche' sotto tale prospettiva, una diversita' di disciplina tra le parti, circa la forma di assunzione delle loro dichiarazioni (pacificamente da ritenersi, nel processo penale, e ragionevolmente mezzi di prova sia che abbiano o non abbiano natura confessoria) oltre ad essere irragionevole verrebbe a ledere il principio suddetto. Tali precetti costituzionali, intesi nel senso suddetto, devono necessariamente trovare applicazione anche nel processo penale. Cio' non solo e non tanto perche' questo, con il d.P.R. n. 447/1988, si connota come processo di parti, quanto perche' essi sono a contenuto generale e certamente, come tali, non devono trovare deroga nel processo penale il cui scopo non puo' legittimare, sul punto, una diversa disciplina. 4. - Delineati i parametri costituzionali di riferimento e venendo al merito della questione sub 2/ a), e' opportuno delineare l'assetto normativo vigente. Come e' evidente dal disposto degli artt. 197 e 208 del c.p.p., nell'attuale sistema, la parte civile, ove sia a conoscenza dei fatti per cui si procede e ove il p.m. l'abbia indicata come testimone, deve essere assunta nella forma della testimonianza. A parere di questo pretore tale disciplina viola il disposto degli artt. 3 e 24 della Costituzione, come sopra connotati, se posta in relazione con quella delineata, sempre dagli artt. 197 e 208 del c.p.p., in riferimento sia al responsabile civile che all'imputato. Analiticamente, e in riferimento al primo termine di comparazione, e' noto che il responsabile civile, stante il chiaro tenore letterale dell'art. 197, lettera c), puo' essere assunto, nell'attuale sistema, solo nella forma dell'esame ex art. 208 del c.p.p. e non anche, con quella prevista invece, per la parte civile, della testimonianza (e cio' anche, argomentando dalle succitate norme, quando per ipotesi, sia a conoscenza dei fatti per cui si procede). Tale evidente disparita' di disciplina, in ordine alla forma di assunzione delle dichiarazioni, ridonda in disparita' di trattamento, atteso che, e cio' e' evidente, trattasi di dichiarazioni rese da parti che, sia dal punto di vista formale (in quanto tali) sia dal punto di vista sostanziale (in quanto la domanda della parte civile e' proposta proprio nei confronti del responsabile civile) si trovano nella medesima posizione processuale; per cui identica doveva essere la forma di assunzione delle rispettive dichiarazioni. Ma a questo punto e' necessario fare un passo innanzi. Dire che la diversita' di disciplina configura una disparita' di trattamento impone ed esige la individuazione di quella, tra le due prospettabili, conforme ai principi costituzionali alla quale, l'altra, ex art. 3 della Costituzione, si deve adeguare. Orbene, a parere di questo pretore, quella piu' conforme ad essa, nel caso di specie, e' proprio quella prevista dall'attuale art. 197, lett. c). A tal fine non si puo' non rimarcare che costituisce principio di civilta' giuridica (fatto proprio dagli ordinamenti piu' evoluti) che chi e' parte, in un processo non puo' assumere, sul punto, anche la veste di testimone. Orbene atteso che sia la parte civile che il responsabile civile sono indubbiamente delle parti (e il nuovo codice tra l'altro cosi' le identifica), la forma di assunzione di esse, oltre a dover essere identica, deve essere rispettosa di tale natura. Cio', giova ribadire, e' imposto sia dall'art. 3 della Costituzione sia anche dal principio del contraddittorio: la parte civile ed il responsabile civile sono, formalmente e sostanzialmente parti; per cui la forma di assunzione, rispettosa di tale precetto e' quella dell'esame ex art. 208 del c.p.p. Infatti solo in tal modo le due parti potranno partecipare al processo con gli stessi poteri. Quindi, traendo una prima e fondamentale conclusione, gli attuali artt. 197 e 208 del c.p.p., nella parte in cui prevedano l'assunzione della parte civile nella forma della testimonianza, sono illegittimi in quanto violano gli artt. 3 e 24 della Costituzione se riferita questa alla correlata forma di assunzione del responsabile civile (per il quale e' possibile, peraltro ragionevolmente, la sola forma dell'esame). Cio' impone l'adeguamento della prima disciplina a quest'ultima, atteso che e' essa quella che non altera la situazione concreta e che pertanto, rispetto all'altra, puo' ritenersi conforme ai principi costituzionali. 5. - Trattasi di valutare ora la prospettata illegittimita' della attuale disciplina se riferita a quella dell'imputato il quale, come e' noto (e qui per necessita' logica) va assunto esclusivamente nella forma di cui all'art. 208 del c.p.p. Anche qui occorre ribadire che il problema posto riguarda esclusivamente la disciplina dettata per la forma di assunzione. Orbene, sul punto, non si puo' non evidenziare che parte civile e imputato sono parti contrapposte in senso formale e sostanziale; per cui stante quanto detto al paragrafo 3), identiche devono essere ex art. 3 e 24 della Costituzione le forme di assunzione. Quindi "a contrario" l'attuale disciplina viola le suddette norme e cio' impone - stante la intrinseca e evidente impossibilita' che l'imputato assuma la veste di testimone di se stesso - l'adeguamento della forma di assunzione della parte civile a quella dell'imputato. 6. - A questo punto occorre prendere posizione circa alcuni concetti espressi dalla Corte costituzionale allorche' sono state poste questioni simili a quelle di cui alla presente ordinanza. Come noto la Corte, sul presupposto che il processo penale abbia lo scopo di accertare la verita', ritiene sostanzialmente che il legislatore sia libero di seguire o non limitazioni a mezzi di prova enucleati con riferimento a diversi sistemi processuali (quali quello del processo civile il cui scopo e' quello di risolvere un conflitto su diritti essenzialmente disponibili). Tali assunti della Corte a parere di questo pretore, non sono condivisibili. Cio' per le considerazioni che si verranno ad esporre. Innanzitutto e' da rilevare che qui non e' in discussione la necessita' o meno di adeguare il sistema penale a quello civile in merito alla prova; ma semmai quello di valutare, facendo riferimento al sistema penale, se la diversa forma di assunzione prevista tra le parti sia conforme ai precetti costituzionali come sopra individuati. In secondo luogo e' evidente che le forme di assunzione di un mezzo di prova non possono e non debbono essere lasciate ad una scelta libera del legislatore atteso che, anche in subiecta materia, sono individuabili principi costituzionali ai quali il legislatore e' vincolato. In terzo luogo, ammesso che il processo penale abbia lo scopo di accertare la verita' (che altro non e' accertare la sussistenza di un fatto-reato ed applicare al colpevole una adeguata pena), cio', comunque, deve avvenire nel rispetto delle regole comprese quelle sulle forme di assunzione dei mezzi di prova; per cui la legittimita' costituzionale di queste va valutata, non solo in riferimento allo scopo (che ex se non puo' costituire precetto legittimante regole di assunzione delle prove), ma anche in riferimento a principi costituzionali necessariamente autonomi da uno scopo. Tale autonomia di valutazione con la conseguenza che lo scopo non puo' assolutamente legittimare qualunque regola di assunzione dei mezzi di prova, e' talmente evidente sol che si pensi che tali regole non divengano in se' legittime se si conformano o consentono di realizzare al massimo lo scopo dato; ma lo sono se si conformano a principi costituzionali quali quelli del rispetto dei diritti umani, del principio di ragionevolezza e del diritto alla difesa (di cui il principio del contraddittorio, nel suo aspetto della necessita' che a tutte le parti vengano riconosciuti gli stessi poteri processuali, ne costituisce una estrinsecazione). Alla luce di tutto cio' si deve concludere che lo scopo non puo', in se', come sembra ritenere la Corte, legittimare la ammissibilita' della testimonianza della parte civile quando cio', per le ragioni suesposte, sia illegittimo costituzionalmente. Ma vi e' di piu'. Fino ad ora la obiezione della Corte e' stata valutata dal punto di vista logico; alle stesse conclusioni si deve giungere se la si valuta nella prospettiva piu' strettamente giuridico-formale. Infatti la premessa della Corte puo' anche ritenersi esatta ma essa va inquadrata necessariamente nell'attuale sistema processuale sulle prove improntato sul principio del libero convincimento. Come e' noto esso, in negativo, significa che, nel processo penale, non esistono prove che ex ante abbiano un valore probatorio legalmente stabilito; in positivo significa che ex ante tutti i mezzi di prova sono idonei a provare fatti (intesi in senso lato); e' il giudice che ex post ne valuta la idoneita' probatoria. Da cio' la logica conseguenza che, in astratto, le dichiarazioni delle parti, qualunque sia la forma di assunzione, hanno lo stesso valore probatorio (tant'e' che il giudice ha l'obbligo di motivare anche in negativo ove ritenga che un fatto in astratto desumibile da un mezzo non possa comunque ritenersi provato). In altri termini la forma, nel processo penale, pur costituendo criterio di esistenza del fatto, proprio sulla base del principio suddetto, non rileva circa il valore probatorio del mezzo assunto; per cui il pericolo paventato dalla Corte (l'eventuale inammissibilita' della testimonianza della parte civile sarebbe un "attentato" all'accertamento della verita' quale scopo del processo penale) non sussiste. Invero, comunque, ed in ogni caso, la parte civile coopera, come le altre parti, all'accertamento della verita' sia se viene assunta nella forma della testimonianza (come e' ora) sia se venisse assunta esclusivamente nella forma dell'esame delle parti (come sara' se la Corte dovesse aderire alle prospettazioni di questo pretore). Cio' in quanto nell'una e nell'altra ipotesi il valore probatorio delle due dichiarazioni ex ante e' il medesimo e ex post entrambe sono soggette al controllo del giudice da svolgersi secondo i medesimi criteri ex art. 192 del c.p.p. Quindi anche sotto tale prospettiva le obiezioni della Corte non hanno pregio atteso che la questione posta riguarda esclusivamente la forma di assunzione e non il valore probatorio (peraltro ex ante identico) delle due dichiarazioni. 7. - Ne' miglior sorte puo' avere l'ulteriore ed eventuale obiezione (che altro non e' che una "variazione sul tema"). Invero si potrebbe prospettare che la tesi di questo pretore si fonda sostanzialmente, su un assunto: la parte civile, il responsabile civile, l'imputato sono parti del processo penale; per cui identiche devono essere ex art. 3 e 24 della Costituzione le forme di assunzione delle loro dichiarazioni. Ma, si potrebbe obiettare, che i suddetti soggetti sono parti contrapposte in riferimento alle domande civili proposte ex art. 64 e seg. del c.p.p. e non anche nel processo penale. Ne conseguirebbe, allora, che il richiamo e l'applicazione dei principi costituzionali in riferimento alle succitate norme sarebbe ultroneo, atteso che esse riguardano il processo penale. Tale obiezione, a parere di questo pretore non puo' e non deve essere accolta. Essa suppone che l'accertamento sulla responsabilita' penale sia eterogeneo rispetto a quello afferente alla responsabilita' civile. Ma cio' non e'. E' il sistema stesso che dimostra che il simultaneus processus implica identita' di accertamento; infatti, accertata la responsabilita' penale dell'imputato risulta accertata automaticamente, senza possibilita' di discrasia, anche la responsabilita' civile. Analiticamente le prove che sono servite per accertare la responsabilita' penale devono essere alla base dell'accertamento di quella civile. E' evidente allora, che le forme di assunzione delle dichiarazioni delle parti, (mezzo di prova utilizzabile anche nell'accertamento della responsabilita' civile) per cio' stesso, devono essere identiche senza che sia legittimo eseguire dei "distinguo" tra accertamento penale ed accertamento civile, tra processo penale e processo civile atteso che tutto si svolge nelle forme del processo penale le quali, pertanto, non possono non essere adeguate ai suddetti principi costituzionali, stante il loro valore generale. 8. - Non si puo' quindi che concludere e ribadire che l'attuale 197 del c.p.p., lett. a), e' incostituzionale nei limiti in cui non preveda, tra le cause di incompatibilita' a testimoniare, anche quella della parte civile; e l'art. 208 del c.p.p. nei limiti in ui consenta che la parte civile possa essere esaminata come testimone e non come semplice parte ex art. 209 e segg. del c.p.p. Cio' per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione ove suddetta disciplina venga comparata con quella prevista per il responsabile civile e per l'imputato. 9. - In ordine, poi, alla questione enucleata sub 2/ b), come si evince dall'art. 538 del c.p.p., interpretato letteralmente e sistematicamente (sul punto e' interessante il collegamento con l'art. 651 del c.p.p.), alla condanna penale dell'imputato consegue automaticamente la condanna civile alla restituzione e al risarcimento dei danni. Cio' qualunque sia stato il mezzo di prova sul quale si sia fondato l'accertamento della responsabilita' penale. Orbene, se tale assetto viene collegato a massime desumibili dal diritto giurisprudenziale che consentono, ovviamente con l'obbligo della motivazione, di condannare anche sulla base della sola testimonianza della parte civile, si deve allora concludere che la condanna civile si potrebbe fondare, alla luce dell'attuale sistema, solo sulla base delle dichiarazioni (rese nella forma della testimonianza) della parte civile. Tale assetto normativo, a parere di questo pretore, e' incostituzionale. Invero vi e' innanzitutto da rilevare che le obiezioni eventuali della Corte, cosi' come sono state sopra enucleate, non possono assolutamente valere proprio in riferimento all'art. 538 del c.p.p. Invero, giova ribadire, tale norma riguarda la pronuncia sulle domande civili e non afferisce affatto alla responsabilita' penale (anzi consegue all'accertamento di essa). In secondo luogo, pertanto, ad essa si devono necessariamente applicare i principi costituzionali surrichiamati nella stessa misura nella quale essi hanno completa attuazione nel processo civile (almeno per quanto afferisce al valore probatorio delle dichiarazioni delle parti). Orbene, come e' noto, in questo vige la regola fondamentale, espressione del principio contradditorio, che le dichiarazioni delle parti in causa, salvo che non abbiano natura confessoria, non hanno alcun valore probatorio. E' chiaro allora che anche la pronuncia emessa ex art. 538 del c.p.p. deve ritenersi soggetta a tale fondamentale regola. Cio' e' imposto sia dal principio del contraddittorio surrichiamato, sia dall'art. 3 della Costituzione. Su quest'ultimo aspetto non si puo' non evidenziare, tra l'altro, che la possibilita', insita nell'attuale sistema, che la sentenza che accolga le domande civili si possa fondare sulla sola testimonianza della parte civile (pur con l'obbligo della motivazione sul punto), crea disparita' di trattamento tra soggetti in riferimento ai quali la domanda civile venga proposta nel processo penale e quelli, invece, contro i quali la domanda venga proposta solo in quello civile. Tale disparita' e' ancor piu' evidente ove si ponga mente che l'esercizio dell'azione penale spesso e' subordinato ad un atto di impulso della parte lesa prodromico alla stessa costituzione di parte civile. Tale disparita' si concretizza proprio nel fatto che, al contrario del processo civile, in quello penale l'imputato e i responsabili civili subiscono, anche per quanto afferisce la domanda civile proposta nei loro confronti, la "testimonianza" della parte civile, loro controparte. Quindi non si puo' non concludere che la disciplina delineata dall'art. 538 del c.p.p., nel momento in cui consente che il giudice penale debba accogliere le domande civili una volta accertata la responsabilita' penale senza che possa valutare la fondatezza della domanda civile anche sull' an riferendosi al sistema processuale civilistico, e' incostituzionale per violazione degli artt. 24 nel particolare aspetto del principio del contraddittorio e art. 3 atteso che ridonda in disparita' di trattamento tra imputati ovvero fra cittadini in riferimento ai quali l'azione civile sia stata esercitata nell'ambito del processo penale ovvero no; nel primo caso la loro responsabilita' civile potra' fondarsi anche solo sulle dichiarazioni della parte civile nel secondo caso cio' e' escluso. 10. - Come e' evidente da quanto detto sopra l'ultima questione posta, sostanzialmente, verrebbe ad interrompere quel legame stretto che vi e', nell'attuale sistema, tra accertamento penale e accertamento civile, riportando quest'ultimo nell'alveo delle norme delineate dal codice di procedura civile, al fine di consentire il pieno rispetto del principio del contradditorio anche quando esso si svolga nelle forme del processo penale. Tale pronuncia, giova evidenziare, non verrebbe affatto ad alterare l'attuale sistema che, su altri aspetti, ha attribuito autonomia alla pronuncia civile. A tal fine si possono citare, a mo' di esempio, gli artt. 573, 574 e 575 del c.p.p. ecc. Quindi la pronuncia, anche su questo punto, oltre a consentire di conformare il sistema ai precetti costituzionali, non altera il sistema; essa non fa altro che fissare autonomia tra le due decisioni anche in riferimento all'accertamento della responsabilita'. Peraltro le due questioni poste sono strettamente legate. Invero la necessita' che anche la parte civile venga, nel processo penale, esamina ex art. 208 del c.p.p. impone ed esige che, anche l'accertamento che il giudice penale compie ex art. 538 del c.p.p., sia pienamente rispettoso di tale fondamentale natura. Con la conseguenza che, se nel processo penale le dichiarazioni delle parti possono assumere il valore di mezzo di prova, cio' non puo' e non deve essere in riferimento all'accertamento, sulla fondatezza o meno, delle domande civili proposte nel processo penale. La diversa disciplina delineata dall'attuale sistema processuale penale viola quei valori che sono alla base di un tale precetto vale a dire il principio del contraddittorio e il principio di ragionevolezza e di parita' di trattamento. Ma se tutto cio' e' vero tali principi devono necessariamente valere solo in riferimento alla parte civile e non anche in riferimento alla parte offesa atteso che questa, indubbiamente, non e' parte in senso formale e quindi, in riferimento ad essa, alcuna disparita' di trattamento puo' essere prospettata ove venga esaminata come testimone ed ove il giudice fondi l'accertamento penale esclusivamente sulle dichiarazioni della parte offesa. 11. - entrambe le questioni, come sopra poste, sono rilevanti al fine di decidere il caso di specie. In ordine alla prima occorre evidenziare che il processo de quo e' stato sospeso prima di emettere l'ordinanza di cui all'art. 495 del c.p.p. Ne consegue che, ove la Corte dovesse ritenere fondata la questione, questo pretore ex art. 191/1 del c.p.p. dovrebbe ritenere inammissibile la testimonianza della costituita parte civile (ritualmente indicata nella relativa lista). E' evidente quindi, la rilevanza della questione. In ordine alla seconda e' evidente che essa non ha una immediata valenza nel processo de quo atteso che non si e' ancora nella fase processuale che impone ed esige l'applicazione della suddetta norma. Ma si reputa opportuno, per ragioni di economicita' porla fin da ora alla Corte; comunque, la si ritiene rilevante atteso che la suddetta norma trovera' sicuramente applicazione al caso di specie, condizione questa per poter ritenere rilevante la questione.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e segg. della legge n. 81/1953; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 197, 208 e 538 del c.p.p. in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione nei limiti di cui a parte motiva; Sospende il giudizio in corso; Dispone la trasmissione dei relativi atti alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria per gli avvisi e le notifiche di rito. Brescia, addi' 23 novembre 1992 Il pretore: TOSELLI 93C1221