N. 726 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 giugno 1993
N. 726 Ordinanza emessa il 4 giugno 1993 dal tribunale militare di Cagliari nel procedimento penale a carico di Lai Alberto Reati militari - Minaccia o ingiuria ad inferiore per cause estranee al servizio ed alla disciplina militare - Configurabilita' di tale reato - Condizioni - Necessita' che il fatto costitutivo del reato sia stato commesso alla presenza di militari riuniti per servizio - Irragionevolezza, tenuto conto che la semplice presenza di militari riuniti per servizio non puo' essere ragione valida per qualificare una condotta come minaccia ad inferiore in luogo, nel caso di specie, del piu' grave reato ipotizzabile di resistenza a pubblico ufficiale. (C.P.M.P., art. 199). (Cost., art. 3).(GU n.51 del 15-12-1993 )
IL TRIBUNALE MILITARE Premesso che nel procedimento n. 346 pl rnr nei confronti di Lai Alberto il p.m. ha richiesto a questo giudice di sollevare conflitto di giurisdizione ritenendo che la competenza a giudicare dei fatti di causa appartenga al giudice ordinario (in quanto tali fatti sarebbero stati commessi per cause estranee al servizio e alla disciplina) che gli ha trasmesso gli atti; Premesso altresi' che i difensori dell'imputato hanno richiesto che l'istanza del p.m. venisse respinta ex art. 199 del c.p.m.p. e che a domanda del collegio il p.m. ha precisato che dagli atti in suo possesso risulta che era presente, ai fatti di causa, una pattuglia di carabinieri, O S S E R V A Secondo il disposto di cui all'art. 199 del c.p.m.p. le disposizioni relative agli episodi di insubordinazione e di violenza, minaccia ed ingiuria contro inferiore non si applicano se i fatti in questione sono stati commessi per cause estranee al servizio ed alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio, e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave o aereo militare. Da cio' consegue che anche qualora il fatto costitutivo di reato sia commesso per cause del tutto estranee al servizio e alla disciplina militare ma alla presenza di militari riuniti per servizio, le norme del codice penale militare di pace, con conseguente competenza dei tribunali militari, trovano applicazione. Nel caso sottoposto al giudizio odierno di questo tribunale, dunque, poiche' (come ha precisato il p.m.) i fatti di causa sono stati commessi in presenza di carabinieri (militari) riuniti per servizio questo giudice avrebbe dovuto respingere l'istanza del p.m., ritenendo la propria competenza e disporre per l'ulteriore prosieguo del giudizio. Tuttavia una tale situazione sembra a questo tribunale contrastare con il disposto di cui all'art. 3 della Costituzione. La semplice circostanza della presenza di militari riuniti per servizio non puo' certo costituire di per se' sola ragione sufficiente per un verso per parificare nel trattamento penalistico (attribuendo la competenza per i reati previsti dal codice militare di pace) il fatto commesso per cause inerenti al servizio e alla disciplina a quello commesso per cause estranee, qalificando pero', d'altra parte, piu' lievemente, dal punto di vista della pena, l'episodio in questione punendolo ex art. 196, primo comma, del c.p.m.p. invece che 336, primo comma, del c.p. Infatti, dato che il brigadiere dei carabinieri che si ipotizza minacciato rivestiva (al momento dei fatti) senz'altro la qualifica di pubblico ufficiale e stava svolgendo funzioni di polizia impedendo l'accesso al pubblico in un locale, le ipotizzate minacce eseguite per costringere il medesimo a derogare i propri compiti sarebbero perseguibili ai sensi del primo comma dell'art. 336 del c.p. (che prevede come pena massima cinque anni di reclusione) se non si dovesse applicare la norma relativa alla minaccia ad inferiore (che prevede una pena massima di tre anni di reclusione militare). Deve peraltro evidenziarsi che pur essendosi gia' pronunciata la Corte costituzionale su una questione simile (sentenza n. 45 del 5 febbraio 1992) con dichiarazione di non fondatezza, questo collegio ritiene di dover riproporre la questione per una serie di motivi. Anzitutto le considerazioni svolte dalla Corte si riferiscono al rapporto tra l'insubordinazione con ingiuria (art. 189 del c.p.m.p.) e l'oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341 del c.p.) in cui il reato militare viene sanzionato piu' pesantemente rispetto a quello comune. Osserva la Corte "E' incontestabile che, in siffatte condizioni, sia dato riscontrare una significativa lesione del bene della disciplina militare idonea a giustificare un trattamento penale piu' severo, dato che la commissione del fatto in presenza di militari riuniti per servizio comporta un evidente pericolo di diffusione delle condotte inosservanti del rapporto gerarchico o dei doveri di comportamento del superiore. Tale presenza implica, inoltre in caso di insubordinazione, una ulteriore lesione della posizione di supremazia di quest'ultimo e, in caso di abuso di autorita', una menomazione aggiuntiva della dignita' del militare subordinato. La norma impugnata trova percio' razionale fondamento nelle esigenze di coesione dei corpi militari che stanno alla base della disciplina speciale, sicche' essa non puo' dirsi in contraddizione con lo spirito democratico cui va uniformato l'ordinamento delle Forze armate (art. 52, ultimo comma, della Costituzione). Ne' puo' ritenersi violato il principio di uguaglianza, dato che la circostanza in esame, per la sua gia' illustrata inerenza ad effettive esigenze di disciplina militare, costituisce sufficiente elemento di differenziazione sia rispetto ai reati militari contro la persona, sia rispetto al comune delitto di oltraggio". Quindi se le cosiderazioni svolte dalla Corte ritengono corretto un trattamento penale piu' severo, in base ai motivi enunciati, per i militari che commettono fatti perseguibili penalmente tanto dal codice penale militare quanto da quello ordinario, deve concludersi in primis che esse non possono riferirsi al capo in esame (essendo il rapporto della sanzione punitiva rovesciato questa volta a favore dei militari) ed inoltre che nel caso concreto volendo sanzionare adeguatamente i trasgressori dovrebbe applicarsi la norma che punisce piu' severamente gli stessi comportamenti. Ne' potrebbe obiettarsi che nel caso di specie dovrebbe applicarsi la circostanza di cui all'art. 47, n. 4, del c.p.m.p. poiche' quest'ultima costituendo una semplice circostanza farebbe aumentare la pena edittale solo di un terzo (e quindi la pena per il reato comune sarebbe comunque piu' elevata); inoltre per la dizione letterale contenuta nell'art. 199 "fuori dalla presenza di militari .." deve ritenersi che anche la presenza di due militari, pur non consentendo l'applicazione della circostanza consentirebbe invece di applicare le norme dei cap. terzo e quarto dei reati contro la disciplina militare. Inoltre a parere di questo collegio sembra opportuno sottolineare perche' i fatti in questione si sono svolti per cause estranee al servizio ed alla disciplina militare, nonche' come la dizione "fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio", normalmente chiarissima, in questo caso particolare, possa prestarsi a diverse interpretazioni. Nel caso sottoposto a questo collegio, come puo' rilevarsi dalla lettura del capo di imputazione contenuto nel decreto che dispone il giudizio, il fatto ipotizzato e' stato commesso a danno di un brigadiere dei carabinieri che svolgeva un servizio di ordine pubblico nell'ambito dei propri compiti di polizia di sicurezza. Il p.m. ha poi chiarito che il fatto in questione e' stato commesso alla presenza di altri carabinieri che ovviamente si trovano nel fatto per gli stessi motivi del brigadiere. Ora pur essendo certamente pacifico che i carabinieri sono militari, appartenendo all'E.I., non e' invece affatto chiaro se il compito assegnato loro nel caso di specie possa considerarsi "servizio" da un punto di vista militare (e se quindi il fatto possa ritenersi commesso per cause estranee al servizio) e i carabinieri possano dirsi riuniti per un servizio militare inteso. Come la dottrina ha evidenziato, infatti, accanto alle attivita' di polizia giudiziaria i carabinieri svolgono anche attivita' c.d. di "polizia di sicurezza" con compiti di vigilanza (controllo dell'attivita' dei privati al fine di evitare che vengano trasgredite le limitazioni imposte ad essa) e di prevenzione (tendenti ad evitare le infrazioni alla legge). Non puo' esservi dubbio, dalla lettura del capo d'imputazione, che il servizio svolto dal brigadiere Bendinelli e dalla relativa pattuglia si debba considerare proprio nell'ambito delle funzioni ora accennate di polizia di sicurezza. Orbene una tale attivita' non puo' considerarsi a parere del collegio, "servizio" nel senso classico del termine cioe' riguardante l'organizzazione militare ed i suoi fini propri. Ed allora potrebbe sostenersi che nel caso in esame poiche' il fatto ipotizzato e' stato commesso per cause estranee al servizio (oltreche' alla disciplina militare per i motivi che si diranno oltre) ed alla presenza di militari che pero' non erano riuniti per un servizio militare, tale fatto non debba essere punito ex art. 196 del c.p.m.p. bensi' ex art. 336 del c.p. Una tale soluzione pero' contrasta con la lettera dell'art. 199 del c.p.m.p. che non specifica, relativamente alla presenza dei militari riuniti per servizio, che il servizio stesso debba essere "militare" nel senso sopra precisato (mentre invece specifica che i fatti devono essere commessi per cause estranee al servizio o alla disciplina militare) rendendo applicabile la norma al caso di specie. A questo punto potrebbe obiettarsi, con l'inevitabile conclusione che il servizio in questione sia da considerare servizio da un punto di vista militare, che la nozione di servizio si ricava anche dai regolamenti militari e che quello dell'Arma dei carabinieri attribuisce a questi ultimi anche i compiti svolti nel caso di spe- cie. Ma, come e' stato osservato dalla dottrina e recepito dalla giurisprudenza a proposito dal reato di ubriachezza in servizio, se e' vero che per determinare la nozione di servizio si deve avere riguardo ai regolamenti e' anche vero che questi ultimi non possono sovrapporsi alla norma incriminatrice ed allargarne la normale sfera di applicazione, e quindi secondo il collegio, nel caso di specie, allargare l'ambito di applicabilita' dell'art. 199 del c.p.m.p. "militarizzando" dei compiti di polizia. In realta' a parere di questo collegio la singolarita' della situazione e le perplessita' sollevate in ordine all'applicabilita' dell'art. 199 del c.p.m.p. sono originate, nel caso in esame, proprio dalla particolare situazione giuridica dei carabinieri che pur appartenendo all'esercito svolgono quei compiti di polizia di sicurezza (di cui si e' gia' parlato) che con la nozione oggettiva di servizio in senso militare non hanno nessuna attinenza. Come poi e' stato osservato dalla Corte in una altra sentenza (n. 22 del 17 gennaio 1991) "nella disciplina dei reati di insubordinazione ed abuso di autorita' anteriore alla riforma del 1985, le "cause estranee al servizio ed alla disciplina militare" erano considerate come circostanze attenuanti. Piu' precisamente, per i reati di insubordinazione con violenza, minaccia o ingiuria la diminuzione di pena operava se il fatto risultava "commesso per cause estranee al servizio ed alla disciplina militare, fuori della presenza dei militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di aeromobile militare" (artt. 188 e 192, abrogati dall'art. 7 della legge n. 689/1985); per i reati di violenza, minaccia o ingiuria contro un inferiore, invece, bastava ad integrare l'attenuante la loro commissione "per cause estranee al servizio ed alla disciplina militare" (art. 197, abrogato dal medesimo art. 7). La riforma ha dunque inciso in un duplice senso: da un lato, trasformando le attenuanti in cause di esclusione dell'applicabilita' della normativa speciale, ed allineando in quella delimitazione i reati di abuso di autorita' e quelli di insubordinazione; dall'altro, introducendo ex novo, come elemento sufficiente all'integrazione di tali fattispecie - anziche' di quelle comuni - la commissione del fatto "in luoghi militari" diversi dalle navi o aeromobili." .. "Con l'innovazione in discorso, quindi il legislatore del 1985 ha operato un'estensione al criterio della "integralita'" del diritto penale militare, a scapito di quello della sua "complementarita'" rispetto al diritto penale comune: criterio che si caratterizza per l'adozione di principi pienamente autonomi rispetto a quest'ultimo e del quale (codesta) Corte - proprio a proposito dei reati contro la persona - ha ritenuto giustificata l'adozione solo per i reati militari meritevoli di particolare protezione (sentenza n. 213/1984). Piu' precisamente, l'incidenza del suddetto criterio e' stata ridotta escludendo l'applicabilita' della disciplina speciale laddove prima era riconosciuta una semplice attenuante". Questo giudice ritiene che la riforma del 1985 relativamente alla parte inerente ai militari riuniti per servizio (analogamente a quanto ritenuto dalla Corte per i fatti commessi in luoghi militari) non sia coerente con le esigenze di razionalizzazione e di riforma in senso democratico del sistema penale militare. L'adozione del criterio "integralistico" se e' comprensibile quando si tratta di esigere che durante il servizio militare siano garantiti il rispetto del rapporto gerarchico e l'osservanza dei doveri di comportamento derivanti dalla superiorita' in grado, non e' piu' giustificabile quando, come nel caso in esame, ci si trovi in presenza dello svolgimento di un servizio di polizia di sicurezza nell'ambito del quale venga ad instaurarsi una minaccia da parte di un militare (superiore nel grado) del tutto svincolata dal contesto del servizio militare proprio. In tali condizioni la consistente deroga al principio di proporzione tra fatto e pena che l'applicazione della disciplina speciale implica (a favore del militare) non puo' certo dirsi giustificata da adeguate ragioni (e quindi urta contro il principio di eguaglianza) solo perche' commesso alla presenza di militari riuniti per servizio. Una tale situazione anzi, dovrebbe comportare un aggravamento della pena a carico di chi riveste la qualifica di militare (per le comprensibili ripercussioni negative dell'episodio sia nell'ambito militare sia nel contesto sociale) e non una maggiore tenuita' della pena. Infine e' opportuno precisare che nel caso in esame il tribunale ritiene che i fatti siano stati commessi per cause estranee alla disciplina (oltreche' al servizio per i motivi gia' esposti) in quanto l'episodio in questione si inserisce in un contesto ed in un rapporto del tutto estraneo all'organizzazione gerarchica tipica delle forze armate e quindi estraneo alla disciplina militare. Infatti e' stato opportunamente osservato (TSM 7 marzo 1978, n. 68 in Rass. Giust. mil. 1978, 190), a proposito del reato di disobbedienza ma con argomentazioni valide anche nel caso in esame, che non puo' ravvisarsi un ordine attinente alla disciplina nella richiesta rivolta da un superiore (o ovviamente da un inferiore NDR) in un espletamento di un compito di p.g., quando tale richiesta si inserisca in un rapporto del tutto estraneo all'organizzazione gerarchica tipica delle FF.AA. e quindi estranea alla disciplina militare. A maggior ragione quindi deve concludersi che non puo' ritenersi inerente alla disciplina una minaccia rivolta da un sottotenente dell'Esercito italiano ad un brigadiere dei carabinieri a causa delle funzioni di polizia di sicurezza svolte da quest'ultimo ed in un contesto del tutto estraneo all'organizzazione gerarchica militare propria.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 199 del c.p.m.p. nei sensi di cui in motivazione con riferimento all'art. 3 della Costituzione; Ordina la sospensione del presente giudizio; Ordina l'immediata trasmissione agli atti alla Corte costituzionale; Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cagliari, addi' 4 giugno 1993 Il presidente: ROSELLA Il giudice estensore: FASOLI Depositata in cancelleria il 24 luglio 1993 Il funzionario di cancelleria: GALLUS 93C1222