N. 732 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 luglio 1993
N. 732 Ordinanza emessa il 9 luglio 1993 dalla corte di appello di Roma, sezione minorenni, sul ricorso proposto da Di Lazzaro Dalila Adozione - Possibilita' senza limiti, in base a norma pattizia internazionale (convenzione di Strasburgo), resa esecutiva in Italia e come tale non abrogabile con legge ordinaria, ne' quindi abrogata dalle successive leggi in materia, di adozione di minore anche da parte di un solo adottante - Denunciata irragionevolezza, oltre al contrasto con il principio dell'ordinamento italiano, che trova garanzia nelle norme della Costituzione sui diritti della famiglia e dei minori, secondo cui, a tutela dell'interesse del minore al suo inserimento in una vera famiglia, l'adozione e' permessa solo alla coppia di coniugi. (Convenzione di Strasburgo del 24 aprile 1967, art. 6, e legge 22 maggio 1974, n. 357). (Cost., artt. 3, 29 e 30).(GU n.51 del 15-12-1993 )
LA CORTE DI APPELLO Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento promosso da Di Lazzaro Dalila, nata a Udine il 29 gennaio 1953, residente a Roma ed ivi elettivamente domiciliata in via Luigi Settembrini, 28, presso l'avv. Maretta Scoca, che la rappresenta e difende per delega a margine dell'atto di reclamo. Premesso che con atto depositato l'11 dicembre 1992 la Di Lazzaro chiedeva al tribunale per i minorenni di Roma di voler "disporre, una volta effettuati tutti gli incombenti di legge, l'adozione da parte dell'istante di un minore", a norma dell'art. 6 della convenzione internazionale adottata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e resa esecutiva con la legge 22 maggio 1974, n. 357, perche' non coniugata; che il tribunale con decreto dal 18 marzo 1993 dichiarava inammissibile la domanda; che avverso tale provvedimento la Di Lazzaro proponeva reclamo, contestando l'affermata inoperativita' della norma pattizia; Viste le conclusioni del p.g.; R I T I E N E L'art. 29 della Costituzione definisce la famiglia come "societa' naturale fondata sul matrimonio" ed afferma l'obbligo della Repubblica di riconoscere i diritti che ad essa, cosi' intesa, competono. Il legislatore e' quindi vincolato - come afferma la migliore dottrina - a conservare l'assetto familiare quale e' apprezzato tradizionalmente dalla coscienza del nostro popolo, cioe' come "ordinamento giuridico originario, cellula elementare necessaria di vita sociale, principium urbis". E' pur vero che l'archetipo della famiglia come "agenzia" funzionale all'interesse della collettivita' e' stato sostituito dall'idea della famiglia come "luogo degli affetti", come sede di ricerca di gratificazioni affettive ed emotive; che conseguentemente la ratio della legislazione e' incentrata nella valorizzazione della persona e nella garanzia dei diritti dei signoli individui che la compongono. Ma non per questo e' venuta meno la funzione costituzionalmente affermata della famiglia. Tanto e' che e' pacificamente riconosciuto il diritto del minore ad essere allevato nella propria famiglia. Del pari e' consolidato il principio di cautela che vincola ogni giudizio sullo stato di abbandono. Solo accertata la inidoneita' dell'assistenza familiare e dichiarata l'adottabilita' del minore, alla famiglia di origine viene con l'istituto dell'adozione legittimante sostituita una nuova idonea famiglia. Pronunciata l'adozione, l'adottato diventa, a tutti gli effetti, filgio degli adottanti, con totale rescissione di ogni precedente rapporto. Tali effetti sono pienamente rispondenti al criterio della imitatio naturae dell'adozione, criterio cui rispondono la previsione di un limite al divario di eta' tra i soggetti del nuovo vincolo parentale e la necessita' che ad adottare sia una coppia di coniugi avente una comunanza continuativa di vita ed adeguate capacita' educative ed ablative. A queste finalita' rispondono le leggi sull'adozione speciale del 1967 e la legge 4 maggio 1983, n. 184, che ridisciplina la materia. Tali finalita' di contro non appaiono compiutamente perseguite dalla Convenzione in materia di adozione dei minori firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967, che pur ha il fine di tutelare il minore, atteso che nell'art. 6 permette illimitatamente l'adozione da parte di un solo adottante. La convenzione e' stata ratificata e resa esecutiva con la legge 22 maggio 1974, n. 357. Trattasi, quindi, di norme internazionali introdotte nell'ordinamento italiano con la forza di legge propria degli atti contenenti i relativi ordini di esecuzione e, perche' derivanti da una fonte riconducibile ad una competenza atipica, tali norme sono insuscettibili di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 10 del 12-19 gennaio 1993 in ordine alla Convenzione dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 ed al Patto internazionale sui diritti civili e politici firmato a New York il 19 dicembre 1966). Di conseguenza la menzionata disposizione dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo non puo' ritenersi abrogata dalla successiva legge 4 maggio 1983, n. 184, che, disciplinando l'adozione e l'affidamento dei minori, ribadisce il principio che "il minore ha diritto di essere educato nell'ambito della propria famiglia" (art. I) e limita a casi particolari la possibilita' di adozione del minore da parte di una singola persona (art. 44). Peraltro lo stesso art. 1, primo comma, della normativa fa espressamente salve le leggi speciali e, secondo la dottrina piu' accreditata, il procedimento dell'ordine di esecuzione conferisce natura speciale alle norme pattizie e le rende immodificabili da leggi successive, finche' l'ordine di esecuzione stesso non sia revocato. Cio' in attuazione del primo comma dell'art. 10 della Costituzione, in forza del quale "l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute", e nel rispetto del principio di diritto internazionale, pure generalmente riconosciuto, per il quale pacta sunt servanda. Ne' possono essere consentiti dubbi sulla applicazione immediata dell'art. 6 della Convenzione europea, atteso che il legislatore italiano ha completamente regolato il complesso sistema di adozione dei minori in stato di abbandono. Parimenti indubbia e' la portata generale della disposizione pattizia, che esclude ogni limite a che l'adozione avvenga anche da parte di un singolo adottante. La corte di cassazione, con la sentenza n. 944 del 7 settembre 1991, ha di contro affermato che "il principio di cui all'art. 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, inteso nel senso che l'adozione e' permessa soltanto alla coppia di coniugi e non ai singoli componenti di essa, costituisce principio fondamentale della materia" in tema di diritto di famiglia e dei minori. Per vero la fattispecie presa in esame e la relativa pronuncia afferivano l'ipotesi di un aspirante adottante coniugato, onde l'adozione si risolveva "per le sue evidenti implicazioni sugli equilibri familiari, in un serio pericolo per l'unita' della famiglia, che il nostro Costituente ha ritenuto bene di tale rilevanza da considerarlo addirittura prevalente, sia pure entro limiti eccezionali, sul principio di uguaglianza dei coniugi". Per quanto concerne il caso sottoposto all'esame della Corte l'adozione determinerebbe una evidente violazione dei diritti del minore, ingiustificatamente privato di una delle figure genitoriali. Sottolinea la suprema Corte nella citata pronuncia "che l'istituto dell'adozione mira a dare al minore che ne sia privo una famiglia degli affetti strutturata sul modello di quella naturale, assicurando il migliore sviluppo possibile della sua personalita' con garanzia di entrambi i genitori e quindi con l'aiuto psicoaffettivo e l'assistenza materiale e morale che sono normalmente offerti dal padre e dalla madre". Per le svolte considerazioni la possibilita' di adozione consentita dall'art. 6 della Convenzione di Strasburgo alla singola persona appare porsi in contrasto con il dettato costituzionale degli artt. 29 e 30, che tutelano i diritti della famiglia e dei minori che della stessa fanno parte. La stessa norma pattizia appare di non sicura costituzionalita' anche sotto il profilo della irragionevolezza della statuizione e quindi violatrice dell'art. 3 della Costituzione. Nell'ambito dei principi enunciati dal primo comma di detto articolo la dottrina ha posto in rilievo che "il legislatore sarebbe vincolato a non porre in essere discipline intimamente incoerenti e contraddittorie" e che "per riconoscere le disarmonie in parola occorre rifarsi agli scopi perseguiti dal legislatore" o "agli interessi che si sono voluti tutelare ed alla congruita' di tale tutela". Ha inoltre evidenziato che vi e' "l'esigenza (costituzionale) che il legislatore sviluppi il contenuto normativo di ogni disposizione, estenda la disciplina contenuta in essa a tutte le ipotesi in cui lo richiede la ratio che vi presiede". E' dunque necessario far riferimento alla ragionevolezza dello scopo perseguito dal legislatore per valutare la costituzionalita' della diversita' di regolamentazioni tra statuizioni consimili. Autorevolmente e' stato sottolineato che "puo' esservi inoltre necessita' di rapportare la norma denunciata unicamente con un principio generale, nel presupposto che essa distingua illegittimamente una situazione che avrebbe dovuto rimanere pur essa regolata da quel principio; oppure la comparazione puo' mancare di un secondo termine di comparazione quando si deduce l'illegittimita' di una norma per la sua incompletezza, in quanto regola una fattispecie descritta in modo da escludere componenti che ne modificano la sostanza e da non permettere ingiustificatamente una protezione integrale o da non sanzionare senza ragione tutti gli attegiamenti della fattispecie reale". Svolgendo i principi indicati, la Corte costituzionale ha con il termine "ragionevolezza" specificato le condizioni che il legislatore deve rispettare, pervenendo - in qualche sentenza - ad usare anche la terminologia di "eccesso nello esercizio del potere discrezionale del legislatore". Il requisito della "idonea ragione", del "ragionevole motivo", dell'assenza di "arbitrarieta'", di "presupposti logici obiettivi", del limite della ragionevolezza sono stati richiesti dalla Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 46 del 1959 e di continuo. La sentenza n. 54 del 1968 fa riferimento, per il giudizio di razionalita' di una certa disciplina, "anche alla funzione od allo scopo a cui essa e' preordinata", scopo individuato attraverso la rappresentazione degli interessi che tutela. Esaminando sotto tali aspetti il caso di specie, appare incontrovertibilmente che tutta la legislazione italiana e la stessa Convenzione di Strasburgo siano ispirate all'intento di dare una famiglia al minore che ne e' privo, garantendogli tranquillita', benessere e sana educazione. Tale scopo e' contrastato dalla disposizione dell'art. 6 delle norme pattizie che, non ponendo alcun limite alla possibilita' di adozione da parte della persona singola, frustra il diritto del minore ad essere inserito in una famiglia ed il diritto di questa a svilupparsi secondo i canoni costituzionali. Si appalesano quindi elementi di contraddizione, di non coesione, di carenza logica, di irragionevolezza del menzionato art. 6 nella sua non limitata accezione. Di conseguenza non puo' ritenersi manifestamente infondati sotto gli evidenziati profili la questione di incostituzionalita' della norma pattizia invocata dalla Di Lazzaro a sostegno della proposta domanda di adozione, questione che la Corte ritiene di dover rilevare d'ufficio.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6 della Convenzione europea in materia di adozione dei minori stipulata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e resa esecutiva con legge 22 maggio 1974, n. 74, n. 357, in relazione agli artt. 29, 30 e 3 della Costituzione della Repubblica nella parte in cui permette senza limiti l'adozione di un minore da parte di un solo adottante; Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso; Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alla parte, al p.g. ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e che sia, altresi', comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso nella camera di consiglio del 9 luglio 1993. Il presidente: MORSILLO Il consigliere estensore: (firma illeggibile) 93C1228