N. 733 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 ottobre 1993

                                N. 733
       Ordinanza emessa l'8 ottobre 1993 dal tribunale di Torino
 sull'impugnazione proposta dal p.m. nei confronti di Morabito Antonio
 Processo penale - Misure cautelari - Divieto di custodia cautelare
    per  la  persona  affetta  da  HIV e nei casi di AIDS conclamata -
    Disparita'  di  trattamento,  in  punto  di  liberta'   personale,
    rispetto  a  soggetti  affetti dalla stessa patologia, ma in stadi
    diversi, e a quelli affetti da patologie diverse altrettanto gravi
    e irreversibili.
 (C.P.P. 1988, art. 286-bis aggiunto dal d.-l. 14 maggio 1993, n. 139,
    art. 1, primo comma, convertito in legge 14 luglio 1993, n. 222).
 (Cost., art. 3).
(GU n.52 del 22-12-1993 )
                             IL TRIBUNALE
    Riunito in camera di consiglio in fuzione di organo  designato  ai
 sensi  degli  artt.  309,  310 e 324 del c.p.p. ha emesso la seguente
 ordinanza  sull'impugnazione  presentata  dal  p.m.   nei   confronti
 dell'ordinanza  in data 13 settembre 1993 g.i.p. di Torino n. 6752/93
 r.g. g.i.p.  reiettiva  dell'istanza  di  applicazione  della  misura
 cautelare  della  custodia  in  carcere  nei  confronti  di  Morabito
 Antonio; rilevata la ritualita' e la tempestivita' dell'impugnazione;
 sentito il Morabito nella camera di  consiglio  del  6  ottobre  1993
 (p.m. e difensore avvisati non comparsi);
                             O S S E R V A
    In  data  12  settembre  1993 il p.m. richiedeva applicarsi in via
 esclusiva la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti
 di Morabito Antonio, indagato in ordine ai reati di  cui  agli  artt.
 628,  582,  585,  e  337  del  c.p. In esito all'udienza di convalida
 (nella quale il p.m. ribadiva la  suddetta  richiesta)  il  g.i.p.  a
 seguito  degli  accertamenti  svolti  presso la Casa circondariale di
 Torino, rigettava, con l'ordinanza di cui in epigrafe,  la  richiesta
 di  applicazione  della  misura,  trattandosi  di  persona affetta da
 A.I.D.S. conclamata ed  essendo  pertanto  operativo  il  divieto  di
 custodia in carcere ex art. 286- bis del c.p.p.
    Avverso  tale ordinanza il p.m. proponeva impugnazione ex art. 310
 del c.p.p. sollevando eccezione di  legittimita'  costituzionale  del
 suddetto  art.  286-  bis del c.p.p. per violazione degli artt. 2, 3,
 111 e 101 della Costituzione.
    La questione e' da considerarsi rilevante, avendo il p.m. nel caso
 di specie richiesto in  via  esclusiva  l'applicazione  della  misura
 cautelare piu' gravosa ravvisando il concreto ed elevato pericolo che
 il   Morabito  (pluripregiudicato  per  reati  della  stessa  specie,
 tossicodipendente e privo di una qualsivoglia attivita'  lavorativa),
 qualora   posta  in  liberta'  o  in  stato  di  custodia  attenuata,
 reiterasse analoghe condotte criminose, ed avendo omesso il g.i.p.  -
 applicando   la  norma  in  questione  e  disponendo  la  liberazione
 dell'indagato - ogni valutazione circa  la  sussistenza  e  il  grado
 delle  esigenze  cautelari  in  concreto esistenti. Essendo dunque il
 tribunale investito  della  decisione  circa  l'applicabilita'  e  la
 scelta   della  misura  cautelare,  il  giudizio  sulla  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  286-  bis  del   c.p.p.   risulta   dunque
 pregiudiziale per una corretta valutazione in tal senso.
    Riguardo  alla fondatezza della questione, ritiene il tribunale di
 non condividere  quanto  sostentuto  nell'atto  di  impugnazione  con
 riferimento al contrasto della norma in parola con gli artt. 2, 111 e
 101 della Costituzione.
    Assume   il  p.m.  appellante,  quanto  alla  asserita  violazione
 dell'art. 2  della  Costituzione  che  l'art.  286-  bis  del  c.p.p.
 smentirebbe  l'assunto  di  una  generalizzata  garanzia  dei diritti
 inviolabili dell'uomo - tra i quali vi e' quello di  ricevere  tutela
 nei  confronti  di  chi aggredisca i propri interessi - facendo venir
 meno detta tutela a chi abbia subito aggressione degli  interessi  ad
 opera   di  soggetti  affetti  da  A.I.D.S.  conclamata  o  da  grave
 deficienza immunitaria.
   Rileva il tribunale, da un lato, che l'art. 286- bis del c.p.p. non
 prevede il divieto assoluto di applicabilita' delle misure  cautelari
 nei  confronti  dei soggetti affetti da A.I.D.S conclamata, cossiche'
 le  esigenze  di  tutela  in  questione  potrebbero  comunque  essere
 soddisfatte,  con riferimento a detti soggetti, con l'adozione di una
 misura cautelare diversa dalla  custodia  in  carcere,  quale  quella
 (detentiva) degli arresti domiciliari.
    Va  osservato,  d'altro  lato,  che  i diritti di tutela cui si fa
 cenno appaiono legittimamente comprimibili in presenza  di  un  altro
 diritto  fondamentale  dell'individuo,  costituzionalmente garantito,
 quale quello alla salute  di  cui  all'art.  32  della  Costituzione,
 diritto  -  che  in un giudizio di bilanciamento - appare nel caso di
 specie prevalente rispetto a quello asseritamente leso dalla norma in
 parola.
    Quanto poi al ritenuto contrasto dell'art. 286- bis con  gli  art.
 111  e  101 della Costituzione, si rileva in primo luogo che lo stato
 di incompatibilita' con la detenzione derivante dalla patologia - nei
 termini indicati dalla norma - e' stabilito ex  lege  analogamente  a
 quanto  si  verifica  per altre particolari situazioni - quali quella
 della  donna  incinta  o  che  ha  partorito  da  meno  di  sei  mesi
 disciplinata  dall'art.  146  del  c.p.,  ovvero quella della persona
 incinta o che allatta disciplinata dall'art. 275/4 del  c.p.p.  -  in
 relazione  alle  quali  e' stato ritenuto prevalente il diritto della
 donna alla salute sua e del nascituro, o del neonato,  rispetto  alla
 necessita'  di  sottoporre  la  persona  allo stato di detenzione. In
 tutte le ipotesi  sopra  indicate  -  riguardo  in  particolare  alla
 asserita  violazione  dell'art. 111 della Costituzione - l'obbligo di
 motivazione appare comunque assolto, considerato che il provvedimento
 che esenta la persona dalla custodia in carcere  viene  adottato  dal
 giudice dopo aver espletato gli accertamenti del caso e verificato la
 sussistenza  dei presupposti richiesti dalla legge, di cui viene dato
 conto nel provvedimento stesso.
    La questione sollevata deve invece  ritenersi  non  manifestamente
 infondata  sotto  il  profilo  della  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione.
    Come  esattamente  rilevato  dal   p.m.   appellante,   non   sono
 ravvisabili  ragioni  - di carattere logico o scientifico, o di altra
 natura - per riservare ai soggetti affetti da A.I.D.S.  conclamata  o
 da  grave  deficienza  immunitaria  un  trattamento diverso da quello
 previsto per  le  persone  affette  da  malattie  altrettanto  gravi,
 irreversibili e ingravescenti per le quali ultime (ai sensi dell'art.
 275/4 del c.p.p.) l'esenzione dalla custodia in carcere non deriva da
 una statuizione di carattere generale collegata al tipo di patologia,
 bensi'   da   un   accertamento  da  operarsi  caso  per  caso  sulla
 compatibilita'  delle  condizioni  di  salute   con   la   detenzione
 carceraria,  e  sempre  che  non  sussistano  esigenze  cautelari  di
 eccezionale rilevanza.
    Non vi e' dubbio che nei confronti di soggetti affetti da A.I.D.S.
 conclamata o da grave  deficienza  immunitaria  sia  formulabile  una
 prognosi  infausta  quoad  vitam: cio' che rileva, tuttavia, se si ha
 riguardo al disposto del citato art. 275/4 del c.p.p.  e  alla  ratio
 della  norma,  non  e' la mortalita' o meno della malattia, bensi' la
 gravita' delle condizioni di salute di chi da un grave  patologia  e'
 affetto,  gravita'  che  impedisce l'applicazione, o il mantenimento,
 della custodia in carcere.
    Premesso che la valutazione  (di  tipo  statistico)  a  cui  viene
 ancorato  il  discrimine  tra  le  fasi della malattia che comportano
 incompatibilita' ope legis e quelle che richiedono  invece  un  esame
 caso  per caso riguarda il numero dei linfociti T 4, non pare potersi
 sostenere che le condizioni di salute dei soggetti colpiti  da  grave
 deficienza  immunitaria  o da A.I.D.S. conclamata siano piu' gravi di
 quelle registrabili in stadi diversi della malattia, ovvero di quelle
 delle persone affette da altre patologie, nel  senso  che  comportino
 sempre   e   comunque   l'assoluta  incompatibilita'  con  il  regime
 carcerario.
    Se  dunque   come   rilevato   dall'appellante,   "una   polmonite
 interstiziale  da  cytomegalovirus,  o  una  lesione  neurologica  da
 toxoplasma gondii, o una encefalite da cytomegalovirus, a parita'  di
 numero  di  linfociti  T  4,  sono ben piu' gravi di una esofagite da
 candida albicans",  allo  stesso  modo  par  e  arbitrario  stabilire
 aprioristicamente  che  le condizioni di salute di chi sia colpito da
 tale ultima  patologia  siano  piu'  gravi  di  chi  sia  affetto  da
 metastasi neoplastiche, da patologie degenerative cardiache, da gravi
 angiopatie diabetiche.
    Non  appare  in  conseguenza  individuabile  -  nei  confronti dei
 soggetti indicati dall'art. 286- bis del c.p.p. - una  situazione  di
 eccezionalita'  che giustifichi la disparita' di trattamento rispetto
 ai soggetti colpiti da infezione da H.I.V. in stadi (convezionalmente
 definiti)   diversi,  ovvero  rispetto  a  quelli  affetti  da  altre
 patologie. Tale situazione di eccezionalita'  non  puo'  essere,  tra
 l'altro,   ricollegata  alla  infettivita'  della  malattia  (il  che
 verrebbe a incidere sull'interesse collettivo,  garantito  a  livello
 costituzionale,  alla  salute),  posto  che  tale  caratteristica  si
 riscontra anche in stadi diversi  della  malattia,  ovvero  in  altre
 patologie.
   Da  cio'  deriva, per esemplificare, che per un soggetto affetto da
 una  grave  forma  di  nefropatia  -  che  notoriamente  comporta  la
 necessita'  di  cure costanti e difficilmente praticabili in stato di
 detenzione - si imporra', qualora sussistono  esigenze  cautelari  di
 eccezionale rilevanza, la custodia in carcere, mentre per un soggetto
 affetto  da  candidosi esofagea (come nel caso del Morabito) operera'
 il divieto di cui all'art. 286- bis del c.p.p.
    Pare allora  potersi  individuare,  con  riferimento  ai  soggetti
 indicati  dalla  norma  in questione, ai quali non puo' applicarsi la
 custodia in carcere in virtu' di una situazione (valutata in  base  a
 criteri  statistici)  che  non  presenta  per  - le ragioni esposte -
 caratteri di eccezionalita', una disparita' di trattamento rispetto a
 soggetti affetti dalla stessa patologia in stadi diversi e da  quelli
 affetti  da  diverse  -  e  altrettanto  gravi sotto il profilo della
 incompatibilita' con il regime carcerario - patologie, nei  confronti
 dei  quali  deve  invece essere operata una valutazione discrezionale
 caso per caso, oltretutto superabile dalla  sussistenza  di  esigenze
 cautelari di eccezionale rilevanza.
    La  rilevanza  e la non manifesta infondatezza della questione nei
 termini sopra indicati impone ex lege l'immediata trasmissione  degli
 atti  alla  Corte  costituzionale,  e  la conseguente sospensione del
 giudizio in corso.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio  1948,  n.
 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ordina    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale, e sospende il giudizio in corso;
    Ordina che a cura della cancelleria  l'ordinanza  di  trasmissione
 degli  atti alla Corte costituzionale sia notificata alle parti ed al
 pubblico ministero, nonche' al presidente del Consiglio dei Ministri,
 e che la stessa sia comunicata ai Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
      Torino, addi' 8 ottobre 1993
                         Il presidente: ARAGONA
                                         Il giudice estensore: PIRONTI
 93C1236