N. 736 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 settembre 1993

                                N. 736
  Ordinanza emessa il 23 settembre 1993 dal tribunale di sorveglianza
 di Sassari sull'istanza proposta da Costa Giovanni
 Ordinamento penitenziario - Divieto di concessione di benefici per
    gli  appartenenti alla criminalita' organizzata o per i condannati
    per determinati delitti - Ammissibilita' ai benefici solo in  caso
    di  collaborazione con la giustizia - Ingiustificata disparita' di
    trattamento con incidenza sul principio di irretroattivita'  delle
    norme penali sfavorevoli.
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, primo comma, modificato
    dal  d.-l.  8  giugno  1992,  n.  306,  art.  15,  convertito, con
    modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356).
 (Cost., artt. 3, secondo comma, e 25, secondo comma).
(GU n.52 del 22-12-1993 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Ha pronunciato la seguente ordinanza in materia di misure alterna-
 tive alla detenzione nel procedimento instaurato ai sensi degli artt.
 48 e 50 della legge n. 354/1975 e successive modifiche,  per  l'esame
 dell'istanza di ammissione al regime di semiliberta' nei confronti di
 Costa Giovanni nato il 26 dicembre 1936 a Nuoro, ristretto nella casa
 circondariale  di  Nuoro  in  espiazione  della  pena  di  anni 28 di
 reclusione, inflittagli con sentenza emessa in data 26  gennaio  1985
 della  Corte  di  assise  di  appello di Cagliari per il reato di cui
 all'art. 630 del c.p.;
    Rilevato che il suddetto, regolarmente citato a comparire  dinanzi
 a questo tribunale, non e' comparso all'odierna udienza;
    Rilevato che il p.m. ed il difensore hanno concluso come in atti;
                            FATTO E DIRITTO
    Nel  corso  dell'odierna  udienza  la  difesa di Costa Giovanni ha
 eccepito l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4-  bis,  primo
 comma,  della  legge  n. 354/1975, cosi' come modificato dall'art. 15
 del d.-l. n. 306/1992, convertito con modificazioni  nella  legge  n.
 356/1992,  sulla  base delle motivazioni che di seguito brevemente si
 riportano.
    1)  Assunto  contrasto  con  l'art.  25,  secondo   comma,   della
 Costituzione:
      "Il  principio  di  irretroattivita',  nel  caso  di  specie, ne
 risulterebbe violato in quanto il Costa,  fin  dal  16  ottobre  1991
 aveva  maturato  i termini per poter fruire dell'ammissione al regime
 di semiliberta'.
    Oltre all'avvenuta espiazione di oltre meta' della pena, il  Costa
 risultava  infatti  aver  gia'  intrapreso  il  processo  rieducativo
 (concretantesi a quel tempo con la  regolare  fruizione  di  permessi
 premio) di cui la semiliberta' appariva la naturale evoluzione.
    Sin   da   quella   data  il  Costa  vantava  il  diritto  a  che,
 verificandosi  le  condizioni  poste  dalla  norma  sostanziale,   il
 protrarsi   della   realizzazione   della  pretesa  punitiva  venisse
 riesaminato al fine di accertare se  la  quantita'  di  pena  espiata
 avesse o meno assolto positivamente al fine rieducativo.
    Con   la   modificazione   dell'art.   4-   bis   o.p.,   avvenuta
 successivamente alla data del 16 ottobre 1991, questo riesame  veniva
 assolutamente  precluso,  non trovandosi il Costa nella condizione di
 poter collaborare con la giustizia ai sensi dell'art. 58- ter o.p.".
    2)  Assunto  contrasto  con  l'art.   27,   primo   comma,   della
 Costituzione:
      "Con  il  sancire  che la responsabilita' penale e' personale la
 Costituzione ha  statuito  non  solo  la  personalita'  dell'illecito
 penale, ma anche la personalita' della sanzione penale, nel senso che
 la  pena  deve  essere  adeguata sia alla gravita' del fatto che alle
 condizioni personali dell'agente.
    Detto  principio  e'  da  ritenersi  operante  anche  nella   fase
 esecutiva, in cui la sanzione trova effettiva applicazione.
    Con  l'applicazione dell'art. 4-bis, cosi' come modificato, stante
 il dichiarato intento del legislatore di scoraggiare la  reiterazione
 di condotte criminose partcolarmente gravi, il condannato finisce per
 diventare   uno   strumento   utilizzato   dal   legisaltore  per  il
 raggiungimento di finalita' di prevenzione generale, cosi  risultando
 irrimediabilmente violato il principio di colpevolezza".
    3) Assunto contrasto con l'art. 3 della Costituzione:
      "L'applicazione  retroattiva dell'art. 4- bis rende possibile il
 concretarsi di  un  trattamento  disuguale  tra  quei  soggetti  che,
 all'entrata  in  vigore della nuova norma, erano gia' stati ammessi a
 fruire delle misure alternative  alla  detenzione  e  quei  soggetti,
 anche  concorrenti nel medesimo reato (caso del Costa Giovanni), che,
 alla data di entrata in vigore del  d.-l.  n.  306/1992,  pur  avendo
 scontato  oltre  meta'  della  pena e trovandosi nelle condizioni per
 essere ammessi  alla  semiliberta',  ancora  non  ne  avessero  fatto
 richiesta,   o   nei  cui  confronti,  pendente  il  procedimento  di
 sorveglianza, non fosse ancora intervenuta alcuna decisione.
    Il  ritardo  nella  fissazione  dell'udienza  di  discussione   ha
 precluso,  prescindendosi  da  qualsiasi  considerazione  sul merito,
 l'ammissione al beneficio richiesto".
    Queste le motivazioni, seppur qui richiamate in forma riassuntiva,
 addotte dalla difesa di Costa Giovanni.
    In relazione a tali questioni, il tribunale di sorveglianza.
                             O S S E R V A
    Questo collegio, pur riconoscendo la  non  manifesta  infondatezza
 della  questione  di  illegittimita' Costituzionale di cui al punto 2
 della memoria presentata dalla  difesa  di  Costa  Giovanni,  ritiene
 superfluo riproporre all'attenzione della Corte tale censura.
    L'eccepita  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4- bis ord.
 pen., in riferimento all'art. 27, primo  comma,  della  Costituzione,
 cosi'  come  sollevata dalla difesa del Costa Giovani e' infatti gia'
 stata sollevata (se non sotto il profilo  "formale"  certamente  soto
 quello  "sostanziale")  dal  Tribunale di sorveglianza di Firenze con
 ordinanze nn. 550 e 552 del 1993.
    Puntuale  ed  esauriente  risposta  all'eccezione  sollevata  puo'
 essere  letta  da  pag.  26  a pag. 28 (punti 9.10.11) della sentenza
 della Corte costituzionale in data 11 giugno 1993, n. 306, pubblicata
 sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 14 luglio 1993.
    Qualora si dovesse ritenere, cosa che non pare a questo tribunale,
 che le eccezioni oggi esposte al punto  2)  della  memoria  difensiva
 abbiano una valenza autonoma e pertanto non possano essere dichiarate
 mera  riproposizione  di  una  eccezione  gia'  valutata dalla Corte,
 appare necessario richiamare brevemente in questa sede l'ordinanza in
 data  6  aprile  1993  con  la  quale il tribunale di sorveglianza di
 L'Aquila sollevava analoga eccezione di illegittimita' cosituzionale.
    Attraverso la proposizione  di  tale  eccezione  il  tribunale  di
 sorveglianza  di  L'Aquila ha gia' sollevato e portato all'attenzione
 della Consulta le motivazioni  di  cui  al  punto  2)  della  memoria
 difensiva  del  Costa  Giovanni,  rendendo  in tal modo superflua una
 ulteriore riproposizione, negli  stessi  termini,  dell'eccezione  di
 costituzionalita'.
    Diversa  valenza  hanno viceversa le censure di cui ai punti 1) 3)
 della memoria in oggetto, prospettive che questo tribunale ritiene di
 dover  trattare  unitariamente  stante  la  stretta  connessione   ed
 interdipendenza delle motivazioni addotte.
    In  via  principale, appare a questo tribunale fondata l'eccezione
 di illegittimia' costituzionale cosi' come prospettata  dalla  difesa
 del   Costa   in   relazione   dell'art.  25,  secondo  comma,  della
 Costituzione, seppur rendendosi necessarie alcune precisazioni.
    Presupposto necessario, che questo tribunale sente di condividere,
 riguarda  la  posizione,  non  priva  peraltro  di  validi   sostegni
 dottrinali,  secondo  la  quale  il  principio della irretroattivita'
 della  legge  penale  meno  favorevole  al  reo  concerne  anche   le
 disposizioni   di  natura  sostanziale  relative  alla  modalita'  di
 esecuzione della pena ed in particolare alle misure alternative  alla
 detenzione,  che in quanto incidenti sulla "qualita'" e "quantita' in
 concreto" della pena inflitta, rivestono indubbiamente natura penale.
    Ora, se  questo  e'  vero,  appare  di  tutta  evidenza  l'assunta
 illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4-  bis  o.p.  e delle sue
 recenti modifiche, in relazione al caso di Costa Giovanni.
    Costa Giovanni veniva condannato,  con  sentenza  irrevocabile  in
 data  23  gennaio  1986,  per il delitto di cui all'art. 630 del c.p.
 commesso in data 3 novembre 1978.
    In base alle norme dell'ordinamento penitenziario, e  segnatamente
 per  effetto  delle modificazioni introdotte dalla legge n. 663/1986,
 veniva resa possibile, anche per i condannati per  il  reato  di  cui
 all'art.  630 del c.p., l'ammissione al regime di semiliberta', nella
 ricorrenza di tutti i presupposti sostanziali previsti  dalla  stessa
 legge.
    Nessun  dubbio  che  di  questa  modifica  legislativa  si sarebbe
 trovato a beneficiare anche il Costa, sebbene condannato con sentenza
 definitiva in data anteriore alla entrata in vigore  della  legge  n.
 663/1986.
    In  data  16 ottobre 1991 il Costa Giovanni risultava aver espiato
 meta' della pena inflitta, primo e necessario  requisito  sostanziale
 per poter fruire del regime della semiliberta'.
    Nelle  medesime  condizioni  del Costa si erano venuti a trovare i
 soggetti che con il Costa avevano compiuto  il  reato  de  quo;  tali
 soggetti,   vuoi  per  il  fatto  di  aver  presentato  l'istanza  di
 ammissione  al  regime  di  semiliberta'  avanti  un   Tribunale   di
 Sorveglianza  con  ruoli di udienza meno congestionati, vuoi comunque
 per   l'avvenuta   rapida   fissazione    dell'udienza,    verificata
 preliminarmente l'esistenza dei requisiti sostanziali richiesti dalla
 legge, venivano tutti ammessi al beneficio della semiliberta' (da qui
 una  delle  censure  di  illegittimita' costituzionale per violazione
 dell'art. 3 della Costituzione formulate dalla difesa del Costa).
    In  data  6  maggio  1992  il Costa presentava regolare istanza di
 ammissione  al  regime  di  semiliberta'  avanti  il   tribunale   di
 sorveglianza  di  Sassari,  allegando  a  tale  istanza la necessaria
 documentazione ai fini di un accoglimento nel merito.
    Con l'emanazione del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306,  successivamente
 convertito  in  legge  n.  356/1992,  il  legislatore  introduceva un
 ulteriore requisito ai fini della concessione  dei  benefici  di  cui
 all'art.  4-  bis  o.p.,  consistente  nella  "collaborazione  con la
 giustizia" da parte del detenuto istante.
    Il Costa, non rientrando  nelle  ipotesi  di  collaboratore  della
 giustizia di cui all'art 58- ter o.p., si vedeva pertanto preclusa la
 possibilita' di fruire del beneficio richiesto.
    La  possibilita'  di  ottenere il riconoscimento di "collaboratore
 della giustizia" ai sensi dell'art. 58- ter o.p.,  presuppone,  nella
 quasi  totalita'  delle  ipotesi  da  cui  questa  definizione deriva
 (comprese le ipotesi attenuate della  "collaborazione  oggettivamente
 irrilevante")  da  parte  del reo una scelta tra due diverse opzioni;
 determinarsi  a  prestare,  seppur   con   diverse   modalita',   una
 collaborazione  con l'autorita' giudiziaria al fine di far luce su un
 determinato episodio delittuoso, attenuarne le conseguenze o  ridurne
 gli  effetti  o, viceversa, mantenere una posizione non collaborativa
 sotto tutti questi aspetti.
    E'   lasciato   pertanto   nella   completa   disponibilita'   del
 soggetto/rzeo  optare  per  una  qualsiasi forma di collaborazione (e
 porsi quindi nella condizione per poter fruire dei benefici  previsti
 dell'ordinamento penitenziario) o mantenere un comportamento opposto,
 con  le  conseguenze,  in termini di trattamento sanzionatorio e non,
 che da cio' derivano.
    La  richiesta  di  un   comportamento   collaborativo,   formulata
 successivamente  alla commissione del reato ed alla fase processuale,
 e l'estensione retroattiva  degli  effetti  anche  nei  confronti  di
 persone  gia'  condannate  in  via  definitiva,  significa  di  fatto
 precludere tale facolta' di scelta.
    Ne' vale  ad  attenuare  la  sostanziale  illegittimita'  di  tale
 disposizione  il  rilievo  secondo  cui la collaborazione puo' essere
 prestata in  qualunque  momento,  anche  cioe'  successivamente  alla
 chiusura    delle   indagini   od   alle   conclusione   della   fase
 dibattimentale.
    Se tale obiezione puo' essere in alcuni casi accettabile,  non  si
 puo' d'altra parte escluderne la sua potenziale erroneita'.
    Questo  appare  di  tutta  evidenza nel caso di Costa Giovanni; il
 Costa, in fase dibattimentale, ha  optato  per  un  atteggiamento  di
 sostanziale rifiuto a qualunque forma di collaborazione.
    Diverso atteggiamento viceversa venne tenuto da alcuni dei correi,
 i  quali  prestarono  una  attivita'  collaborativa  con  gli  organi
 inquirenti e contribuirono  pertanto  a  farne  luce  completa  sulle
 dinamiche  e sulle modalita' di compimento del reato, determinando le
 precise responsabilita' dei compartecipi al reato e facendo  luce  su
 tutti gli aspetti del sequestro di persona commesso.
    In  tal  modo  al  Costa veniva sostanzialmente preclusa qualunque
 possibilita' di collaborazione futura  (il  Costa  peraltro,  bisogna
 darne atto, aveva rifiutato di mantenere una condotta collaborativa),
 non  esistendo  piu'  alcun elemento residuo di incertezza su cui far
 luce.
    La  situazione  determinatasi  nel  corso  del  processo risultava
 perfettamente a conoscenza del Costa il quale  si  era  liberatamente
 determinato  ad  un  tale  comportamento,  conscio del fatto che cio'
 avrebbe  comportato  un  trattamento  sanzionatorio  meno  favorevole
 rispetto ai correi ritenuti collaboratori.
    Non  poteva  invece il Costa immaginare che tale suo comportamento
 si sarebbe riflesso anche sulle modalita' di espiazione  in  concreto
 della pena.
    Subita  una  pena piu' grave a causa del proprio atteggiamento non
 collaborativo (cosa peraltro cui il  Costa  si  era  liberatamente  e
 coscentemente  determinato), lo stesso Costa avrebbe avuto il diritto
 di aspettarsi un  trattamento  uguale  ai  compartecipi  se  non  per
 l'entita'  della  pena inflitta quantomeno per le modalita' della sua
 esecuzione; nulla infatti faceva presagire una evoluzione  differente
 nell'iter di esecuzione delle pene inflitte e nulla pertanto imponeva
 al  Costa  di  formulare  diverse ed ulteriori valutazioni (in quella
 fase del procedimento  probabilmente  ancora  possiili)  sul  proprio
 comportamento processuale.
    Cosi', di fatto, non e' stato.
    Le  modifiche del giugno 1992 hanno, in buona sostanza, sottoposto
 a nuova ed ulteriore valutazione il comportamento  tenuto  dal  Costa
 durante  il  dispiegarsi  della  condotta criminosa e soprattutto nel
 corso della fase processuale  (fase  nella  quale  il  Costa  avrebbe
 ancora   potuto   deteminarsi   a  collaborare,  quantomeno  fornendo
 ulteriori conferme alle affermazioni degli altri "pentiti") ed  hanno
 di  fatto  nuovamente determinato l'entita' della pena inflitta nella
 forma delle sue modalita' di esecuzione.
    Appaiono di tutta evidenza,  pertanto,  le  modifiche  sostanziali
 alla   sanzione  penale  (nella  specie,  alla  sua  successiva  fase
 esecutiva) introdotte, in maniera retroattiva, dall'art. 15 del d.-l.
 n. 306/1992 cosi' come convertito nella legge n. 356/1992.
    Il Costa pertanto non e' stato posto in condizioni di  valutare  e
 conoscere   pienamente   le  conseguenze  del  proprio  comportamento
 processuale, se non sotto il profilo limitato dell'entita' della pena
 che gli sarebbe  stata  inflitta;  relativamente  alle  modalita'  di
 esecuzione   della   stessa,   comprese  le  disposizioni  di  natura
 sostanziale relative alle misure alternative,  il  comportamento  del
 Costa   dovrebbe   essere   valutato  sulla  scorta  delle  modifiche
 successivamente introdotte del d.-l. n. 306/1992.
    A tal proposito appare necessario a questo tribunale richiamare il
 concetto, affermato pealtro anche dalla Corte di cassazione,  secondo
 cui  le  disposizioni,  che  pongono  limitazioni all'applicazione di
 norme di favore per i condannati in relazione a determinate figure di
 reato, devono ritenersi di  diritto  sostanziale  speciale  e  contra
 reum, riconoscendo pertanto, anche in relazione al regime della pena,
 la  valenza  del  principio  della  irretroattivita' della norma meno
 favorevole.
    Ritenuto pertanto che appare  di  dubbia  costituzionalita'  -  in
 relazione  agli  artt.  3,  secondo comma, e 25, secondo comma, della
 Costituzione - l'art. 4- bis, primo comma, della  legge  n.  354/1975
 cosi'  come  successivamente  modificato,  e che il tribunale ritiene
 rilevante la questione poiche' la norma che si sottopone al vaglio di
 costituzionalita' impedisce di esaminare nel merito l'istanza.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art.  4-  bis,  primo  comma,  della
 legge  n.  354/1975,  cosi' come modificato dall'art. 15 del d.-l. n.
 306/1992 convertito con  modificazioni  in  legge  n.  356/1992,  nei
 termini di cui in motivazione, per violazione degli artt. 25, secondo
 comma, e 3, secondo comma, della Costituzione;
    Sospendere il giudizio in corso;
    Ordina la trasmissione degli atti della Corte costituzionale;
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
 Consiglio dei Ministri e sia comunicata, a cura della cancelleria, al
 Presidente  della  Camera  dei  deputati  ed al Presidente del Senato
 della Repubblica.
    Sassari, cosi' deciso il 23 settembre 1993.
                         Il presidente: DEIANA
    Il collaboratore di cancelleria: CORRADDUZZA
                                       Il magistrato estensore: LUALDI
 93C1239