N. 441 SENTENZA 2 - 16 dicembre 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza  e  assistenza - Pensioni - Dipendenti degli enti locali -
 Esclusione dalla pensionabilita' delle mensilita' aggiuntive oltre la
 tredicesima  per  gli  iscritti  alla  C.P.D.E.L.    con  trattamento
 economico  regolamentato  dal Ministero del tesoro - Ragionevolezza -
 Diversita' tra le situazioni  regolate  e  portate  a  riferimento  -
 Discrezionalita'  legislativa  -  Giustificazione  di  correttivi  di
 dettaglio - Non fondatezza.
 
 (Legge 5 dicembre 1959, n. 1077, art. 16, secondo comma)
 
 (Cost., artt. 3 e 36).
(GU n.52 del 22-12-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof. Luigi MENGONI, prof.
    Enzo  CHELI,  dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.
    Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  16,  secondo
 comma,  della  legge  5  dicembre  1959,  n.  1077 (Miglioramento del
 trattamento di quiescenza ed  adeguamento  delle  pensioni  a  carico
 della  Cassa  per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali facenti
 parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero  del  tesoro),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il 14 novembre 1990 dalla Corte dei
 conti -  Sezione  terza  giurisdizionale,  sul  ricorso  proposto  da
 Maloberti  Achille,  iscritta al n. 120 del registro ordinanze 1992 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  11,  prima
 serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 20  ottobre  1993  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  La  Corte  dei  conti, con ordinanza 14 novembre 1990 - nel
 corso di un giudizio  promosso  da  un  dipendente  della  Camera  di
 commercio,  industria  e  artigianato di Genova, per ottenere che, al
 fine  del  computo  della  pensione,  fosse  considerata   anche   la
 "gratificazione annuale" di cui all'art. 40 del regolamento approvato
 con  decreto  ministeriale  16  marzo  1970,  relativo  al  personale
 camerale - ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  16,  secondo  comma, della legge 5 dicembre 1959, n. 1077,
 nella parte in cui ha escluso  la  pensionabilita'  delle  mensilita'
 oltre  la tredicesima per gli iscritti alla Cassa per le pensioni dei
 dipendenti degli  enti  locali,  istituita  presso  gli  Istituti  di
 previdenza  del  Ministero  del  tesoro, con trattamento economico di
 attivita' di servizio disciplinato da regolamento ministeriale.
    Nell'ordinanza di  rimessione  si  deduce  il  contrasto  di  tale
 disposizione, in parte qua, con l'art. 3 Cost., giacche' - prevedendo
 che  le  mensilita'  oltre  la  tredicesima,  corrisposte a titolo di
 gratifiche annuali o altrimenti periodiche,  fossero  computabili  ai
 fini  della  pensione  soltanto  per  gli  iscritti  con  trattamento
 economico di attivita' di servizio regolato da  contratto  collettivo
 di lavoro, e limitatamente alla parte di esse corrisposte ai sensi di
 tale contratto - avrebbe posto in essere un'ingiustificata disparita'
 di trattamento.
    Il giudice a quo deduce al riguardo che l'art. 15, primo comma, ha
 stabilito,  in  via  generale, che la retribuzione annua contributiva
 "e' la risultante degli emolumenti fissi e continuativi o  ricorrenti
 ogni  anno che costituiscono la parte fondamentale della retribuzione
 corrisposta,  ai  sensi  delle  vigenti  disposizioni  legislative  o
 regolamentari   ovvero  dei  contratti  collettivi  di  lavoro,  come
 remunerazione per la normale attivita' lavorativa".
   Tale norma e' intesa ad assicurare che gli  emolumenti  computabili
 ai fini pensionistici abbiano carattere di generalita', escludendo la
 computabilita'  di  quelli previsti dai regolamenti dei singoli enti.
 Peraltro, gli emolumenti previsti da regolamenti ministeriali -  come
 quelli  in  questione  -  secondo  il  giudice  a  quo  avevano  tale
 carattere,   e   quindi    sarebbero    stati    irrazionalmente    e
 discriminatoriamente  non  compresi  tra gli emolumenti computabili a
 fini pensionistici.
    Nell'ordinanza di rimessione si deduce anche  il  contrasto  della
 suddetta  esclusione  con  l'art. 36 Cost., essendo gli emolumenti in
 questione elementi della normale retribuzione lavorativa,  dei  quali
 la  norma  costituzionale  impone  che  si  tenga conto ai fini della
 pensione, stante la natura di retribuzione differita di quest'ultima.
    2. - Dinanzi a questa  Corte  e'  intervenuto  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata manifestamente
 infondata.
    Nell'atto  di  costituzione  si  deduce   al   riguardo   che   il
 legislatore,  con l'art. 16 della legge n. 1077 del 1959, consentendo
 il computo, ai fini del  calcolo  della  pensione,  delle  mensilita'
 oltre  la  tredicesima,  corrisposte a titolo di gratifiche annuali o
 altrimenti periodiche, soltanto per gli iscritti alla Cassa  pensioni
 con  trattamento  economico  di  attivita'  di  servizio  regolato da
 contratto collettivo di lavoro e, comunque, limitatamente alla  parte
 di   esse  corrisposte  obbligatoriamente  ai  sensi  del  rispettivo
 contratto  di  lavoro,  ha  debitamente  valutato  che  la  rilevante
 consistenza numerica delle predette categorie assicurava, da un lato,
 una base contributiva allargata, adeguata in relazione ai conseguenti
 oneri  pensionistici  e,  dall'altro,  la  maggiore ponderatezza e la
 minore entita' degli emolumenti concessi in  sede  di  contrattazione
 nazionale.
    La  norma  impugnata  troverebbe  la  propria  ratio  nei suddetti
 elementi, che invece non sarebbe dato di  riscontrare  nei  confronti
 del  personale con retribuzione disciplinata da decreto ministeriale.
 In tal caso, infatti, trattandosi di un numero limitato di  soggetti,
 il  rischio  di maggiore liberalita' nella elargizione di consistenti
 emolumenti retributivi, unitamente alla ristretta base  contributiva,
 metteva   in   pericolo   la   necessaria   copertura   degli   oneri
 pensionistici.
    Pertanto,  sarebbe  priva  di  fondamento la tesi secondo la quale
 irrazionalmente il legislatore avrebbe trattato diversamente (al fine
 di considerare quale retribuzione contributiva utile  a  pensione  la
 gratificazione  annuale), la posizione dei dipendenti disciplinati da
 contratto  collettivo  da  quella  dei  dipendenti  delle  Camere  di
 Commercio,  la cui disciplina discendeva (sino al loro passaggio alle
 regioni) da regolamento ministeriale.
    Quanto alla  dedotta  violazione  dell'art.  36  Cost.,  nell'atto
 d'intervento  si osserva che tale norma garantisce al lavoratore "una
 esistenza libera e dignitosa", che non  e'  compromessa  dal  mancato
 calcolo, ai fini della pensione, della gratifica in questione.
                        Considerato in diritto
    1.   -   L'articolo  15  della  legge  5  dicembre  1959  n.  1077
 (Miglioramento del trattamento di  quiescenza  ed  adeguamento  delle
 pensioni  a  carico  della  Cassa per le pensioni ai dipendenti degli
 Enti locali facenti parte degli  Istituti  di  previdenza  presso  il
 Ministero   del   tesoro)   stabilisce   che  la  retribuzione  annua
 contributiva (sulla base della  quale  si  calcola  la  pensione)  e'
 rappresentata  dagli "elementi fissi e continuativi o ricorrenti ogni
 anno che  costituiscono  la  parte  fondamentale  della  retribuzione
 corrisposta,  ai  sensi  delle  vigenti  disposizioni  legislative  o
 regolamentari  ovvero  dei  contratti  collettivi  di  lavoro,   come
 remunerazione  per  la  normale attivita' lavorativa richiesta per il
 posto ricoperto".
    Il  successivo  articolo  16  prevede  alcune  eccezioni  a   tale
 principio  generale.  In particolare, il secondo comma stabilisce che
 "le eventuali mensilita' oltre la tredicesima corrisposte a titolo di
 gratifiche annuali o altrimenti periodiche ..  sono  da  comprendersi
 nella  retribuzione  annua contributiva soltanto per gli iscritti con
 trattamento economico di attivita' di servizio regolato da  contratto
 collettivo  di  lavoro  e  comunque  limitatamente alla parte di esse
 corrisposte obbligatoriamente ai sensi del  rispettivo  contratto  di
 lavoro".
    La  Corte dei conti dubita della legittimita' costituzionale - con
 riferimento  agli  articoli  3  e  36   Cost.   -   di   quest'ultima
 disposizione,  nella  parte  in  cui esclude la pensionabilita' delle
 mensilita' aggiuntive oltre la  tredicesima  per  gli  iscritti  alla
 C.P.D.E.L.   con  trattamento  economico  di  attivita'  di  servizio
 disciplinato  (non  da  contratto  collettivo  ma)   da   regolamento
 ministeriale.  La  questione  e' riferita in particolare al personale
 delle camere di commercio, con rapporto di impiego  disciplinato  dal
 regolamento  di  cui  al  decreto  ministeriale  16  marzo 1970 (che,
 all'articolo 40, prevede una  gratificazione  annuale  -  oltre  alla
 tredicesima - pari a due mensilita' di retribuzione).
   La  norma  impugnata  -  secondo  il  giudice  a quo - e' intesa ad
 assicurare che  gli  emolumenti  pensionabili  abbiano  carattere  di
 generalita',  escludendo  la  computabilita'  di  quelli previsti dai
 regolamenti dei singoli enti. Peraltro, gli  emolumenti  previsti  da
 regolamenti  ministeriali  presentano  anch'essi  tale  carattere  di
 generalita' - alla pari di quelli previsti dai contratti collettivi -
 e pertanto la limitazione  disposta  dal  secondo  comma  del  citato
 articolo 16 sarebbe, per questo verso, irrazionale e discriminatoria.
    2. - La questione non e' fondata.
    Vi  e' da osservare che la limitazione alla computabilita' ai fini
 contributivi e pensionistici delle  mensilita'  aggiuntive  oltre  la
 tredicesima  e' riferita in via preliminare dalla norma impugnata non
 gia' alla fonte  normativa  che  prevede  e  regola  tali  erogazioni
 retributive,   ma   al   tipo  di  rapporto  cui  esse  accedono.  La
 computabilita' e' infatti comunque esclusa per tutti i  rapporti  non
 regolati  direttamente  ed  esclusivamente da contratti collettivi di
 diritto comune e cioe' per tutti i rapporti di tipo non privatistico.
 E' solo con riguardo ai rapporti di impiego a regime  privatistico  e
 quindi  regolati  direttamente  da  contratto collettivo che viene in
 rilievo la seconda limitazione disposta dalla norma in esame,  quella
 secondo  cui, perche' siano computabili agli effetti in questione, le
 mensilita'  aggiuntive  debbono  essere  considerate   dal   medesimo
 contratto  collettivo  che  regola il rapporto ed essere ivi previste
 come obbligatorie. Ed e' quindi solo questa seconda  limitazione  che
 risponde   effettivamente   alla  specifica  ratio  di  escludere  la
 pensionabilita' di emolumenti previsti non dalla disciplina generale,
 ma solo  da  quella  particolare  dei  singoli  enti  o  dei  singoli
 rapporti.
    Tale   interpretazione,   oltre  che  essere  imposta  dal  tenore
 letterale della disposizione,  trova  conferma  nella  considerazione
 delle  finalita'  di omogeneizzazione - certamente apprezzabili - che
 il legislatore ha inteso perseguire in  questa  materia  (quali  sono
 state  ben  evidenziate  -  con  significativi  richiami al dibattito
 parlamentare - dalle sentenze della stessa Corte dei conti, Sez. III,
 pensioni  civili,  in  data  17  aprile  1989  nn.  62748  e  62739).
 L'esclusione   assoluta   della   pensionabilita'   delle  mensilita'
 aggiuntive  ulteriori  alla  tredicesima  per  i  rapporti  di   tipo
 pubblicistico   trovava,   infatti,   la  sua  giustificazione  nella
 circostanza che simili emolumenti costituivano  una  vera  e  propria
 anomalia,  non  essendo  previsti  ne'  nel trattamento economico dei
 dipendenti  dello  Stato  -  che  era  il  modello  al  quale  doveva
 tendenzialmente  uniformarsi  il  rapporto  di impiego dei dipendenti
 degli enti locali - ne' nella generalita' degli ordinamenti  relativi
 a   questa  categoria  di  dipendenti  pubblici.  Essendo  falliti  i
 ricorrenti tentativi di riportare ad uniformita'  il  trattamento  di
 attivita'  del pubblico impiego - specie a causa della tendenza degli
 enti locali a istituire emolumenti aggiuntivi -  il  legislatore  del
 1959  aveva  inteso  evitare  che tali difformita' avessero rilevanti
 riflessi anche sul trattamento di quiescenza. Una simile esigenza non
 si poneva, invece, per il personale  regolato  dai  comuni  contratti
 collettivi di diritto privato, sia perche' il loro trattamento era ex
 se  del  tutto eterogeneo rispetto a quello del pubblico impiego, sia
 perche' la  disciplina  generale  di  tale  trattamento,  essendo  la
 risultante  dei  normali meccanismi di mercato, era meno suscettibile
 di  essere  condizionata  dai  suddetti  fattori  distorsivi.  Per  i
 dipendenti a regime privatistico, l'esigenza di omogeneizzazione, che
 non  si  poneva  con  riferimento  alla  disciplina generale del loro
 rapporto,  tornava  a  sussistere  con  riferimento  ai   trattamenti
 aggiuntivi  che  potevano essere pattuiti a livello del singolo ente,
 ovvero per particolari categorie o ad personam. Di  qui  l'esclusione
 della  pensionabilita'  per  tutti  quegli  emolumenti  estranei alla
 previsione del contratto collettivo.
    3. - Agli effetti della pensionabilita' o  meno  delle  mensilita'
 aggiuntive  oltre  la tredicesima, il discrimine non e' quindi quello
 prospettato dal giudice a quo.
    Riferita invece - come deve essere - alla distinzione tra rapporti
 di   diritto  pubblico  e  rapporti  regolati  dai  comuni  contratti
 collettivi  privati,  la  denunziata  diversita'  di  disciplina  non
 determina  violazione  dell'articolo 3 della Costituzione, perche', a
 parte  la  diversita'   tra   le   situazioni   regolate,   essa   e'
 ragionevolmente  giustificata  dalle considerazioni che si sono sopra
 esposte.
    4. - Ne' sussiste la denunziata  lesione  dell'articolo  36  della
 Costituzione.  E'  vero, infatti, che dagli articoli 36 e 38 discende
 il principio che, al pari della retribuzione  percepita  in  costanza
 del  rapporto  di  lavoro,  il  trattamento  di quiescenza, che della
 retribuzione costituisce il prolungamento a fini previdenziali,  deve
 essere  proporzionato  alla  qualita'  e  alla  quantita'  del lavoro
 prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore  e  alla  sua
 famiglia  i  mezzi  adeguati  alle loro esigenze di vita. Tuttavia, i
 ricordati  principi  di  proporzionalita'  e   di   adeguatezza   non
 comportano   che   sia   garantita   in   ogni   caso  una  integrale
 corrispondenza  tra  retribuzione  e  pensione   ma   lasciano   alla
 discrezionalita'   del   legislatore  la  possibilita'  di  apportare
 correttivi di dettaglio che - senza intaccare i suddetti criteri  con
 riferimento alla disciplina complessiva del trattamento pensionistico
 - siano giustificati da esigenze meritevoli di considerazione.
    Nel caso in esame, il principio di proporzionalita' tra il reddito
 pensionistico  ed  il  normale  reddito  di lavoro e' sostanzialmente
 assicurato dagli articoli 15 e 16  della  legge  n.  1077  del  1959,
 mentre  il  correttivo  in  esame  e'  giustificato  dall'esigenza di
 omogeneizzazione di cui si e' fatto cenno.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'articolo  16, secondo comma, della legge 5 dicembre 1959 n. 1077
 (Miglioramento del trattamento di  quiescenza  ed  adeguamento  delle
 pensioni  a  carico  della  Cassa per le pensioni ai dipendenti degli
 Enti locali facenti parte degli  Istituti  di  previdenza  presso  il
 Ministero  del tesoro) sollevata dalla Corte dei conti, Sezione terza
 giurisdizionale, con ordinanza del 14 novembre 1990.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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