N. 457 SENTENZA 15 - 23 dicembre 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Impiego   pubblico   -   Personale   medico   addetto   al  S.S.N.  -
 Incompatibilita' allo  svolgimento  di  attivita'  lavorativa  presso
 strutture  private  convenzionate  con  lo  stesso S.S.N. nel settore
 libero-professionale - Principio generale della unicita' del rapporto
 di lavoro con il S.S.N. - Ragionevolezza della scelta del legislatore
 nell'intento  di  assicurare   la   maggiore   possibile   efficienza
 all'organizzazione sanitaria pubblica - Non fondatezza.
 (Legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, settimo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 4, 32 e 35).
 
(GU n.53 del 29-12-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo  CHELI,
 dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof.   Francesco
 GUIZZI, prof. Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.
 Massimo VARI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4, settimo
 comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in  materia
 di finanza pubblica), promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa il 26 gennaio 1993 dal Pretore di Novara -
 sezione distaccata di Borgomanero nel  procedimento  civile  vertente
 tra Boriolo Piero ed altri e la U.S.L. n. 54 di Borgomanero, iscritta
 al  n.  163  del  registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 15,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1993;
      2)  n.  4  ordinanze  emesse  il  18 febbraio 1993 dal Tribunale
 amministrativo regionale  della  Calabria  sul  ricorso  proposto  da
 Misasi  Raffaele  contro  la  U.S.L.  n.  5  di Crotone e sui ricorsi
 proposti da Vero Sergio ed altri contro la U.S.L. n. 7 di  Catanzaro,
 iscritte  ai  nn.  258,  440, 441 e 442 del registro ordinanze 1993 e
 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  nn.  24  e  36,
 prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visti  gli atti di costituzione di Boriolo Piero, Misasi Raffaele,
 Vero Sergio, Arcuri Vincenzo  e  della  U.S.L.  n.  7  di  Catanzaro,
 nonche'  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  16  novembre  1993  il Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Uditi gli avvocati Lorenzo  Bertaggia  e  Armando  Montarsolo  per
 Boriolo  Piero,  Paolo  Vaiano  e Antonio Funari per Misasi Raffaele,
 Antonio Funari per Vero Sergio e Arcuri Vincenzo, Raffaele Mirigliani
 per la U.S.L. n. 7 di Catanzaro e l'Avvocato dello Stato Giuseppe  O.
 Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.1.  -  Il Tribunale amministrativo regionale della Calabria, con
 ordinanza del 18 febbraio 1993 (r.o. n.  258/93),  ha  sollevato,  in
 riferimento  agli  artt. 3, 4, 32, e 35 della Costituzione, questione
 di legittimita' costituzionale  dell'art.  4,  settimo  comma,  della
 legge  30  dicembre  1991,  n.  412  "nella  parte  in cui stabilisce
 l'incompatibilita', per il personale addetto  al  Servizio  sanitario
 nazionale,  allo svolgimento di attivita' lavorativa presso strutture
 private convenzionate con lo stesso Servizio sanitario nazionale".
    Nel corso della fase cautelare di un giudizio promosso avverso  un
 provvedimento   della   U.S.L.   competente,   che  aveva  dichiarato
 l'esistenza di una situazione di incompatibilita' del  ricorrente  ai
 sensi  della  norma sopra indicata, il giudice remittente - dopo aver
 accolto  l'istanza  di  sospensione  del  provvedimento  "fino   alla
 comunicazione  della  pronunzia della Corte costituzionale" - osserva
 che la legittimita' della norma impugnata deve essere valutata  sotto
 un  profilo  di  logicita' giustificativa, poiche' non puo' ritenersi
 configurabile  una  preclusione  della   libera   espressione   della
 personalita'  dell'individuo  (in  particolare  sotto  l'aspetto  del
 diritto al lavoro: artt. 4 e 35 della Costituzione) che non trovi una
 idonea motivazione nell'intento di tutela di altro interesse o valore
 di almeno  equivalente  rango  costituzionale.    La  disciplina  del
 rapporto  di  pubblico impiego puo' certamente prevedere, prosegue il
 giudice  a  quo,  limitazioni  all'esercizio  di  attivita'  che   il
 legislatore  ha  ritenuto  contrastare con la posizione rivestita dal
 pubblico dipendente, e cio' in ossequio  all'art.  98,  primo  comma,
 della Costituzione, che fornisce quindi la ratio giustificativa delle
 preclusioni  legittimamente  apponibili  allo svolgimento di rapporti
 suscettibili di inficiare il principio dell'"esclusivo servizio della
 Nazione" che caratterizza il rapporto di pubblico impiego.
    Cio' posto, mentre quanto all'unicita' del rapporto di lavoro  con
 il Servizio sanitario nazionale il remittente rileva come non possano
 nutrirsi riserve di carattere logico-giuridico, consistente e' invece
 il  dubbio  che  la rigidita' di tale assunto possa trovare legittima
 specificazione in  relazione  ad  "altri  rapporti  anche  di  natura
 convenzionale con il Servizio sanitario nazionale".  Un primo rilievo
 di  carattere  sistematico  riguarda  la  direzione  soggettiva di un
 siffatto divieto. Infatti, laddove i rapporti  convenzionali  vengano
 intrattenuti  con  strutture  private, la preclusione viene a colpire
 indirettamente - con un inammissibile ampliamento  delle  ipotesi  di
 incompatibilita'  -  i singoli prestatori di lavoro, i quali non sono
 necessariamente essi stessi titolari di tali rapporti,  bensi'  parti
 di  un  rapporto  di lavoro dipendente con altro soggetto privato, il
 quale solo e' il reale titolare del  rapporto  convenzionale  con  il
 Servizio  sanitario  nazionale. Tali considerazioni trovano, prosegue
 il remittente,  un  immediato  punto  di  riferimento  nell'ulteriore
 principio, individuato dalla norma in esame, del possibile "conflitto
 di interessi" che le attivita' ritenute incompatibili appaiono idonee
 a  suscitare  con le attribuzioni del servizio pubblico, conflitto di
 interessi che - secondo l'interpretazione fornita  da  una  circolare
 del  Ministro  della sanita' del 24 novembre 1992 - puo' anche essere
 meramente potenziale. Non puo' poi non  osservarsi  che  il  suddetto
 principio   del  conflitto  di  interessi  appare  abbandonato  dalla
 sopravvenuta norma di cui  all'art.  4,  comma  decimo,  del  decreto
 legislativo  30  dicembre  1992,  n. 502, secondo cui all'interno dei
 presidi  ospedalieri  devono  essere  riservati  spazi  adeguati  per
 l'esercizio  della  libera  professione  intramuraria.   Un ulteriore
 profilo di  illegittimita'  costituzionale  si  pone  in  riferimento
 all'art.  3  della  Costituzione,  in  quanto per effetto della norma
 impugnata vengono ad  essere  penalizzati  i  soli  sanitari  le  cui
 prestazioni  di  lavoro si svolgano presso private istituzioni aventi
 regime   di   convenzionamento,   mentre   le   altre    esplicazioni
 professionali,  ancorche'  erogate  in  favore  di soggetto parimenti
 privato, trovano elementi limitativi nella sola coincidenza temporale
 con l'attivita' svolta nell'ambito delle strutture pubbliche.
    Infine, il giudice a quo denuncia anche la violazione dell'art. 32
 della Costituzione, sia sotto il profilo della  tutela  della  salute
 del singolo cittadino (che ha diritto al trattamento sanitario presso
 strutture  sia  pubbliche che private, senza che siano apposti limiti
 all'attivita' dei sanitari), sia sotto  quello  dell'interesse  della
 collettivita'   al   bene   salute,   che   la  valorizzazione  della
 professionalita' e delle esperienze appare in grado di  concorrere  a
 conseguire   al   di  fuori  di  modelli  di  prioritaria  preminenza
 dell'assistenza pubblica.
    1.2. - Si e' costituito nel presente giudizio  il  ricorrente  nel
 giudizio  a  quo  Misasi  Raffaele,  il  quale  svolge argomentazioni
 adesive all'ordinanza di rimessione, in particolare sotto il  profilo
 della violazione del principio di ragionevolezza.
    1.3.  - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, il quale ha concluso per l'infondatezza delle questioni.
    Premesso  che  l'incompatibilita' tra il rapporto di lavoro con il
 Servizio  sanitario  nazionale  e   lo   svolgimento   di   attivita'
 professionale   per   conto  di  presidi  privati  convenzionati  non
 scaturisce da un'interpretazione estensiva del secondo  e  del  terzo
 periodo del comma settimo dell'impugnato art. 4, ma e' esplicitamente
 dichiarata dal legislatore nell'ottavo periodo del medesimo comma, il
 Presidente  del  Consiglio osserva, quanto alla denunciata violazione
 dell'art. 3 della Costituzione, che il divieto di cui trattasi  trova
 ampia  e  logica giustificazione nella valutazione del legislatore di
 salvaguardare il perseguimento del superiore interesse  dall'indubbio
 conflitto  che  deriverebbe  dallo svolgimento contemporaneo di altra
 attivita' per conto di struttura privata: questa, infatti, in  quanto
 convenzionata  con  il  Servizio  sanitario  nazionale, deve svolgere
 verso il medesimo una funzione integrativa in caso  di  insufficienza
 della struttura pubblica e non porsi in posizione di contrapposizione
 o  conflitto  con essa, conflitto che fatalmente insorgerebbe laddove
 il professionista operasse contemporaneamente per le  due  strutture,
 per   l'evidente   interesse   economico  (sia  della  struttura  sia
 dell'operatore) a dirottare verso il privato il massimo della domanda
 di prestazioni.   Per quanto  riguarda  l'asserita  violazione  degli
 artt. 4 e 35 della Costituzione, l'Avvocatura dello Stato osserva che
 lo stesso remittente giustifica l'esistenza nell'ordinamento di norme
 che  vietano  ai  pubblici  dipendenti  lo svolgimento di determinate
 attivita' a cagione della esclusivita' del servizio che  essi  devono
 rendere  alla  Nazione.    Circa,  infine, il riferimento all'art. 32
 della Costituzione, si rileva che non risulta chiaro  come  la  norma
 impugnata  possa  incidere  negativamente  sul  sistema organizzativo
 delineato nella legge n. 833 del 1978.
    2.1. - Con altre tre ordinanze fra loro  identiche  emesse  il  18
 febbraio  1993  (r.o.  nn.  440,  441  e  442 del 1993), il TAR della
 Calabria  ha   nuovamente   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  4,  settimo  comma, della legge n. 412 del
 1991, in riferimento agli artt. 3, 32 e  35  della  Costituzione.  Il
 remittente   svolge   argomentazioni   analoghe   a   quelle  di  cui
 all'ordinanza  sopra  esaminata  sub  1.1.,  aggiungendo,  quanto  al
 riferimento  all'art.  32  della  Costituzione, che questa Corte deve
 valutare se il legislatore, nel dettare  la  norma  impugnata,  abbia
 operato  un razionale bilanciamento degli interessi in gioco, nonche'
 una ragionevole gradualita' di attuazione del  diritto  alla  salute,
 dipendente dalla obiettiva considerazione delle risorse organizzative
 e finanziarie a disposizione (sent. n. 455 del 1990).
    2.2.   -  Si  sono  costituiti  Vero  Sergio  e  Arcuri  Vincenzo,
 ricorrenti nei giudizi di cui alle ordinanze nn. 440 e 442 del  1993,
 insistendo  per l'accoglimento della questione e richiamando l'art. 6
 del decreto-legge 14 giugno 1993, n.  187,  ai  sensi  del  quale  le
 incompatibilita'di  cui  alla  norma  impugnata  non  si applicano ai
 medici   che   svolgono   attivita'   nell'ambito   degli    istituti
 penitenziari.
    2.3.  -  Si  e'  altresi'  costituita in tutti i giudizi la Unita'
 sanitaria locale n. 7 della Regione Calabria,  parte  resistente  nei
 giudizi  a  quibus,  concludendo  per l'infondatezza delle questioni.
 Con atti di identico contenuto, la difesa della parte privata osserva
 in sintesi  che  non  esiste  alcuna  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione, in quanto le strutture private convenzionate presentano
 una  serie  di  rilevanti  attribuzioni  di  carattere  pubblicistico
 (com'e' dimostrato anche dagli artt. 25, 26, 33 e 36 della  legge  n.
 833/78)   che  giustificano  una  diversa  disciplina  rispetto  alle
 strutture  private  semplici;  ne'  degli  artt.   4   e   35   della
 Costituzione,  in  quanto  la limitazione di cui alla norma impugnata
 risponde  all'esigenza  di  assicurare  un'efficiente  organizzazione
 sanitaria evitando il sorgere di conflitti; ne', infine, dell'art. 32
 della  Costituzione, poiche', come gia' detto, la norma tende proprio
 ad una migliore organizzazione del sistema sanitario.
    2.4. - E'  intervenuto  in  tutti  i  giudizi  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri, il quale ha concluso per l'infondatezza delle
 questioni,  svolgendo  argomentazioni  identiche  a  quelle contenute
 nell'atto  di  intervento  relativo  al   giudizio   introdotto   con
 l'ordinanza n. 258/93 (v. sopra, al punto 1.3.).
    3.1.  - Il Pretore di Novara - sezione distaccata di Borgomanero -
 con  ordinanza  del  26  gennaio  1993  (r.o.  163/93)  ha  sollevato
 questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma settimo,
 della legge 30 dicembre 1991, n. 412:  a) in riferimento  all'art.  3
 della  Costituzione,  nella parte in cui la norma, "mentre accorda la
 garanzia del passaggio anche in soprannumero al rapporto di lavoro  a
 tempo  pieno  al  personale  medico a tempo definito in servizio alla
 data  di  entrata  in  vigore  della legge che intenda far cessare in
 questo modo la situazione di incompatibilita' del doppio rapporto  di
 lavoro  con  il  Servizio  sanitario  nazionale,  non appresta alcuna
 corrispondente garanzia al personale  medico  che,  provenendo  dalla
 identica   situazione   di   fatto,  intenda  optare  invece  per  la
 conservazione del solo rapporto  convenzionale";  b)  in  riferimento
 agli  artt.  4  e  35 della Costituzione, nella parte in cui la norma
 medesima, "prevedendo la garanzia del passaggio anche in soprannumero
 al  rapporto  di  lavoro  a  tempo  pieno  e  quindi  garantendo  una
 sostanziale  intangibilita'  dello  status  giuridico-economico  gia'
 maturato dal medico che  opti  per  questa  modalita'  di  cessazione
 dell'incompatibilita'  stabilita  dalla  legge,  e  -  per converso -
 trascurando ogni analoga garanzia per il medico  che  intenda  optare
 per  la conservazione del solo rapporto convenzionale con il Servizio
 sanitario nazionale, provocando in tal modo una marcata  e  repentina
 regressione   nel  trattamento  retributivo  complessivo,  condiziona
 gravemente,  fino  ad  annullarla  nei  fatti,   la   libera   scelta
 formalmente  accordata  ai  medici che abbiano con il Servizio sia un
 rapporto di lavoro  a  tempo  definito  che  un  rapporto  basato  su
 convenzione".
    Il  giudice  a quo premette che i ricorrenti - medici titolari nei
 confronti del Servizio sanitario nazionale di un rapporto di lavoro a
 tempo definito  e,  contemporaneamente,  di  un  rapporto  in  regime
 convenzionale  -  hanno  proposto  ricorso  ex art. 414 del codice di
 procedura civile al  Pretore  in  funzione  di  giudice  del  lavoro,
 chiedendo  la  condanna della u.s.l. competente al pagamento di somme
 di  danaro  ritenute  di  loro  spettanza  e   l'accertamento   della
 illegittimita' costituzionale dell'art. 4, settimo comma, della legge
 n.   412   del  1991;  contestualmente,  hanno  introdotto  procedura
 d'urgenza ex art. 700 del codice medesimo, chiedendo  la  sospensione
 del  termine  del  31  dicembre  1992  stabilito  dalla norma citata.
 Successivamente,  i  ricorrenti   hanno   chiesto   al   Pretore   la
 disapplicazione  della sopravvenuta deliberazione della U.S.L. con la
 quale si disponeva che, in  caso  di  mancata  opzione  entro  il  31
 dicembre  1992  per  uno  dei  due  rapporti  di  lavoro,  si sarebbe
 provveduto a confermare il  rapporto  di  dipendenza  e  a  risolvere
 quello convenzionale.
 Cio'  posto,  il  giudice  remittente,  in  punto  di  non  manifesta
 infondatezza, osserva  quanto  segue.    Nel  disporre  che  "con  il
 Servizio  sanitario  nazionale puo' intercorrere un unico rapporto di
 lavoro", la norma in esame impone ai medici che abbiano  piu'  di  un
 rapporto, anche di natura convenzionale, con il Servizio sanitario di
 far cessare tale situazione (definita di "incompatibilita'") entro il
 31  dicembre  1992.    In  particolare  i  medici  che abbiano con il
 Servizio sia un rapporto di dipendenza a tempo definito  ex  art.  47
 della  legge 833/1978 che, contestualmente, un rapporto convenzionale
 ex art. 48 della stessa legge,  entro  il  31  dicembre  1992  devono
 optare o per il primo oppure per il secondo di essi.
    Senonche',  lo  status  giuridico-economico del medico che esprima
 l'opzione in favore del rapporto di dipendenza appare molto  diverso,
 e  migliore,  rispetto a quello del professionista che invece intenda
 optare per il rapporto convenzionale.
    Infatti, il medico che esprime l'opzione in favore del rapporto di
 dipendenza  gode  della garanzia accordata dallo stesso art. 4, comma
 settimo, della legge 412/91, secondo  cui:  "A  decorrere  dal  primo
 gennaio  1993,  al  personale  medico  con rapporto di lavoro a tempo
 definito, in servizio alla data di entrata in vigore  della  presente
 legge,  e'  garantito il passaggio, a domanda, anche in soprannumero,
 al rapporto di lavoro a  tempo  pieno".    Questa  garanzia  comporta
 inevitabilmente  dei  riflessi  sul  piano del trattamento economico.
 Comparando, sotto quest'ultimo  aspetto,  la  situazione  del  medico
 titolare  del  rapporto  di  dipendenza a tempo definito, nonche' del
 rapporto convenzionale con un massimo di cinquecento  assistiti,  con
 la situazione del medico titolare soltanto del rapporto di dipendenza
 a  tempo  pieno,  non  si riscontrano delle differenze retributive di
 spessore tanto marcato da poter essere ritenuto rilevante ai fini qui
 in esame.
 Se questo e' lo status di  cui  godrebbe  il  medico  che  scelga  il
 rapporto di dipendenza a tempo pieno, molto diversa, e ben deteriore,
 e'  la  condizione  del professionista che intenda, invece, esprimere
 l'opzione in  favore  del  solo  rapporto  di  medico  convenzionato.
 Questi  subirebbe un'immediata decurtazione di piu' del cinquanta per
 cento del trattamento retributivo complessivo fino ad oggi  ricevuto,
 di  talche'  l'invito  fatto  dal  legislatore  alla  scelta  tra due
 opportunita' appare in realta' una sorta di "costrizione" di fatto  a
 transitare  dai rapporti a tempo definito e convenzionale al rapporto
 a tempo pieno.  Tutto questo e' conseguenza del fatto che, mentre  si
 assicura al medico il "passaggio anche in soprannumero al rapporto di
 lavoro  a  tempo  pieno",  la  legge  non  esprime alcuna garanzia di
 mantenimento del rapporto convenzionale, e ancor meno  assicura  -  a
 chi  opti  per  il  mantenimento  del  solo  rapporto convenzionale -
 l'attribuzione di un numero di  assistiti  tale  da  compensare  quel
 notevole  minor  introito retributivo, che sarebbe sicura conseguenza
 della cessazione del rapporto dipendente a tempo definito.   A  parte
 ogni  altra  considerazione  sotto  i  profili previdenziali, ritiene
 pertanto il remittente che  l'aspetto  strettamente  economico  della
 nuova   situazione   nella   quale  repentinamente  i  ricorrenti  si
 troverebbero conduce da solo a  rimettere  la  questione  alla  Corte
 costituzionale,  posto che l'unico accenno a possibili variazioni del
 quadro retributivo appena evidenziato si rinviene in termini generici
 nell'ultima parte dell'art. 4, comma  settimo,  della  legge  412/91,
 laddove  il  testo  reca:  "In  sede  di  definizione  degli  accordi
 convenzionali di cui all'art. 48 della legge  23  dicembre  1978,  n.
 833,  e'  definito il campo di applicazione del principio di unicita'
 del rapporto di lavoro a valere tra i diversi accordi convenzionali".
 In  sostanza,  viene  rinviata  alla  contrattazione  collettiva   la
 definizione  del nuovo rapporto convenzionale, ma la legge non impone
 che  tale  definizione  avvenga  entro  il  31  dicembre  1992,   ne'
 stabilisce  un  collegamento  temporale tra l'avvenuta contrattazione
 collettiva e la scadenza del termine per  effettuare  la  scelta:  la
 legge,  quindi,  non rende possibile alcuna valutazione sugli effetti
 concreti che  conseguirebbero  all'opzione  espressa  in  favore  del
 rapporto convenzionale.
    Dopo aver risolto in senso positivo il problema della possibilita'
 di   adottare,  nella  fattispecie,  il  richiesto  provvedimento  di
 urgenza, ed aver  osservato  che  la  rilevanza  della  questione  di
 costituzionalita'  appare evidente sia con riferimento alla procedura
 d'urgenza, sia al gia' pendente giudizio di merito, la cui competenza
 funzionale  appartiene  allo stesso giudice, il remittente solleva la
 anzidetta questione di costituzionalita' contestualmente adottando il
 provvedimento cautelare, e previa sospensione del giudizio di merito.
 3.2. - Si  e'  costituito  dinanzi  a  questa  Corte  Boriolo  Piero,
 ricorrente  nel  giudizio  a  quo.    La parte privata sottolinea, in
 particolare, che la norma in esame viola la  parita'  di  trattamento
 complessivo giuridico ed economico che era sempre esistita tra medici
 a  tempo  pieno  da  un  lato  e medici a tempo definito con rapporto
 convenzionato  dall'altro;  se  si  opta   per   il   solo   rapporto
 convenzionato,  infatti,  si  verifica  un  marcato peggioramento del
 trattamento  retributivo  e  previdenziale  con  perdita  anche   del
 punteggio  acquisito  per  i  pubblici  concorsi.  Risulta, pertanto,
 evidente che la scelta in favore del passaggio al  rapporto  a  tempo
 pieno diventi in realta' coattiva, in violazione, oltre che dell'art.
 3, anche degli artt. 4 e 35 della Costituzione.
    3.3.  -  E'  intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
 conclude  per  l'infondatezza  della  questione,  osservando  che  la
 situazione  del  medico  che  diventa  dipendente a tempo pieno della
 U.S.L. e' del tutto diversa da quella del  medico  che  abbandona  il
 rapporto  di  pubblico  impiego  per  assumere  la  veste  di  medico
 convenzionato e quindi autonomo.
    4. - Hanno depositato  identiche  memorie  Misasi  Raffaele,  Vero
 Sergio  e  Arcuri  Vincenzo  (r.o.  nn. 258, 440, e 442/93), i quali,
 oltre a ribadire le argomentazioni svolte negli atti di costituzione,
 richiamano in particolare la sentenza di  questa  Corte  n.  355  del
 1993,   la  quale  ha  riconosciuto  la  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 4, decimo comma, del decreto legislativo n. 502/92, che  ha
 fatto obbligo alle strutture pubbliche di garantire l'esercizio della
 libera professione intramuraria.  5. - Ha altresi' depositato memoria
 il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  in  ordine al giudizio
 introdotto con l'ordinanza  del  Pretore  di  Novara  (r.o.  163/93).
 L'Avvocatura  dello  Stato  eccepisce innanzitutto l'inammissibilita'
 della questione: in primo luogo in quanto il giudizio a  quo  avrebbe
 come  esclusivo  oggetto  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 4, settimo comma, della legge n. 412/91, anche  perche'  la
 successiva  richiesta  di  disapplicazione  della deliberazione della
 U.S.L. costituirebbe domanda nuova, come tale inammissibile  ex  art.
 420  c.p.c.;  in  secondo  luogo,  in  quanto  il remittente ha ormai
 pronunciato il provvedimento ex art. 700 c.p.c. e quindi non e'  piu'
 legittimato  a  sollevare questioni di costituzionalita' attinenti al
 merito della causa.
 Nel merito, l'Avvocatura insiste per l'infondatezza della  questione.
 Si  osserva  che  la  norma  impugnata  persegue  il fine evidente di
 evitare, da un lato, che uno stesso soggetto possa instaurare, con lo
 stesso datore di lavoro e sotto  forme  diverse,  una  pluralita'  di
 rapporti di lavoro, con dispendio di risorse economiche e diminuzione
 di  posti di lavoro, e, dall'altro, che tra l'una e l'altra parte del
 rapporto pubblico insorga un conflitto di interessi.
    Inoltre,  le  situazioni  cui  l'opzione  potra'  dar  luogo  sono
 totalmente  diverse  tra  loro,  non solo per le forme riguardanti il
 sorgere, l'esplicarsi e l'estinguersi dei rapporti, ma anche  per  il
 contenuto  degli stessi, per cui solo ex post potra' affermarsi se la
 scelta operata e' stata, sotto i vari profili, la piu' opportuna.
                        Considerato in diritto
    1.1.  -  Il Tribunale amministrativo regionale della Calabria, con
 quattro ordinanze  di  contenuto  sostanzialmente  identico,  solleva
 questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 4, settimo comma,
 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, nella parte in cui  stabilisce,
 per   i   medici   dipendenti   del   Servizio  sanitario  nazionale,
 l'incompatibilita'    col    rapporto    d'impiego     dell'esercizio
 dell'attivita'    libero-professionale   presso   strutture   private
 convenzionate con il Servizio medesimo.
   Ad avviso dei remittenti, la norma viola in primo luogo gli artt. 4
 e 35 della Costituzione, in quanto pone una preclusione  alla  libera
 espressione  della  personalita'  dell'individuo  -  sotto il profilo
 dell'attivita' lavorativa -, preclusione che non trova adeguata ratio
 giustificativa nell'intento di tutela di altro interesse o valore  di
 pari  rango costituzionale. Premesso che non possono nutrirsi riserve
 di carattere logico-giuridico in ordine al principio di unicita'  del
 rapporto  di  lavoro  con  il  Servizio sanitario (anche in relazione
 all'art. 98, primo comma, della Costituzione), si osserva che  appare
 invece  di  dubbia  legittimita'  l'estensione di tale principio alle
 situazioni dianzi indicate, tenuto conto del rilievo che  il  divieto
 in  esame  viene  a  colpire  indirettamente  i singoli prestatori di
 lavoro,  i  quali  non  sono  essi  stessi  titolari   del   rapporto
 convenzionale,   rispetto   al  quale  si  trovano  in  posizione  di
 terzieta'.
    Sarebbe altresi' violato l'art. 3 della Costituzione,  poiche'  la
 norma  impugnata  discrimina  irrazionalmente  i  soli  sanitari  che
 svolgono prestazioni presso  istituzioni  private  aventi  regime  di
 convenzionamento,   mentre   le   altre  esplicazioni  professionali,
 ancorche' erogate  in  favore  di  soggetto  parimenti  privato,  non
 subiscono   limitazioni,  salvo  quella  generale  della  coincidenza
 temporale  con  l'attivita'  svolta   nell'ambito   delle   strutture
 pubbliche.
    Infine,  risulterebbe  violato  l'art.  32  della Costituzione, in
 quanto la norma in esame lede sia il diritto alla salute del  singolo
 cittadino  (il  quale  deve  potersi  rivolgere  indifferentemente  a
 strutture  pubbliche  o  private,  senza  che  siano   posti   limiti
 all'attivita'  dei  medici),  sia  l'interesse della collettivita' al
 bene della salute, poiche' si limita la valorizzazione e la  crescita
 della  professionalita' e delle esperienze lavorative degli operatori
 sanitari.
    1.2. - Con ordinanza del 26 gennaio 1993, il Pretore di  Novara  -
 sezione  distaccata  di  Borgomanero - solleva anch'esso questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 4, settimo comma,  della  legge
 n.  412  del  1991,  in  riferimento  agli  artt.  3,  4  e  35 della
 Costituzione.
    Il  giudice  a  quo  non  censura  di  per  se'   il   regime   di
 incompatibilita'   stabilito   dalla   norma   anzidetta,  bensi'  la
 disciplina relativa alle modalita' di cessazione delle  posizioni  di
 incompatibilita', in base alla quale i medici titolari di un rapporto
 di  lavoro  dipendente  a  tempo  definito e contemporaneamente di un
 rapporto di natura convenzionale con il Servizio sanitario  nazionale
 dovevano  far  cessare  tale  situazione  -  optando  per l'uno o per
 l'altro rapporto - entro il 31 dicembre 1992.  Premesso che il medico
 che opta in favore del rapporto di dipendenza gode della garanzia del
 passaggio,  a  domanda, anche in soprannumero al rapporto di lavoro a
 tempo pieno con sostanziale intangibilita' dello status giuridico  ed
 economico gia' maturato, la disciplina impugnata viola, ad avviso del
 remittente,  i  menzionati  parametri  costituzionali,  in quanto non
 appresta  in  favore  del  medico  che  (provenendo  dalla   identica
 situazione  di  fatto) opti per il solo rapporto convenzionale alcuna
 corrispondente garanzia, ne' in ordine al mantenimento  del  rapporto
 convenzionale,  ne'  soprattutto  all'attribuzione  di  un  numero di
 assistiti tale da compensare la marcata e repentina  regressione  nel
 trattamento retributivo conseguente a tale scelta: la definizione del
 nuovo   rapporto   convenzionale   viene,   infatti,   rinviata  alla
 contrattazione  collettiva,  ma  la  legge   non   stabilisce   alcun
 collegamento  temporale  tra  tale  contrattazione  e la scadenza del
 termine per effettuare l'opzione. Ne consegue, in definitiva  -  con-
 clude il remittente - che la norma de qua condiziona gravemente, fino
 ad  annullarla, la libera scelta formalmente accordata ai medici, che
 si vedono di fatto costretti a transitare al rapporto a tempo pieno.
    1.3. - I giudizi, concernendo questioni identiche  o  strettamente
 connesse, vanno riuniti e decisi con unica sentenza.
    2.1.  -  La  questione  sollevata  dal  TAR  della Calabria non e'
 fondata.
    L'art. 4, settimo comma, della legge n. 412 del  1991  stabilisce,
 all'inizio,   che   "con   il   Servizio   sanitario  nazionale  puo'
 intercorrere  un  unico  rapporto  di  lavoro.   Tale   rapporto   e'
 incompatibile  con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico
 o privato, e con altri rapporti anche di natura convenzionale con  il
 Servizio  sanitario  nazionale"; prevede poi (all'ottavo periodo) che
 "l'esercizio   dell'attivita'   libero-professionale    dei    medici
 dipendenti  del  Servizio  sanitario  nazionale  e'  compatibile  col
 rapporto unico d'impiego,  purche'  espletato  fuori  dall'orario  di
 lavoro  all'interno  delle  strutture  sanitarie  o all'esterno delle
 stesse, con esclusione di  strutture  private  convenzionate  con  il
 Servizio  sanitario nazionale".   La norma sancisce, innanzitutto, il
 principio generale della unicita'  del  rapporto  di  lavoro  con  il
 Servizio  sanitario nazionale:   tale principio era gia' contenuto in
 un disegno di legge di riforma del Servizio  medesimo  all'esame  del
 Parlamento  in  quello  stesso  periodo e si ritenne di anticiparlo -
 inserendolo nella legge n. 412 (legge finanziaria per il 1992)  -  in
 quanto    considerato,    come   emerge   dai   lavori   preparatori,
 particolarmente qualificante  e  significativo.    Dal  principio  di
 unicita'   (che   i  remittenti,  come  s'e'  detto,  non  contestano
 minimamente) deriva l'incompatibilita' non solo con altri rapporti di
 lavoro dipendente (pubblico o  privato),  ma  anche  con  ogni  altro
 rapporto con il Servizio sanitario, anche di natura convenzionale.
    Per quanto concerne, poi, piu' specificamente, il personale medico
 dipendente,  la  norma  in  esame conferma, in linea di principio, la
 facolta' dell'esercizio  dell'attivita'  libero-professionale  -  pur
 subordinandola  ad  una serie di condizioni di tempo e di luogo -, ma
 la esclude in linea assoluta  con  riferimento  a  strutture  private
 convenzionate con il Servizio sanitario.
    Al  riguardo  appare  evidente  come  il  legislatore abbia inteso
 attribuire al suddetto principio di unicita' del rapporto  di  lavoro
 la  piu'  ampia accezione, estendendolo fino a ricomprendervi anche i
 casi in cui il rapporto stesso potesse, a  suo  giudizio,  ugualmente
 configurarsi, sia pure in maniera indiretta.  2.2. - Cio' posto, tale
 scelta    del    legislatore    non   puo'   ritenersi   viziata   da
 irragionevolezza, ove si  considerino  la  particolare  natura  e  le
 funzioni  svolte  dalle  istituzioni sanitarie private convenzionate.
 Queste ultime, invero, a  seguito  della  stipula  delle  convenzioni
 vengono   ad   assumere  indubbiamente  una  funzione  integrativa  e
 sussidiaria della rete sanitaria pubblica (cfr., in tal senso,  sent.
 n. 173 del 1987), come emerge da numerose disposizioni della legge 23
 dicembre  1978,  n.  833  (cfr.  artt.  25,  33, 36), e, soprattutto,
 dall'art. 43 della legge medesima, ai sensi del quale le  istituzioni
 in  esame  possono  ottenere  dalle regioni che i loro ospedali siano
 considerati,  ai  fini  dell'erogazione  dell'assistenza   sanitaria,
 presidi  delle  unita'  sanitarie  locali.    Le  indicate  peculiari
 caratteristiche  delle   istituzioni   convenzionate,   che   valgono
 certamente  a  differenziarle  da  quelle non convenzionate, appaiono
 sufficienti a far ritenere che la norma impugnata costituisca  frutto
 di  una  non  irragionevole  valutazione  discrezionale  di  politica
 sanitaria. Con essa si e' inteso garantire la  massima  efficienza  e
 funzionalita'  operativa  al servizio sanitario pubblico, sulle quali
 il legislatore ha ritenuto (anche, evidentemente, in base a  dati  di
 esperienza)  che  potesse  spiegare effetti negativi il contemporaneo
 esercizio da parte del medico dipendente di  attivita'  professionale
 presso   strutture   convenzionate,   con   conseguente  pericolo  di
 incrinamento della funzione  ausiliaria  che  esse  sono  chiamate  a
 svolgere;  e  cio'  si e' voluto evitare in via generale ed astratta,
 con apprezzamento anch'esso insindacabile in questa sede.
    2.3. - Sulla base delle considerazioni svolte,  tutte  le  censure
 prospettate dai remittenti vengono a cadere.
    Una   volta   accertato,   infatti,  che  la  scelta  operata  dal
 legislatore non puo' ritenersi irrazionale ed  anzi  appare  ispirata
 dall'intento   di   assicurare   la   maggior   possibile  efficienza
 dell'organizzazione sanitaria pubblica in  attuazione  del  principio
 sancito  dall'art.  32  della  Costituzione,  e'  evidente  come  non
 sussista la violazione di alcuno dei parametri  invocati:  non  degli
 artt.  4 e 35 della Costituzione, in quanto la denunciata limitazione
 all'esercizio della libera professione -  che,  del  resto,  concerne
 solo  uno  dei  possibili  modi  dell'esercizio medesimo - e' posta a
 tutela di  altri  interessi  ed  esigenze  fatti  oggetto  di  tutela
 costituzionale  (cfr.  sentt. nn. 103 del 1977, 175 del 1982, 109 del
 1983); non dell'art. 3 della Costituzione, data la evidente accertata
 diversita' delle situazioni poste a raffronto; non, infine, dell'art.
 32 della Costituzione, essendo la disciplina censurata volta proprio,
 come s'e' visto, a dare attuazione al principio  contenuto  in  detto
 precetto.
    3.1.  -  Passando  alla questione sollevata dal Pretore di Novara,
 vanno in primo  luogo  esaminate  le  eccezioni  di  inammissibilita'
 proposte  dall'Avvocatura dello Stato nella memoria illustrativa.  La
 questione sarebbe inammissibile in primo luogo perche'  la  rilevanza
 della  medesima si fonderebbe su una domanda da qualificarsi "nuova",
 come tale inammissibile ai sensi  delle  norme  che  disciplinano  il
 processo del lavoro. L'eccezione deve essere respinta, in quanto essa
 attiene  strettamente  al giudizio a quo e soltanto in quella sede e'
 pertanto opponibile (cfr. sent. n. 97 del 1991).  Ulteriore motivo di
 inammissibilita'   della    questione    deriverebbe,    ad    avviso
 dell'Avvocatura,   dal  fatto  che  il  remittente  ha  sollevato  la
 questione in sede cautelare, dopo aver pronunciato  il  provvedimento
 ex  art.  700 c.p.c., e quando non era ancora legittimato a sollevare
 questioni attinenti al merito della causa.  Anche tale eccezione  non
 puo'  essere  accolta, considerata la particolarita' del caso di spe-
 cie.
    E' ben vero, infatti, che, secondo la costante  giurisprudenza  di
 questa  Corte (che va qui ribadita: cfr. ad es. ord. n. 286 del 1983,
 sentt. nn. 186  del  1976,  579  del  1989,  444  e  498  del  1990),
 l'emanazione  del provvedimento d'urgenza, determinando - di regola -
 la conclusione della  fase  cautelare,  da  un  lato  esaurisce  ogni
 potesta' del giudice in quella sede, e, dall'altro, comporta che ogni
 ulteriore potere decisionale competa al giudice della successiva fase
 di merito. Ma va osservato che nella fattispecie in esame il giudizio
 di  merito  era gia' pendente ed assegnato al medesimo giudice: tanto
 basta per escludere che sussistano gli estremi per una  dichiarazione
 di inammissibilita' della questione.
 3.2. - Nel merito la questione non e' fondata.  Si e' gia' avuto modo
 di  osservare come il legislatore, nel dettare la normativa in esame,
 abbia sancito con rigore il principio di  unicita'  del  rapporto  di
 lavoro   con  il  Servizio  sanitario  nazionale,  avendolo  ritenuto
 particolarmente   valido   al   fine   di   soddisfare    l'esigenza,
 costituzionalmente  protetta,  di  restituire  massima  efficienza ed
 operativita' alla rete sanitaria pubblica. Va ora aggiunto che appare
 altresi' conforme alla detta finalita' l'aver voluto  incentivare  la
 scelta per il rapporto di lavoro dipendente, assicurando in tal caso,
 a  semplice  domanda,  il  passaggio  dal  "tempo definito" al "tempo
 pieno" anche in soprannumero.
    Cio' posto, il fatto che la norma impugnata non  preveda,  invece,
 per  il  medico  che opti per la conservazione del rapporto di natura
 convenzionale, specifiche  garanzie,  in  particolare  in  ordine  al
 mantenimento    di   un   trattamento   retributivo   sostanzialmente
 corrispondente a quello percepito in  costanza  del  doppio  rapporto
 (rinviando    alla    disciplina    prevista   nei   futuri   accordi
 convenzionali), non determina la violazione di alcuno  dei  parametri
 costituzionali invocati: basta considerare al riguardo, in aggiunta a
 quanto  gia'  sopra  rilevato,  che la situazione in cui il medico si
 verra' a trovare e' comunque frutto di una  sua  libera  scelta,  che
 tale resta, ovviamente, pur in presenza di elementi di diversita' tra
 le   due   alternative,   naturalmente   collegati   alle  differenti
 caratteristiche sostanziali dei due tipi di rapporto con il  Servizio
 sanitario  nazionale.    Ne'  a  diversa conclusione puo' condurre il
 fatto che alla scadenza del  termine  per  esercitare  l'opzione  non
 fossero  ancora  intervenuti i nuovi accordi convenzionali ex art. 48
 della legge n. 833 del 1978:  anche se sarebbe stato auspicabile  che
 cio'  fosse  avvenuto  al  fine di fornire ai soggetti interessati il
 quadro  normativo  dettagliato  della  materia,  non  puo'   tuttavia
 certamente  ritenersi  che  detta  circostanza  abbia  comportato una
 coartazione della scelta e tanto meno, di  per  se',  una  violazione
 degli artt. 4 e 35 della Costituzione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  4,  settimo  comma,  della  legge 30 dicembre 1991, n. 412
 (Disposizioni  in  materia  di  finanza  pubblica),   sollevata,   in
 riferimento  agli  artt.  3,  4,  32  e  35  della  Costituzione, dal
 Tribunale amministrativo regionale della Calabria con le ordinanze in
 epigrafe;
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 4, settimo comma, della legge 30  dicembre  1991,  n.  412,
 sollevata,  in  riferimento  agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione,
 dal  Pretore  di  Novara,  sezione  distaccata  di  Borgomanero,  con
 l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C1294