N. 808 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 marzo - 27 dicembre 1993
N. 808 Ordinanza emessa il 16 marzo 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale il 27 dicembre 1993) dal tribunale della liberta' di Reggio Calabria sull'appello proposto dal p.m. di Reggio Calabria avverso l'ordinanza del g.i.p. nei confronti di Pannuti Luigi. Processo penale - Misure cautelari personali (nella specie: custodia in carcere) - Decisione con cui il tribunale della liberta', accogliendo l'appello del p.m., dispone una misura cautelare - Sospensione dell'esecutivita' della decisione finche' non sia divenuta definitiva - Incentivo alla proposizione di ricorsi per cassazione del tutto dilatori - Ingiustificata diseguaglianza tra i poteri del g.i.p. (il cui provvedimento e' immediatamente esecutivo) e quelli del tribunale della liberta' - Difetto di delega. (C.P.P. 1988, art. 310, terzo comma). (Cost., artt. 3, 13, secondo comma, e 76, in relazione alla legge 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2, terzo comma, n. 3).(GU n.5 del 26-1-1994 )
IL TRIBUNALE DELLA LIBERTA' Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello proposto dal p.m. di Reggio Calabria avverso l'ordinanza del g.i.p. del 30 novembre 1992 con la quale veniva rigettata la richiesta della misura cautelare di custodia in carcere nei confronti di Pannuti Luigi indagato per i reati di concussione e di omessa denuncia. All'udienza camerale del 21 dicembre 1992 il p.m. proponeva: questione di legittimita' costituzionale dell'art. 310, terzo comma, del c.p.p., per contrasto con gli artt. 76, 3 e 13 della Costituzione nella parte in cui, al terzo comma, prevede che "l'esecuzione della decisione con la quale il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare, e' sospesa fino a che la decisione non e' divenuta definitiva". La questione sopra prospettata appare rilevante e non manifestamente infondata per i seguenti motivi: 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 310, terzo comma, del c.p.p., per violazione dell'art. 76 della Costituzione in relazione alla legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2, primo comma, n. 3. Quanto alla non manifesta infondatezza si osserva che l'art. 310, terzo comma, del c.p.p. subordina l'esecutivita' della decisione del tribunale della liberta' di accoglimento dell'appello del pubblico ministero al fatto che la stessa sia divenuta definitiva, e cio' o a seguito di decorrenza dei termini di impugnazione del provvedimento col mezzo di ricorso per Cassazione, o in conseguenza di decisione della suddetta Corte che respinga, o comunque, dichiari inammissibile il proposto gravame. Questa norma non trova alcuna giustificazione in un sistema processuale che si ispira ad una sostanziale equiparazione della posizione della difesa con quella dell'accusa - sebbene cio' avvenga in termini funzionalmente contrapposti - e che tra l'altro costituisce espressione di un criterio ispirativo formalizzato nella stessa legge delega del 16 febbraio 1987, n. 81, laddove l'art. 2, primo comma, n. 3) della legge in commento dispone che il codice di procedura penale deve attuare i caratteri del sistema accusatorio, secondo i principi ed i criteri indicati, tra i quali, di primaria importanza, si evidenzia quello secondo cui "la partecipazione dell'accusa e della difesa (deve avvenire) su basi di parita' in ogni stato e grado del procedimento". Detto art. 2, inoltre, al punto n. 59), ultima parte, in relazione alle direttive che vengono illustrate al legislatore delegato in tema di impugnabilita' dei provvedimenti che dispongono una misura cautelare, prevede soltanto "la riesaminabilita' anche nel merito del provvedimento che decide sulla misura di coercizione dinanzi al tribunale in camera di consiglio, con garanzia del contraddittorio e ricorribilita' per Cassazione; previsione dell'immediata esecutivita' del provvedimento che pone in liberta' l'imputato". La richiamata disposizione, quindi, non prevede in alcun modo che il provvedimento con cui il tribunale della liberta' accoglie l'appello del p.m. debba essere sospeso in attesa della definitivita' del medesimo di modo che l'art. 310 del c.p.p., terzo comma, appare con ogni evidenza in pieno contrasto con la legge delega che tace sul punto, specificando la stessa soltanto che il provvedimento che pone in liberta' l'imputato debba essere immediatamente esecutivo. Appare dunque evidente il contrasto con l'art. 76 della Costituzione per difetto di delega, posto che, se il legislatore delegante si e' preoccupato di specificare l'immediata esecutivita' dei provvedimenti che dispongono la liberta' dell'imputato, lo ha fatto senz'altro per garantire una sostanziale equiparazione - seppure di segno inverso, perche' conforme ad equita' - con quella previsione legislativa che il legislatore delegato avrebbe dovuto emanare, e cioe' quella concernente l'immediata esecutivita' del provvedimento del tribunale della liberta' di accoglimento dell'appello del pubblico ministero. E che questa sia l'unica plausibile interpretazione da dare alla volonta' del legislatore delegante si trae dal fatto che, se avesse voluto far intendere altrimenti ed in senso conforme a quanto statuito dal censurato articolo (e cioe' nel senso di negare l'immediata esecutivita' all'appello del p.m., accolto dal tribunale della liberta') avrebbe provveduto espressamente gia' in sede di delega, cosi' come ha fatto per l'ipotesi inversa, non potendosi ritenere che avrebbe omesso un richiamo che appare della massima importanza per il legislatore delegato, non solo perche' del tutto innovativo nel sistema codicistico italiano, dal momento che una norma analoga non era prevista nel previgente art. 263 del c.p.p. - sempre in tema di appello del pubblico ministero -, ma anche perche' trattasi di disposizione di non poco momento, che e' in grado di frustrare enormemente l'attivita' investigativa in corso a causa dell'inevitabile intempestivita' dell'esecuzione del provvedimento cautelare, che determina nella quasi generalita' dei casi un pregiudizio spesso irreversibile in ordine all'acquisizione delle fonti di prova, oltre al fatto di obbligare il pubblico ministero ad una anticipata discovery. Ne' e' plausibile parlare della norma di cui all'art. 310, terzo comma, come una possibile applicazione del principio del favor libertatis, cosi' come fa la relazione ministeriale al progetto del vigente codice di procedura penale in sede di illustrazione del citato articolo, perche' innanzitutto non vi e' alcuna previsione in tal senso nella legge delega, per come si e' avuto modo di evidenziare, e poi perche' detto principio non puo' ricervere un'indiscriminata applicazione perche', ontologicamente, l'applicazione di dette misure attualizza un concreto superamento - nei casi e nelle forme previste dalla legge - delle esigenze di liberta' per preminenti esigenze di giustizia connesse allo svolgimento delle indagini, che altrimenti vengono del tutto vanificate nel loro esito - come di fatto avviene, stante l'attuale formulazione dell'art. 310, terzo comma, del c.p.p. - sino ad arrivare al paradosso giuridico che la norma in questione crea, e cioe' quello di prefigurare un piu' che legittimo spunto perche' l'indagato si determini alla fuga valendo la decisione del tribunale come una spada di Damocle sulla sua liberta', pronta ad essere limitata una volta intervenuta la esecutivita' dell'appello medesimo. Tutto cio' comporta, come naturale conseguenza, la proposizione di ricorsi per Cassazione del tutto dilatori, utilizzati come comodo espediente per rifuggire ad una decisione solo sospesa nella sua esecuzione ma gia' chiara nei contenuti che sono pienamente conosciuti dall'indagato, ricorrente. 2. - Illegittimita' costituzionale art. 310, terzo comma, del c.p.p. per violazione dell'art. 13, secondo comma, e 3 della Costituzione. Ma, ove cio' non bastasse, si segnala, altresi' il contrasto del su richiamato art. 310, terzo comma, con l'art. 13 e 3 della Costituzione, in quanto, in tema di applicazione di misure cautelari personali, si registra un'assurda disparita' di poteri tra il giudice per le indagini preliminari ed il tribunale della liberta'. Infatti, mentre il giudice per le indagini preliminari pronuncia il provvedimento restrittivo sulla base delle richieste del p.m. ed inaudita altera parte, ponendo in essere un provvedimento che, se di accoglimento della richiesta dell'organo dell'accusa, e' immediatamente eseguibile, vicerversa, ove detto provvedimento restrittivo venga adottato dal tribunale della liberta' (che e' organo collegiale e non monocratico ed opera con le garanzie del contradditorio nelle forme di cui allo stesso articolo), detta decisione, pur non essendo inutiliter data, stante la sua esecutivita' sospesa in attesa della definitivita' della stessa decisione, di fatto e' come se lo fosse, tanto da indurre lo stesso tribunale della liberta', il piu' delle volte, a non emanare il provvedimento restrittivo perche', valutato il tempo necessario perche' il provvedimento medesimo venga eseguito, lo stesso non viene a monte adottato, ritenendosi che le esigenze cautelari che l'accoglimento dell'appello stesso dovrebbe assicurare siano ampiamente vanificate dal decorso del tempo. Ne consegue, in termini di rilevanza della questione esaminata che, l'art. 310, terzo comma, del c.p.p. pur essendo una norma che opera dopo l'emissione del provvedimento cautelare a seguito dell'accoglimento dell'appello, di fatto, ne condiziona la concreta emanazione, non foss'altro per i poteri decisori di cui e' dotato il tribunale della liberta'; poteri che comprendono, nel ventaglio di richieste prospettate dal pubblico ministero - e salva l'ipotesi di cui all'art. 291, comma 1- bis del c.p.p. - la possibilita' di irrogare la misura cautelare ritenuta piu' opportuna secondo i creteri di adeguatezza e di proporzionalita', la cui emanazione il tribunale deve necessariamente valutare non solo con riferimento al momento della richiesta da parte del p.m. al g.i.p., ma anche e sorprattutto alla luce delle esigenze cautelari che permangono o residuano al momento della decisione dell'appello, in quanto senza quest'ulteriore valutazione l'appello medesimo si ridurrebbe ad una sterile rivisione di alcune censure, del tutto disancorata da un substrato cautelare che deve essere immanente secondo i parametri di cui all'art. 272 del c.p.p., per come si ricava dallo stesso sistema dei criteri di adeguatezza e proporzionalita' delle misure cautelari, che altrimenti verrebbero applicate fuori dei casi prescritti dalla legge e con compressione ingiustificata della liberta' personale. Ed ancora, si rileva che la detta questione di costituzionalita' - nei termini nei quali e' stata sollevata - non poteva che porsi in questa fase, posto che il pubblico ministero e' organo che non possiede un potere che motu proprio lo abiliti a prospettare una questione di legittimita' costituzionale, la quale non puo' che porsi in via incidentale, e cioe' nel corso di un giudizio, e questo non puo' che essere lo stesso appello promosso a seguito di rigetto della richiesta di custodia cautelare da parte del g.i.p., in quanto l'altra strada astrattamente percorribile - qual'e' il giudizio in sede di incidente di esecuzione - di fatto e' terreno impraticabile per il p.m., stante l'attuale formulazione dell'art. 310, terzo comma, che in questa sede si censura, dal momento che se il p.m., dinanzi ad un provvedimento di accoglimento dell'appello da parte del tribunale della liberta', emettesse ordine di esecuzione prima che lo stesso divenisse esecutivo al fine di provocare un incidente di esecuzione nel corso del quale prospettare l'attuale questione di incostituzionalita' dell'articolo in commento, si esporrebbe non solo a procedimento disciplinare, ma anche ad un procedimento penale per abuso d'ufficio. Non si comprende, inoltre, perche' in favor libertatis che viene invocato come fondamento (peraltro discutibile) della sospensione del provvedimento emesso in sede di accoglimento dell'appello del p.m. non operi, invece, in una fase (qual'e' quella della decisione del giudice delle indagini preliminari) in cui - almeno astrattamente - vi sarebbero maggiori ragioni che operasse, perche' trattasi di decisione che scaturisce da un organo monocratico, e senza garanzie di contraddittorio, laddove il tribunale della liberta' funge da organo d'appello per tutti i provvedimenti emessi da qualunque giudice in merito alla liberta' personale. Alla luce di quanto sopra esposto si evince con chiarezza il pregiudizio che l'indagine in corso riceverebbe da una paralisi di immediata esecutivita' della eventuale pronuncia di accoglimento dell'appello, sia per innegabili esigenze probatorie, visto il caso per cui si procede di concussione ambientale, col fine principale di bloccare l'inquinamento della prova testimoniale, sia per evitare il compimento di delitti dello stesso tipo di quelli per cui si procede: esigenze queste che sono pienamente ostacolate dall'operare dell'art. 310, terzo comma, del c.p.p., per le ragioni sopra esposte.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta la questione sollevata non manifestamente infondata; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Ordina altresi' che la presente ordinanza venga a cura della cancelleria notificata alle parti in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Reggio Calabria, addi' 16 marzo 1993 Il presidente estensore: CAPUTI 94C0031