N. 168 SENTENZA 27 - 28 aprile 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Pena - Minori - Condanna  all'ergastolo  -  Omessa  previsione  della
 esclusione dell'applicabilita' anche in astratto, della pena perpetua
 nei  riguardi  dei  minorenni  imputabili - Richiamo alla sentenza n.
 140/1993 della Corte - Esigenza di attuare una incisiva ed  effettiva
 diversificazione,   rispetto   al   sistema  punitivo  generale,  del
 trattamento penalistico dei minorenni - Concorso tra l'attenuante  ex
 art.  98  del  c.p.  e  circostanze  aggravanti  comportanti  la pena
 dell'ergastolo  - Spettanza al giudice penale la determinazione della
 pena sostitutiva, in luogo dell'ergastolo nel  caso  di  concorso  di
 piu'  delitti  per  ciascuno  dei quali e' prevista la reclusione non
 inferiore a 24 anni - Illegittimita'costituzionale.
 
 (C.P., artt. 17, 22, 69, quarto comma, e 73, secondo comma)
 
 (Cost., artt. 10, primo comma, 27, terzo comma, e 31, secondo comma).
(GU n.19 del 4-5-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro
    FERRI,  prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato
    GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
    Cesare  MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
    dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 17 e  22  del
 codice  penale,  promosso con ordinanza emessa il 2 dicembre 1993 dal
 Tribunale per i minorenni delle  Marche  nel  procedimento  penale  a
 carico  di  Potenziani  Giulio,  iscritta  al  n.  797  del  registro
 ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 12 aprile 1994 il Giudice relatore
 Vincenzo Caianiello;
    Udito l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del
 Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  penale a carico di un minore,
 imputato di un reato punibile con la  pena  dell'ergastolo  (omicidio
 volontario  aggravato  commesso in danno di ascendente), il Tribunale
 per i minorenni delle Marche di  Ancona  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt. 17 e 22 del codice penale,
 nella parte in cui tali norme non  escludono  l'applicabilita'  della
 pena  dell'ergastolo  nei riguardi del minorenne, in riferimento agli
 artt. 10, primo comma, 27, terzo comma e  31,  secondo  comma,  della
 Costituzione.
    2.  -  La  proposizione della questione e' preceduta, nel contesto
 della  stessa  ordinanza,  dalla  reiezione  di  due   eccezioni   di
 illegittimita'    costituzionale   proposte   dalle   parti:   l'una,
 prospettata dalla difesa dell'imputato, riguardante la preclusione al
 rito abbreviato in presenza  di  imputazione  di  reato  punibile  in
 astratto   con  la  pena  dell'ergastolo;  l'altra,  prospettata  dal
 pubblico  ministero,  incentrata sulle disposizioni del codice penale
 in tema di circostanze (artt. 69 e 70) nella parte in cui  consentono
 che anche la circostanza di cui all'art. 98 dello stesso codice entri
 in  gioco  nel  meccanismo  di  comparazione. Riguardo a quest'ultima
 eccezione, in particolare, il giudice a quo richiama alcuni  passaggi
 della sentenza n. 140 del 1993 di questa Corte.
    3.   -   Cio'   premesso,   il  Tribunale  rimettente  ritiene  di
 individuare, piuttosto, un contrasto tra i  parametri  costituzionali
 sopra   citati   e   gli  artt.  17  e  22  del  codice  penale  (che
 rispettivamente  stabiliscono  il  "catalogo"   delle   pene   e   la
 definizione  normativa della pena perpetua), nella parte in cui detti
 articoli non escludono l'applicabilita' della pena dell'ergastolo nei
 confronti dell'imputato minorenne; una  omissione,  questa,  che,  ad
 avviso del giudice a quo, si porrebbe in contrasto:
       a)  con  l'art.  10,  primo  comma, della Costituzione, per non
 essersi l'ordinamento italiano "adeguato a  numerose  norme  pattizie
 del   diritto  internazionale  vigente  in  materia"  (norme  che  il
 rimettente non specifica);
       b)  con  l'art.  27,  terzo  comma,  della  Costituzione,   per
 compromissione  dell'esigenza rieducativa e di trattamento pedagogico
 del minore;
       c) con  l'art.  31,  secondo  comma,  della  Costituzione,  per
 violazione  del  precetto  che  impone  la protezione dell'infanzia e
 della gioventu'.
    4.  -  Non  risolutivo,  in   questa   prospettiva,   risulterebbe
 l'enunciato contenuto nella gia' richiamata sentenza n. 140 del 1993,
 secondo cui il concreto atteggiarsi della realta' giudiziaria e' " ..
 indicativo  di  una  sostanziale diversita' di trattamento del minore
 adeguata  alla  sua  condizione,  anche   per   quel   che   riguarda
 l'irrogazione  della  massima  pena  ..",  giacche'  il  fatto che in
 concreto i giudici  minorili  si  astengano  dall'applicare  la  pena
 perpetua non elide la possibilita' astratta di tale applicazione.
    5.  -  La  censura  di illegittimita' costituzionale muove proprio
 dalla riconosciuta  (sentenza  n.  140/1993  cit.)  esigenza  "di  un
 sistema  punitivo che per il minore risulti sempre piu' diversificato
 sia sul piano sostanziale che  su  quello  processuale  ..":  non  si
 comprende  -  afferma  il rimettente - la previsione di un articolato
 sistema normativo per il minore (dal processo  penale  minorile  come
 tale,  agli istituti peculiari quale quello della "messa alla prova",
 mirato ad accelerare l'uscita del giovane dal circuito penale;  dalla
 esigenza  di specializzazione del giudizio attraverso la presenza dei
 componenti esperti del collegio,  al  principio  di  adeguamento  del
 processo  all'esigenza  educativa  e  risocializzante  ex  art. 1 del
 d.P.R. n. 448 del 1988) se poi, accanto a questo complesso di  norme,
 finalizzate  tutte  ad  un trattamento spiccatamente differenziato in
 ragione della specificita' della condizione del  minore,  permane  la
 possibilita'  di irrogare la pena perpetua, possibilita' contrastante
 con le accennate esigenze di recupero, le quali,  se  sono  richieste
 per  ogni  condannato,  diventano imprescindibili per un soggetto "in
 evoluzione".
    Tanto piu' - prosegue il giudice a quo -  la  previsione  astratta
 dell'ergastolo  per i minori risulta illegittima ove si consideri che
 l'art. 98 del codice penale configura  l'eta'  inferiore  a  diciotto
 anni  come  una  circostanza  attenuante applicabile "di diritto .. e
 prima  di  qualunque  valutazione circa la sua (del minore) effettiva
 capacita' di intendere e volere"; se si e' voluta questa  diminuzione
 ineludibile  di  pena,  a  maggior  ragione  non  puo' avere senso il
 mantenimento della pena perpetua.
    6. - E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato.
    Nell'atto di intervento, l'Avvocatura erariale ha  fatto  richiamo
 alle  considerazioni svolte nella gia' ricordata sentenza n. 140/1993
 di questa Corte,  ritenendo  dette  considerazioni  esaustive,  anche
 riguardo  ai  profili  della  questione sollevati dal Tribunale per i
 minorenni delle Marche, ed ha pertanto concluso per una  declaratoria
 di  inammissibilita'  o  di  infondatezza  della  questione medesima,
 ribadendo l'assunto nella discussione orale.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata sollevata questione di  legittimita'  costituzionale
 degli  artt.  17  e  22  del  codice  penale,  nella parte in cui non
 escludono l'applicabilita' della pena  dell'ergastolo  nei  confronti
 del minore degli anni diciotto.
    Secondo il giudice rimettente le norme impugnate contrasterebbero:
 a)  con  l'art.  10 della Costituzione, per non essersi l'ordinamento
 giuridico italiano "adeguato a numerose norme  pattizie  del  diritto
 internazionale  vigente  in  materia"; b) con l'art. 27, terzo comma,
 della Costituzione, per compromissione  della  finalita'  rieducativa
 della  pena  e  del  trattamento  pedagogico  e di risocializzazione,
 peculiare per il minore; c)  con  l'art.  31,  secondo  comma,  della
 Costituzione,  per  violazione  del precetto che impone la protezione
 dell'infanzia e della gioventu'.
    2.  -  Preliminarmente  deve  essere  disattesa   l'eccezione   di
 inammissibilita',  dedotta  dall'Avvocatura  generale  dello Stato la
 quale sostiene che la questione sarebbe identica a quella decisa  nel
 senso della inammissibilita' dalla sentenza n. 140 del 1993.
    In proposito osserva la Corte che a questa pronuncia essa pervenne
 in  presenza  di  una  questione che era stata prospettata in termini
 diversi, in quanto formavano  allora  oggetto  di  censura  non  solo
 l'art.  22  del  codice penale, cioe' una delle norme ora denunciate,
 ma, congiuntamente, nel loro complesso, le norme che disciplinano  il
 meccanismo  concernente  il concorso delle circostanze attenuanti con
 le  aggravanti.  Per  questa  ragione  la  ricordata  sentenza  aveva
 osservato che la questione poneva in tal modo un quesito di carattere
 legislativo,   dato   che,  investendo  essa  nel  suo  complesso  la
 disciplina in tema di  concorso  di  circostanze,  una  pronuncia  di
 questa   Corte,   essendo   vincolata  alla  prospettazione,  sarebbe
 risultata  inadeguata,  occorrendo,  onde  perseguire  le   finalita'
 correttive  allora  proposte,  "un intervento normativo selettivo che
 definisca  le  ipotesi  in  cui  l'esonero   dal   bilanciamento   di
 circostanze  possa  avvenire;  e  cio'  per  evitare  il  prodursi di
 effetti, eccedenti la finalita' del  quesito"  che  sarebbero  potuti
 derivare  dalla  pronuncia  allora  richiesta,  "quando non si sia in
 presenza di reati punibili con l'ergastolo, perche'  si  andrebbe  ad
 incidere   in   generale   nella  disciplina  della  comparazione  di
 circostanze eterogenee in rapporto al minore".
   L'ordinanza  introduttiva del presente giudizio, come e' gia' stato
 ricordato, ha per oggetto esclusivo gli artt.  17  e  22  del  codice
 penale  "nella  parte  in  cui  non prevedono l'esclusione dalla pena
 perpetua per l'imputato minorenne"  per  cui  la  specificita'  della
 pronuncia  che  viene  richiesta  non  espone  al  rischio di effetti
 eccedenti il fine auspicato. Anche se, come si vedra'  in  prosieguo,
 la  dichiarazione  di  incostituzionalita',  in  base  ai  poteri che
 competono alla Corte ex art. 27 della legge 11  marzo  1953,  n.  87,
 sara' estesa in via consequenziale ad una delle norme che regolano il
 ricordato  meccanismo,  essa,  proprio  in  virtu'  del suo carattere
 consequenziale  rispetto  a  quella  principale   che   riguarda   la
 previsione  dell'ergastolo per i minori, risultera' limitata a questo
 ambito.
    3. - Nel merito la questione, sollevata  in  riferimento  all'art.
 10,  primo  comma,  della  Costituzione,  non  puo'  essere  presa in
 considerazione per la genericita' dell'assunto della non  conformita'
 della  normativa  denunciata  "a  numerose norme pattizie del diritto
 internazionale  vigente  in  materia",  non   essendo   individuabili
 dall'ordinanza   di  rinvio  ne'  le  disposizioni  ne'  tantomeno  i
 contenuti normativi ai quali il  rimettente  intende  fare  richiamo.
 D'altra  parte,  alla  stregua  della  giurisprudenza di questa Corte
 (sentt. n. 153 del 1987, n. 96 del 1982, n. 188 del 1980, n.  48  del
 1979,  n.  69  del  1976, n. 104 del 1969, n. 48 del 1967, n. 135 del
 1963, n. 32 del  1960)  che,  con  riguardo  al  parametro  invocato,
 delinea l'adeguamento automatico alle norme di diritto internazionale
 generalmente riconosciute, in riferimento a princi'pi generali ovvero
 a  norme  di  carattere  consuetudinario,  e'  da rilevare che non e'
 neppure possibile rinvenire nella materia un principio generale o una
 consuetudine, perche' dal variegato panorama delle legislazioni degli
 altri Stati piu'  affini  a  quella  del  nostro  Paese  non  risulta
 l'esistenza  di  una di quelle "norme generalmente riconosciute", cui
 fa riferimento l'art. 10, primo  comma,  della  Costituzione,  tenuto
 conto  della  estrema  diversita'  delle  discipline  che regolano il
 regime delle  pene  piu'  gravi  nei  vari  Paesi.    Esclusa  dunque
 l'idoneita'  di  un  cosi' generico richiamo alle "norme pattizie" ai
 fini del  controllo  di  costituzionalita'  delle  norme  denunciate,
 tuttavia   la  Corte  ritiene  opportuno,  al  fine  di  chiarire  il
 significato  degli  altri  parametri  costituzionali,  analizzare   e
 verificare  la  conformita'  della  nostra legislazione agli obblighi
 assunti sul piano internazionale.
    Tra le convenzioni sottoscritte dall'Italia che possono in qualche
 modo avere riflessi sulla materia, puo' essere ricordata quella  "per
 la  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali"
 (Roma, 4 novembre 1950 e relativo Protocollo  addizionale  di  Parigi
 del  20  marzo  1952), ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848, la
 quale, stabilendo all'art. 3 che "Nessuno puo'  essere  sottoposto  a
 torture  o  a  pene  inumane o degradanti", non sembra porre problemi
 diversi da quelli che si presentano in riferimento all'art. 27, terzo
 comma,  della  Costituzione,  per   cui   essi   saranno   affrontati
 successivamente,   nell'ambito   della   questione   sollevata  sotto
 quest'ultimo profilo.
    Per quel  che  concerne  poi  le  convenzioni  che  riguardano  in
 particolare  la  condizione  dei  minori, appare utile la menzione di
 alcune importanti proposizioni in esse contenute che  hanno  riguardo
 alla  materia  in  esame.  Cosi' nella "Dichiarazione dei diritti del
 fanciullo"  della  Societa'  delle Nazioni, del 1924, le disposizioni
 che maggiormente potrebbero  riferirsi  all'oggetto  della  questione
 riguardano  (punti  1  e  5) l'esigenza che "il fanciullo deve essere
 messo  in  grado  di   svilupparsi   normalmente,   materialmente   e
 spiritualmente" e che "deve essere allevato nel sentimento che le sue
 migliori   qualita'  dovranno  essere  poste  al  servizio  dei  suoi
 fratelli". Cosi' ancora e' da dirsi per la "Dichiarazione  universale
 dei diritti dell'uomo" (ONU, New York, 10 dicembre 1948), secondo cui
 (punto  25) "la maternita' e l'infanzia hanno diritto a speciali cure
 ed assistenza"; per la  "Dichiarazione  dei  diritti  del  fanciullo"
 (ONU,  New  York,  20  novembre  1959),  in cui si prevede (principio
 secondo)  che  "il  fanciullo  deve  beneficiare  di   una   speciale
 protezione  e  godere  di  possibilita' e facilitazioni, in base alla
 legge e ad altri provvedimenti, cosi' da essere in grado di  crescere
 in  modo  sano  e  normale  sul  piano fisico, intellettuale, morale,
 spirituale e sociale". Analoghi concetti sono espressi nelle  "Regole
 minime  per  l'amministrazione  della  giustizia  minorile" (ONU, New
 York, 29 novembre 1985; c.d. Regole di Pechino), le  quali  prevedono
 (punto  3)  che  "un  minore  e'  un  ragazzo  o  una persona che nel
 rispettivo sistema legale puo' essere imputato per un reato,  ma  non
 e' penalmente responsabile come un adulto", che (punto 5) "il sistema
 della  giustizia  minorile  deve  avere  per obbiettivo la tutela del
 giovane ed assicurare  che  la  misura  adottata  nei  confronti  del
 giovane  sia  proporzionale  alle  circostanze del reato o all'autore
 dello stesso" ed ancora (punto 17) che, nell'ambito del processo,  la
 decisione   "deve  essere  sempre  proporzionata  non  soltanto  alle
 circostanze e alla gravita' del reato, ma anche alle condizioni e  ai
 bisogni  del  soggetto  che ha delinquito come anche ai bisogni della
 societa'",  che  "la  tutela  del  minore  deve  essere  il  criterio
 determinante  nella valutazione del suo caso" e che "la pena capitale
 non e' applicabile ai reati commessi da minori". Analogamente  infine
 e'  da  dirsi  per  la  Convenzione  di  New  York  "sui  diritti del
 fanciullo"  del  20  novembre  1989,  ratificata  e  resa   esecutiva
 dall'Italia   con  legge  27  maggio  1991,  n.  176,  che,  oltre  a
 riaffermare i principi enunciati in precedenza, prescrive all'art. 37
 che "Nessun fanciullo sia sottoposto a tortura o a pene o trattamenti
 crudeli,  inumani  o   degradanti.   Ne'   la   pena   capitale   ne'
 l'imprigionamento a vita senza possibilita' di rilascio devono essere
 decretati  per reati commessi da persone di eta' inferiore a diciotto
 anni"; ed inoltre  che  "la  detenzione  o  l'imprigionamento  di  un
 fanciullo  devono  essere  effettuati  in  conformita'  con la legge,
 costituire un provvedimento di ultima risorsa ed avere la durata piu'
 breve possibile".
    Come si vede si e' in presenza di enunciazioni la  cui  attuazione
 e' affidata alla legislazione degli Stati che vi hanno aderito, e che
 trovano   nel  nostro  ordinamento  il  maggior  punto  di  emersione
 nell'art.  31  della  Costituzione,  che  costituisce  un  altro  dei
 parametri  invocati nell'ordinanza di rimessione. I problemi posti da
 tali  enunciazioni  saranno  percio'  affrontati  in  prosieguo,   in
 occasione dell'esame della questione sollevata in riferimento a detto
 parametro.
    4.  -  Per  quel  che  riguarda  il riferimento all'art. 27, terzo
 comma, della Costituzione, l'argomento, riferito alla generalita' dei
 soggetti, e' stato gia' affrontato, in modo specifico, nella sentenza
 n. 264 del 1974, che ha ritenuto non fondata  la  prospettazione  del
 contrasto tra l'ergastolo e il richiamato parametro, sul riflesso del
 carattere  polifunzionale  della pena. Un connotato, questo, ribadito
 anche di recente (sentenze n. 306/1993; n. 282/1989; n. 107/1980;  n.
 179/1973;   n.   12/1966).     Avuto  riguardo  al  momento  dinamico
 dell'applicazione  della  pena,  il  precetto  costituzionale  appare
 comunque   soddisfatto   dal  legislatore  che  ha  da  tempo  esteso
 all'ergastolano non solo l'istituto della liberazione condizionale  -
 il cui governo, per effetto della sentenza di questa Corte n. 204 del
 1974,  e'  affidato alla competenza dell'autorita' giudiziaria - che,
 come sottolineato dalla sentenza n. 264  del  1974  citata,  consente
 l'effettivo  reinserimento  del  condannato  nel consorzio civile, ma
 anche altre misure premiali che anticipano  quel  reinserimento  come
 effetto del suo sicuro ravvedimento, da comprovarsi dal giudice sulla
 base  non  solo  della  buona  condotta  tenuta dal condannato stesso
 durante  l'esecuzione  della  pena  bensi'  soprattutto   dalla   sua
 partecipazione all'opera rieducativa; una disciplina positiva, quella
 accennata,  coerente  con  la necessita' della verifica, in concreto,
 della saldatura di quella divaricazione  tra  la  astratta  finalita'
 rieducativa e la relativa adesione del destinatario, che questa Corte
 ha   gia'   individuato   essere   alla   base  della  qualificazione
 "tendenziale" della rieducazione.
    D'altra parte la disciplina positiva specificamente riguardante  i
 minori  accentua  la portata applicativa degli accennati istituti che
 si caratterizzano  come  concettualmente  antagonisti  rispetto  alla
 perpetuita'  della  pena:  sia, in negativo, stabilendosi eccezioni a
 nuove e piu' rigorose previsioni limitatrici  della  fruibilita'  dei
 "benefici"  di  ordinamento  penitenziario  (decreto-legge  13 maggio
 1991, n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203,  il  cui
 art.   4,   comma  4,  esclude  appunto  l'applicazione  delle  norme
 restrittive introdotte dal medesimo provvedimento  nei  riguardi  dei
 condannati   minorenni   all'epoca  del  reato);  sia,  in  positivo,
 scollegandosi l'applicazione della liberazione condizionale,  per  il
 minore,  dai  limiti  minimi  di  espiazione  di pena previsti in via
 generale  dall'art.  176  del  codice  penale  (art.  21  del   regio
 decreto-legge  20  luglio 1934, n. 1404, che consente di ammettere il
 minore   alla   liberazione   condizionale   in   qualunque   momento
 dell'esecuzione e qualunque sia la durata della pena inflitta).
    Tutti  gli  anzidetti  correttivi  finiscono  con l'incidere sulla
 natura stessa della pena  dell'ergastolo,  che  non  e'  piu'  quella
 concepita  alle sue origini dal codice penale del 1930. La previsione
 astratta dell'ergastolo deve ormai essere inquadrata in quel  tessuto
 normativo   che   progressivamente   ha   finito  per  togliere  ogni
 significato   al   carattere   della   perpetuita'   che    all'epoca
 dell'emanazione del codice la connotava. Ma una volta soddisfatto con
 detti  correttivi il precetto costituzionale che assegna alla pena la
 funzione rieducativa, diviene esclusivo compito  del  legislatore  di
 valutare,  nelle  scelte  di politica criminale, se conservare o meno
 l'ergastolo tra le sanzioni punitive astrattamente previste.
    5.1. - La questione e' invece fondata in riferimento  all'art.  31
 in relazione all'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
    Se  l'art.  27,  terzo  comma,  non espone di per se' a censura di
 incostituzionalita' la previsione della  pena  dell'ergastolo  ed  il
 relativo carattere della perpetuita' ai sensi degli artt. 17 e 22 del
 codice penale, di esso deve darsi una lettura diversa allorche' lo si
 colleghi  con  l'art.  31  della Costituzione che impone una incisiva
 diversificazione,  rispetto  al  sistema   punitivo   generale,   del
 trattamento   penalistico   dei   minorenni.     Dall'art.  31  della
 Costituzione, che prevede una speciale protezione per l'infanzia e la
 gioventu' e favorisce gli istituti necessari  a  tale  scopo,  deriva
 l'incompatibilita'    della   previsione   dell'ergastolo   per   gli
 infradiciottenni, perche' accomuna, per tale particolare istituto  di
 indubbia  gravita',  nel medesimo contesto punitivo tutti i soggetti,
 senza tener conto della particolare condizione minorile. Quest'ultima
 condizione - come gia' sottolineato nella sentenza n. 140  del  1993,
 ove  si  auspicava  un  intervento  del  legislatore  sul punto della
 comminatoria della pena dell'ergastolo anche per il  minore  -  esige
 "di  diversificare  il piu' possibile il trattamento del minore dalla
 disciplina punitiva generale".
    Ebbene,  questa  diversificazione,  imposta  dall'art.  31   della
 Costituzione,  letto  anche  alla luce degli obblighi enunciati nelle
 ricordate convenzioni internazionali, le quali  impegnano  gli  Stati
 nel  senso  della  particolare  protezione dei minorenni, fa assumere
 all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, relativamente a  questi
 ultimi,  un  significato distinto da quello che, come si e' visto nel
 punto precedente, e' riferibile alla generalita' dei soggetti  quanto
 alla  funzione  rieducativa  della  pena.  Questa  funzione - data la
 particolare  attenzione  che  deve  essere  riservata,  in   ossequio
 all'art.  31  della Costituzione, ai problemi educativi dei giovani -
 per i soggetti minori di eta' e' da considerarsi, se  non  esclusiva,
 certamente  preminente,  per cui si manifesta un insanabile contrasto
 fra essa e le norme denunciate - e cioe' l'art. 17 del codice penale,
 che elenca fra le pene che accedono ai reati quella dell'ergastolo, e
 l'art. 22 del codice stesso  che  caratterizza  questa  pena  con  la
 perpetuita'  -  riferendosi  entrambi  alla generalita' dei soggetti,
 senza escludere i minori.
    Ne',  rispetto  al  parametro  in  questione,  possono   risultare
 strumenti idonei - nel senso della compatibilita' tra Costituzione ed
 ergastolo  ai  minori - quei pur peculiari istituti che si sono sopra
 ricordati  (punto  4)  e  che  ampliano,  specie  per  i  minori,  le
 possibilita' di accesso ai vari benefici che il corso dell'esecuzione
 della  pena  consente;  se  per  un verso, infatti, detti istituti si
 iscrivono pur sempre in un  tessuto  normativo  che  rimane,  in  via
 generale,  indifferenziato  quanto all'eta' dell'autore del reato - e
 che e' percio' urgente  compito  del  legislatore  riformulare,  onde
 ricondurlo   ad   armonia  con  le  esigenze  di  diversificazione  e
 accentuata finalizzazione rieducativa: sentenza n. 125/1992 di questa
 Corte - per altro  verso  resta  ferma  l'incidenza  di  tali  misure
 all'interno  della  vicenda  dell'applicazione  concreta  della pena.
 Quest'ultima caratterizzazione, se e'  sufficiente  ad  escludere  il
 contrasto  con  l'art.  27,  terzo  comma,  della Costituzione in se'
 considerato, si rivela inadeguata una volta  che  si  abbia  riguardo
 alla  prospettiva della spiccata protezione del minore quale espressa
 nell'art. 31, secondo comma, della  Costituzione,  principio  la  cui
 compresenza   nell'ambito   dei  precetti  costituzionali  impone  un
 mutamento di segno al  principio  rieducativo  immanente  alla  pena,
 attribuendo  a  quest'ultima, proprio perche' applicata nei confronti
 di un soggetto ancora in formazione  e  alla  ricerca  della  propria
 identita',  una  connotazione  educativa  piu'  che  rieducativa,  in
 funzione del suo inserimento maturo nel consorzio sociale.  Gli artt.
 17 e 22 del codice penale, non escludendo  percio'  il  minore  dalla
 previsione,  sia  pur astratta, dell'ergastolo, sono in contrasto con
 l'art. 31, secondo comma, in  relazione  all'art.  27,  terzo  comma,
 della   Costituzione   e  di  essi  deve  percio'  essere  dichiarata
 l'illegittimita' costituzionale nella parte in cui non prevedono tale
 esclusione.
    5.2. - L'idea  che  dalla  previsione  della  pena  dell'ergastolo
 dovessero  essere  esclusi  i  minori  faceva  gia'  parte del nostro
 patrimonio legislativo, essendo  l'esclusione  espressamente  sancita
 dal   codice   Zanardelli   del  1889  che,  sul  portato  di  codici
 pre-unitari, rimasti sostanzialmente  in  vita  fino  all'avvento  di
 esso,  prevedeva  (sulla premessa della imputabilita' piena a partire
 dai quattordici anni) all'art. 55, per gli imputati  di  eta'  fra  i
 quattordici ed i diciotto anni, la sostituzione di quella pena con la
 reclusione  da  dodici a venti anni, ed all'art. 56, per gli imputati
 di eta' fra i diciotto ed i ventuno  anni,  la  sostituzione  con  la
 reclusione da venticinque a trent'anni.
    Quanto al codice penale del 1930, come e' noto, anteriormente alla
 riforma  di  cui  al  decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito
 dalla legge 7 giugno 1974, n. 220, l'art. 69, dopo aver previsto, nel
 caso  di  concorso  fra  circostanze  aggravanti  ed  attenuanti,  la
 possibilita'  di  attribuire  prevalenza alle une escludendo cosi' le
 altre  e  viceversa,  o  di  ritenere  la  loro  equivalenza  con  la
 conseguenza della contemporanea eliminazione delle une o delle altre,
 escludeva  dall'applicazione  di  tali  disposizioni  le  circostanze
 inerenti alla persona del colpevole, stabilendo che in tal  caso  gli
 aumenti  e  le diminuzioni di pena si operassero a norma dell'art. 63
 dello stesso codice. L'esclusione  delle  circostanze  inerenti  alla
 persona  del  colpevole  dal  giudizio  di comparazione rendeva cosi'
 sempre applicabile la circostanza  di  cui  all'art.  98  del  codice
 penale,  il  quale prevede che, qualunque sia la pena prevista per il
 reato, essa per il minore degli  anni  diciotto  e'  diminuita.  Cio'
 comportava  necessariamente  che,  pur  in  presenza  di  circostanze
 aggravanti, nei confronti del minore la pena dovesse essere  comunque
 diminuita,  nella  misura stabilita dalla disposizione speciale o, in
 difetto,  secondo  il  disposto  del  n.  2)  dell'art.  65   citato,
 rendendosi in questo modo inapplicabile la pena dell'ergastolo, salvo
 il caso che sara' successivamente esaminato in relazione all'art. 73.
 Con  la  gia'  ricordata  riforma  dell'art.  69  del  codice penale,
 introdotta dall'art. 7 del richiamato decreto-legge n.  99  del  1974
 convertito  dalla legge n. 220 del 1974, riforma ispirata peraltro da
 un intento di maggior favore per il reo, il giudizio di prevalenza  o
 di  equivalenza  fra  le due categorie di circostanze e' stato esteso
 anche a quelle inerenti alla persona del colpevole, tra le  quali  la
 giurisprudenza  ha  sempre  compreso la diminuente della minore eta',
 per consentire, fra l'altro, specie per i reati contro il patrimonio,
 la possibilita' di far ritenere prevalente l'attenuante della  minore
 eta'  ed  escludere,  quando essa ricorresse, tutte le aggravanti. Da
 questa modifica -  pur  dettata  da  un  intento  di  adeguatezza  in
 concreto  della  pena,  rispetto  alle  rigidita' (in eccesso) che si
 erano  verificate  con particolare riguardo alla parallela esclusione
 dal  giudizio  di  bilanciamento  delle  circostanze  aggravanti  che
 determinano  la  pena  in  modo  indipendente da quella ordinaria del
 reato o che stabiliscono una  pena  di  specie  diversa  -  e'  pero'
 derivata  una conseguenza deteriore. Una conseguenza forse non voluta
 (perche' gli ideatori della  riforma  non  se  l'erano  probabilmente
 prefigurata) ravvisabile nel caso - verificatosi proprio nel giudizio
 a  quo - del minore, imputato di un reato punibile con l'ergastolo, a
 causa della presenza di circostanze aggravanti che comportano la pena
 dell'ergastolo e che possono  essere  ritenute  prevalenti  e  quindi
 tali,  ai sensi dell'art. 69 del codice penale, come risultante delle
 modifiche  del  1974,  da  escludere  l'incidenza  della   attenuante
 dell'art.  98  del codice penale, che viceversa in precedenza sarebbe
 stata comunque  applicabile,  escludendo  cosi'  la  possibilita'  di
 irrogazione  di  detta pena nei confronti del minore.  E' altresi' da
 rilevare che, come era anche prima della cennata riforma del 1974, la
 previsione dell'ergastolo per il minore sussiste anche quale  effetto
 dell'applicazione  dell'art.  73  del  codice  penale che, al secondo
 comma, stabilisce in  via  generale  (e  quindi  senza  escludere  il
 minore)  che,  "quando concorrono piu' delitti per ciascuno dei quali
 deve  infliggersi  la  pena  della   reclusione   non   inferiore   a
 ventiquattro anni si applica l'ergastolo".
    6.   -   Consequenzialmente   alla   declaratoria   principale  di
 incostituzionalita',  deve  dunque  essere   dichiarata,   in   forza
 dell'art.  27  della  legge  11  marzo  1953, n. 87, l'illegittimita'
 costituzionale parziale di dette altre norme del codice penale,  onde
 apportarvi   i  necessari  adattamenti  idonei  ad  impedire  che  la
 dichiarazione di  incostituzionalita',  nei  sensi  anzidetti,  degli
 artt.  17  e 22 del codice penale risulti inoperante, atteso il nesso
 inscindibile che, come si e' visto, intercorre tra le disposizioni in
 argomento ai fini della  determinazione  della  pena  applicabile  al
 minorenne.   Il   carattere  consequenziale  della  dichiarazione  di
 incostituzionalita' che investe l'art. 69 del codice  penale,  va  ad
 incidere cosi' sul meccanismo della comparazione delle circostanze ai
 limitati   effetti   di   quella  principale  cui  e'  esclusivamente
 finalizzata e non puo'  dar  luogo,  come  si  e'  gia'  rilevato  in
 premessa,  a  quegli  effetti  eccedenti  le  finalita'  del  quesito
 rilevati nella sentenza n. 140/1993.
    L'art.   69   del   codice   penale,   come   si    e'    rilevato
 nell'illustrazione  dei  meccanismi  in  esso previsti per il caso di
 concorso  di  circostanze  eterogenee,  determina   la   possibilita'
 dell'applicazione  della pena dell'ergastolo anche per il minore, sia
 qualora  il  giudizio  di  comparazione  risulti  nel   senso   della
 prevalenza  delle aggravanti che comportano la pena perpetua (come e'
 il caso del giudizio a quo), sia nell'ulteriore ipotesi  di  giudizio
 di   prevalenza  o  anche  solo  di  equivalenza  fra  attenuanti  ed
 aggravanti,  nel  caso   di   reato   punibile   con   la   pena-base
 dell'ergastolo,  con  una  situazione  in  entrambi  i  casi ostativa
 rispetto alla possibilita' di applicazione al minore della attenuante
 prevista dall'art. 98 del codice penale. La consequenziale  pronuncia
 di  illegittimita'  costituzionale  ex  art.  27 della legge 11 marzo
 1953, n. 87, dell'art. 69 del codice penale citato consente invece di
 applicare, anche nei casi anzidetti, la diminuente suddetta.
    La  declaratoria  consequenziale  non  puo' che operare, pertanto,
 espungendo  dal  sistema  la  "parte"   incostituzionale   di   detta
 disciplina,    attraverso    l'esclusione   dell'applicazione   delle
 disposizioni  sul  giudizio  di  bilanciamento  con  riguardo   -   e
 limitatamente  -  alle  due  situazioni che si sono sopra dette.  Non
 sarebbe viceversa soluzione coerente ne' con i limiti della pronuncia
 ex art. 27 della legge n. 87  del  1953  ne'  piu'  in  generale  con
 l'esigenza  di  proporzione  tra fatto-reato e pena una pronuncia che
 giungesse ad  affermare  la  prevalenza  della  circostanza  prevista
 dall'art.  98  del  codice  penale  nei  casi  in  cui e' in gioco la
 possibilita' astratta di applicazione della  pena  dell'ergastolo  al
 minore,  giacche'  una simile statuizione apporterebbe uno squilibrio
 contrario, elidendo il peso e il significato di elementi  accidentali
 del reato che devono viceversa trovare riflesso nel concreto dosaggio
 della pena, in base appunto alla regola ex art. 63 del codice penale.
    7.    -    Per    rendere    la    dichiarazione   principale   di
 incostituzionalita'  pienamente  operante  e'   altresi'   necessario
 dichiarare l'illegittimita' in via consequenziale anche dell'art. 73,
 secondo comma, del codice penale, data la contrarieta' a Costituzione
 del  meccanismo  sostitutivo  ivi  previsto,  nel  caso di imputato o
 condannato minorenne.
    Resta ovviamente affidato  al  giudice  penale,  a  seguito  della
 dichiarazione  di  incostituzionalita'  consequenziale  dell'art.  73
 citato, di determinare la pena sostitutiva  da  applicarsi  in  luogo
 dell'ergastolo, nel caso - estraneo al giudizio a quo - in cui si sia
 in  presenza  del  concorso di piu' delitti, commessi dal minore, per
 ciascuno dei quali deve infliggersi  la  pena  della  reclusione  non
 inferiore a ventiquattro anni.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  degli artt. 17 e 22 del
 codice penale nella parte in cui non escludono  l'applicazione  della
 pena dell'ergastolo al minore imputabile;
    Dichiara,  in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953,
 n. 87:
       a) l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto  comma,
 del  codice  penale, nella parte in cui prevede che nei confronti del
 minore imputabile sia applicabile la  disposizione  del  primo  comma
 dello  stesso  articolo  69  in  caso  di concorso tra la circostanza
 attenuante di cui  all'art.  98  del  codice  penale  e  una  o  piu'
 circostanze aggravanti che comportano la pena dell'ergastolo, nonche'
 nella  parte in cui prevede che nei confronti del minore stesso siano
 applicabili le disposizioni del primo e del terzo  comma  del  citato
 art.  69,  in  caso  di concorso tra la circostanza attenuante di cui
 all'art. 98 del codice penale e una o piu' circostanze aggravanti che
 accedono  ad  un  reato  per  il  quale  e'  prevista  la  pena  base
 dell'ergastolo;
       b) l'illegittimita' costituzionale dell'art. 73, secondo comma,
 del  codice  penale,  nella parte in cui, in caso di concorso di piu'
 delitti commessi da minore imputabile, per ciascuno  dei  quali  deve
 infliggersi  la  pena  della  reclusione non inferiore a ventiquattro
 anni, prevede la pena dell'ergastolo.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 27 aprile 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 28 aprile 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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