N. 269 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 gennaio 1994

                                N. 269
 Ordinanza  emessa  il  17 gennaio 1994 dalla Corte dei conti, sezione
 seconda  giurisdizionale,  sull'istanza  proposta   dal   procuratore
 generale nei confronti di Campobasso Emidia
 Corte dei conti - Previsione che le sezioni giurisdizionali centrali
    della  Corte dei conti giudichino con tre magistrati, anziche' con
    cinque magistrati  come  previsto  dalla  precedente  normativa  -
    Irrazionalita' della ridotta composizione del giudice contabile di
    secondo  grado  che  viene  ad assumere la stessa composizione del
    giudice di primo  grado  (due  relatori  e  un  presidente)  senza
    garantire  una  valutazione  piu'  ponderata,  in  quanto  non  si
    distingue  dal  giudice  di   primo   grado   ne'   per   maggiore
    qualificazione  giuridica  dei  componenti  (due  consiglieri e un
    presidente  di  sezione)  ne'  per  l'apporto  di  approfondimento
    conseguente  ad  un  maggior  numero  di  componenti - Conseguente
    incidenza sul diritto di difesa e sui principi di imparzialita'  e
    buon  andamento della p.a. - Riferimenti alla sentenza della Corte
    costituzionale n. 2312/1984 nonche' alle ordinanze nn. 590/1988  e
    10/1994.
 (Legge 14 gennaio 1994, n. 19, art. 1, quinto comma).
 (Cost., artt. 3, 24, 97 e 111).
(GU n.21 del 18-5-1994 )
                          LA CORTE DEI CONTI
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel giudizio di appello ad
 istanza del procuratore generale avverso  la  decisione  n.  36/1993,
 della  sezione  giurisdizionale per la regione Puglia e nei confronti
 di Campobasso  Emidia,  iscritto  al  n.  8  IIC/A  del  registro  di
 segreteria;
    Vista la suindicata decisione, pubblicata il 28 giugno 1993;
    Visto l'atto di appello in data 20 luglio 1993;
    Vista  la  memoria  difensiva,  depositata  il  29  dicembre  1993
 dall'avv. Marco Di Raimondo;
    Uditi alla pubblica udienza del 17 gennaio 1994 il relatore e, non
 rappresentante l'appellata, il p.m.;
                           RITENUTO DI FATTO
    Con la citata decisione la sezione giurisdizionale per la  regione
 Puglia  dichiarava  inammissibile la domanda di condanna della sig.ra
 Campobasso, quale erede del prof. Elio Caiaffa, asserito responsabile
 di un danno  subito  dalla  USL  di  Andria,  e  non  convalidava  il
 sequestro conservativo effettuato, ritenendo insussistente, in virtu'
 dell'art.  1,  sesto  comma,  del  d.l.  2  marzo  1993,  n.  45, la
 legittimazione passiva dell'erede.
    Con il richiamato atto di  appello,  il  procuratore  generale  ha
 chiesto   che   sia  riformata  la  detta  decisione,  affermando  la
 legitimatio ad causam della sig.ra Campobasso, e  che  siano  rimessi
 gli  atti  alla sezione per la regione Puglia per la prosecuzione del
 giudizio.
    Con  la  memoria  difensiva  presentata  l'appellata   chiede   la
 reiezione dell'appello.
    All'udienza odierna il p.m. ha confermato le richieste scritte.
                        CONSIDERATO IN DIRITTO
    La  pronuncia che la sezione e' chiamata ad emettere va, ad avviso
 del  collegio,  preceduta  dalla  soluzione  di  una   questione   di
 legittimita' costituzionale, attinente alla propria composizione.
    1.  -  Con  il  decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito
 nella  legge  14  gennaio  1994,  n.  19,  e'  stato  completato   il
 decentramento a livello regionale delle sezioni giurisdizionali della
 Corte dei conti, che, limitato inizialmente alla sola regione Sicilia
 (d.lgs.   6  maggio  1948,  n.  655),  era  proseguito  dapprima  con
 l'istituzione di una sezione nella regione Sardegna (legge 8  ottobre
 1984, n. 658) e poi con quelle nelle tre regioni Campania, Calabria e
 Puglia  (d.l.  13  maggio  1991,  n.  152, convertito nella legge 12
 luglio 1991, n. 203).  Questa riforma, ora compiuta, e' paragonabile,
 per la sua  portata  e  la  sua  estensione  a  tutto  il  territorio
 nazionale,  a quella realizzata nel 1971, nell'ambito della giustizia
 amministrativa,  con  l'istituzione  dei   T.A.R.   e   completa   il
 parallelismo  esistente  tra  la  Corte  dei  conti e il Consiglio di
 Stato, come si ricava dal dettato costituzionale,  quando  disciplina
 le   loro   funzioni   giurisdizionali   (artt.  103  e  111)  o  non
 giurisdizionali (art. 100) o  il  potere  di  nomina  di  alcuni  dei
 guidici  della Corte costituzionale (art. 135, in questo caso insieme
 anche  con  la  suprema magistratura ordinaria).  Quanto agli appelli
 avverso  le  sentenze  delle  sezioni  giurisdizionali  regionali  in
 materia contabile, gia' il decreto-legge n. 453/1993 aveva introdotto
 una  notevole  innovazione,  sottraendone  la competenza alle sezioni
 riunite  e  attribuendola  alle  sezioni  giurisdizionali   centrali,
 trasformate  da  giudici di primo grado - funzione ad esaurimento che
 conservano in via temporanea - in giudici d'appello.   Al Senato,  in
 sede  di conversione, e' stato presentato e approvato un emendamento,
 che ha ridotto il numero dei componenti delle dette sezioni  centrali
 da  cinque a tre, con il manifestato intento di "snellire i collegi",
 compresi quelli delle sezioni riunite, ridotti da sette a cinque  (v.
 reseconto   sommario   del  30  novembre  1993).    Intento  che,  se
 apprezzabile sul piano dell'enunciazione teorica,  sembra  trascurare
 finalita'  non  meno  meritevoli  di considerazione, quali quelle del
 migliore utilizzo del personale e, soprattutto,  di  una  maggiore  e
 piu'  approfondita  ponderazione  in  sede di giudizio d'appello.  Al
 criterio dello snellimento  dei  collegi,  infatti,  non  si  accorda
 un'economica  di  personale,  in  quanto  ad  un  collegio  di cinque
 (presidente  e  quattro  consiglieri-relatori)  corrisponde,  secondo
 esperienza,  una  maggiore  produttivita'  rispetto  ad  uno  di  tre
 (presidente e due relatori), non  essendo  realisticamente  pensabile
 che  il  presidente,  anche ammesso che voglia gravarsi di aggiuntive
 funzioni di relatore di singoli guidizi, possa assumere un carico  di
 pari   peso  a  quello  degli  altri  componenti  del  collegio.  Ma,
 soprattutto, non si puo' negare che l'apporto di un maggior numero di
 giudici assicura in appello un riesame piu' approfondito di  ciascuna
 vertenza.       Nell'ambito   della   magistratura   ordinaria,   pur
 nell'identita' numerica dei  collegi  dei  tribunali  e  delle  Corti
 d'appello,  si  riscontra  il  correttivo  della qualifica superiore,
 rivestita dai magistrati che compongono queste  ultime.  Nella  Corte
 dei conti non pare sussistere altro modo, per assicurare una maggiore
 dialettica  e ponderazione, che quello offerto dal maggior numero dei
 componenti  dell'organo   giudicante   d'appello,   data   l'assoluta
 identita'  di  qualifiche  (presidente  e  consiglieri)  rivestita da
 componenti sia delle sezioni regionali  sia  delle  sezioni  centrali
 (mancata articolazione di qualifiche, della cui costituzionalita', in
 relazione all'art. 107, terzo comma, pure sarebbe lecito dubitare).
    In  effetti,  la  previsione  di  un  giudice  di  appello in sede
 centrale, avente la stessa composizione numerica, e, in astratto, gli
 stessi requisiti di professionalita' del giudice di prima istanza  in
 sede  regionale, appare contrastare le oggettive esigenze di coerenza
 e di razionalita', insiste  nell'ordinamento.  Contrasto  tanto  piu'
 avvertibile,  quando  si  condideri che il legislatore, modellando il
 nuovo assetto  organizzativo  della  magistratura  contabile  su  uno
 schema  molto  vicino  a quello della magistratura amministrativa, ha
 finito con l'assegnare alla Corte dei conti, come giudice di  secondo
 grado,  un  ruolo  funzionalmente  analogo  a quello del Consiglio di
 Stato, come organo giurisdizionale, con non razionale giustificazione
 dei differenziati  criteri  sottesi  alla  struttura  dei  rispettivi
 collegi  giudicanti  (ai sensi dell'art. 1, ultimo comma, della legge
 27 aprile 1982, n. 186, infatti, il Consiglio di Stato pronuncia,  in
 sede  giurisdizionale,  "con  l'intervento di uno dei presidenti e di
 quattro consiglieri", ossia con collegi a composizione piu' allargata
 rispetto a  quelli  dei  T.A.R.).    Ove  alla  base  del  menzionato
 emendamento   fosse  stato  presente  il  cennato  confronto  con  la
 giurisdizione ordinaria di merito, il confronto stesso  parrebbe  mal
 posto,  in  quanto la Corte dei conti, la quale, come sottolineava la
 Corte costituzionale nella sentenza n.  226/1976, e' annoverata dalla
 Costituzione (art. 135, secondo comma) tra le superiori  magistrature
 ordinaria e amministrative, deve essere posta a raffronto soprattutto
 con il Consiglio di Stato, per le ragioni gia' dette.  Anche la Corte
 di  cassazione,  peraltro  a  sezioni  semplici,  giudica con collegi
 composti di cinque magistrati ( art. 67, primo  comma,  del  r.d.  30
 gennaio  1941,  n.  12).    Ma  la differneza piu' sostanziale tra le
 sezioni giurisdizionali centrali della Corte dei  conti  e  le  corti
 d'appello, e' costituita dal fatto che le sentenze delle prime, cosi'
 come  quelle  emesse  dalle  sezioni giurisdizionali del Consiglio di
 Stato sugli appelli proposti  avverso  le  sentenze  dei  T.A.R.  non
 ammettono  alcuna  superiore istanza, salvo il ricorso in cassazione,
 esperibile, pero', soltanto per motivi  inerenti  alla  giurisdizione
 (art.  111,  ultimo  comma,  della  Costituzione).    Da una indagine
 comparativa sulla struttura dei vari organi giurisdizionali esistenti
 si puo' rilevare:
       a)  la  preferenza,   anzitutto,   del   legislatore   per   la
 collegialita',  anche  in  primo  grado:  ai giudici monocratici sono
 riservate le cause di minore rilevanza;
       b) una collegialita' ampliata tutte le volte che  la  pronuncia
 di riesame spetti alle magistrature superiori;
       c)  in  sintesi,  il principio desumibile dalle norme positive,
 che  un  riesame  della  controversia  assoggettata  a  gravame,   si
 accompagna  alla  costituzione  di  un giudice di rango superiore, il
 quale, per la piu' delicata  e,  ad  un  tempo,  autorevole  funzione
 giustiziale  che  gli  compete,  viene comunemente identificato in un
 organo giudicante che, per composizione e grado  di  professionalita'
 ed  esperienza, offra sufficiente garanzie di accentuata sensibilita'
 giuridica per una piu' meditata e giusta decisione.
    La recente legge sulla Corte dei conti va, come si  e'  visto,  in
 tutt'altra direzione.
    2.  -  La  rilevata  disarmonia  venutasi a creare nella struttura
 della Corte dei  conti  in  sede  di  appello,  rispetto  alle  altre
 magistrature  superiori,  non sembra conforme, pertanto, al principio
 del  buon  andamento,  fissato  dall'art.  97,  primo  comma,   della
 Costituzione,  al  quale deve informarsi anche l'organizzazione degli
 uffici  giudiziari.     Non   sembra   invero   ipotizzabile   alcuna
 correlazione  logica  tra il ridotto apporto cognitivo, promanante da
 un  piu'  limitato  confronto  delle  opinioni  e  delle  valutazioni
 espresse  in  sede  collegiale,  e  l'obiettivo soddisfacimento delle
 specifiche esigenze funzionali proprie  degli  organi  giudicanti  di
 elevato  rango,  dai  quali  ci  si  attende  una  decisione  il piu'
 possibile immune da vizi.   Ma anche per altro  riguardo  non  sembra
 rispettato  il  principio ora richiamato.   Rispetto ad una struttura
 assolutamente identica, sia quanto alle qualifiche dei magistrati che
 la compongono, sia  quanto  al  numero  dei  votanti,  delle  sezioni
 regionali  e  delle  sezioni  centrali della Corte dei conti, diversa
 risulta invece la composizione dell'ufficio del p.m. Infatti,  mentre
 innanzi  alle  sezioni regionali le funzioni del p.m. sono esercitate
 da  un  vice  procuratore  generale,  con  funzioni  di   procuratore
 regionale  (o  da  altro  magistrato  assegnato all'ufficio, che puo'
 essere anche un sostituto procuratore generale), innanzi alle sezioni
 centrali,  invece,  le dette funzioni sono esercitate dal procuratore
 generale (o da un vice procuratore generale).  Nell'organizzazione di
 questo  ufficio  risulta,  percio',  rispettata  l'esigenza  di   cui
 all'art.  107,  terzo  comma,  della Costituzione, dell'articolazione
 cioe' delle funzioni per qualifiche, al contrario di quanto  avviene,
 invece,  nell'ambito  dell'organo giudicante.   Quanto all'assistenza
 legale dei convenuti, essa, a sua volta, puo' essere  svolta  innanzi
 alle  sezioni  regionali  -  in  applicazione  analogica  della norma
 dettata per i giudizi pensionistici  (art.  6,  quinto  comma,  della
 citata  legge n. 19/1994) - da professionisti iscritti all'albo degli
 avvocati o dei procuratori, mentre innanzi alle sezioni centrali puo'
 essere svolta soltanto  dagli  avvocati  iscritti  negli  albi  delle
 magistrature  superiori  (art.  1,  terzo  comma,  del regolamento di
 procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti,  approvato  con
 il r.d. 13 agosto 1933, n. 1038).
    3. - La disposizione in esame appare, inoltre, in contrasto, per i
 prospettati  dubbi  di  ragionevolezza  e di congruita', con l'art. 3
 della Costituzione, essendo bene noto che l'essenza del principio  di
 uguaglianza   impone,   tra  l'altro,  un  trattamento  adeguatamente
 differenziato di situazioni tra loro diverse. Non  e'  chi  non  veda
 come  diversamente  si  atteggi  l'interesse  delle parti in causa in
 relazione al fine dell'attuazione della giustizia in un  procedimento
 di  primo  o  di secondo grado.   Per altro verso, l'irragionevolezza
 intrinseca della disposizione normativa appare  evidente,  quando  si
 rifletta  che, nel caso di controversie anche di modestissimo valore,
 un pubblico dipendente potra' contare su una struttura  degli  organi
 di giustizia amministrativa piu' garantista di quella cui si trovera'
 invece  assoggettato,  se  sia  convenuto in giudizio per un presunto
 danno, che potra' comportare la condanna al pagamento di somme  anche
 molto  elevate.    Disparita'  che apparirebbe ancor piu' evidente se
 gia' fosse previsto l'appello  avverso  le  decisioni  delle  sezioni
 regionali in materia pensionistica (v. art. 125, secondo comma, della
 Costituzione, e sentenze costituzionali n. 69/1982 e n. 52/1984).
    4.  -  La  disposizione  in argomento, riflettendosi negativamente
 sugli  equilibri  della  dialettica  processuale,   sembra   limitare
 ingiustificamente, per difetto di condizioni oggettivamente idonee ad
 assicurare  nel  miglior  modo  un giusto provvedimento decisorio, la
 piena estrinsecazione, in ogni grado del procedimento,  della  difesa
 delle  parti.  La  nuova norma appare, quindi, confliggente anche con
 l'art. 24 della Costituzione.
    5. -  La  ridotta  composizione  degli  organi  di  appello  della
 giurisdizione  contabile  sembra  violare altresi' l'art. 111, ultimo
 comma, della Costituzione che limita il ricorso in Cassazione  contro
 le  decisioni  della  Corte  dei  conti  ai soli motivi inerenti alla
 giurisdizione.   Tale limitazione  sembra  trovare  fondamento  anche
 nella struttura allora esistente delle sezioni giudicanti della Corte
 stessa,  quale  disciplinata  dall'art.  4,  secondo comma, del testo
 unico 12  luglio  1934,  n.  1214,  che  costituiva,  al  pari  della
 composizione  delle  sezioni  giurisdizionali del Consiglio di Stato,
 l'evidente presupposto della citata norma costituzionale.
    6   -   Ulteriori   motivi   di   grave    perplessita'    sorgono
 dall'applicazione  della  norma  in questione agli appelli avverso le
 decisioni della sezione giurisdizionale  per  la  regione  siciliana,
 cosi'  come precedentemente disciplinati dal d.lgs. 6 maggio 1948, n.
 655,  in  attuazione  dell'art.  23  dello statuto, in quanto in tale
 decreto d.lgs.  (artt.  3,  ultimo  comma,  e  4,  ultimo  comma)  e'
 stabilito  che: "contro le decisioni della sezione giurisdizionale ..
 e' ammesso l'appello alle sezioni riunite della Corte dei  conti,  ai
 sensi  dell'art.  67  del testo unico, approvato con regio decreto 12
 luglio 1934, n.  1214",  nella  composizione,  ovviamente,  stabilita
 dall'art. 2, primo comma, della legge n.  161/1953 e cioe' con undici
 magistrati.    La  legge  n.  19/1994 sembra aver ignorato il diverso
 rango che  spetta  ai  decreti  attuativi  dello  statuto  siciliano,
 approvato con legge costituzionale.
    7. - Considerazione a parte merita il regime temporaneo, destinato
 a  durare  fino  alla  data di insediamento dell'ultima delle sezioni
 giurisdizionali regionali, ma, in ogni caso, non oltre il 31 dicembre
 1994 (art. 1, ottavo comma, legge n.  19/1994).    Infatti,  in  tale
 periodo  transitorio,  le sezioni giurisdizionali centali I e II, nei
 numerosi casi in cui continuano ad  esercitare  la  giurisdizione  di
 primo  grado (art. 11 della legge 8 ottobre 1984, n.  658, richiamato
 dall'art. 1, ottavo comma, della legge n.  19/1994;  art.  1,  quarto
 comma,  della  legge n. 19/1994; art. 1, ottavo comma, della legge n.
 19/1994), conservano (art. 2, primo comma, della legge 21 marzo 1953,
 n. 161) la composizione di cinque magistrati,  al  pari,  del  resto,
 delle    altre    sezioni    centrali,   competenti   nelle   materie
 pensionistiche, per le quali non e' previsto l'appello,  e  destinate
 ad  essere  soppresse (art. 1, ottavo comma, della legge n. 19/1994).
 La riduzione a tre componenti e' stabilita dall'art. 1, quinto comma,
 della  legge  n.  19/1994,  con  esclusivo  riferimento   alla   loro
 competenza  di  giudici  d'appello.  Talche',  le predette sezioni si
 trovano ora a giudicare,  in  prima  grado,  con  collegi  di  cinque
 magistrati e, in appello, con collegi di tre.
    Le   considerazioni   innanzi   svolte   vengono   avvalorate   da
 un'ulteriore constatazione  del  dato  normativo  in  relazione  alla
 competenza  delle  sezioni  riunite in materia d'appello nello stesso
 periodo transitorio.   La competenza in  grado  d'appello  attribuita
 alle  sezioni  giurisdizionali  centrali concerne le sentenze emanate
 dalle sezioni giurisdizionali regionali. Si deve, pertanto,  ritenere
 che gli appelli da proporre avverso le sentenze emesse in primo grado
 dalle  sezioni  prima  e  seconda,  comprese quelle che esse potranno
 emettere fino al 31 dicembre 1994, continuano  ad  essere  attribuiti
 alle  sezioni  riunite,  ai  sensi  dell'art. 67 del regio decreto 12
 luglio 1934, n. 1214, e nella  composizione  stabilita  dall'art.  2,
 primo  comma,  della  citata  legge  n.  161/1953  (cioe'  con undici
 componenti).  La nuova composizione di cinque magistrati e' prevista,
 infatti, dalla nuova legge esclusivamente per giudicare  i  conflitti
 di  competenza  e  le  questioni di massima.   Ne' si puo' ipotizzare
 alcun'altra soluzione, in  quanto  non  troverebbe  alcun  fondamento
 normativo.
    8.  -  In  base  alle considerazioni sopra illustrate, il Collegio
 dubita che, in relazione agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, la
 norma in argomento possa dirsi costituzionalmente legittima.  Dati di
 riferiti dubbi, si ritiene, pertanto, di dover sollevare,  d'ufficio,
 questione   di   legittimita'   costituzionale  della  norma  stessa,
 apparendo  non   manifestamente   infondata,   alla   stregua   delle
 considerazioni svolte.
    9. - La questione e' altresi' certamente rilevante, non potendo il
 presente    giudizio   essere   definito,   indipendentemente   dalla
 risoluzione della questione di legittimita' costituzionale sollevata.
 Attenendo  essa,  infatti,  alla  regolare  costituzione  dell'organo
 giudicante,    ne   consegue   che   l'eventuale   dichiarazione   di
 illegittimita' costituzionale della  norma,  non  determinando  alcun
 vuoto  legislativo,  confermerebbe  soltanto  che  questo  giudice e'
 inidoneo,  nell'attuale  composizione,  a  pronunciarsi  sull'appello
 devoluto al suo giudizio.
    Si  dovrebbe  provvedere,  quindi,  a comporre l'organo stesso, in
 conformita' alla pronuncia della Corte costituzionale, cioe'  secondo
 l'art. 2, primo comma, della legge n. 161/1953.
    10.  -  Nell'inviare  gli  atti  alla  Corte costituzionale per la
 risoluzione della questione sollevata, non sembra  a  questo  giudice
 che  i  dubbi  prospettati  siano preclusi dalle recenti ordinanze n.
 590/1988 e n. 10 del 1994, con le quali la  Corte  costituzionale  ha
 dichiarato   la   manifesta   inammissibilita'   delle  questioni  di
 legittimita' costituzionale concernenti la  composizione  di  collegi
 giudicanti,  con riferimento all'art. 108 della Costituzione, essendo
 stati  assunti  a  base  della  presente  ordinanza  altri  parametri
 costituzionali,  atteso  che  la discrezionalita' del legislatore non
 sembra  poter  sfociare  nell'arbitrio,  nella   illogicita',   nella
 irrazionalita',  specie  se comportano per di piu' una difformita' di
 trattamento  di  cittadini  che  versano  nella  medesima  situazione
 giuridica  ne'  che, all'interno dello stesso organo giurisdizionale,
 situazioni assolutamente  identiche  vengono  trattate  diversamente,
 come  sopra  illustrato.    Non  e'  inutile, infine, rammentare, nei
 limiti della sua valenza, la sentenza n. 212/1984, con  la  quale  la
 Corte  costituzionale, travolgendo l'intero d.P.R. 29 aprile 1982, n.
 240, istitutivo di  una  senzione  giurisdizionale  e  delle  sezioni
 riunite  della Corte dei conti in Sardegna, dichiaro' in particolare,
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5 del decreto  stesso,  che
 riduceva da 5 a 3 il numero di componenti del collegio giudicante.
                                P. Q. M.
    Visti   gli   artt.   134  della  Costituzione  e  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, quinto comma, della legge 14
 gennaio  1994,  n.  19,  nella  parte in cui statuisce che le sezioni
 giurisdizionali centrali della Corte dei  conti  "giudicano  con  tre
 magistrati",  con  riferimento  agli  artt.  3,  24,  97  e 111 della
 Costituzione;
    Sospende il procedimento in corso e ordina la  trasmissione  degli
 atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che,  a  cura della segreteria, la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  al
 Presidente  della  Camera  dei  deputati  ed al Presidente del Senato
 della Repubblica.
    Cosi' deciso in Roma, nella Camera di  consiglio  del  17  gennaio
 1994.
                       Il presidente: PALLOTTINO
 94C0531