N. 278 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 marzo 1994

                                N. 278
 Ordinanza  emessa  il  17  marzo  1994  dal  pretore  di  Prato   nel
 procedimento civile vertente tra Rovai Gino e l'I.N.P.S.
 Previdenza e assistenza sociale - Pensioni - Pensioni I.N.P.S. -
    Integrazione  al  minimo  -  Perdita  dal  primo ottobre 1983, del
    diritto all'integrazione al minimo per una delle pensioni nel caso
    di cumulo di  due  pensioni  entrambe  integrate  al  minimo  (con
    conseguente  riduzione  di  tale pensione) - Affermata sussistenza
    (secondo  la  giurisprudenza  della  Cassazione  e  con   sentenza
    interpretativa  di rigetto della Corte costituzionale) del diritto
    alla c.d. cristallizzazione del trattamento non piu' integrabile -
    Esclusione di tale diritto con successiva norma di interpretazione
    autentica   -   Irragionevolezza   con   incidenza   sul   diritto
    all'assicurazione  di  mezzi  adeguati  alle  esigenze  di  vita -
    Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 418/1/991
    e 173/1986.
 (Legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, ventiduesimo comma).
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.21 del 18-5-1994 )
                              IL PRETORE
    Con  ricorso  depositato  in  cancelleria  il  30  giugno  1993  e
 ritualmente notificato, Gino Rovai esponeva di essere titolare di due
 pensioni,  una  diretta,  con  decorrenza  maggio  1965,  ed  una  di
 reversibilita', con decorrenza gennaio 1982, e  di  avere  presentato
 domanda all'I.N.P.S. intesa ad ottenere l'integrazione al trattamento
 minimo  su  quest'ultima,  a seguito della sentenza n. 314/1985 della
 Corte costituzionale.
    Lamentava tuttavia che l'istituto vi aveva provveduto,  integrando
 peraltro  al  minimo  la  pensione  solo fino al 30 settembre 1983, e
 liquidando  da  quella  data  la  pensione  "a  calcolo":   invocando
 l'interpretazione  consolidata  dell'art. 6, settimo comma, del d.l.
 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11  novembre  1983,
 n.  638,  chiedeva  la  condanna  dell'I.N.P.S.  al  pagamento  della
 differenza tra la pensione consolidata  nell'ammontare  integrato  al
 minimo  alla  data  del 30 settembre 1983 e quella erogata a calcolo,
 fino al riassorbimento per effetto dei progressivi aumenti di legge.
    Resisteva  con  memoria  l'I.N.P.S.,  chiedendo  il  rigetto   del
 ricorso,  sulla  scorta di una differente interpretazione della norma
 sopra richiamata.
    Nelle more  del  giudizio,  e'  peraltro  intervenuto  l'art.  11,
 ventiduesimo  comma,  della  legge  24 dicembre 1993, n. 537, recante
 l'interpretazione autentica dell'art.  6,  quinto,  sesto  e  settimo
 comma, del d.l. n. 463/1983.
    All'udienza  del  17 marzo 1994, il pretore sollevava d'ufficio la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  della  norma  da  ultimo
 richiamata, rilevando quanto segue.
    1.  - L'art. 11, ventiduesimo comma, della legge 24 dicembre 1993,
 n. 537 "Interventi  correttivi  di  finanza  pubblica",  dispone  che
 "l'art.  6,  quinto,  sesto  e  settimo comma, del d.l. 12 settembre
 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11  novembre
 1983, n. 638, si interpreta nel senso che nel caso di concorso di due
 o  piu'  pensioni  integrate  al  trattamento  minimo,  liquidate con
 decorrenza anteriore alla data di  entrata  in  vigore  del  predetto
 decreto-legge,  il  trattamento  minimo  spetta  su  una  sola  delle
 pensioni, come individuata secondo i criteri previsti al terzo  comma
 dello  stesso  articolo,  mentre l'altra o le altre pensioni spettano
 nell'importo a calcolo senza alcuna integrazione".
    A propria volta, il quinto comma dell'art. 6 del d.l. n. 463/1983
 sopra  richiamato  prevede  che  "le  pensioni   non   integrate   al
 trattamento minimo di cui al presente articolo sono assoggettate alla
 disciplina  della perequazione automatica delle pensioni integrate al
 trattamento minimo  secondo  i  rispettivi  ordinamenti",  mentre  il
 successivo   comma  sesto  dispone  che  "le  pensioni  integrate  al
 trattamento minimo i cui titolari superino il limite  di  reddito  di
 cui  precedenti  comma  (in  particolare  il  primo  e secondo comma:
 n.d.e.) successivamente alla data di decorrenza della  pensione,  ivi
 comprese  quelle  aventi  decorrenza  anteriore al 30 settembre 1983,
 sono assoggettate alle disposizioni di cui ai commi precedenti  dalla
 cessazione  del  diritto alla integrazione, applicando all'importo in
 vigore alla data di decorrenza della pensione, calcolato  sulla  base
 dei  periodi  di contribuzione utili, le percentuali di rivalutazione
 dei trattamenti minimi di pensione  dei  rispettivi  ordinamenti  nel
 frattempo intervenuti".
    Infine  il  settimo comma prevede che "l'importo erogato alla data
 di cessazione del diritto all'integrazione viene conservato  fino  al
 superamento  per  effetto dell'applicazione delle disposizioni di cui
 al quinto comma dell'importo determinato ai sensi del sesto comma".
    2.  -  Rileva  il  giudicante  come  il  potere di interpretazione
 autentica   delle   leggi,   costituendo   espressione   del   potere
 istituzionalmente   attribuito   al   legislatore   (art.   70  della
 Costituzione), non trovi ostacoli di rango costituzionale se  non  in
 campo penale, ove vige il tassativo disposto dell'art. 25 cpv., della
 Costituzione.
    Difatti,  nonostante  che  la  legge di interpretazione autentica,
 introducendo  nell'ordinamento  la  precettivita'  dell'apprezzamento
 interpretativo   operato   sulla   disposizione   fatta   oggetto  di
 interpretazione, risulti necessariamente  retroattiva,  il  principio
 previsto   dall'art.   11  delle  disp.  prel.  del  cod.  civ.,  non
 costituisce ostacolo in tal senso, trattandosi di norma  che  risulta
 equiordinata nella gerarchia delle fonti rispetto a quella contenente
 l'interpretazione autentica.
    Tanto  premesso,  va tuttavia osservato che la stessa Corte che si
 adisce  ha  chiaramente  individuato,  fin  dall'inizio  del  proprio
 operare   (cfr.   sentenza   n.   118/1957),   le  condizioni,  anche
 sostanziali, che evidenziano, al di la'  delle  espressioni  nominali
 adottate  dal  legislatore,  l'esercizio  di  un  autentico potere di
 interpretazione autentica.
    Su questa direttrice, e' stato recentemente rilevato (sentenza  n.
 233/1988)  che  la  qualificazione  giuridica di legge interpretativa
 spetta "a quelle leggi o a quelle  disposizioni  che,  riferendosi  e
 saldandosi con altre disposizioni (quelle interpretate), intervengono
 esclusivamente  sul  significato  normativo  di  queste ultime (senza
 percio' intaccarne o integrarne  il  dato  testuale),  chiarendone  o
 esplicitandone  il senso (ove considerato oscuro) ovvero escludendone
 o enucleandone uno dei sensi ritenuti possibili,  al  fine,  in  ogni
 caso,  di imporre all'interprete un determinato significato normativo
 della  disposizione  interpretata"  (cfr.   altresi'   sentenze   nn.
 155/1990, 308/1990, 455/1992 e 39/1993).
    Peraltro, non puo' essere pretermesso che la potesta' normativa di
 interpretazione  autentica  presuppone  una  situazione  di obiettiva
 incertezza sul significato dispositivo della norma, incertezza  della
 quale  possono essere espressione, in via esemplificativa, i ripetuti
 contrasti dottrinali  e  soprattutto  giurisprudenziali  o  l'uso  di
 espressioni  anfibologiche  ed  oggettivamente  oscure, in difetto di
 che, il precetto normativo impositivo, con effetto retroattivo, della
 interpretazione prescelta dal legislatore si risolverebbe in  un  uso
 irragionevole   del   potere   di   normazione  primaria  (nel  senso
 dell'assoggettibilita' al sindacato  di  ragionevolezza  dell'effetto
 retroattivo  delle  leggi  interpretative,  sentenze  n.  283/1989  e
 soprattutto n. 155/1990).
    Di conseguenza, pare  opportuno  richiamare  l'insegnamento  della
 Corte  laddove  afferma che "non puo' .. dirsi che faccia .. buon uso
 della sua potesta' il legislatore che si sostituisca al potere cui e'
 riservato  il  compito  istituzionale  di  interpretare   le   leggi,
 dichiarando,  mediante altra legge l'autentico significato con valore
 obbligatorio per tutti, e, quindi vincolante anche  per  il  giudice,
 quando non ricorrano quei casi in cui la legge anteriore riveli gravi
 ed  insuperabili  anfibologie  od  abbia  dato  luogo  a contrastanti
 applicazioni,  specie  in  sede   giurisprudenziale"   (sentenza   n.
 187/1981).
    3.  -  Tanto  premesso,  va  preliminarmente rilevato che la norma
 recata dall'art. 11, ventiduesimo comma,  della  legge  n.  537/1993,
 trova  il  proprio antecedente nell'art. 4, primo comma, del d.l. 21
 gennaio 1992, n. 14, nell'art. 4, primo comma,  del  d.l.  20  marzo
 1992,  n. 237, nell'art. 4, primo comma, del d.l. 20 maggio 1992, n.
 293, ed, infine, nell'art. 5, primo comma, del d.l. 21 luglio  1992,
 n. 345.
    Si   tratta,   invero,  di  disposizione  inserita,  con  identico
 contenuto, in una serie di decreti-legge non convertiti, e in  ordine
 alla  quale  venne  gia'  sollevata  in  via incidentale questione di
 legittimita' costituzionale,  ritenuta  manifestamente  inammissibile
 dalla  Corte  essendo  nel  frattempo  decadute  ex  tunc per mancata
 conversione dei decreti le norme oggetto di  giudizio  (sentenze  nn.
 443 e 447 del 1992).
    La  disposizione  in  oggetto  interviene, come detto, per fornire
 l'interpretazione autentica degli ultimi tre commi  dell'art.  6  del
 d.l.  n.  463/1983,  convertito,  con  modificazioni, nella legge n.
 638/1983.
    4. - Come noto, l'art. 6 citato e' stato  introdotto  al  fine  di
 porre   rimedio   alla   progressiva   eliminazione  del  divieto  di
 integrazione al trattamento minimo di pensioni erogate in  favore  di
 percettori  di  altra pensione, eliminazione conseguente ad una serie
 di pronuncie caducatorie della  Corte  costituzionale  (sentenze  nn.
 230/1z974, 236/1976, 34/1981 e 102/1982), le quali avevano dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale di quelle disposizioni limitative del
 divieto    di   applicazione   dell'istituto   dell'integrazione   al
 trattamento minimo in favore di titolare di altre pensioni  liquidate
 da fondi speciali.
    L'art.  6  del d.l. n. 463/1983 introdusse pertanto il principio,
 sancito dal terzo comma, dell'integrazione al  trattamento  minimo  -
 comunque  condizionata al mancato raggiungimento dei redditi indicati
 al primo comma - su una sola pensione, determinata secondo i  criteri
 previsti dal comma terzo medesimo.
    Poiche',  tuttavia,  il  principio  sopra  enunciato  poteva dirsi
 senz'altro operante  per  i  trattamenti  previdenziali  liquidati  a
 partire  dal 1 ottobre 1983, restava da considerare la disciplina del
 cumulo delle pensioni erogate in data anteriore al 30 settembre 1983,
 entrambe integrate al minimo.
    Difatti,  per  effetto  della   declaratoria   di   illegittimita'
 costituzionale  dell'art. 2, lett. a), della legge 12 agosto 1962, n.
 1338,  nelle   parti   non   ancora   dichiarate   costituzionalmente
 illegittime,  e  dell'art.  23  della  legge  30  aprile 1969, n. 153
 (sentenza  n.  314/1985),  si  era  sostanzialmente   introdotta   la
 generalizzazione   del   principio   della   doppia  integrazione  al
 trattamento minimo, estesa a  tutte  le  situazioni  di  concorso  di
 pensioni  a  carico dell'assicurazione generale obbligatoria I.N.P.S.
 Sul punto si registrarono due significativi interventi del giudice di
 legittimita' (Cass. sentenze 19 dicembre 1989, n.  5270  e  5  maggio
 1990, n. 3749).  La suprema Corte, valorizzando il dato letterale del
 settimo comma dell'art. 6 ebbe ad affermare il principio secondo cui,
 fermo  restando  il diritto ad una sola integrazione al minimo - alle
 condizioni definite dal primo e terzo comma - per tutti i trattamenti
 pensionistici  erogati  successivamente  al  1  ottobre  1983,  e  la
 conseguente  cessazione,  a  partire  da  quella  data,  della doppia
 integrazione  nell'ipotesi  di concorso di pensioni aventi decorrenza
 anteriore, cio' non avrebbe comportato  la  perdita  del  trattamento
 economico,  perche'  la  disposizione  del settimo comma dell'art. 6,
 nello stabilire che "l'importo erogato alla data  di  cessazione  del
 diritto  all'integrazione  viene  conservato fino al superamento, per
 effetto dell'applicazione delle disposizioni di cui al  quinto  comma
 dell'importo  determinato  ai  sensi del sesto comma", avrebbe dovuto
 intendersi come espressamente finalizzata a garantire  al  pensionato
 la conservazione del trattamento erogato al 30 settembre 1983 fino al
 riassorbimento  per effetto dei meccanismi di perequazione automatica
 previsti al quinto e sesto comma.  D'altra parte, che la disposizione
 recata dal settimo comma dell'art. 6 configurasse  uno  strumento  di
 tutela  degli assistiti emergeva de plano dai lavori preparatori, ove
 si legge che detta norma era stata introdotta  "al  fine  di  evitare
 l'istantaneo   ridimensionamento   del   reddito   previdenziale   in
 pregiudizio dell'assistito che perda il diritto  all'integrazione  al
 minimo".   Tale interpretazione si e' successivamente affermata dando
 luogo ad un indirizzo ampiamente consolidato (cfr.  Cass.  17  luglio
 1990,  n.    7315, 6 maggio 1991, n. 4963, 1 giugno 1991, n. 6192, 18
 luglio 1991, n. 8015, 10 ottobre 1991, n. 10658, 14 dicembre 1991, n.
 12139, 19 novembre 1991, n. 12388,  7  febbraio  1992,  n.  1335,  18
 dicembre  1992,  n.  13420, 25 marzo 1993, n. 3572, 30 marzo 1993, n.
 3812, 7 aprile 1993, n. 4171, 14 aprile  1993,  n.  4438,  20  aprile
 1993,  n.  4438, 26 aprile 1993, n. 4865), tanto da costituire vero e
 proprio "diritto vivente".    Essa,  inoltre,  ha  ricevuto  altresi'
 l'autorevole  avallo  della  Corte che si adisce, la quale, investita
 della questione di legittimita' costituzionale dell'art.  6,  settimo
 comma,  del  d.l. n.  463/1983, laddove, secondo l'ermeneusi operata
 dal giudice remittente, non avrebbe potuto intendersi contemplare  la
 conservazione  dell'importo  erogato  alla  data  di  cessazione  del
 diritto alla integrazione  del  trattamento  minimo  nell'ipotesi  di
 concorso  di  pensioni integrate al minimo, ha dichiarato non fondata
 la questione, precisando che "per effetto della sopravvenuta sentenza
 n. 314/1985, il principio dell'unica pensione  integrata  al  minimo,
 affermato  dal  legislatore  del  1983,  deve  intendersi validamente
 operante solo a partire dal 1 ottobre 1983  ma  non  per  il  periodo
 antecedente.  Ne consegue che, successivamente alla data indicata, il
 titolare di due pensioni integrate al  minimo  conserva  su  un  solo
 trattamento il diritto all'integrazione, mentre per l'altro la misura
 dell'integrazione  resta ferma all'importo percepito alla data del 30
 settembre 1983 ed e' destinata ad essere gradatamente sostituita  per
 riassorbimento,  in virtu' degli aumenti che la pensione-base viene a
 subire per effetto della perequazione automatica".
    5. - Se tali premesse risultano fondate,  puo'  invero  affermarsi
 che  l'introduzione nell'ordinamento della norma volta a prescrivere,
 obbligatoriamente  ed  in   via   retroattiva,   l'attribuzione   del
 significato  da  essa  indicato  all'art.  6, quinto, sesto e settimo
 comma, del  d.l.  n.  463/1983,  disveli  appieno  l'assenza  di  un
 fondamento  logicamente  e giuridicamente riconducibile alle premesse
 (vale a dire l'esigenza di chiarire  la  portata  precettiva  di  una
 norma  obiettivamente  oscura  e/o  contraddittoria),  e contrasti in
 definitiva con il canone  costituzionale  di  ragionevolezza  sancito
 dall'art.  3,  primo  comma, della Costituzione.  A suffragio di tale
 considerazione milita altresi' il rilevo  che,  in  questo  modo,  il
 legislatore,   incidendo   negativamente  su  consolidate  situazioni
 soggettive in assenza di un  presupposto  giustificativo,  non  puo',
 inevitabilmente,  non  determinare un vulnus nell'affidamento riposto
 dai consociati (siano o meno essi assistiti)  seull'effettivita'  del
 sistema  di  sicurezza  sociale  (cfr.  in  tal  senso,  sentenze nn.
 349/1985, 822/1988, 39/1993).  D'altra parte, l'efficacia retroattiva
 dell'interpretazione sancita dalla norma impugnata, sostituendosi nei
 procedimenti  in  corso  alla  regola  di  giudizio  derivante  dalla
 consolidata  ermeneusi  dell'art.  6,  finirebbe  per determinare una
 evidente disparita' di trattamento tra  i  pensionati  che  si  siano
 visti   riconoscere,  con  sentenza  passata  in  giudicato  in  data
 anteriore all'entrata in vigore della legge n. 537/1993,  il  diritto
 alla    c.d.    "cristallizzazione",    e   quelli   che   vedrebbero
 inevitabilmente negato tale diritto, all'esito di un giudizio  ancora
 in  corso,  e  cio'  nonostante l'identita' della situazione tutelata
 (l'esistenza, cioe' di  un  trattamento  pensionistico  integrato  al
 minimo  decorrente  da  una  data  anteriore  al  30 settembre 1983),
 delineando, in tal modo, un ulteriore profilo di  illegittimita'  per
 violazione del medesimo art. 3, primo comma, della Costituzione.
    6. - Peraltro, si deve osservare come la norma in questione sembri
 contrastare  con  altro precetto costituzionale, costituito dall'art.
 38 della Costituzione.
    Se, infatti, le considerazioni che precedono hanno  consentito  di
 identificare  la  ratio  dell'art.  6,  settimo  comma,  del d.l. n.
 463/1983,  con  l'esigenza  di  impedire   improvvise   ed   incisive
 variazioni  reddituali degli assistiti in dipendenza della cessazione
 del diritto all'integrazione, variazioni senz'altro  peggiorative  in
 considerazione    dell'erogazione    a    calcolo   del   trattamento
 previdenziale, puo' affermarsi che il drastico ridimensionamento  del
 trattamento  previdenziale  complessivo in capo al titolare di due (o
 piu')  pensioni,  attuato  attraverso  l'applicazione  dell'art.  11,
 ventiduesimo  comma,  della  legge  n.  537/1993,  contrasterebbe con
 l'obbligo, costituzionalmente garantito,  di  assicurare  un'adeguata
 tutela   (e   per   questo   non  esposta  ad  improvvise  variazioni
 peggiorative in dipendenza di esigenze di politica legislativa) nella
 fase di eta' piu' avanzata della persona.
    7. - Per quanto attiene, infine, alla valutazione della  rilevanza
 della   questione   nel   presente  giudizio,  appare  evidente  che,
 trattandosi di trattamento pensionistico di reversibilita'  liquidato
 in  epoca  anteriore  alla  data  di  entrata  in vigore del d.l. n.
 463/1983 e concretandosi il petitum nel mantenimento  della  pensione
 nell'ammontare integrato al minimo alla data del 30 settembre 1983 in
 capo  ad assistito gia' titolare di pensione integrata al trattamento
 minimo, la norma impugnata estenderebbe senz'altro i  propri  effetti
 sulla  posizione  soggettiva  del ricorrente.   Sussistono quindi, ad
 avviso di questo giudice, i requisiti  necessari  e  sufficienti  per
 promuovere  il  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 11,
 ventiduesimo comma,  della  legge  24  dicembre  1993,  n.  537,  per
 contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione.
                                P. Q. M.
    Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo  1953,
 n. 87;
    Dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  e  solleva
 d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  11,
 ventiduesimo  comma,  della  legge  24  dicembre  1993,  n.  537, per
 contrasto con gli artt. 3 e 38 cpv. della Costituzione;
    Dispone  la  sospensione  del  presente  giudizio  ed  ordina   la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che,  a  cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  ai
 Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
      Prato, addi' 17 marzo 1994
                          Il pretore: ZIROLDI

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