N. 283 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 gennaio 1994
N. 283 Ordinanza emessa il 20 gennaio 1994 dalla Corte dei conti, sezione quarta giurisdizionale sul ricorso proposto da Scarpetta Carmine Pensioni - Dipendenti statali - Differimento al 1$ gennaio 1995 degli aumenti corrisposti sulle pensioni, a fini perequativi, dall'art. 3 del d.l. n. 409/1990, convertito in legge n. 59/1991 - Insufficienza del meccanismo perequativo posto in essere dal legislatore per il differimento di benefici, peraltro di esigua entita' - Incidenza sui principi di proporzionalita' ed adeguatezza della retribuzione (anche differita), nonche' sulla garanzia previdenziale - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 501/1988, 1/1991, 42 e 226/1993. (Legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, settimo comma). (Cost., artt. 3, 36 e 38).(GU n.22 del 25-5-1994 )
LA CORTE DEI CONTI Uditi nella pubblica udienza del 20 gennaio 1994 il consigliere relatore dott. Stefano Imperiali e l'avv. Filippo De Iorio; Visto il ricorso iscritto al n. 0134755 del registro di segreteria; Visti gli atti della causa; Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dal sig. Scarpetta Carmine, nato a Salerno il 21 novembre 1920 e domiciliato presso l'avv. Filippo De Iorio in via Campo Marzio n. 12, Roma, contro la nota del Ministero della difesa n. 18939 del 27 gennaio 1989; F A T T O Con l'istanza del 21 dicembre 1988, il sig. Scarpetta Carmine, capo di prima classe "scelto" in congedo dal 1$ gennaio 1979, chiese al Ministero della difesa che il suo trattamento pensionistico venisse riliquidato in base alle nuove retribuzioni previste da norme intervenute "dopo la data del suo pensionamento", e a tal fine si richiamo' a "recente sentenza della Corte costituzionale". Con nota del 27 gennaio 1989, il Ministero della difesa respinse l'istanza, rilevando che la riliquidazione riconosciuta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 501 del 21 aprile-5 maggio 1988 si riferisse solo a magistrati e categorie assimilate. Segui' il ricorso ora in esame, con il quale il sig. Scarpetta chiese ancora la riliquidazione della pensione in ragione delle nuove retribuzioni stabilite dalle "numerose variegate leggi, emanate a partire dal 1973", nonche', in via subordinata, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione. Il 10 gennaio 1994 il difensore del ricorrente, avv. Filippo De Iorio, ha depositato una complessa memoria, con numerose e multiformi argomentazioni che possono essere sintetizzate come segue. 1) Come risulta da una consulenza tecnica allegata alla memoria, per i dipendenti pubblici non dirigenti e' venuta meno quella "ragionevole corrispondenza sia pure tendenziale e imperfetta", che secondo le decisioni della Corte costituzionale 28 gennaio-10 febbraio 1993, n. 42 e 23 aprile-7 maggio 1993, n. 226 "deve esistere tra pensioni e retribuzioni" (pagg. 1 e segg. della memoria). 2) La sentenza n. 226 cit., pur ribadendo che la pensione, come retribuzione differita, deve essere adeguata ai bisogni del percipiente in modo che egli possa condurre un'esistenza libera e dignitosa, ha pero' erratamente subordinato l'affermazione concreta di tale diritto all'esistenza di disponibilita' di bilancio (pagg. 3 e segg.). 3) La sentenza n. 226 non ha considerato che le ritenute subite dagli attuali pensionati ex dipendenti pubblici nel corso del servizio sarebbero state "piu' che sufficienti a generare montanti di capitale il cui solo reddito ..sarebbe ora in grado di risolvere qualsiasi squilibrio di trattamento di quiescenza di individui appartenenti alla medesima categoria e al medesimo grado, ma andati in pensione in tempi successivi" (pagg. 5 e segg.). 4) La sentenza n. 226 non ha neanche considerato che la perequazione delle pensioni a suo tempo disposta con la legge 29 aprile 1976 n. 177 rimase inapplicata per "volonta' politica" (pag. 13). 5) In ogni caso, successivamente alla decisione n. 226 l'art. 11, settimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ha disposto una sospensione dei pur limitati benefici concessi ai pensionati con l'art. 3 del d.l. 22 dicembre 1990, n. 409, convertito con modifiche dalla legge 27 febbraio 1991, n. 59, per cui si rende necessario un nuovo "intervento" della Corte costituzionale (pagg. 14 e segg.). 6) La decisione n. 226 e' stata emessa in violazione del principio d'imparzialita' ed indipendenza del giudice previsto dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. E risultano altresi' violati il diritto dei pensionati "al rispetto dei propri beni", riconosciuto dall'art. 1 del primo protocollo addizionale alla menzionata convenzione; gli artt. 7, 10, 24 e 25 della Carta europea dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, concernenti nell'ordine - viene rilevato - "il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro", la "protezione sociale adeguata" e la necessita' di pensioni tali da assicurare "un livello di vita decente e risorse sufficienti"; l'art. 2 della direttiva CEE del 10 febbraio 1975 sul "fondamentale principio dell'uguaglianza della remunerazione" (pagg. 16 e segg.). 7) Risultano altresi' violate varie norme della Costituzione: l'art. 3 che "assicura l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge", l'art. 36 sulla retribuzione dovuta al lavoratore, l'art. 38 che impone di provvedere ai lavoratori "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita" in caso di "vecchiaia", l'art. 42 che tutela la proprieta' privata e l'art. 47 che tutela il risparmio. E risulta violato anche l'art. 76 della Costituzione: per il ricorrente, l'art. 11 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, avrebbe infatti violato l'art. 3, lett. q), della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, delineando un sistema di perequazione automatica delle pensioni che non salvaguarda ne' il potere d'acquisto delle pensioni stesse ne' il raccordo con il sistema retributivo dei dipendenti (pagg. 33 e segg.). Per tutti questi motivi, il ricorrente chiede la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio sulle sopra affermate illegittimita' costituzionali nonche', "contemporaneamente", la rimessione degli atti alla Corte di giustizia della Comunita' europea perche' constati "le gravi violazioni delle norme comunitarie". Alla memoria ora illustrata sono stati poi allegati: una breve relazione di una "commissione di esperti" incaricati di "valutare il divario tra le varie pensioni dei dipendenti pubblici non dirigenti collocati a riposo nel corso degli anni"; uno "studio sull'andamento parallelo delle retribuzioni e delle pensioni relativo al comparto militari non dirigenti"; un prospetto sulle norme che hanno disposto "miglioramenti retributivi non riversati poi proporzionalmente, per il personale gia' in quiescenza"; un "quadro riassuntivo" delle "rivalutazioni dal 1969 ad oggi" di vari trattamenti pensionistici; un prospetto sull'"evoluzione del sistema pensionistico italiano dal 1952 ad oggi"; numerosi "dati relativi al comparto scuola"; uno stu- dio sulla "costituzione dei fondi pensione dei dipendenti civili e militari" ed infine uno studio intitolato "come si calcola la spesa complessiva per le pensioni del personale statale e come e' possibile porre rimedio alle pensioni di annata". All'udienza odierna l'avv. De Iorio ha diffusamente richiamato le argomentazioni della memoria. Inoltre, ha prodotto copia di un ricorso alla Commissione europea dei diritti dell'uomo, proposto ai sensi dell'art. 25 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e concernente le stesse questioni dibattute nel presente giudizio, chiedendo che quest'ultimo sia comunque sospeso in attesa della decisione del ricorso alla Commissione europea. D I R I T T O Si osserva in primo luogo che nel presente giudizio viene in sostanza chiesto dal ricorrente un trattamento pensionistico adeguato e proporzionato a quello dei colleghi di pari grado e anzianita' di servizio collocati a riposo dopo di lui. E poiche' su tale richiesta questo collegio non puo' pronunciarsi se non con riferimento alle varie norme che disciplinano il trattamento pensionistico del sig. Scarpetta, le eccezioni d'illegittimita' costituzionale prospettate dal ricorrente, e tali norme concernenti, risultano rilevanti ai sensi dell'art. 23, secondo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1. Peraltro, non tutte le questioni proposte possono essere ritenute anche "non manifestamente infondate", ai sensi degli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23, secondo comma, della l.c. 11 marzo 1953, n. 1, citata. In particolare, appare innanzi tutto manifestamente infondata l'argomentazione con la quale, con riferimento agli articoli della Costituzione n. 42 sulla tutela della proprieta' e n. 47 sulla tutela del risparmio, il ricorrente lamenta un'utilizzazione "per altri fini" delle "trattenute a suo tempo operate sugli stipendi degli attuali pensionati": e' infatti agevole ribattere che le "trattenute" non riguardano alcuna "proprieta' privata" che possa essere oggetto di "risparmio". E comunque, la contestazione riguarda non una specifica norma ma l'intero sistema previdenziale dei dipendenti pubblici, che e' attualmente strutturato secondo criteri "mutualistici" (o come altri dicono, "sociali") e che il ricorrente desidera invece sostituito da un sistema basato sulla "capitalizzazione", secondo un metodo sostanzialmente assicurativo: ma una tale innovazione chiarissimamente esula dal controllo di legittimita' delle leggi. Parimenti, manifestamente infondata appare a questo Collegio l'eccezione d'illegittimita' dell'art. 11 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, con riferimento all'art. 76 della Costituzione e all'art. 3, lett. q), della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421. Il citato art. 11 stabilisce infatti un sistema di adeguamento automatico "delle pensioni previdenziali e assistenziali" al costo della vita sulla base delle variazioni "dell'indice Istat dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati", con la possibilita' inoltre che le leggi finanziarie prevedano "ulteriori aumenti .. in relazione all'andamento dell'economia e tenuto conto degli obiettivi rispetto al P.I.L.". Orbene, un tale sistema puo' essere discutibile, ma non appare in contrasto con il citato art. 3, lett. q), della legge delega, che si limitava a chiedere una "disciplina della perequazione automatica delle pensioni dei lavoratori dipendenti e autonomi al fine di garantire, tenendo anche conto del sistema relativo ai lavoratori in attivita', la salvaguardia del loro potere d'acquisto", attesa la correlazione tra i criteri dettati dalla legge delegante ed il parametro posto dalla norma delegata. Sembrano invece a questa Corte non manifestamente infondate, nei limiti della deliberazione di sua competenza, le eccezioni di violazione degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione per effetto dell'entrata in vigore della disposizione di cui all'art. 11, settimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537. Pertanto, si precisa subito, non con riferimento alle contestazioni del ricorrente sulla giurisprudenza costituzionale (che comunque la Corte costituzionale potra', se lo riterra' opportuno, ulteriormente precisare, tenendo eventualmente anche conto delle sperequazioni evidenziate nella documentazione prodotta dal ricorrente), ma in relazione agli stessi principi piu' volte affermati e ribaditi, tra le numerose altre, con le sentenze n. 501 del 21 aprile-5 maggio 1988, n. 1 dell'8-9 gennaio 1991, n. 42, del 28 gennaio-10 febbraio 1993, n. 226 del 23 aprile-7 maggio 1993, che risulterebbero vulnerati, in relazione al sistema di perequazione pensionistica preordinato dal legislatore, dal differimento della decorrenza dei nuovi trattamenti adeguati, conseguente alla norma contenuta nel richiamato art. 11, settimo comma, della legge n. 537/1993. Giova a tal riguardo richiamare i principi affermati nella suddetta materia, nelle suindicate occasioni, dalla Corte costituzionale: 1) l'"adeguatezza e proporzionalita'" richieste dall'art. 36 della Costituzione "devono sussistere non solo al momento del collocamento a riposo ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo in relazione al mutamento del potere d'acquisto della moneta", rispettando "l'esigenza di un costante adeguamento del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del servizio attivo"; 2) peraltro, "rientra nel potere discrezionale del legislatore la determinazione delle misure e dei criteri di adeguamento dei trattamenti pensionistici alla variazione del costo della vita nonche' delle modalita' di perequazione degli stessi"; 3) in particolare, il legislatore e' "chiamato ad operare il bilanciamento tra le varie esigenze nel quadro della politica economica generale e delle concrete disponibilita' finanziarie", tenendo anche conto che "alla solidarieta' tra lavoratori e pensionati si affianca sempre e comunque una solidarieta' piu' ampia dell'intera collettivita'", ma con "l'inevitabile vincolo di scopo di consentire una ragionevole corrispondenza (evitando che si determini un non sopportabile scostamento) tra dinamica delle pensioni e dinamica delle retribuzioni". Sulla base di tali principi, la citata sentenza n. 226 ha in particolare rilevato che tra la misura delle pensioni degli ex dipendenti pubblici non dirigenti, definita in ultimo con gli aumenti previsti dall'art. 3 del d.l. 22 dicembre 1990, n. 409, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1991, n. 59, e la misura della retribuzione dei dipendenti di pari qualifica e anzianita' ancora in servizio sussiste indubbiamente uno scostamento rilevante, ma non al punto "da indurre a dubitare della idoneita' - a questo momento - del meccanismo perequativo in atto prescelto dal legislatore a garantire un sufficiente livello di adeguatezza delle pensioni". In effetti, anche se "i dati contabili complessivi forniti dalla Presidenza del consiglio non dimostrano" per il giudice delle leggi, che il divario concretizzi una lesione dei principi costituzionalmente tutelati, la Corte costituzionale ha ritenuto di dover "richiamare l'attenzione del legislatore sulla necessita' di sorvegliare l'andamento del fenomeno al fine di evitare che esso possa pervenire a valori critici, tali che potrebbero rendere inevitabile l'intervento correttivo della Corte". Orbene, osserva questo collegio che il differimento al 1995, per effetto dell'art. 11, settimo comma, della legge n. 537/1993, dei benefici gia' concessi dall'art. 3 del d.l. n. 409/1990 conv. (proprio "il meccanismo perequativo in atto .." cui si riferiva la sentenza n. 226) certamente incide sul menzionato gia' precario livello di adeguatezza-proporzionalita' dei trattamenti pensionistici, inducendo pertanto a seri dubbi sul perdurare della congruita' del menzionato livello. E a questo proposito non varrebbe obbiettare che l'art. 11, settimo comma, della legge n. 537/1993 ha disposto non una soppressione ma solo un differimento, ovverosia una revoca temporanea, di benefici gia' puntualmente riconosciuti dal legislatore (e almeno per le qualifiche inferiori concernenti, si osserva incidentalmente, pensioni anche assai modeste). Sembra infatti a questa Corte che l'attuazione dei principi di uguaglianza ai sensi dell'art. 3 della legge fondamentale e (forse ancor piu') di proporzionalita' e adeguatezza alle esigenze vitali ai sensi degli artt. 36 e 38 non possa subire "parentesi" o sospensioni di sorta, come sembra essersi verificato per effetto dello scivolamento della decorrenza dei pur modesti benefici, introdotto con il richiamato art. 11, settimo comma, della legge n. 537/1993.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 e 137 della Costituzione, legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87; Ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione, proposta dal ricorrente nel presente giudizio, di legittimita' costituzionale dell'art. 11, settimo comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in connessione con le norme nella stessa disposizione richiamate, con riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione; Sospende pertanto il presente giudizio e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone altresi' che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' provveduto in Roma, nella camera di consiglio del 20 gennaio 1994. Il presidente f.f.: VINCENTI 94C0546