N. 348 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 aprile 1994

                                N. 348
 Ordinanza emessa il 12  aprile  1994  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  il tribunale di Milano nel procedimento penale a
 carico di Vona Alberto
 Processo penale - Procedimenti speciali - Richiesta di applicazione
    della pena da parte dell'imputato - Dissenso del p.m. per  mancato
    risarcimento  alla  parte  civile  -  Preclusione per il g.i.p. di
    esercitare, all'udienza preliminare, il potere di giurisdizione  e
    di  valutare  la  congruita' della pena - Lesione del principio di
    liberta'  e  di  autonomia  del  giudice  -   Irragionevolezza   -
    Compressione del diritto di difesa.
 (C.P.P. 1988, art. 448, primo comma, ultima parte).
 (Cost., artt. 3, 24 e 101, secondo comma).
(GU n.25 del 15-6-1994 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  - ex art. 23 cpv., della
 legge 11 marzo 1953, n. 87 - nel procedimento penale sopra indicato a
 carico di Vona Alberto,  nato  a  Milano  il  25  settembre  1953  ed
 elettivamente  domiciliato  presso  lo  studio  del  suo difensore di
 fiducia avv. Sergio Ramajoli, via Podgora n. 13,  Milano,  difeso  ed
 assistito, di fiducia, dall'avv.  Sergio Ramajoli, via Podgora n. 13,
 Milano, imputato:
       A)  del delitto di cui all'art. 521, 61, n. 9, del c.p. perche'
 nella  qualita'  di  medico  convenzionato  presso  la  u.s.s.l.   75
 specialista in ginecologia, e quindi incaricato di pubblico servizio,
 compiva  sulla  paziente Arcari Silvia atti di libidine diversi dalla
 congiunzione carnale, consistenti  nello  sfregare  il  proprio  pene
 sulla  gamba  della  Arcari,  sdraiata nuda sul lettino, raggiungendo
 l'orgasmo. In Milano il 21 luglio 1993.
       B) del delitto di cui all'art. 323, 61, n. 2, del c.p. perche',
 nella qualita' di cui al capo precedente, al fine  di  procurarsi  un
 ingiusto  profitto  non  patrimoniale, consistente nel commettere gli
 atti di libidine descritti al capo A)  o  comunque  per  arrecare  ad
 Arcari  Silvia  un  danno ingiusto, abusava del suo ufficio di medico
 ginecologo convenzionato, abuso consistito nel visitare  la  predetta
 Arcari   presso  la  u.s.s.l.  75/II  fuori  dai  previsti  orari  di
 ambulatorio nonche' non pretendendo dalla stessa  il  versamento  del
 previsto   ticket   sanitario   e   nell'utilizzare  i  locali  e  le
 apparecchiature della  struttura  poliambulatoriale  di  via  Livigno
 messi a sua disposizione dalla pubblica amministrazione.
    Con  l'aggravante di avere commesso il fatto per eseguire il reato
 di cui al capo A). In Milano il 21 luglio 1993.
    Parte civile: Arcari Silvia, nata  a  Torino  il  23  maggio  1965
 residente  in via Tagliamento n. 11, Milano elettivamente domiciliata
 presso lo studio del suo difensore di fiducia e procuratore  speciale
 avv.  Milena Mottalini, viale Regina Margherita n. 26, Milano, difesa
 ed assistita, di fiducia dall'avv.  Milena  Mottalini,  viale  Regina
 Margherita n. 26, Milano.
    A scioglimento della riserva formulata all'udienza preliminare del
 30 marzo 1994,
                             O S S E R V A
    Rilevato che, con atto del 25 marzo 1994, l'imputato, in relazione
 ai  reati ascrittigli, ha avanzato richiesta ex artt. 444 e segg. del
 c.p.p. di applicazione della pena di anni uno, mesi quattro e  giorni
 ventidue   di   reclusione,   previa  concessione  delle  circostanze
 attenuanti generiche, da  considerarsi  equivalenti  alla  contestata
 aggravante,   nonche'   della   diminuente   del   rito,  pena  cosi'
 determinata: pena base per il piu' grave reato sub a),  anni  due  di
 reclusione,  aumentata per la continuazione ad anni due e mesi uno di
 reclusione, ridotta di 1/3  per  il  rito;  con  il  beneficio  della
 sospensione condizionale della pena;
    Rilevato  che  il  p.m., in sede di udienza preliminare in data 30
 marzo 1994, non ha prestato il proprio consenso;
    Rilevato che,  a  questo  punto,  sulla  base  della  legislazione
 vigente,  al  g.i.p.  e'  preclusa  ogni  valutazione  in ordine alla
 congruita' della pena richiesta;
    Rilevato che, a  fronte  di  tale  diniego  del  p.m.,  la  difesa
 dell'imputato ha sollevato eccezione di incostituzionalita' dell'art.
 448,  primo  comma, ultima parte, del c.p.p., laddove non prevede che
 il giudice per le indagini  preliminari  possa  pronunciare  sentenza
 "quando ritiene ingiustificato il dissenso del p.m. e congrua la pena
 richiesta dall'imputato", in relazione agli artt. 101, secondo comma,
 3 e 24 della Costituzione;
    Rilevato  che  il  presente  giudizio  non  puo'  essere  definito
 indipendentemente   dalla   risoluzione   di   detta   questione   di
 legittimita'  costituzionale,  ben  potendo  ritenere  questo  g.i.p.
 congrua la pena richiesta dall'imputato ed ingiustificato il dissenso
 del p.m. anche alla  luce  della  sentenza  della  suprema  Corte  di
 cassazione  del 9 aprile 1991, ric. Pilotti, che ha stabilito che "ai
 fini dell'art. 448 del c.p.p., e' ingiustificato il dissenso del p.m.
 motivato esclusivamente con il non avvenuto risarcimento della  parte
 civile";
    Ritenuta  siffatta  questione  non manifestamente infondata per le
 condivisibili  motivazioni  espresse   nell'istanza   del   difensore
 dell'imputato   del   seguente  tenore  letterale:  "il  sottoscritto
 difensore di Vona dott. Alberto .. deduce  ai  sensi  degli  artt.  1
 della  legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 c.p.v., della
 legge 11 marzo 1953, n. 87, questione di legittimita' dell'art.  448,
 primo  comma,  ultima  parte,  del c.p.p., laddove non prevede che il
 giudicie per  le  indagini  preliminari  possa  pronunciare  sentenza
 'quando  ritiene  ingiustificato il dissenso del pubblico ministero e
 congrua la pena richiesta dall'imputato'.
    In cio' si ravvisa un contrasto con i precetti  costituzionali  di
 cui agli artt. 101, secondo comma, 3 e 24.
    Anzitutto,  la  norma collide con il principio di indipendenza del
 giudice nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali.
    Se  l'art.  104,  primo  comma,  della   Costituzione   garantisce
 l'autonomia  dell'ordine  giudiziario  'indipendente  da  ogni  altro
 potere',  con  cio'  tutelando  la  magistratura  nella  sua  entita'
 globale,  comprensiva  anche  dell'organo del p.m.  (art. 107, quarto
 comma, della Costituzione),  il  richiamato  precetto  dell'art.  101
 c.p.v.,  statuisce  che i giudici, uti sinquli e nell'esercizio delle
 loro funzioni (art. 101, primo comma: 'la giusitizia e'  amministrata
 in nome del popolo') 'sono soggetti soltanto alla legge'.
    In  sede  di  elaborazione della norma, la commissione costituente
 prima e l'assemblea poi  approvarono  la  proposta  dell'on.  Grassi,
 intesa  a  sostituire alla parola 'dipendono' quella 'sono soggetti',
 sembrando 'questa espressione giuridicamente  piu'  corretta  perche'
 non e' un rapporto di dipendenza quello che vincola tutti i cittadini
 alla  legge,  bensi'  un senso di soggezione' (in Falzone - Palermo -
 Cosentino la Cost. della Rep. italiana, Roma, 1969, pp 323-324.
    La disposizione dell'art. 448,  primo  comma,  ultima  parte,  del
 c.p.p.  confligge nel caso di specie e apertamente, con i principi di
 liberta' e di autonomia del giudice.  E' sufficiente  riflettere  che
 il  diniego  espresso  dall'organo  inquirente all'accoglimento della
 domanda proposta dall'imputato di 'patteggiare' la pena, determina un
 vero  e  proprio  blocco  che  preclude  al  giudice  sia  il  potere
 istituzionale  di  accertare  una  situazione di fatto giuridicamente
 rilevante (l'entita' della pena e la conseguenziale congruita'  della
 stessa)  sia  il  potere,  altrettanto  istituzionale, di decidere in
 merito.
    Il che appare al tempo stesso assurdo e illegittimo, anche perche'
 nella  vigenza  del  codice  di  rito abrogato, il giudice era tenuto
 'deve provvedere' o con ordinanza  o  con  sentenza,  a  pronunciarsi
 sulle  istanze  presentate  dalle  parti  private  (art. 305, primo e
 secondo comma).  Se con il codice attuale  si  e'  voluto  creare  un
 processo di parti e se il giudice, dotato di 'terzieta'' e', o meglio
 dovrebbe essere, super partes, non gli si puo' negare l'esercizio del
 suo  potere-dovere decisionale.  Altrimenti, si dovrebbe interpretare
 il precetto costituzionale, nel senso che il giudice e' soggetto  non
 soltanto  alla  legge . . ma anche alla volonta' manifestata dal p.m.
 La disposizione normativa indicata in epigrafe, appare  in  contrasto
 anche  con  il  dettato  dell'art. 3 della Costituzione.   E' fuor di
 dubbio che nella prospettiva  del  nuvo  codice,  si  sia  attribuita
 importanza   ai   riti  c.d.  alternativi  rispetto  al  procedimento
 ordinario, si da affermare che i modelli  dei  procedimenti  speciali
 'dovrebbero,  permettendo  di  adeguare  con  grande flessibilita' la
 scelta del rito alle peculiarita'  ed  esigenze  del  caso  concreto,
 coprire  una  aliquota  rilevante  di  tutto  il  lavoro giudiziario'
 (relazione Sen. Coco sul dis. legge del. in  Cass.  pen.    1987,  p.
 455).
    Si  coglie,  in  tal  modo,  in  ratio  logico-giuridica di queste
 cosiddette 'procedure di sfoltimento', atteso che 'solo se ad esse si
 fara' un ricorso frequentissimo sara' possibile dispiegare le energie
 senza impacci laddove si percorrono per intero indagini  preliminari,
 udienza  preliminare  e  dibattimento'  (relazione quarto comma perm.
 rel. Casini) in Atti Cam., IX Leg., disc. e rel. p.  8;  V.  altresi'
 rel.  prog.  prel.  nella  Gazzetta Ufficiale 24 ottobre 1988, suppl.
 ord. n. 2, p. 103).
    Se cosi' e', non si capisce la scelta legislativa di  limitare  al
 solo  giudice  del  dibattimento  o  della impugnazione, il potere di
 decidere 'quando ritiene  ingiustificato  il  dissenso  del  pubblico
 ministero e congrua la pena richiesta dall'imputato'.
    Se  e'  vero  che,  attingendo  copiosamente ai principi affermati
 dalla corte costituzionale con sentenza 26 giugno - 2 luglio 1990, n.
 313 (in Cass. pen. 1990, II, p.  221  e  segg.,  il  giudice  per  le
 indagini  preliminari  non  svolge poteri di carattere 'notarile' (p.
 225), ma esercita funzioni giurisdizionali, tale essendo il controllo
 sulla definizione del fatto e sul  giudizio  di  bilanciamento  delle
 circostanze  (pp.  225 e 226), che sbocca poi nell'accertamento della
 congruita' della  pena  proposta,  e  se  e'  altresi'  vero  che  il
 principio  proporzionale  della  pena  ex  art. 27 della Costituzione
 'vale tanto per il legislatore quanto per i giudici della cognizione,
 oltre che per quelli dell'esecuzione e  della  sorveglianza,  nonche'
 per    le   stesse   autorita'   penitenziarie'   (p.   229)   riesce
 incomprensibile perche', da tale prerogativa, dovrebbe essere escluso
 e solo .. il giudice per le indagini preliminari³
    Peraltro, la forma del 'patteggiamento' e' strutturalmente diversa
 dalla  forma  del  giudizio  abbreviato  che  postula,  per  la   sua
 applicabilita',  una  decisione  assumibile  'allo  stato degli atti'
 anche se in sede di talune ipotesi si rende necessaria o opportuna la
 celebrazione del dibattimento.
    Il 'patteggiamento' presenta un meccanismo operativo piu'  lineare
 ed  un  accertamento,  da parte del giudice, piu' semplice perche' il
 giudice prescinde dalla prova del  fatto-reato,  limitandosi  ad  una
 verifica  sul  nomen  juris,  sulle  circostanze  del  reato  e sulla
 adeguatezza della pena.
    Dunque,  di  tale  prerogativa  non  puo'  essere,  razionalmente,
 privato il giudice per le indagini preliminari.
    La domanda dell'imputato affinche'  il  giudice  per  le  indagini
 preliminari  applichi,  nei  suoi  confronti,  una  determinata pena,
 costituisce esercizio di  una  facolta'  legittima,  in  quanto  tale
 prevista dall'art. 444 e segg. del c.p.p.
    Il dissenso del p.m. inceppa, pero', l'esercizio di tale facolta',
 al  punto,  da  renderla  improduttiva  di effetti giuridici, perche'
 impedisce al giudice un potere di  accertamento  e  di  decisione  in
 materia.
    Si  verifica, pertanto, una lesione del diritto di difesa, perche'
 alla parte (privata)  viene  impedita  la  scelta  di  una  forma  di
 procedimento  speciale, per il veto che oppone altra parte (pubblica)
 alla assunzione del rito e alla definizione del procedimento.
    L'art. 2, n. 3 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, indica,
 come  una   delle   direttive-cardine   del   processo   penale,   la
 partecipazione dell'accusa e della difesa 'su basi di parita' in ogni
 stato e grado del procedimento'.
    La  cosiddetta  'eguaglianza delle armi' tra parte privata e parte
 pubblica non esiste nel caso di specie, anzi sussiste un  macroscopio
 squilibrio  di  posizioni  processuali  a  scapito dell'imputato ed a
 vantaggio del p.m. che - a suo piacimento - puo'  negare  alla  parte
 privata   l'esercizio   di  una  facolta'  legittima  e  al  giudice,
 addirittura, un accertamento sul fondamento di tale facolta'.
    A nulla rileva che cio'  si  verifichi  nel  corso  della  udienza
 preliminare, perche' la posizione di parita' delle parti e' garantita
 'in ogni stato' del procedimento".
                                P. Q. M
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina che, a cura della cancelleria,  il  presente  provvedimento
 venga  notificato  alle  parti  in  causa,  ed  al  p.m.,  nonche' al
 Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Ordina che la stessa ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai
 Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
      Milano, addi' 12 aprile 1994
                                                   Il giudice: LAMANNA
 94C0647