N. 225 SENTENZA 26 maggio - 8 giugno 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Lavoro - Dirigenti - Licenziamenti individuali -  Limiti  di  eta'  -
 Esercizio  del  diritto  di  opzione alla prosecuzione del rapporto -
 Richiamo alla giurisprudenza di legittimita' e a quella  della  Corte
 (cfr.  sentenza  n.  30/1992) - Insussistenza di una incoerenza delle
 norme denunziate qualora correttamente interpretate - Non  fondatezza
 nei sensi di cui in motivazione.
 
 (C.C.,  art.  2118;  d.-l.  22  dicembre 1981, n. 791, art. 6, quarto
 comma, convertito, con modificazioni, nella legge 26  febbraio  1982,
 n. 54; legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 10).
 
 (Cost., artt. 3 e 38).
 
(GU n.25 del 15-6-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Gabriele PESCATORE;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
    CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo
    CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Cesare
    MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.  Massimo  VARI,  dott.
    Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dal combinato disposto
 degli  artt.  2118  del  codice  civile;   6,   quarto   comma,   del
 decreto-legge  22  dicembre  1981,  n.  791  (Disposizioni in materia
 previdenziale),  convertito,  con  modificazioni,  nella   legge   26
 febbraio  1982, n. 54; e 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme
 sui licenziamenti individuali), promosso con ordinanza emessa  il  19
 febbraio  1993  dal  Tribunale  di  Firenze  nel  procedimento civile
 vertente tra Bianchi Corrado  e  la  s.p.a.  Assicurazioni  Generali,
 iscritta  al  n.  370  del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  29,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1993;
    Visti  gli  atti di costituzione di Bianchi Corrado e della s.p.a.
 Assicurazioni Generali nonche' l'atto di  intervento  del  Presidente
 del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 1994 il Giudice relatore
 Fernando Santosuosso;
    Uditi  gli  avvocati  Oronzo  Mazzotta per Bianchi Corrado, Sergio
 Magrini per la s.p.a. Assicurazioni Generali e l'Avvocato dello Stato
 Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio vertente tra Bianchi  Corrado  e  le
 Assicurazioni   Generali   s.p.a.,  relativo  alla  dichiarazione  di
 illegittimita' del recesso per  raggiungimento  del  limite  di  eta'
 intimato  dalla  seconda  nei  confronti  del primo (dipendente delle
 Assicurazioni Generali s.p.a. con qualifica di dirigente), nonostante
 l'opzione da questi esercitata ai sensi dell'art. 6 del decreto-legge
 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, nella  legge
 26  febbraio  1982,  n.  54,  il  Tribunale  di  Firenze ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli
 artt.  2118  del codice civile; 6, quarto comma, del decreto-legge 22
 dicembre  1981,  n.  791  (Disposizioni  in  materia  previdenziale),
 convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54; e
 10  della  legge  15  luglio  1966,  n. 604, (Norme sui licenziamenti
 individuali), nella parte in cui consente il licenziamento per limiti
 di  eta'  del  dirigente  che  abbia  esercitato  l'opzione  prevista
 dall'art.  6,  primo  comma, della richiamata legge n. 54 del 1982. I
 parametri costituzionali invocati sembrano ravvisabili negli artt.  3
 e 38 della Costituzione.
    Nell'ordinanza   di   rimessione  il  giudice  a  quo,  dopo  aver
 richiamato la sentenza n. 309 del  1992,  con  cui  questa  Corte  ha
 dichiarato  non  fondata  questione  analoga alla presente, sollevata
 dallo  stesso  giudice  con  precedente  ordinanza,   sottolinea   la
 diversita'  della  presente  questione,  consistente nell'ampliamento
 delle norme oggetto del giudizio e nella  specificazione  dei  motivi
 posti a sostegno della non manifesta infondatezza della questione.
    Secondo  il  Tribunale  di  Firenze con la pronuncia richiamata la
 Corte avrebbe affermato l'applicabilita' dell'art. 6 della  legge  n.
 54 del 1982 (rectius: dell'art. 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981,
 n.  791,  convertito  nella  legge  26 febbraio 1982, n. 54) anche ai
 dirigenti, con conseguente impossibilita' (riconosciuta  anche  dalla
 giurisprudenza  di  merito)  di  un recesso esercitato sulla base del
 "raggiungimento del limite di eta' per la pensione"  nell'ipotesi  in
 cui  l'interessato  abbia esercitato l'opzione. Tuttavia a parere del
 giudice a quo residuerebbe un dubbio di legittimita'  costituzionale,
 in  quanto  l'affermazione  circa  la  nullita' del licenziamento del
 dirigente   sarebbe   derivata    in    via    meramente    deduttiva
 dall'interpretazione  onnicomprensiva dell'art. 6, primo comma, della
 legge n. 54 del 1982,  nonostante  il  permanente  ostacolo  testuale
 costituito  dagli  artt.  2118  del codice civile (che consente senza
 limitazione alcuna il recesso ad nutum del dirigente); 10 della legge
 15 luglio 1966, n. 604 (che esclude i dirigenti dalla disciplina  del
 recesso giustificato); 6, quarto comma, della legge 26 febbraio 1982,
 n. 54 (che non disciplina gli effetti dell'opzione del dirigente).
    Secondo  il  giudice  a quo, pertanto, la norma che disciplina gli
 effetti dell'opzione sarebbe contenuta nella disposizione di  cui  al
 quarto  comma  dell'art. 6, in base al quale l'esercizio dell'opzione
 comporta l'applicabilita' della  disciplina  di  cui  alla  legge  15
 luglio 1966, n. 604: disciplina la cui applicabilita' ai dirigenti e'
 pero'  esclusa  dall'art.  10  della  stessa  legge.  La questione di
 costituzionalita' deve pertanto correttamente riferirsi  al  suddetto
 art.  6,  quarto  comma,  del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791,
 convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, nella  parte  in  cui
 stabilisce  l'applicabilita'  a  favore dei lavoratori che esercitano
 l'opzione delle disposizioni della legge  15  luglio  1966,  n.  604,
 senza stabilire una deroga all'art. 10 della stessa legge.
    La novita' rispetto alla questione precedentemente sollevata dallo
 stesso  giudice sarebbe altresi' rappresentata da due diversi profili
 di incostituzionalita',  consistenti  nella  ritenuta  irrazionalita'
 della  disciplina,  come vivente nell'interpretazione consolidata (si
 ritiene che gli effetti indicati  dal  quarto  comma  si  pongano  in
 contraddizione  rispetto  allo scopo previdenziale che il legislatore
 si   prefigge   al   primo    comma);    nonche'    nella    presunta
 contraddittorieta'  della  stessa,  in  quanto l'art. 6, primo comma,
 applicandosi anche ai dirigenti,  comporterebbe  che  il  diritto  di
 opzione non possa rimanere privo di effetto adeguato allo scopo.
    La  soluzione  consisterebbe pertanto, a parere del giudice a quo,
 nel negare efficacia al recesso  che  risulti  in  se'  motivato  per
 ragioni   di  eta':  tale  risultato  non  potrebbe  tuttavia  essere
 raggiunto in via interpretativa sulla base della  normativa  vigente:
 il che spiegherebbe il carattere contraddittorio del diritto vivente,
 che  riconosce  un  diritto  (art. 6, primo comma) ma non i mezzi per
 conseguirlo, e che potrebbe  essere  rimosso  soltanto  mediante  una
 fonte  avente  valore  normativo  che incida su tali norme in maniera
 vincolante per il giudice.
    2.  -  Si  e'  costituito   Bianchi   Corrado,   concludendo   per
 l'accoglimento della questione.
    A  sostegno  di tale richiesta, la parte sottolinea come a seguito
 della richiamata sentenza di  questa  Corte  (n.  309  del  1992)  la
 censura  deve  appuntarsi  con  maggiore  fondatezza sul quarto comma
 dell'art. 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981,  n.  791,  convertito
 nella  legge 26 febbraio 1982, n. 54, precisamente nella parte in cui
 non dispone la deroga all'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604,
 norma che escluderebbe (implicitamente)  il  dirigente  dalla  tutela
 contro  i licenziamenti. Se infatti la questione, riguardata sotto il
 limitato angolo visuale del primo comma dell'art. 6  richiamato,  non
 si  pone  in  contrasto  ne'  con  l'art.  3  ne' con l'art. 38 della
 Costituzione, diversa valutazione discende dalla  considerazione  del
 quarto  comma,  che  appare  irragionevole  rispetto alla ratio della
 disciplina, diretta a salvaguardare insieme o attraverso la posizione
 previdenziale del singolo lavoratore anche  e  soprattutto  le  casse
 degli enti che gestiscono le assicurazioni obbligatorie.
    3.  - Si e' costituita la s.p.a. Assicurazioni Generali, chiedendo
 che la questione sia dichiarata "improponibile"  ai  sensi  dell'art.
 24,  secondo  comma,  della  legge  11  marzo 1953, n. 87, e comunque
 manifestamente infondata per le ragioni gia' dedotte  nel  precedente
 giudizio di legittimita' instaurato con ordinanza sollevata nel corso
 del medesimo procedimento davanti al Tribunale di Firenze.
    4.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 concludendo  per  l'inammissibilita'  (in quanto la questione sarebbe
 identica a quella gia' dichiarata infondata con la  sentenza  n.  309
 del  1992) od in subordine per l'infondatezza della questione, atteso
 che la richiamata pronuncia della  Corte  e'  tale  da  far  ritenere
 implicitamente  confutati  ed assorbiti i nuovi profili sotto i quali
 si e' voluto riproporre la questione.
                        Considerato in diritto
   1. - La questione che viene all'esame di  questa  Corte  e'  se  il
 combinato  disposto  degli  artt.  2118  del codice civile; 6, quarto
 comma, del decreto-legge 22 dicembre 1981, n.  791  (Disposizioni  in
 materia previdenziale), convertito, con modificazioni, nella legge 26
 febbraio  1982, n. 54; e 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme
 sui licenziamenti  individuali),  nella  parte  in  cui  consente  il
 licenziamento  per  limiti di eta' del dirigente che abbia esercitato
 l'opzione prevista dall'art. 6, primo comma, della legge 25  febbraio
 1982,  n.  54  (rectius:  del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791,
 convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n.  54),
 sia  in  contrasto  con  i  parametri  costituzionali presumibilmente
 ravvisabili negli artt. 3 e 38 della Costituzione.
    2. - La questione non e' fondata nei termini appresso precisati.
    Va premesso che detta questione e' stata  sollevata  dallo  stesso
 giudice  a quo (Tribunale di Firenze) nel corso del medesimo giudizio
 in cui era stata in precedenza sollevata una questione con  rilevanti
 profili di analogia rispetto alla presente, dichiarata non fondata da
 questa  Corte,  "nei  limiti in cui (era) posta", con sentenza n. 309
 del 1992.
    In quella pronuncia, si rilevava anzitutto la mancata impugnazione
 del quarto comma dell'art. 6 del decreto-legge n. 791 del  1981,  che
 prevede  l'applicazione delle norme limitative dei licenziamenti solo
 per gli impiegati e gli operai, ma non per i dirigenti.
    Detta sentenza, tuttavia, dopo aver richiamato  la  giurisprudenza
 secondo  cui il diritto di opzione non ha l'effetto di riconoscere ai
 dirigenti  la  stessa  stabilita'  goduta  dagli   altri   lavoratori
 subordinati,  affermava  da  un lato che la denunziata irrazionalita'
 del diverso trattamento non sussiste (attesa la non  omogeneita'  tra
 le  due  categorie),  e,  dall'altro,  che  "ne'  dalla  disposizione
 denunciata puo' ritenersi l'irrazionalita' per  mancanza  di  effetti
 utili. Invero, in presenza della effettuata opzione, non puo' negarsi
 la  nullita'  del  licenziamento  intimato solo per ragioni di eta'".
 Rispondendo pertanto al dubbio sollevato dal giudice a quo, la  Corte
 concludeva  che:  "ne'  sussiste  la  violazione  dell'art.  38 della
 Costituzione in quanto e' assicurato  al  ricorrente  un  trattamento
 pensionistico adeguato".
    3.  -  Torna  ora  il  Tribunale  di  Firenze  a sollevare analoga
 questione di legittimita' costituzionale,  provvedendo  anzitutto  ad
 ampliare  le  disposizioni  impugnate,  con  particolare denunzia del
 quarto comma dell'art.  6  del  decreto-legge  n.  791  del  1981,  e
 sviluppando    ampiamente    i    profili    di   incostituzionalita'
 precedentemente esposti.
    Pur riconoscendo il giudice a quo che la situazione dei  dirigenti
 non  e'  omogenea  a  quella  degli  altri lavoratori subordinati, lo
 stesso denunzia in particolare: a) l'incoerenza della sentenza n. 309
 del 1992, in quanto la Corte, pur avendo richiamato la giurisprudenza
 secondo  cui  l'esercizio  dell'opzione  del  dirigente  comporta  la
 perdita della facolta' datoriale di collocarlo a riposo per limiti di
 eta',  non ha dichiarato illegittime le disposizioni confliggenti col
 menzionato
  principio; b) la irrazionalita' del quarto comma del citato  art.  6
 (che  nega  ai  dirigenti  qualunque  elemento  di  stabilita'),  per
 contraddizione col primo comma dello stesso  articolo,  che  consente
 anche  ai  dirigenti  di  esercitare  il  diritto  di  opzione per la
 prosecuzione del rapporto. In base a tali rilievi, secondo il giudice
 rimettente, la giustificazione contrattuale del recesso per limiti di
 eta' del dirigente (con la sola  conseguenza  del  pagamento  di  una
 certa  somma)  colliderebbe  con  la  nullita' legale del recesso per
 detto motivo.
    4. - Da quanto sopra esposto, consegue che va respinta l'eccezione
 di inammissibilita' prospettata in questa sede, dal  momento  che  in
 realta'  con  la seconda ordinanza sono state denunziate disposizioni
 diverse rispetto alla precedente, si e' fatto riferimento all'art.  3
 della  Costituzione  anche sotto il profilo della irragionevolezza, e
 si  sono dedotti argomenti non coincidenti con quelli precedentemente
 esposti.
    Invero,  poiche'  l'effetto  preclusivo  alla  riproposizione   di
 questioni  nel  corso  dello  stesso giudizio deve ritenersi operante
 soltanto allorche' risultino identici tutti e tre  gli  elementi  che
 compongono     la     questione     (norme     impugnate,     profili
 d'incostituzionalita' dedotti, argomentazioni svolte a sostegno della
 ritenuta incostituzionalita'), quella ora in esame non puo' ritenersi
 identica alla precedente, e non vale di  conseguenza  la  preclusione
 operante  in forza del principio del ne bis in idem (cfr. sentenze n.
 257 del 1991 e n. 55 del 1968).
    5. - Nel merito, va ricordato che le norme denunziate  sono  state
 interpretate  dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, con una
 costanza che assume i connotati di  diritto  vivente,  fatto  proprio
 anche  da questa Corte nella sentenza n. 309 del 1992, nel senso che,
 qualora il dirigente abbia esercitato  il  diritto  di  opzione  alla
 prosecuzione del rapporto - diritto riconosciuto a tutti gli iscritti
 all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita' e vecchiaia
 -  egli  non  consegue una stabilita' ulteriore rispetto ai limiti di
 quella  gia'  goduta,  permanendo  cioe'  la   possibilita'   di   un
 licenziamento  ad nutum (per inefficienza, invalidita', inoperosita',
 e in genere per il venir meno di quella fiducia che  caratterizza  il
 rapporto  di  lavoro  dei  dirigenti),  ma  non  anche  per il motivo
 connesso al mero conseguimento di limiti di eta' prima della scadenza
 del termine stabilito  a  seguito  della  prosecuzione  del  rapporto
 consentita dalla legge.
    L'onere  della  prova  -  secondo  il principio dell'art. 2697 del
 codice civile - incombe sulla parte che agisce per far dichiarare  la
 nullita' di un siffatto licenziamento.
    6. - Una volta riconosciuti dalla giurisprudenza di legittimita' e
 da questa Corte gli enunciati principi, non appare ravvisabile alcuna
 incoerenza  nelle  norme  denunziate,  le quali quindi, qualora cosi'
 interpretate, non risultano inficiate da vizi di incostituzionalita'.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di legittimita' costituzionale del  combinato  disposto  degli  artt.
 2118  del  codice  civile;  6,  quarto  comma,  del  decreto-legge 22
 dicembre  1981,  n.  791  (Disposizioni  in  materia  previdenziale),
 convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54; e
 10  della  legge  15  luglio  1966,  n.  604 (Norme sui licenziamenti
 individuali), in riferimento agli artt. 3 e  38  della  Costituzione,
 sollevata  dal  Tribunale  di  Firenze  con  l'ordinanza  indicata in
 epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 maggio 1994.
                       Il Presidente: PESCATORE
                       Il redattore: SANTOSUOSSO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria l'8 giugno 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 94C0681