N. 233 SENTENZA 6 - 10 giugno 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Elezioni - Ladini della provincia  di  Trento  -  Rappresentanza  del
 gruppo  linguistico nel consiglio provinciale e in quello regionale -
 Delibera legislativa dalla regione Trentino-Alto Adige -  Criteri  in
 ordine   alle   preferenze   -   Impossibilita'  di  deroga  a  norme
 costituzionali  se  non  mediante  norme  della   stessa   natura   -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (Delibera  legislativa  della regione Trentino-Alto Adige riapprovata
 il 24 settembre 1993)
(GU n.25 del 15-6-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro
    FERRI,  prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato
    GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
    Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.  Massimo  VARI,
    dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel   giudizio   di   legittimita'   costituzionale   della  delibera
 legislativa riapprovata il 24 settembre 1993 dal Consiglio  regionale
 del   Trentino-Alto   Adige,   avente   per  oggetto:  "Modifiche  ed
 integrazioni  al  t.u.  delle  leggi  regionali  per  l'elezione  del
 Consiglio  regionale,  approvato  con  decreto  del  Presidente della
 Giunta regionale 29 gennaio 1987, n. 2/L, al fine  di  consentire  la
 rappresentanza delle popolazioni ladine della Provincia di Trento nel
 Consiglio   regionale   e  provinciale",  promosso  con  ricorso  del
 Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 14 ottobre 1993,
 depositato in cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n.  61  del
 registro ricorsi 1993;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Trentino-Alto Adige;
    Udito nell'udienza pubblica del 12 aprile 1994 il Giudice relatore
 Fernando Santosuosso;
    Uditi  l'Avvocato  dello Stato Antonio Bruno, per il ricorrente, e
 l'avv. Giandomenico Falcon per la Regione;
                           Ritenuto in fatto
    1. -  Con  ricorso  regolarmente  notificato,  il  Presidente  del
 Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  ha  sollevato  questione   di   legittimita'
 costituzionale,  in riferimento agli artt. 62 e 102 dello Statuto del
 Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670),  della  delibera
 legislativa  riapprovata  dal  Consiglio  regionale del Trentino-Alto
 Adige   in   data   24   settembre  1993,  contenente  "Modifiche  ed
 integrazioni  al  t.u.  delle  leggi  regionali  per  l'elezione  del
 Consiglio  regionale,  approvato  con  decreto  del  Presidente della
 Giunta regionale 29 gennaio 1987, n. 2/L, al fine  di  consentire  la
 rappresentanza delle popolazioni ladine della provincia di Trento nel
 Consiglio regionale e provinciale".
    A  giudizio del ricorrente, la normativa in questione, finalizzata
 a  garantire  anche  ai  ladini  della   provincia   di   Trento   la
 rappresentanza  del  proprio  gruppo  linguistico tanto nel Consiglio
 regionale che in quello provinciale  (assicurata  oggi  per  il  solo
 gruppo  ladino della provincia di Bolzano, a norma dell'art. 62 dello
 Statuto di autonomia),  sarebbe  costituzionalmente  illegittima  per
 contrasto con le disposizioni statutarie richiamate, in quanto queste
 avrebbero carattere tassativo e non potrebbero quindi essere ampliate
 mediante una legge regionale.
    Aggiunge  il ricorrente che i problemi che la delibera legislativa
 vorrebbe risolvere erano, nel momento in  cui  il  ricorso  e'  stato
 proposto,   all'esame   della  Commissione  paritetica,  in  sede  di
 predisposizione di una norma di attuazione  statutaria  proposta  dal
 Governo e volta ad estendere alle minoranze ladine della provincia di
 Trento  alcuni  benefici  gia' previsti dallo Statuto per i ladini in
 provincia di Bolzano.
    2. - Si e' costituita la Regione Trentino-Alto Adige,  concludendo
 per la dichiarazione di non fondatezza della questione.
    Nel    motivare    detta    richiesta,   la   Regione   sottolinea
 preliminarmente come lo Statuto speciale  sia  in  larga  misura  una
 attuazione   dell'art.   6   della  Costituzione:  cio'  sia  per  la
 popolazione altoatesina che per la popolazione ladina.
    L'art. 2 di detto Statuto stabilisce che i cittadini hanno parita'
 di  diritti  "qualunque  sia   il   gruppo   linguistico   al   quale
 appartengono",  e  con  riferimento  a  tali gruppi afferma che "sono
 salvaguardate le rispettive caratteristiche etniche e culturali": dal
 che dovrebbe trarsi il principio della necessita' di adottare  misure
 capaci di garantire lo sviluppo di ciascun gruppo.
    Vi  e'  poi la disposizione contenuta nell'art. 4, per la quale il
 principio  della  tutela  delle  minoranze  linguistiche  locali   e'
 definito  come  parte dell'interesse nazionale: e cio', si sottolinea
 dalla  difesa,  proprio  ai  fini  dello  svolgimento  dell'attivita'
 legislativa  della  Regione,  come confermato dalla giurisprudenza di
 questa Corte (sentenze n. 312 del 1983 e n. 289 del 1987).
    Il principio della "parita' tra i gruppi linguistici" e'  talmente
 forte,  a  giudizio  della Regione, che l'art. 97, primo comma, dello
 Statuto fa della sua violazione un apposito  e  specifico  motivo  di
 impugnazione  governativa delle leggi regionali e provinciali in esse
 contenuto.
    Richiamando infine le disposizioni  di  attuazione  dello  Statuto
 emanate  con il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, si ritiene
 che l'interpretazione "limitativa" degli artt. 62 e 102 dello Statuto
 sostenuta dal Governo, per la quale tali disposizioni  disegnerebbero
 il massimo di tutela delle minoranze ladine (di modo che tutto quanto
 non   e'  espressamente  previsto  dovrebbe  ritenersi  vietato),  si
 rivelerebbe priva di qualunque fondamento.
    La  stessa  formula  dell'art. 62 non limita la rappresentanza del
 gruppo  ladino  al  solo  collegio  provinciale  di  Bolzano,  ma  ha
 preferito  parlare disgiuntamente sia del consiglio regionale sia del
 consiglio provinciale di Bolzano:  quasi  a  lasciare  uno  spiraglio
 interpretativo  al  legislatore regionale. Le disposizioni statutarie
 invocate come parametro, pertanto, non  vieterebbero  al  legislatore
 regionale di sviluppare il principio in esse contenuto.
    3.  -  In prossimita' dell'udienza, la Regione Trentino-Alto Adige
 ha presentato ulteriore memoria, ribadendo la  richiesta  di  rigetto
 del ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri.
    In  detta  memoria, oltre a richiamare il contenuto della sentenza
 n. 438 del 1993 di questa Corte (ove si afferma che il  principio  di
 tutela  delle  minoranze  linguistiche  "non  puo'  non  estendere la
 propria  efficacia  anche  nei  confronti  del  diritto  all'elezione
 politica"),  si  ribadisce il pericolo di interpretazioni restrittive
 di specifiche  garanzie  costituzionali,  richiamandosi  al  riguardo
 quanto   previsto,   relativamente   ad  altro  ordinamento,  dal  IX
 emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America, in cui si
 afferma  che  "l'enumerazione   di   alcuni   diritti   fatta   nella
 Costituzione  non potra' essere interpretata in modo che ne rimangano
 negati o menomati altri diritti mantenuti dai cittadini".
    Anche alla luce di tale principio,  e  soprattutto  in  base  alla
 giurisprudenza  costituzionale del nostro Paese, non pare dubitabile,
 a parere della Regione,  che  nella  Costituzione  italiana  e  nello
 Statuto   di   autonomia  il  principio  di  tutela  delle  minoranze
 costituisca   una   linea   direttrice   suscettibile   di   svariate
 applicazioni,  e  non  una  norma  eccezionale  di  cui  debba  darsi
 un'interpretazione restrittiva.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto ricorso,
 in riferimento agli artt. 62 e 102 dello Statuto del  Trentino-  Alto
 Adige  (d.P.R.  31  agosto  1972, n. 670), della delibera legislativa
 riapprovata dal Consiglio regionale del Trentino- Alto Adige in  data
 24  settembre  1993,  contenente  "Modifiche  ed integrazioni al t.u.
 delle  leggi  regionali  per  l'elezione  del  Consiglio   regionale,
 approvato  con  decreto  del  Presidente  della  Giunta  regionale 29
 gennaio 1987, n. 2/L, al fine di consentire la  rappresentanza  delle
 popolazioni  ladine della provincia di Trento nel Consiglio regionale
 e provinciale". Per conseguire questo fine, il sistema che  la  legge
 impugnata  intende  introdurre prevede, tra l'altro, che il candidato
 con la  piu'  alta  cifra  individuale  di  preferenze  ottenute  nel
 comprensorio ladino della Val di Fassa "prende il posto del candidato
 che,  sulla  base della graduatoria delle cifre individuali, dovrebbe
 essere l'ultimo degli eletti della lista".
    2. - Benche' la Regione non abbia eccepito l'inammissibilita'  del
 ricorso,  tale aspetto va comunque esaminato da questa Corte sotto un
 triplice profilo:
       a) Deve anzitutto valutarsi se il ricorso  sia  stato  proposto
 sulla  base  di  una  previa  e  valida  delibera  del  Consiglio dei
 Ministri, adottata ai sensi dell'art. 31 della legge 11  marzo  1953,
 n.  87, nonche' dell'art. 2, lett. d), della legge 23 agosto 1988, n.
 400. Si osserva in proposito che non sono sufficienti, ai fini  della
 proposizione  del  ricorso alla Corte costituzionale, quelle delibere
 generiche del Consiglio dei ministri che, pur contenendo i  necessari
 e adeguati riferimenti alla normativa impugnata, omettano tuttavia di
 indicare - sia pure concisamente - i motivi posti dal Governo a base,
 prima,  del  rinvio  al  Consiglio  regionale e, successivamente, del
 ricorso a questa Corte.   Ed  invero,  se  non  si  richiede  che  le
 delibere  di  rinvio o di autorizzazione al ricorso in via principale
 siano rigorosamente complete e dettagliate, esse non possono  d'altra
 parte   essere   carenti   sia  dell'oggetto  che  dei  parametri  di
 riferimento,  ma  devono  contenere  elementi  tali   da   consentire
 all'Avvocatura  dello  Stato  e  poi  alla  Corte  costituzionale  di
 comprendere la portata della volonta'  del  Consiglio  dei  ministri,
 deducendo  eventualmente  la  questione  di  costituzionalita'  dalla
 puntuale  indicazione,  oltre  che  della  normativa  impugnata,  dei
 parametri costituzionali violati, oppure precisando o desumendo detti
 parametri  dalla chiara determinazione della questione che si intende
 sollevare, o ancora integrando tale motivazione con quella  contenuta
 nel  precedente  provvedimento  di  rinvio  al  Consiglio  regionale.
 Questi criteri appaiono rispettati nel presente giudizio, dal momento
 che la delibera adottata dal Consiglio dei ministri in data 7 ottobre
 1993 - integrata dalla precedente delibera  di  rinvio  al  Consiglio
 regionale  -  oltre  a  contenere  precisi riferimenti alla normativa
 impugnata ed ai  parametri  costituzionali,  indica  concisamente  la
 ragione  per  cui  detto  provvedimento  regionale  era  ritenuto  in
 contrasto con gli artt. 62 e 102 dello Statuto di autonomia;
       b)  In  via  pregiudiziale  occorre  valutare   inoltre   (come
 sottolineato  in particolare dalla sentenza n. 726 del 1988 di questa
 Corte) la corrispondenza, perlomeno in  termini  sostanziali,  tra  i
 motivi del provvedimento di rinvio della legge al Consiglio regionale
 e  i  motivi  di  ricorso  alla  Corte  costituzionale.  Cio' risulta
 rispettato nel caso di specie, poiche'  il  sintetico  ricorso  della
 Presidenza del Consiglio segue quasi testualmente la linea dei motivi
 posti a base del rinvio della legge regionale;
       c)  Per  quanto  infine  riguarda  l'adeguata  specificita' dei
 motivi del ricorso, l'orientamento generale che emerge dalle pronunce
 di questa Corte (in particolare, sentenze n. 369 del  1990,  484  del
 1991,  392  del 1992) e' nel senso di non formalizzare eccessivamente
 il requisito della chiarezza delle censure  mosse  alle  disposizioni
 impugnate, purche' sia sufficientemente determinabile l'oggetto della
 controversia, in modo da porre la Corte in condizioni di individuare,
 ancorche'  attraverso  una  certa  elasticita'  della  motivazione  a
 sostegno del ricorso, il thema del contendere ed i parametri posti  a
 base  delle  sollevate questioni di costituzionalita'.  In realta', i
 motivi che fondano il presente ricorso,  per  quanto  non  immuni  da
 qualche  lacuna  o  inesattezza  e  formulati  in  modo  sintetico  -
 presupponendo  essi   il   richiamo   ad   altre   disposizioni   non
 espressamente    evidenziate   -   sono   tuttavia   sufficientemente
 individuabili in un duplice ordine di censure: a)  da  una  parte  si
 fonda   l'eccepita   illegittimita'   costituzionale   nel  contenuto
 eccezionale, se non anche tassativo,  degli  artt.  62  e  102  dello
 Statuto,  relativi  all'ambito di tutela delle minoranze linguistiche
 della Regione, con particolare riferimento  alla  rappresentanza  del
 gruppo  ladino nel Consiglio provinciale di Trento; b) dall'altra, si
 denunzia  l'illegittimita'  costituzionale  del  tipo  di  normazione
 prescelto  (legge regionale) per conseguire il risultato di derogare,
 modificare o quanto meno sviluppare quell'ambito di tutela.
    Questi  due  motivi  pertanto,  cosi' sostanzialmente individuati,
 presentano una chiarezza sufficiente per far ritenere ammissibile  il
 ricorso.
    3. - Prima di passare ad esaminare il problema specifico sul quale
 si  appunta la presente questione, occorre premettere, ai fini di una
 sua   migliore   comprensione,   un   breve   cenno   sulla   realta'
 storico-sociale cui si riferisce la normativa oggetto del ricorso.
    La  minoranza linguistica che la proposta di legge in esame mira a
 garantire fa parte della comunita' ladino-dolomitica (comprendente le
 popolazioni che abitano le valli che si dipartono dal  massiccio  del
 Sella),  a  sua  volta componente della piu' ampia entita' della c.d.
 Grande Ladinia, che comprende altresi' i reto-romanci residenti nelle
 valli dei Grigioni in Svizzera ed i friulani  della  omonima  regione
 italiana.
    L'origine  di tale entita' suol farsi risalire all'epoca in cui le
 legioni romane assoggettarono le zone nordiche sino al Danubio, dando
 luogo al  processo  di  romanizzazione  delle  popolazioni  residenti
 nell'arco  alpino, mentre il momento storico in cui risulta esistente
 una realta'  "ladina"  concepita  come  tale  viene  rinvenuto  nella
 costituzione   del   Vescovado   di   Bressanone,   nell'anno   1027.
 Attualmente la comunita' ladino-dolomitica e' frazionata,  sul  piano
 amministrativo,  in  tre  parti: una, residente nelle valli Gardena e
 Badia, fa capo alla Provincia di Bolzano;  l'altra,  stanziata  nelle
 valli  di  Livinallongo  ed  Ampezzo, fa capo alla Regione Veneto (ed
 alla provincia di Belluno); la terza, infine, residente  nella  valle
 di  Fassa,  rientra  nel territorio amministrativo della provincia di
 Trento.  Questa separazione amministrativa, perseguita  in  un  certo
 periodo   con   probabili   intenti  assimilatori  e  successivamente
 mantenuta  nonostante  reiterate  richieste   contrarie,   ha   forse
 comportato   una   riduzione   del  senso  di  appartenenza  di  tali
 popolazioni ad una  medesima  comunita'  (con  riflessi  sull'aspetto
 linguistico-culturale),  non  riuscendo  tuttavia  a far venir meno i
 motivi di collegamento tra i suoi vari segmenti, che aspirano  ad  un
 recupero e ad un riconoscimento della loro dimensione comune.
    4.   -  In  ordine  al  nucleo  centrale  del  problema  giuridico
 costituzionale  del  presente  giudizio,  va  ricordato  ancora  come
 soltanto  il segmento del gruppo linguistico ladino che risiede nella
 provincia di Bolzano ha  ottenuto,  in  sede  di  approvazione  dello
 Statuto  regionale,  una  ulteriore  particolare tutela, stabilendosi
 (art. 62) che in seno al Consiglio di quella Provincia deve essere in
 ogni caso garantita la rappresentanza di detto gruppo linguistico;  e
 poiche'  i  consiglieri  delle  province di Trento e Bolzano sono gli
 stessi che compongono il Consiglio regionale (art. 84 dello Statuto),
 il consigliere di lingua ladina finisce per rappresentare di fatto in
 quest'ultimo Consiglio la minoranza ladina residente  nella  Regione.
 Non  e' questa la sede per analizzare la citata norma, ne' ipotizzare
 i motivi (numerici, di rapporti  con  altre  minoranze,  o  di  altre
 ragioni  socio-politiche) che hanno indotto il legislatore statutario
 a garantire la rappresentanza del gruppo unicamente per la  provincia
 di   Bolzano,  sia  pure  con  la  conseguenziale  inclusione  di  un
 rappresentante ladino nel Consiglio regionale.  Certo e' che per  gli
 appartenenti  alla  minoranza  ladina  residenti  nella  provincia di
 Trento lo Statuto prevede,  in  forma  specifica,  solo  le  garanzie
 indicate  nell'art. 102, e precisamente quelle di cui al primo comma,
 relative a tutte le popolazioni ladine ("valorizzazione delle proprie
 iniziative  ed attivita' culturali, di stampa, ricreative, nonche' al
 rispetto della toponomastica e  delle  tradizioni  delle  popolazioni
 stesse"),  e  quelle,  di  cui  al secondo comma, riguardanti piu' in
 particolare le popolazioni ladine residenti nella provincia di Trento
 ("nelle scuole dei comuni della provincia di Trento ove e' parlato il
 ladino e' garantito  l'insegnamento  della  lingua  e  della  cultura
 ladina").
    5.  -  Va  tuttavia segnalato come, successivamente alla revisione
 dello  Statuto  operata  nel  1971,  e'  andata  via  via   crescendo
 l'attenzione  ad  una  maggiore tutela del segmento del gruppo ladino
 residente in detta provincia, sia per  quanto  riguarda  gli  aspetti
 piu'  propriamente  linguistico-culturali,  sia  per cio' che attiene
 specificamente l'esigenza di  una  rappresentanza  all'interno  degli
 organi  politico-amministrativi.   Per il primo aspetto, va segnalata
 anzitutto l'istituzione (mediante  la  legge  provinciale  16  giugno
 1977, n. 16) di un apposito Comprensorio della Valle di Fassa, il cui
 Statuto  prevede tra le proprie finalita' "lo sviluppo e l'attuazione
 della civilta' ladina"; in secondo luogo, l'istituzione,  sempre  con
 legge  provinciale  (14  agosto  1975, n. 29) dell'Istituto culturale
 ladino,  avente  come  scopo  la  conservazione,  la  difesa   e   la
 valorizzazione  della  cultura,  tradizione  e parlata della civilta'
 ladina nel Trentino. Accanto alla normativa provinciale, va segnalata
 l'evoluzione della normativa di attuazione dello Statuto speciale, di
 cui sono espressione - in particolare  -  l'art.  14  del  d.P.R.  15
 luglio  1988, n. 405, con cui viene disciplinato l'insegnamento della
 lingua e della cultura ladina nelle scuole  elementari  e  secondarie
 dei  comuni  della provincia di Trento ove e' parlato il ladino; e il
 recente decreto legislativo 16 dicembre 1993, n. 592,  che  riconosce
 il  diritto  delle  popolazioni  ladine  della provincia di Trento ad
 usare la propria lingua, oltre a prevedere altre misure relative alle
 scuole ed agli uffici pubblici situati nella valle  di  Fassa.    Per
 quanto  riguarda  il  secondo versante, quello che qui piu' da vicino
 interessa, va rilevato come, fin dalla  VII  legislatura,  sia  stata
 presentata  una proposta di legge (di natura costituzionale) tendente
 a modificare lo Statuto al fine di garantire anche al segmento  della
 comunita'  ladino-dolomitica  residente nella provincia di Trento una
 rappresentanza in seno al Consiglio provinciale. Tale proposta non e'
 giunta ad approvazione,  ne'  lo  sono  state  le  analoghe  proposte
 ripresentate  ad  ogni  legislatura  (da  ultimo, il disegno di legge
 costituzionale n. 539 presentato al  Senato  della  Repubblica  il  5
 agosto 1992).
    6.  -  La  legge  regionale  in questa sede impugnata, "al fine di
 consentire la rappresentanza delle popolazioni ladine della provincia
 di  Trento",  dispone  che  i  candidati  i  quali  abbiano  reso  la
 dichiarazione  di  appartenenza  al  gruppo  linguistico  ladino sono
 inseriti in una graduatoria formata sulla base della rispettiva cifra
 individuale,  ottenuta  nelle  sezioni  elettorali  dei  comuni   del
 Comprensorio  della Valle di Fassa, stabilendosi che, nel caso in cui
 nessuno di detti candidati risulti eletto, il piu'  votato  tra  essi
 "prende  il  posto  del  candidato  che, sulla base della graduatoria
 delle cifre individuali,  dovrebbe  essere  l'ultimo  degli  eletti".
 Questo  sistema normativo e' stato fatto oggetto del presente ricorso
 dal Presidente del Consiglio  dei  ministri  per  incostituzionalita'
 sotto  i  due  profili  sopra  individuati,  che  sono sinteticamente
 enunciabili  nel  senso  che  i  limiti  di  tutela  delle  minoranze
 linguistiche nella provincia di  Trento  -  risultanti  dalle  citate
 norme  statutarie  -  non  potevano essere superati con una ordinaria
 legge regionale.
    7. - Il ricorso, nonostante qualche imprecisione, risulta fondato.
    Va premesso in generale che  la  Regione  Trentino-Alto  Adige  ha
 poteri  legislativi  in  materia  di elezioni regionali e provinciali
 (art. 25 dello Statuto), ovviamente nel rispetto dei limiti statutari
 e costituzionali.  Inoltre  l'art.  6  della  Costituzione  e'  stato
 interpretato  dalla  piu'  recente  giurisprudenza  di  questa  Corte
 (sentenze n. 242 del 1989 e 289 del 1987) nel senso di individuare in
 esso un interesse (la tutela delle minoranze etnico-linguistiche)  da
 perseguire  ad  opera  di una potesta' legislativa concorrente, dello
 Stato   e   delle   regioni.   Nell'ottica   di   tale   disposizione
 costituzionale  e' stato pure affermato da questa Corte che la tutela
 di  dette  minoranze  puo'  richiedere  la  predisposizione   di   un
 trattamento  specificamente  differenziato (sentenza n. 86 del 1975),
 in forza del principio di "eguaglianza sostanziale" e della  connessa
 esigenza di forme di tutela positiva.
    E'  stato,  in proposito, riconosciuto di recente (sentenza n. 438
 del 1993) che alle minoranze  (nella  specie,  di  lingua  tedesca  e
 ladina) e' costituzionalmente garantito anche il diritto di esprimere
 in   condizioni   di  effettiva  parita'  la  propria  rappresentanza
 politica. E, come si e' sopra accennato, le  popolazioni  ladine,  di
 antichissima  tradizione  e  portatrici di preziosi valori culturali,
 meritano indubbiamente ampio riconoscimento.  Va infine  rilevata  la
 tendenza,  di  cui  e' espressione la recente legge costituzionale 23
 novembre 1993, n. 2, ad estendere l'ambito di tutela delle  minoranze
 linguistiche   anche   oltre   i   gruppi  minoritari  fino  ad  oggi
 considerati.  Ma e' altrettanto evidente che  tale  tutela  non  puo'
 superare  certi limiti, dovuti ad una serie di diverse considerazioni
 (anche di proporzionalita'  numerica)  e  soprattutto  al  necessario
 contemperamento   di  questa  esigenza  con  altri  valori  parimenti
 meritevoli di tutela.
    8.  -  Nel   quadro   del   predetto   bilanciamento   di   valori
 costituzionalmente  rilevanti  si colloca il combinato disposto degli
 artt. 62 e 102 dello Statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige.
    In particolare, solo a questo  livello  di  normazione,  e'  stato
 ritenuto,   non   sul  piano  astratto  dei  principi  ma  comparando
 concretamente  le  diverse   circostanze,   che   il   valore   della
 rappresentanza   del   gruppo   linguistico   ladino   nel  Consiglio
 provinciale di Bolzano (e quindi anche in quello  regionale)  dovesse
 essere  garantito  - in ipotesi - a scapito di candidati che avessero
 ottenuto un maggior numero di  voti,  e  quindi  derogando  ad  altri
 valori  costituzionali,  quali  l'eguaglianza  del voto (artt. 3 e 48
 della Costituzione e art. 25 dello Statuto).  Quest'ultimo  principio
 fondamentale si traduce - com'e' noto - nel riconoscimento della pari
 efficacia  di  ciascun  voto  nella  formazione degli organi elettivi
 (sentenze nn. 60 del 1963 e 43 del 1961 di questa Corte).  Ora, se il
 menzionato art. 62, con la sua  forza  di  fonte  costituzionale,  ha
 potuto introdurre nell'ordinamento la tutela di un particolare valore
 (della obbligatoria rappresentanza della minoranza linguistica ladina
 nel  Consiglio provinciale di Bolzano) con eccezionale prevalenza sul
 predetto principio generale, non  appare  consentito  che  la  stessa
 operazione  di bilanciamento possa essere compiuta anche da parte del
 legislatore regionale con l'introduzione  di  una  ulteriore  deroga.
 Ne'  puo' sostenersi che una siffatta legge regionale, nell'estendere
 la stessa norma di prevalenza della tutela delle minoranze  ad  altri
 frammenti  di  gruppi  linguistici,  sia legittima in forza della vis
 expansiva di un principio, gia'  riconosciuto  per  un  caso  simile,
 ancorche'  questo sviluppo non goda di pari copertura costituzionale.
 Ed invero la possibilita' di deroga a norme costituzionali  non  puo'
 realizzarsi se non mediante norme della stessa natura.
    Inoltre,  dal  momento  che  queste  norme  - sia che si ritengano
 modificative  delle  norme  statutarie,  sia  che   si   qualifichino
 meramente  additive  -  non  perdono  in  ogni  caso  la  loro natura
 derogatoria dei menzionati valori costituzionali generali, ne  deriva
 che,  anche  in  forza  del  noto criterio di stretta interpretazione
 delle norme eccezionali, non si possa  legittimamente  sviluppare  il
 contenuto  di una disposizione (derogatoria) di natura costituzionale
 mediante altre norme di diversa forza.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale della delibera legislativa
 della Regione Trentino-Alto Adige, riapprovata il 24 settembre  1993,
 recante  "Modifiche ed integrazioni al t.u. delle leggi regionali per
 l'elezione  del  Consiglio  regionale,  approvato  con  decreto   del
 Presidente della Giunta regionale 29 gennaio 1987, n. 2/L, al fine di
 consentire la rappresentanza delle popolazioni ladine della provincia
 di Trento nel Consiglio regionale e provinciale".
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 6 giugno 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: SANTOSUOSSO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 10 giugno 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 94C0703