N. 236 SENTENZA 6 - 10 giugno 1994
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Acque pubbliche e private - Greto del fiume Po - Rideterminazione di canoni, proventi, diritti erariali ed indennizzi comunque dovuti per la utilizzazione di beni immobili del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato - Criteri - Regolamento ministeriale - Prestazioni imposte - Richiamo alla giurisprudenza della Corte (sentenze nn. 122/1957, 70/1960 e 2/1962 e successive) - Insussistenza di arbitrii dell'amministrazione - Non fondatezza. (D.-L. 27 aprile 1990, n. 90, art. 12, quinto comma, convertito in legge 26 giugno 1990, n. 165). (Cost., artt. 23 e 53).(GU n.25 del 15-6-1994 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 12, quinto comma, del decreto legge 27 aprile 1990, n. 90 (Riforma tributaria e provvedimenti vari), convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165, promosso con ordinanza emessa il 1 febbraio 1993 dal Tribunale superiore delle acque pubbliche nel procedimento civile vertente tra la s.r.l. "Imprese Borghi" ed il Ministero delle Finanze ed altro, iscritta al n. 482 del 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1993; Visto l'atto di costituzione della s.r.l. "Imprese Borghi" nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 26 aprile 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso; Uditi l'avv. Valerio Onida per la s.r.l. "Impresa Borghi" e l'Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio avente ad oggetto l'impugnazione da parte dell'"Impresa Borghi s.r.l." dei decreti 19 marzo 1991, n. 32105 e 10 settembre 1991, n. 32109, con i quali sono stati rideterminati i canoni dovuti per l'estrazione di materiale limo-sabbioso dal greto del fiume Po alla stregua dei criteri fissati nel decreto - pure impugnato -, emesso dal Ministero delle Finanze in data 20 luglio 1990, a sua volta emanato in forza dell'art. 12, quinto comma, del decreto-legge 27 aprile 1990 n. 90, il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, quinto comma, del decreto legge 27 aprile 1990, n. 90 (Riforma tributaria e provvedimenti vari), convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165. Si sospetta la violazione, in via principale, dell'art. 23 della Costituzione, nella parte in cui demanda ad un regolamento ministeriale la fissazione dei criteri di determinazione dei canoni dovuti per l'estrazione di materiale limo sabbioso dal greto dei fiumi; nonche', in via subordinata, dell'art. 53 della Costituzione, nella parte in cui stabilisce che gli aumenti dei canoni suddetti abbiano efficacia retroattiva. Circa la prima questione, ritiene il giudice a quo che la disposizione impugnata, con il demandare ad un regolamento ministeriale la fissazione dei criteri per la rideterminazione dei canoni stabilendo solo due multipli massimi, si porrebbe in contrasto con l'art. 23 della Costituzione, in base al quale in tema di prestazioni imposte (quali sono quelle in oggetto, essendo l'importo relativo unilateralmente fissato) la legge deve fissare con adeguata determinatezza il contenuto della prestazione ed i criteri idonei a regolare l'eventuale margine di discrezionalita' consentito alla pubblica amministrazione. Con la seconda questione, si rileva che la norma in questione, con il prevedere che le rideterminazioni dei canoni abbiano effetto "a decorrere dall'anno 1990", anziche' da un momento successivo all'entrata in vigore del decreto-legge, contrasta con l'art. 53 della Costituzione, dal momento che dovrebbe ritenersi preclusa la retroattivita' di una prestazione patrimoniale sinallagmatica il cui corrispettivo (nel caso di specie rappresentato dal limo sabbioso estratto dal greto del fiume Po) sia stato gia' ricevuto dal soggetto onerato. 2. - Si e' costituita in giudizio la societa' "Impresa Borghi s.r.l." chiedendo l'accoglimento della questione. Rileva al riguardo che la fondatezza delle censure sarebbe avvalorata dal modo con cui il legislatore ha provveduto a disciplinare la medesima materia relativamente ai periodi di contribuzione successivi all'anno 1990: nel nuovo regime normativo, infatti, e' la stessa fonte legislativa a porre i criteri di riferimento da rispettare in sede di disciplina tariffaria regolamentare. 3. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilita' o per l'infondatezza delle questioni. Ha osservato l'Avvocatura dello Stato che la questione sarebbe inammissibile per diversi motivi. Nel merito, ha concluso per l'infondatezza, osservando che ai canoni di concessione in oggetto non puo' essere riconosciuta la natura di "imposizione" essendo gli stessi semplicemente dei corrispettivi. Considerato in diritto 1. - Il Tribunale superiore delle acque pubbliche solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, quinto comma, del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90 (Riforma tributaria e provvedimenti vari) convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165, in via principale, in riferimento all'art. 23 della Costituzione, nella parte in cui demanda ad un regolamento ministeriale di stabilire i criteri per le rideterminazioni di canoni, proventi, diritti erariali ed indennizzi comunque dovuti per la utilizzazione dei beni immobili del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato; nonche', in via subordinata, in riferimento all'art. 53 della Costituzione, nella parte in cui dispone che la rideterminazione dei canoni e proventi suddetti abbia effetto a decorrere dall'anno 1990 e quindi con efficacia retroattiva. 2. - L'Avvocatura dello Stato eccepisce preliminarmente l'inammissibilita' della questione sotto un triplice profilo: a) per difetto di giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche, dal momento che la competenza in tema di diritti soggettivi appartiene, a norma dell'art. 5, secondo comma, della legge n. 1034 del 1971, al giudice ordinario o, al piu', al Tribunale regionale delle acque pubbliche; in caso contrario, la competenza dovrebbe ritenersi del giudice amministrativo, non riguardando la materia delle acque; b) per irrilevanza della questione stessa, poiche' il giudice a quo, dopo aver ritenuto infondati i motivi di ricorso della societa' ricorrente, non avrebbe potuto (andando ultra petita) sollevare questione di legittimita' costituzionale relativamente ad un motivo diverso; c) infine perche' dall'ordinanza di rimessione non risulterebbe se la richiesta del nuovo canone fosse riferita effettivamente ad estrazioni di materiali relative a periodi anteriori alla data di entrata in vigore dell'impugnato decreto-legge. 3. - Tali eccezioni non possono essere accolte. In ordine alla prima, va rilevato che la giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo ordinanza n. 14 del 1993) e' nel senso che il difetto di giurisdizione del giudice a quo fa escludere la rilevanza della questione solo ove esso risulti chiaramente dalla legge, ovvero corrisponda ad un univoco orientamento giurisprudenziale si' da rivestire il carattere dell'evidenza. Nel caso di specie, al contrario, il giudice a quo ha affermato con sentenza la propria giurisdizione motivando ampiamente sul punto, circostanza questa che fa venir meno la suddetta evidenza. Anche la seconda eccezione non merita accoglimento poiche', mentre rientra nella competenza del giudice a quo determinare il thema decidendum del giudizio di legittimita' costituzionale devoluto alla Corte, questa, in sede di verifica della sussistenza della rilevanza, non puo', con proprie valutazioni, sindacare l'iter logico seguito dal giudice nella impostazione prescelta per pervenire alla decisione sul merito, dovendo tale controllo contenersi nei limiti della verifica della effettiva possibilita' di fare applicazione della norma denunciata ai fini della definizione del giudizio. Riguardo infine all'eccezione di inammissibilita' per difetto di motivazione sulla rilevanza, formulata solo in ordine alla questione della retroattivita' degli aumenti dei canoni, va osservato come dall'ordinanza di rimessione - contrariamente a quanto rilevato dall'Avvocatura dello Stato - emerge chiaramente che gli aumenti in questione si riferiscono anche al periodo gennaio-luglio dell'anno 1990 pur non essendo stato espressamente indicato l'anno "1990". 4. - Riguardo al merito della questione, va premesso che l'ordinanza di rimessione fa riferimento agli indicati parametri costituzionali partendo dal presupposto che nella specie trattasi di una ipotesi di "prestazione patrimoniale imposta" poiche' "il corrispettivo in questione viene mutato unilateralmente dalla pubblica autorita'". Deve questa Corte anzitutto verificare se tale impostazione pregiudiziale sia giuridicamente corretta, dal momento che dal predetto presupposto e' condizionato l'esame di entrambi i profili della sollevata questione. Nell'economia della presente decisione ci si puo' limitare ad osservare che la norma costituzionale contenuta all'art. 23 ha formato oggetto di un vasto dibattito dottrinale, sul quale non e' qui il caso di soffermarsi, nonche' di numerose pronunce di questa Corte, che saranno ora richiamate. Nell'intento di precisare gli essenziali elementi per individuare le prestazioni patrimoniali imposte che giustificano la garanzia della riserva di legge prevista dall'art. 23 della Costituzione ed i conseguenziali limiti alla discrezionalita' della pubblica amministrazione, la giurisprudenza costituzionale aveva originariamente fatto riferimento solo alla natura autoritativa dell'atto che costituisce la prestazione, in quanto tale emesso indipendentemente dalla volonta' del soggetto passivo (sentenze nn. 4, 30, 47, 122 del 1957; n. 36 del 1959; nn. 51 e 70 del 1960; n. 65 del 1962; n. 55 del 1963). Successivamente, questa Corte ha ravvisato la natura di prestazione imposta anche nelle ipotesi in cui la prestazione stessa, pur nascendo da un contratto privatistico volontariamente stipulato dall'utente col titolare del bene o del servizio, e quindi dando luogo ad un rapporto negoziale di diritto privato, si riferisca ad un "servizio che, in considerazione della sua particolare rilevanza, venga riservato alla mano pubblica e l'uso di esso sia da considerare essenziale ai bisogni della vita", sicche' "il cittadino e' libero di stipulare o non stipulare il contratto, ma questa liberta' si riduce alla possibilita' di scegliere fra la rinunzia al soddisfacimento di un bisogno essenziale e l'accettazione di condizioni e di obblighi unilateralmente e autoritativamente prefissati" (sentenza n. 72 del 1969 in tema di tariffe del servizio telefonico; e sostanzialmente anche sentenza n. 127 del 1988 che ha inquadrato il pagamento del "diritto di approdo" nelle prestazioni patrimoniali obbligatorie per l'utente del bene demaniale). 5. - Dal complesso della giurisprudenza della Corte in questa materia - che ha qualificato prestazioni imposte ai sensi dell'art. 23 della Costituzione, oltre che le menzionate tariffe per il servizio telefonico e il diritto di approdo, anche i canoni per la derivazione dai bacini imbriferi montani (sentenza n. 122 del 1957), per le pubbliche affissioni (sentenza n. 36 del 1959), per lo sconto obbligatorio sui prezzi dei medicinali (sentenza n. 70 del 1960), per l'occupazione di suolo pubblico (sentenza n. 2 del 1962), per i contributi ad un consorzio di bonifica (sentenza n. 55 del 1963) - si possono dedurre e precisare alcuni principi-guida per la individuazione di questo tipo di prestazioni, e quindi per l'applicazione della riserva di legge prevista dall'art. 23 della Costituzione, considerando distintamente gli elementi secondari da quelli decisivi. Ed invero, ai fini dell'individuazione delle prestazioni patrimoniali imposte non costituiscono elementi determinanti, ma secondari e supplementari, le formali qualificazioni delle prestazioni (sentenza n. 4 del 1957), la fonte negoziale o meno dell'atto costitutivo (sentenza n. 72 del 1969), il dato empirico dell'inserimento di obbligazioni ex lege in contratti privatistici, nonche' la maggiore o minore valenza sinallagmatica delle rispettive prestazioni (sentenza n. 55 del 1963). Ai predetti fini va invece riconosciuto un peso decisivo agli aspetti pubblicistici dell'intervento delle autorita', ed in particolare alla disciplina della destinazione e dell'uso di beni o servizi, per i quali si verifica che, in considerazione della loro natura giuridica (sentenze n. 122 del 1957 e n. 2 del 1962), della situazione di monopolio pubblico o della essenzialita' di alcuni bisogni di vita soddisfatti da quei beni o servizi (sentenze n. 36 del 1959, 72 del 1969, 127 del 1988), la determinazione della prestazione sia unilateralmente imposta con atti formali autoritativi, che, incidendo sostanzialmente sulla sfera dell'autonomia privata, giustificano la previsione di una riserva di legge. Alla stregua degli orientamenti desumibili dalla citata giurisprudenza puo' concludersi che nella fattispecie ci si trova di fronte alla determinazione di una prestazione patrimoniale imposta, dal momento che il canone e', con atto formalmente autoritativo, stabilito unilateralmente dalla pubblica amministrazione e viene ad incidere sulla sfera dell'autonomia dei privati, i quali non possono soddisfare altrimenti in modo adeguato l'esigenza di procurarsi il materiale limo-sabbioso estraibile dal greto dei fiumi. Tale situazione richiede, di conseguenza, la garanzia della riserva di legge prevista per tali ipotesi dall'art. 23 della Costituzione. 6. - Deve ora passarsi all'esame del primo profilo della questione di costituzionalita', secondo cui la norma impugnata non conterrebbe direttamente una sufficiente determinazione della prestazione patrimoniale, violando quindi l'art. 23 della Costituzione. In particolare, si osserva nell'ordinanza di rimessione, l'impugnato art. 12, quinto comma, demanda al regolamento ministeriale di fissare i criteri per la determinazione dei canoni in questione, limitandosi a stabilire che gli aumenti consequenziali non siano superiori a due multipli massimi. La difesa dell'impresa soggiunge che la rideterminazione di dette prestazioni dovute per l'utilizzazione dei beni immobili dello Stato viene dalla legge stessa autorizzata con riferimento, non ai canoni precedentemente fissati in concreto, ma alle tariffe che prevedevano in astratto quelle misure, senza peraltro una corrispondenza proporzionale all'andamento dei prezzi di mercato, bensi' con riguardo solo a due periodi, quello anteriore e quello posteriore al 1982. Tutto cio' confermerebbe ulteriormente l'insufficiente determinazione di criteri di limitazione legislativa alla discrezionalita' dell'autorita' amministrativa. 7. - Questi argomenti non sono condivisibili. Va in proposito riconfermata anzitutto la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 90 del 1994; n. 34 del 1986; n. 67 del 1973 ed altre), secondo cui il principio della riserva di legge previsto dall'art. 23 della Costituzione, e' di carattere relativo, essendo richiesto che la prestazione sia imposta "in base alla legge": come tale, esso puo' dirsi rispettato anche in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalita' dell'amministrazione, purche' gli stessi siano in qualche modo desumibili (dalla composizione o funzionamento dell'autorita' competente, dalla destinazione della prestazione, dal sistema procedimentale che prevede la collaborazione di piu' organi) al fine di evitare arbitrii dell'amministrazione. Nella specie, questi principi non appaiono violati dall'art. 12, quinto comma, del decreto-legge n. 90 del 1990, dal momento che esso prende a base i canoni concretamente applicati, "derivanti dall'applicazione delle tariffe e misure stabilite in virtu' di leggi e regolamenti" (e cioe', dal decreto-legge 2 ottobre 1981, n. 546, secondo cui i canoni erano "determinati, sentiti i competenti uffici tecnici erariali, tenuto conto dell'andamento dei prezzi dei materiali stessi sul libero mercato. Tali canoni, comunque, non potranno essere determinati in misura inferiore a L. 800 per ogni metro cubo di materiale estratto"). La norma impugnata, poi, in considerazione della diversa epoca di fissazione di dette tariffe e della sopravvenuta svalutazione monetaria con conseguente mutamento dei prezzi, autorizza il Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, ad aumentare quelle misure entro limiti massimi che vengono precisati in una certa misura a seconda dei periodi di determinazione dei canoni-base. 8. - Con il secondo profilo di incostituzionalita', subordinatamente prospettato, pur riconoscendosi dal giudice rimettente che l'art. 53 della Costituzione "specificamente relativo alle prestazioni tributarie, di per se' non preclude la retroattivita' di disposizioni impositive", si soggiunge: "come la retroattivita' di disposizioni tributarie e' preclusa dall'art. 53 quando essa finisca per gravare il soggetto d'imposta per una capacita' contributiva non piu' esistente al momento dell'imposizione, cosi' sembra che si debba ritenere preclusa la retroattivita' di una prestazione patrimoniale sinallagmatica la cui prestazione corrispettiva sia gia' stata ricevuta dal soggetto onerato". Per ritenere infondato anche questo aspetto della questione - senza dover esaminare le condizioni di legittimita' della eccezionale retroattivita' delle norme tributarie - e' sufficiente rilevare che lo stesso giudice a quo riconosce che nella specie si tratta di imposizione di un altro tipo di prestazioni e che il parametro costituzionale che si ritiene violato (art. 53) in realta' si riferisce unicamente a quelle di carattere tributario, come affermato dalla costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 500 del 1993).
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 12, quinto comma, del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90 (Riforma tributaria e provvedimenti vari) convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165, sollevate, in riferimento agli artt. 23 e 53 della Costituzione, dal Tribunale superiore delle acque pubbliche con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 1994. Il Presidente: CASAVOLA Il redattore: SANTOSUOSSO Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 10 giugno 1994. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 94C0706