N. 377 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 marzo 1994

                                N. 377
 Ordinanza  emessa  il  15  marzo  1994  dal  tribunale  militare   di
 sorveglianza nel procedimento penale a carico di Bartolini Nico
 Ordinamento penitenziario - Condannato per il reato di rifiuto del
    servizio   militare  di  leva  per  motivi  di  coscienza  -  Pene
    alternative  -  Possibilita'  di  affidamento  in  prova  ad  ente
    pubblico  non  militare  e,  per  giurisprudenza  della  Corte  di
    cassazione,  preclusione  all'affidamento  in  prova  al  servizio
    sociale - Violazione dei principi di eguaglianza e della finalita'
    di rieducazione della pena - Richiamo alla sentenza n. 358/1993.
 (Legge 29 aprile 1983, n. 167, artt. 1, primo comma, u.p., e 3, terzo
    comma).
 (Cost., artt. 3 e 27).
(GU n.27 del 29-6-1994 )
                 IL TRIBUNALE MILITARE DI SORVEGLIANZA
    Ha  pronunciato,  all'udienza  del  15  marzo  1994,  la  seguente
 ordinanza in tema di affidamento  in  prova  ad  un  ufficio  o  ente
 pubblico  non  militare  ancor prima dell'inizio della detenzione, ai
 sensi della legge 29 aprile 1983, n. 167, e successive modifiche, nei
 confronti del condannato militare Bartolini Nico, nato a Marsciano il
 15 settembre 1973 e  residente  a  Fratta  Todina  in  via  S.  Maria
 d'Orzolo  n.  7,  condannato  alla  pena  di  mesi  tre di reclusione
 militare inflittagli con sentenza in data 12 ottobre 1993 del  g.i.p.
 presso  il  tribunale  militare di Torino per il reato di rifiuto del
 servizio militare di leva (art. 8,  secondo  comma,  della  legge  15
 dicembre 1972, n. 772).
    1.  -  In  ordine  alla  domanda  indicata  in epigrafe osserva il
 tribunale che ne sussistono i presupposti di ammissibilita',  che  il
 giudizio  prognostico  sulla  riuscita  dell'affidamento  puo' essere
 formulato con riferimento al comportamento serbato dal condannato  in
 liberta'  successivamente  alla data del reato e che dalle risultanze
 in atti (informazioni dei  carabinieri  e  relazione  del  competente
 centro  di servizio sociale per adulti) tale comportamento appare con
 connotazioni  atte  a  far  presumere   che   per   la   rieducazione
 dell'interessato  e  per  prevenire che egli compia altri reati siano
 sufficienti talune prescrizioni limitative della liberta'.
    Quanto alla tipologia dell'affidamento applicabile e quindi  delle
 prescrizioni  da  impartire,  le  parti,  all'odierna  udienza, hanno
 formulato divergenti conclusioni, prospettando questioni sulle  quali
 occorre soffermarsi.
    2.  -  Con  la  sentenza  n.  358/1993  la Corte costituzionale ha
 stabilito che la sostituzione, per  egual  durata,  dalla  reclusione
 militare  alla reclusione, prevista nell'art. 27 del codice procedura
 militare penale nei casi in cui alla condanna per il  reato  militare
 non consegua la degradazione, non deve operare rispetto alle condanne
 per  il  reato di rifiuto del servizio militare di leva per motivi di
 coscienza, di cui all'art. 8, secondo comma, della legge n. 772/1972;
 e  in  tal   senso   ha   dichiarato   la   parziale   illegittimita'
 costituzionale dello stesso art. 27.
    Ha  infatti rilevato la Corte che "la legge non puo', senza cadere
 in  palese  contraddizione,  basare  sull'adduzione  di  giustificati
 motivi  di  coscienza  un  trattamento  punitivo  per  il rifiuto del
 servizio militare  all'esito  del  quale  si  prevede  l'esonero  dal
 servizio  militare  stesso e, nello stesso tempo, far consistere quel
 trattamento in  modalita'  volte  prevalentemente  nel  recupero  del
 soggetto al servizio militare".
    Nella  stessa  sentenza  non  si rinvengono, pero', considerazioni
 attinenti alle conseguenze sul piano del regime  penitenziario  della
 disposta   deroga  al  principio  generale  contenuto  nell'art.  27;
 segnatamente, nulla si ricava in ordine al problema  della  ulteriore
 applicabilita'  ai  condannati  per  il  reato  de quo dello speciale
 affidamento in prova previsto nella legge 29 aprile 1983, giacche' la
 Corte si e'  sul  punto  limitata  a  dichiarare  inammissibile,  per
 estraneita'  al  tema  della  decisione,  la  sollevata  questione di
 costituzionalita' anche dell'art. 3, terzo  comma,  della  legge  ora
 citata.
    Secondo  tale  disposizione,  invero,  "i  condannati  per i reati
 militari originati da obiezione di coscienza possono essere  affidati
 esclusivamente   ad   un   ufficio  o  ente  pubblico  non  militare,
 determinato dal  Ministro  della  difesa,  per  prestarvi  servizio".
 Stante  il  tenore tassativo della norma, e il suo indubbio connotato
 di specialita', si potrebbe pensare  che  essa  valga  a  prescindere
 dalla  natura  della  pena  inflitta  ai condannati di cui trattasi e
 quindi si ponga ora come deroga a quanto stabilito, per  l'esecuzione
 della   pena   detentiva   tout   court,  dell'art.  47  della  legge
 penitenziaria (n. 354/1975  e  successive  modificazioni):  in  luogo
 dell'affidamento  in  prova al servizio sociale, per gli obiettori di
 coscienza c.d. totali,  sarebbe  previsto  un  affidamento  in  prova
 "esclusivamente"  presso un ente pubblico non militare, allo scopo di
 adempiere a una prestazione di servizio riconducibile ai  compiti  di
 quell'ente.  Evidente  il  diverso  contenuto  e la diversa incidenza
 pratica della "prova" nei due casi.
    Parve,  tuttavia,  a  questo  tribunale,  dopo  un   significativo
 contrasto  di  decisioni,  che  maggiormente  in linea con lo spirito
 della sentenza n.  358/1993  della  Corte  costituzionale  fosse  una
 interpretazione   della  norma  dell'art.  3,  terzo  comma,  citata,
 inserita all'interno della legge che la contiene, la quale disciplina
 l'affidamento in prova speciale nei casi di condanna alla  reclusione
 militare.  Posto che tale ultima circostanza emerge con chiarezza per
 via dei continui riferimenti allo "stabilimento  militare  di  pena""
 operati  dalla  legge  (cfr. artt. 1, primo comma; 2, primo comma; 7,
 primo e terzo comma e 8) sembro' al tribunale di dover affermare  che
 l'operativita'  del  disposto dell'art. 3, terzo comma, nei confronti
 dei condannati per il reato di cui al citato art. 8, dipendesse dalla
 premessa che anche a costoro veniva inflitta la reclusione  militare,
 per  effetto  dell'art. 27 del c.p.m.p. ne doveva conseguire che, una
 volta venuto meno, per  la  dichiarata  parziale  incostituzionalita'
 della  norma,  tale  premessa,  lo  stesso  art.  3, terzo comma, non
 avrebbe  piu'  potuto  avere  applicazione  nei  confronti  dei  c.d.
 obiettori  totali  e  quindi  che  per  costoro riprendesse vigore il
 regime di affidamento in prova ordinario, di cui  all'art.  47  della
 legge penitenziaria.
    Invero,  parve che la previsione in discorso si giustificasse come
 correttivo specifico della regola fondamentale statuita con la  legge
 n.  167/1983,  secondo la quale si introduceva l'affidamento in prova
 come misura alternativa alla reclusione militare e  la  si  correlava
 allo  svolgimento  del  servizio  militare, in linea con il contenuto
 precipuo che la  reclusione  militare  possiede  rispetto  alla  pena
 detentiva  comune  e  che la stessa Corte costituzionale ha ravvisato
 consistere  nel  "prevalente  recupero  del  condannato  al  servizio
 militare" (cfr. sentenza n. 414/1991).
    Parve,  cioe', a questo tribunale che il "servizio civile" in fase
 di  affidamento  in  prova  per  i  condannati  obiettori  fosse  uno
 strumento  istituito per dar modo anche a costoro di scontare la pena
 al  di  fuori  del  carcere  militare,  senza  dover  necessariamente
 recedere  dalla posizione che li aveva portati a commettere il reato.
 Del resto tale preoccupazione aveva ragione di nascere solo in quanto
 anche per il reato di rifiuto operava la conversione della reclusione
 in  reclusione  militare,  ex  art.  27,  giacche',  diversamente,  i
 condannati  obiettori  non  avrebbero  avuto  davanti  a  loro stessi
 l'alternativa secca carcere-servizio militare.
    La lettura sistematica qui sinteticamente riassunta non  e'  stata
 condivisa  dalla  Corte  di  cassazione,  sezione prima, che con piu'
 pronunce in data 21 gennaio 1994 ha imposto al tribunale militare  di
 sorveglianza  di  ripristinare  nei  casi in questione l'operativita'
 dell'istituto  dell'affidamento  in  prova  ad  ente   pubblico   non
 militare.
    3.  - Per effetto della ricostruzione operata dalla Corte suprema,
 dunque il condannato alla pena della reclusione per il reato  di  cui
 al  citato  art.  8  non  puo'  godere  dell'affidamento  in prova al
 servizio sociale, ma deve venir affidato esclusivamente  ad  un  ente
 pubblico  per prestarvi servizio. Ne risulta un regime di affidamento
 ben piu' gravatorio rispetto a quello previsto  per  qualsiasi  altro
 condannato a pena detentiva diversa dalla reclusione militare, oppure
 anche  per il condannato alla reclusione militare che sia in congedo,
 cioe' non abbia "ancora obblighi di servizio militare" (art. 1, primo
 comma, legge n. 167/1983): si prevede  una  prestazione  di  servizio
 (non  militare)  obbligatoria,  da  svolgere  al di fuori della sfera
 sociale  propria  del  condannato,  con  possibile   pregiudizio   di
 posizione affettive, familiari, di studio o, addirittura, di lavoro.
    Una  norma  scritta  in  favore  dei  c.d. obiettori totali, si e'
 insomma trasformata, per il mutare del quadro di riferimento, in  una
 previsione capace di rendere deteriore il trattamento di costoro.
    Su  questa  sensibile  diversificazione  del  regime  ordinario di
 affidamento si inserisce un aspetto che sembra  renderla  ancor  piu'
 stridente con i criteri di ragionevolezza e che aveva convinto infine
 questo  tribunale ad adottare la soluzione ora cassata dal giudice di
 legittimita':  la  pretesa  deroga   riguarda   soltanto   l'istituto
 dell'affidamento  in  prova e non anche le altre misure alternative o
 gli altri  strumenti  rieducativi  previsti  per  le  pene  detentive
 diverse  dalla  reclusione  militare.  Sicche',  mentre  prima  della
 sentenza n. 358/1993 della Corte costituzionale il condannato per  il
 reato  di  cui  all'art.  8  aveva  a  disposizione  il  ridottissimo
 campionario rieducativo che la legislazione vigente  prevede  per  il
 condannato  alla  reclusione  militare,  non  potendo,  per  esempio,
 accedere a permessi premio (art. 30 della legge penitenziaria) e solo
 in casi marginali godere del beneficio della  detenzione  domiciliare
 (art.  47-  ter della legge penitenziaria, in relazione alla sentenza
 n. 411/1991 della  Corte  costituzionale),  attualmente,  poiche'  il
 regime  derogatorio  di cui al piu' volte citato art. 3, terzo comma,
 riguarda esclusivamente l'affidamento in prova, costui  -  condannato
 alla  reclusione  - ha la possibilita' di scontare la pena secondo le
 modalita' previste dalla legge  penitenziaria,  fatta  eccezione  per
 l'affidamento  in  prova.  Cosi',  per esempio, se opta per il regime
 intramurario, sconta la pena in una comune casa  circondariale  o  di
 reclusione,  sottoponendosi  al  trattamento rieducativo previsto per
 qualsiasi condannato: ovvero, avendone i requisiti, puo' godere della
 detenzione domiciliare che gli consente di non  recidere  i  rapporti
 con la propria sfera sociale e, in ipotesi, di conservare un rapporto
 di  lavoro. Mentre, solo se decide di chiedere l'affidamento in prova
 va incontro a un trattamento del tutto peculiare e deteriore.
    Sembra al tribunale che sia privo  di  ragionevolezza  un  sistema
 normativo  che  rinunci  a  chiedere  al  condannato in questione una
 particolare  rieducazione,  riconoscendo  cio'  non   imprescindibile
 corollario del tipo di reato commesso, cosi' come rinuncia a chiedere
 l'adempimento  della  prestazione  del  servizio  militare, una volta
 espiata la pena (art. 8,  terzo  comma,  della  legge  n.  772/1972),
 mentre  nella  previsione di un solo istituto penitenziario si faccia
 carico di differenziare la posizione  dell'obiettore  da  quella  del
 condannato  per  altri reati, imponendogli l'onere di una prestazione
 di servizio, ai fini dell'estinzione della pena.
    Simile sistema normativo,  che  la  Corte  di  cassazione  ritiene
 tuttora   applicabile,   sembra   contemporaneamente   realizzare  la
 violazione del principio di eguaglianza  sancito  nell'art.  3  della
 Costituzione  e  integrare una ingiustificata deroga al principio del
 tendenziale orientamento rieducativo della pena di cui all'art. 27.
    Sotto il primo profilo, dopo la piu' volte ricordata  sentenza  n.
 358/1993,   la   posizione  dell'obiettore  condannato  non  va  piu'
 riguardata in relazione a quella  del  militare  avente  obblighi  di
 servizio, ma confrontata con quella del condannato alla reclusione, o
 anche  del  militare condannato alla reclusione militare, ma privo di
 obblighi di  servizio:  ne  risulta  una  disciplina  discriminatoria
 dell'affidamento   in   prova   non  fondata  su  alcuna  ragionevole
 differente situazione di fondo, giacche' la prognosi di recupero  del
 reo   deve   svolgersi   in  tali  casi  tenendo  conto  delle  "sole
 prescrizioni" da impartire al condannato (cosi' art. 2, primo  comma,
 legge  n.  167/1983, in relazione con l'art. 47, secondo comma, della
 legge n. 354/1975) e non anche di elementi aggiuntivi necessitati  da
 specifiche   esigenze   rieducative  (del  tipo  di  quello  indicato
 nell'art. 2, primo comma, della legge n.  167/1983,  per  coloro  che
 hanno obblighi di servizio).
    Sotto  il  secondo  profilo,  infatti,  prevedere  come  contenuto
 dell'affidamento la prestazione di un servizio  "civile",  una  volta
 escluse   le   direzionalita'  rieducative  specifiche  che  venivano
 segnalate dalla scelta di una sanzione penale peculiare, come  quella
 della  reclusione  militare, significa caricare la misura alternativa
 di un onere affatto sganciato dalle ambizioni rieducative della  pena
 e  riconducibile  esclusivamente  ad una logica afflittivo-catartica;
 vieppiu', si ribadisce, se si considera che tale aggiunzione  risulta
 inspiegabilmente    prevista   solo   per   la   misura   alternativa
 dell'affidamento in prova.
    Il tribunale ha presente che il  contenuto  della  pena  non  puo'
 interamente  spiegarsi  alla  luce  del  teologismo rieducativo; cio'
 pero'  non  significa  che  il  legislatore   possa   arbitrariamente
 innestare sulle modalita' esecutive della pena connotati asistematici
 e discriminatori che a quel periodo costituzionale non siano in alcun
 modo riducibili.
    4.  -  Le  considerazioni sopra svolte inducono il collegio, sulla
 domanda di  affidamento  in  prova  in  epigrafe,  a  dubitare  della
 conformita' alla Costituzione dello speciale affidamento in prova per
 gli  obiettori  di  coscienza  condannati  per  il  reato di rifiuto,
 delineato nell'art. 3, terzo comma,  legge  n.  167/1983,  richiamato
 dall'art.  1,  primo  comma,  ultima  parte,  della  stessa legge. La
 questione di  costituzionalita',  cosi'  come  prospettata,  oltre  a
 essere  non  manifestamente infondata, e' anche rilevante nel caso di
 specie, dovendosi stabilire se la richiesta misura alternativa  debba
 svolgersi  come  prescritto  nell'indicato  art.  3  o,  invece, alla
 stregua della disciplina ordinaria prevista dall'art. 47 della  legge
 n. 354/1975;
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    In accoglimento dell'eccezione formulata dalla difesa;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 1, primo comma, ultima parte,
 e 3, terzo comma, della legge 29 aprile 1983, n. 167,  per  contrasto
 con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione;
    Ordina  la  trasmissione  degli  atti  alla Corte costituzionale e
 sospende il giudizio in corso;
    Dispone che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
 notificata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidente delle due Camere del Parlamento.
      Roma, addi' 15 marzo 1994
                        Il presidente: FABRETTI
                                     Il magistrato estensore: BRUNELLI
 94C0712