N. 389 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 maggio 1993- 2 giugno 1994
N. 389 Ordinanza emessa il 5 maggio 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale il 2 giugno 1994) dal tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Muccitelli Rita contro Ufficio italiano dei cambi Impiego pubblico - Divieto di allineamento stipendiale - Efficacia retroattiva attribuita con norma qualificata di interpretazione autentica - Conseguente rigetto, nella specie, della richiesta di allineamento avanzata da dipendenti dell'ufficio italiano dei cambi immessi nel grado di funzionario di seconda, allo stato con stipendio inferiore rispetto a colleghi promossi nella medesima qualifica in tempi piu' recenti e quindi con anzianita' zero o inferiore alla loro - Violazione dei principi di eguaglianza, di imparzialita' e di buon andamento - Compressione del diritto di difesa - Lesione del principio di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi senza esclusione o limitazione a particolari mezzi di impugnazione - Lesione del principio di irretroattivita' della legge. (D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7, settimo comma, convertito in legge 14 novembre 1992, n. 272 (recte: 438)). (Cost., artt. 3, 24, 97, 101, 108 e 113).(GU n.27 del 29-6-1994 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2619/1991 proposto da Muccitelli Rita, rapp.ta e difesa dall'avv. Alberto Angeletti e presso il suo studio elettivamente domiciliata in Roma, via Pierluigi da Palestrina, 19; contro l'Ufficio italiano dei cambi, in persona del presidente in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Bruno de Carolis e Paolo Giovanni Guiso e presso di essi elettivamente domiciliato in Roma, via Quattro Fontane, 123; per ottenere: a) l'annullamento del silenzio rifiuto su istanza inviata dalla ricorrente il 10 gennaio 1991 e successiva diffida notificata il 4, 5 e il 6 giugno 1991, nonche' di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali; b) la declaratoria del diritto ad ottenere la ricostruzione della carriera, ai fini economici, con attribuzione, ai sensi dell'art. 4 del d.l. n. 681/1982 convertito in legge n. 869/1982, dello stipendio in godimento ai dipendenti immessi nel grado di funzionario di II in possesso di una anzianita' nel medesimo grado inferiore a quella della ricorrente, che fruisca della piu' alta retribuzione. Il tutto con decorrenza dalla data di immissione nel grado di funzionario di II di ciascun dipendente, con la piu' alta retribuzione che ha scavalcato la ricorrente nel trattamento economico, con conseguente corresponsione delle somme arretrate che risulteranno dovute, con interessi e rivalutazione; c) la declaratoria del diritto ad ottenere una retribuzione proporzionale al grado di funzionario di II in relazione all'anzianita' di servizio e nel grado. Con conseguente condanna dell'Amministrazione ad adeguare la retribuzione della ricorrente a far data dall'immissione nel grado suddetto ovvero dal 1 luglio 1985 o, quantomeno, dal 1 luglio 1988; e per quanto necessario; d) l'annullamento degli artt. 114 del ROP approvato il 25 febbraio 1987 e 105 del ROP approvato il 24 settembre 1986 nonche' di tutte le altre norme di tali regolamenti nella parte in cui, non prevedendo il principio del c.d. "allineamento retributivo", hanno reso possibile lo scavalcamento nel trattamento economico di dipendenti in possesso di minore anzianita' nel grado rispetto alla ricorrente; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Ufficio italiano dei cambi; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Uditi alla pubblica udienza del 5 maggio 1993 (relatore il consigliere Lucrezio Monticelli) l'avv. Angeletti per la ricorrente e l'avv. De Carolis per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O Con ricorso notificato il 24 luglio 1991 e depositato il 2 agosto successivo la signora Rita Muccitelli ha adito questo Tribunale formulando le domande indicate in epigrafe. La ricorrente, dipendente dell'U.I.C. con il grado di funzionario di II dal 1 luglio 1986, premesso in fatto di aver potuto constatare, dopo avere conseguito la promozione nel grado di funzionario di II della carriera direttiva, che ad alcuni dipendenti provenienti dalla carriera operativa (con il grado di coadiutore o di coadiutore principale) e transitati nel grado di funzionario di II successivamente, pur non avendo alcuna anzianita' in tale grado, e' stata attribuita al momento della promozione una retribuzione superiore a quella da essa percepita, retribuzione che ha consentito ai primi (con minore anzianita' nel grado) di scavalcare la ricorrente (piu' anziana nel grado), ponendo cosi' in essere una sperequazione stipendiale tanto evidente quanto illegittima, a sostegno del gravame ha dedotto i seguenti motivi: 1) violazione dei principi generali in materia di trattamento economico dei pubblici dipendenti. Eccesso di potere per disparita' di trattamento, illogicita', ingiustizia manifesta. Difetto di motivazione. Il ricorrente denuncia che dipendenti dell'u.i.c. transitati dopo di lui (nella carriera direttiva e) nel grado di funzionario di seconda e di prima godano di retribuzione maggiore di quella da esso percepita. A tale inconveniente, reso possibile da alcune norme regolamentari vigenti nell'u.i.c. in materia di trattamento economico del personale dipendente, si deve porre rimedio, si assume nel ricorso, facendo applicazione del principio del c.d. "allineamento stipendiale" o "galleggiamento", sancito dall'art. 4, secondo comma, secondo parte, del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito in legge 20 novembre 1982, n. 839, per il personale della dirigenza statale e ritenuto dalla giurisprudenza rimedio correttivo di carattere generale applicabile a tutto il pubblico impiego; 2) altra violazione dei principi generali in materia di trattamento economico dei pubblici dipendenti, in relazione all'art. 36 della Costituzione e all'art. 33 del testo unico n. 3/1957. Ingiustizia manifesta, illogicita' e disparita' di trattamento. La sperequazione retributiva sopra denunciata viola il principio generale per il quale il trattamento economico dell'impiego pubblico deve essere proporzionato alla qualita' e quantita' del lavoro svolto. E difatti l'istante si e' venuto a trovare in posizione economica deteriore rispetto a dipendenti inquadrati nei medesimi gradi, ma con minore anzianita'; 3) eccesso di potere per omessa estensione del giudicato e per disparita' di trattamento. L'u.i.c. illegittimamente non avrebbe esteso il giudicato formatosi su decisioni della magistratura amministrativa (Consiglio di Stato, sez. sesta n. 410/1990; t.a.r. Lazio, sez. terza, n. 481/1991) rese su fattispecie di scavalcamento retributivo identiche a quella che riguarda il ricorrente. Si e' costituito in giudizio l'ufficio italiano cambi, chiedendo la reizione del ricorso. In prossimita' dell'udienza ambo le parti hanno depositato memorie sviluppando ulteriori rilievi difensivi, anche in relazione alla normativa sopravvenuta in materia di allineamento stipendiale. Assegnato alla odierna udienza pubblica e ivi chiamato il ricorso e' stato trattato oralmente dalle parti, che hanno insistito nelle rispettive posizioni, e ritenuto in decisione. D I R I T T O 1. - Come accennato in fatto, il ricorrente premesso di essere stato retributivamente scavalcato (nel grado di funzionario di prima e/o di seconda) da colleghi pervenuti allo stesso grado successivamente, e dunque in possesso di anzianita' zero o di anzianita' in ogni caso minore, ha chiesto senza esito in via amministrativa e chiede ora con il ricorso in esame l'applicazione nei suoi confronti del principio del c.d. allineamento stipendiale di cui all'art. 4 del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito con modificazioni in legge 20 novembre 1982, n. 869, il quale (nel secondo comma, secondo parte) dispone che "al personale con stipendio inferiore a quello spettante al collega con pari o minore anzianita' di servizio, ma promosso successivamente, e' attribuito lo stipendio di quest'ultimo". 2. - La sezione si e' gia' piu' volte occupata della questione posta con la presente impugnativa e ancora di recente, in conformita' del resto con il piu' generale orientamento della giurisprudenza amministrativa, e in fattispecie in cui parte pubblica resistente era lo stesso ufficio italiano cambi, ha statuito che - in applicazione del principio dell'alineamento stipendiale di cui all'art. 4, secondo comma, del d.l. n. 681/1982 convertito in legge n. 869/1982 - al dipendente con trattamento economico inferiore a quello spettante al collega promosso successivamente e' attribuito il trattamento economico di quest'ultimo a decorrere dalla data in cui si e' verificata tale disparita' di trattamento (cfr., per tutte, la sentenza 6 marzo 1992, n. 220, Sarti c. u.i.c. , e giurisprudenza ivi citata). Nella stessa occasione la sezione ha avuto anche modo di precisare che la portata generale del principio dell'allineamento stipendiale, contrariamente a quanto allora affermava la parte resistente, era stata confermata dalla legge 8 agosto 1991, n. 265, la quale, assumendo come presupposto l'esistenza di quel principio, aveva solo inteso porre alcune limitazioni alla sua applicazione nei confronti del personale di magistratura e personale equiparato. 3. - Alla stregua della propria giurisprudenza, e piu' in generale della giurisprudenza amministrativa, il ricorso dovrebbe essere accolto, e, per l'effetto, dovrebbe dichiararsi il diritto rivendicato del ricorrente con il proposto gravame. Il collegio, peraltro, non puo' ignorare che nelle more del presente giudizio e successivamente alla richiamata sentenza della sezione, sono intervenuti eventi che hanno profondamente modificato il quadro normativo di riferimento: si allude, cioe' al d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1992, n. 359, che (con l'art. 2, quarto comma) ha abrogato, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, le disposizioni sull'allineamento stipendiale, tra cui la norma base contenuta nell'art. 4 del d.l. n. 869/1982; e, soprattutto, al d.l. 19 settembre 1992, n. 384 converito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, che (nell'art. 7, settimo comma) reca: "l'art. 2, quarto comma del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, va interpretato nel senso che dalla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge non possono essere piu' adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992". Ora, se la prima norma (art. 2, quarto comma, del d.l. n. 333/1992) puo' non precludere il riconoscimento del diritto rivendicato in questa sede, in quanto l'abrogazione dell'allineamento stipendiale ivi disposto puo' valere soltanto per il futuro e non puo' cosi' negativamente incidere su diritti sorti nel passato in virtu' delle norme abrogate, come nel concreto caso di specie; dove gli scavalcamenti denunciati si sono tutti verificati in data anteriore all'11 luglio 1992, certamente preclude il riconoscimento di tale diritto la seconda norma (art. 7, settimo comma del d.l. n. 384/1992), che vieta l'adozione di provvedimenti di allineamento stipendiale (non solo per il futuro, ma) anche per il passato (ancorche' riferiti a periodi anteriori all'11 luglio 1992), travolgendo cosi' e/o vanificando posizioni giuridiche soggettive aventi consistenza di diritti soggettivi gia' perfezionati. 4. - Sulla base del quadro normativo sopravvenuto il ricorso, al contrario, dovrebbe essere respinto, non potendosi condividere l'assunto del ricorrente (formulato nella memoria difensiva depositata in prossimita' della pubblica udienza e poi ripreso nella discussione orale) secondo cui esso invocherebbe l'applicazione nei suoi confronti (non gia' e non tanto dell'art. 4, terzo comma, del d.l. n. 681/1982 quanto) di un principio generale, quale quello dell'allineamento stipendiale, sancito da tutta la giurisprudenza amministrativa (e in particolare dalla decisione del Consiglio di Stato, sezione sesta, n. 486/1992), principio ribadito anche da disposizioni normative successive, come l'art. 1 della legge n. 468/1987, e che sarebbe a loro avviso applicabile indipendentemente dalle norme di legge che lo hanno previsto (e dal loro destino, sembra di capire). Ritiene, invece, il collegio che il principio dell'allineamento stipendiale in tanto esiste e puo' essere concretamente applicato in quanto esiste nell'ordinamento e puo' essere applicata in via diretta o indiretta la norma di legge che lo enuncia. Se questa viene meno perche' modificata e/o abrogata - e nel caso di specie, ex art. 2, quarto comma, del d.l. n. 333/1992 e' stata soppressa non solo la norma del d.l. n. 681/1982 che aveva previsto in origine l'istituto dell'allineamento stipendiale, ma anche le altre norme che ne avevano esteso l'applicazione - anche il principio ivi posto ne segue inevitabilmente la sorte. 5. - E' cosi' rilevante per la decisione del ricorso e non manifestamente infondata nei sensi di cui appresso la questione di legittimita' costituzionale sotto diversi profili dell'art. 7, settimo comma, del d.l. n. 384/1992 convertito nella legge n. 438/1992. In primo profilo di legittimita' costituzionale attiene, come questo tribunale ha avuto gia' modo di rilevare t.a.r. Lazio, sez. prima, 24 marzo 1993, n. 496), al possibile contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. L'art. 7, settimo comma, del d.l. n. 384/1992 inibisce al giudice amministrativo la pronuncia anche su questione gia' sottoposte al suo giudizio e in cio' puo' ravvisarsi la violazione dell'art. 24 della Costituzione (diritto di difesa) e del principio sancito nel successivo art. 113 per il quale contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. In particolare emerge il contrasto con il secondo comma dell'art. 113, dove si precisa che la tutela giurisdizionale non puo' essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinare categorie di atti. Nel caso in esame un aspetto specifico del trattamento economico del ricorrente sul quale verte il giudizio (l'accertamento del diritto all'allineamento stipendiale, nei confronti di colleghi promossi successivamente), sussumibile fino all'entrata in vigore del d.l. n. 333/1992 sotto la disciplina abrogata con l'art. 2 quarto comma, del citato d.l. viene sottratto alla pronuncia del giudice con un meccanismo, invero inconsueto, di interpretazione autentica di una disposizione abrogativa di alcune disposizioni, il cui contenuto essenziale e' pero' quello di impedire una pronuncia di accoglimento della domanda del ricorrente con possibile, violazione della norme costituzionale sopra richiamate. Sempre con riguardo ai poteri del giudice, un secondo profilo di legittimita' costituzionale attiene al possibile contrasto con gli artt. 3, 101 e 108 della Costituzione. Il giudice viene privato del potere di pronunciare, sia in positivo che in negativo, sulla domanda del ricorrente e gli e' inibito di tenere conto della legislazione vigente al momento della presentazione del ricorso e al momento in cui si sono verificati i presupposti sui quali si fonda la domanda (scavalcamento del ricorrente, verificatosi, come gia' detto, in epoca anteriore all'11 luglio 1992, da parte di colleghi promossi nel grado successivamente). L'indipendenza, l'autonomia e la pienezza della giurisdizione amministrativa possono essere incise da prescrizioni specifiche del legislatore dirette non gia' a disciplinare ex novo o anche con effetti retroattivi determinate situazioni o rapporti ma aventi, la funzione di elidere indirizzi giurisprudenziali manifestatisi in determinati ambiti della propria competenza giurisdizionale (cfr. ancora la decisione n. 496/1933 della prima sezione di questo tribunale, cui adde anche t.a.r. Lombardia, sezione di Brescia, 31 marzo 1993, n. 236). 6. - Se poi si ha riguardo (non piu' ai poteri del giudice ma) alla posizione dei ricorrenti, un ulteriore profilo di legittimita' costituzionale attiene al possibile contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione. Che l'art. 7, settimo comma, del d.l. n. 384/1992 (nella parte in cui reca che dalla data di entrata in vigore del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 "non possono essere piu' adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992") dissimuli, sotto le spoglie della norma interpretativa, una norma retroattiva, che viene ad incidere negativamente su posizioni giuridiche soggettive aventi consistenza di diritti soggetti gia' perfezionati, sembra sia da avere per certo. Del resto che si tratti di norma effettivamente non interpretativa, e' reso evidente tra l'altro dal fatto che a nessun dubbio interpretativo aveva dato (e dava) adito l'art. 2, quarto comma, del d.l. n. 333/1992, che si era limitato a sopprimere dalla data della sua entrata in vigore specifiche norme che prevedevano l'allineamento stipendiale, quando, per l'insegnamento della Corte costituzionale, soltanto una effettiva oscurita' e l'ambiguita' della legge tale da creare contrasti dottrinali e giurisprudenziali potrebbero giustificare una legge interpretativa (Corte costituzionale n. 187/1981); e comunque anche in tali casi l'interpretazione autentica dovrebbe valere per il futuro, per non incidere, vanificandole, su eventuali pronunce giurisdizionali, di contrario avviso, nel frattempo divenute definitive. La previsione nell'art. 7, settimo comma, del d.l. n. 384/1992, in assenza dei presupposti anzidetti, della impossibilita' di adozione di ulteriori provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' riferiti a periodi anteriori all'11 luglio 1992, si configura percio' come nuova norma, di carattere retroattiva, soppressiva delle relative situazioni soggettive gia' maturate. Ma al riguardo si deve osservare che il principio della irretroattivita' della legge (non penale), pur non essendo espressamente sancito da alcuna norma costituzionale, e' senza dubbio principio cardine del nostro ordinamento giuridico, principio definito dalla Corte costituzionale antica conquista della nostra civilta' giuridica (Corte costituzionale, n. 118/1957, n. 133/1975, n. 91/1982), e la sua deroga si pone come fatto eccezionale da utilizzare solo in presenza di un effettiva causa giustificatrice, prevalente sui rapporti preteriti e sul principio dell'affidamento (Corte costituzionale n. 155/1990). Il principio di irretroattivita' della legge soddisfa infatti numerosi valori di rilevanza costituzionale, come quello dell'affidamento, della trasparenza nei rapporti tra Stato e cittadino, della certezza dei diritti maturati per i quali gli interessati coltivano legittime aspettative, della correttezza della funzione giurisdizionale chiamata ad accertare tali diritti, paralizzata anch'essa nel suo lineare svolgimento dell'intervento retroattivo del legislatore, ed altri ancora, (tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione di Brescia, citata decisione n. 236/1993; tribunale amministrativo regionale della Liguria, sezione prima, 5 febbraio 1993, n. 33). La norma retroattiva produce inoltre una ingiustificata disparita' di trattamento tra dipendenti pubblici in analoghe situazioni, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, come appare chiaro solo che si pensi al differente trattamento riservato a chi abbia gia' ottenuto un provvedimento di allineamento stipendiale prima dell'entrata in vigore della norma in esame rispetto a chi invece, per un motivo o per l'altro, in relazione allo stesso periodo di maturazione del diritto, non abbia ancora ottenuto il medesimo beneficio. Questa situazione di sperequazione potrebbe altresi' negativamente riverberarsi, come pure e' stato notato, sulla stessa efficienza dell'amministrazione, poiche' il pubblico dipendente non allineato vedrebbe conservato un piu' elevato trattamento economico a favore di colleghi casualmente gia' raggiunti da provvedimenti di allineamento e cio', prima o poi, finirebbe con l'influire negativamente sul suo rendimento, con conseguente violazione del principio di buon andamento e di imparzialita' di cui all'art. 97 della Costituzione (tribunale amministrativo regionale della Liguria, sezione prima, citata decisione n. 33/1993). 7. - Per le considerazioni suesposte il collegio ritiene non manifestamente infondata, il relazione agli artt. 3, 24, 97, 101, 108 e 113 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, settimo comma, della legge 14 novembre 1992, n. 438, di conversione del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, e ne rimette l'esame alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, sospende il giudizio in corso e rimette gli atti alla Corte costituzionale per l'esame della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, settimo comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 272, in relazione agli artt. 3, 24, 97, 101, 108 e 113 della Costituzione; Dispone che la presente ordinanza, a cura della segreteria sia notificata a tutte le parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, il 5 maggio 1993. Il presidente: BALBA Il consigliere: CAPPUGI Il consigliere estensore: MONTICELLI 94C0728