N. 389 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 maggio 1993- 2 giugno 1994

                                N. 389
 Ordinanza  emessa  il   5   maggio   1993   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale   il  2  giugno  1994)  dal  tribunale  amministrativo
 regionale del Lazio sul ricorso proposto da  Muccitelli  Rita  contro
 Ufficio italiano dei cambi
 Impiego pubblico - Divieto di allineamento stipendiale - Efficacia
    retroattiva  attribuita  con  norma qualificata di interpretazione
    autentica - Conseguente rigetto, nella specie, della richiesta  di
    allineamento  avanzata  da  dipendenti  dell'ufficio  italiano dei
    cambi immessi nel grado di funzionario di seconda, allo stato  con
    stipendio  inferiore  rispetto  a colleghi promossi nella medesima
    qualifica in tempi piu' recenti e quindi  con  anzianita'  zero  o
    inferiore  alla  loro - Violazione dei principi di eguaglianza, di
    imparzialita' e di buon andamento - Compressione  del  diritto  di
    difesa  -  Lesione  del  principio  di  tutela giurisdizionale dei
    diritti e degli interessi legittimi senza esclusione o limitazione
    a particolari mezzi di impugnazione -  Lesione  del  principio  di
    irretroattivita' della legge.
 (D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7, settimo comma, convertito
    in legge 14 novembre 1992, n. 272 (recte: 438)).
 (Cost., artt. 3, 24, 97, 101, 108 e 113).
(GU n.27 del 29-6-1994 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 2619/1991
 proposto da Muccitelli  Rita,  rapp.ta  e  difesa  dall'avv.  Alberto
 Angeletti  e  presso il suo studio elettivamente domiciliata in Roma,
 via Pierluigi da Palestrina, 19; contro l'Ufficio italiano dei cambi,
 in persona del presidente in carica,  rappresentato  e  difeso  dagli
 avv.ti  Bruno  de  Carolis  e  Paolo  Giovanni Guiso e presso di essi
 elettivamente domiciliato in Roma,  via  Quattro  Fontane,  123;  per
 ottenere:
       a) l'annullamento del silenzio rifiuto su istanza inviata dalla
 ricorrente il 10 gennaio 1991 e successiva diffida notificata il 4, 5
 e il 6 giugno 1991, nonche' di tutti gli atti presupposti, connessi e
 conseguenziali;
       b)  la  declaratoria  del  diritto ad ottenere la ricostruzione
 della  carriera,  ai  fini  economici,  con  attribuzione,  ai  sensi
 dell'art.  4  del  d.l. n. 681/1982 convertito in legge n. 869/1982,
 dello stipendio in godimento  ai  dipendenti  immessi  nel  grado  di
 funzionario  di  II  in possesso di una anzianita' nel medesimo grado
 inferiore a quella della ricorrente,  che  fruisca  della  piu'  alta
 retribuzione.  Il  tutto  con decorrenza dalla data di immissione nel
 grado di funzionario di II di ciascun dipendente, con  la  piu'  alta
 retribuzione   che   ha  scavalcato  la  ricorrente  nel  trattamento
 economico, con conseguente corresponsione delle somme  arretrate  che
 risulteranno dovute, con interessi e rivalutazione;
       c)  la  declaratoria  del  diritto ad ottenere una retribuzione
 proporzionale  al  grado  di   funzionario   di   II   in   relazione
 all'anzianita' di servizio e nel grado.
    Con  conseguente  condanna  dell'Amministrazione  ad  adeguare  la
 retribuzione della ricorrente a far data  dall'immissione  nel  grado
 suddetto ovvero dal 1 luglio 1985 o, quantomeno, dal 1 luglio 1988; e
 per quanto necessario;
       d)  l'annullamento  degli  artt.  114  del  ROP approvato il 25
 febbraio 1987 e 105 del ROP approvato il 24 settembre 1986 nonche' di
 tutte le altre norme di tali regolamenti  nella  parte  in  cui,  non
 prevedendo  il  principio del c.d.  "allineamento retributivo", hanno
 reso  possibile  lo  scavalcamento  nel  trattamento   economico   di
 dipendenti  in  possesso di minore anzianita' nel grado rispetto alla
 ricorrente;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Ufficio italiano dei
 cambi;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Uditi  alla  pubblica  udienza  del  5  maggio  1993  (relatore il
 consigliere Lucrezio Monticelli) l'avv. Angeletti per la ricorrente e
 l'avv. De Carolis per l'amministrazione resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con ricorso notificato il 24 luglio 1991 e depositato il 2  agosto
 successivo  la  signora  Rita  Muccitelli  ha  adito questo Tribunale
 formulando le domande indicate in epigrafe.
    La  ricorrente, dipendente dell'U.I.C. con il grado di funzionario
 di II dal 1 luglio 1986, premesso in fatto di aver potuto constatare,
 dopo avere conseguito la promozione nel grado di  funzionario  di  II
 della  carriera direttiva, che ad alcuni dipendenti provenienti dalla
 carriera operativa (con  il  grado  di  coadiutore  o  di  coadiutore
 principale)   e   transitati   nel   grado   di   funzionario  di  II
 successivamente, pur non avendo alcuna anzianita' in tale  grado,  e'
 stata   attribuita  al  momento  della  promozione  una  retribuzione
 superiore a quella da essa percepita, retribuzione che ha  consentito
 ai   primi  (con  minore  anzianita'  nel  grado)  di  scavalcare  la
 ricorrente (piu' anziana nel grado),  ponendo  cosi'  in  essere  una
 sperequazione   stipendiale  tanto  evidente  quanto  illegittima,  a
 sostegno del gravame ha dedotto i seguenti motivi:
      1)  violazione  dei  principi generali in materia di trattamento
 economico dei pubblici dipendenti. Eccesso di potere  per  disparita'
 di   trattamento,  illogicita',  ingiustizia  manifesta.  Difetto  di
 motivazione.
    Il ricorrente denuncia che dipendenti dell'u.i.c. transitati  dopo
 di  lui  (nella  carriera  direttiva  e)  nel grado di funzionario di
 seconda e di prima godano di retribuzione maggiore di quella da  esso
 percepita.
    A tale inconveniente, reso possibile da alcune norme regolamentari
 vigenti nell'u.i.c. in materia di trattamento economico del personale
 dipendente,  si  deve  porre  rimedio, si assume nel ricorso, facendo
 applicazione del principio  del  c.d.  "allineamento  stipendiale"  o
 "galleggiamento",  sancito dall'art. 4, secondo comma, secondo parte,
 del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito in legge 20  novembre
 1982,  n.  839,  per  il personale della dirigenza statale e ritenuto
 dalla  giurisprudenza  rimedio  correttivo  di   carattere   generale
 applicabile a tutto il pubblico impiego;
      2)   altra  violazione  dei  principi  generali  in  materia  di
 trattamento economico dei pubblici dipendenti, in relazione  all'art.
 36  della  Costituzione  e  all'art.  33  del  testo unico n. 3/1957.
 Ingiustizia manifesta, illogicita' e disparita' di trattamento.
    La sperequazione retributiva sopra denunciata viola  il  principio
 generale  per il quale il trattamento economico dell'impiego pubblico
 deve essere  proporzionato  alla  qualita'  e  quantita'  del  lavoro
 svolto.  E  difatti  l'istante  si  e'  venuto a trovare in posizione
 economica deteriore rispetto a  dipendenti  inquadrati  nei  medesimi
 gradi, ma con minore anzianita';
      3)  eccesso  di potere per omessa estensione del giudicato e per
 disparita' di trattamento.
    L'u.i.c.  illegittimamente  non  avrebbe   esteso   il   giudicato
 formatosi  su  decisioni della magistratura amministrativa (Consiglio
 di Stato, sez. sesta  n.  410/1990;  t.a.r.  Lazio,  sez.  terza,  n.
 481/1991)  rese su fattispecie di scavalcamento retributivo identiche
 a quella che riguarda il ricorrente.
    Si e' costituito in giudizio l'ufficio italiano  cambi,  chiedendo
 la reizione del ricorso.
    In prossimita' dell'udienza ambo le parti hanno depositato memorie
 sviluppando  ulteriori  rilievi  difensivi,  anche  in relazione alla
 normativa sopravvenuta in materia di allineamento stipendiale.
    Assegnato alla odierna udienza pubblica e ivi chiamato il  ricorso
 e'  stato  trattato  oralmente dalle parti, che hanno insistito nelle
 rispettive posizioni, e ritenuto in decisione.
                             D I R I T T O
    1. - Come accennato in fatto, il  ricorrente  premesso  di  essere
 stato  retributivamente scavalcato (nel grado di funzionario di prima
 e/o  di  seconda)   da   colleghi   pervenuti   allo   stesso   grado
 successivamente,  e  dunque  in  possesso  di  anzianita'  zero  o di
 anzianita' in ogni  caso  minore,  ha  chiesto  senza  esito  in  via
 amministrativa  e  chiede  ora con il ricorso in esame l'applicazione
 nei suoi confronti del principio del c.d. allineamento stipendiale di
 cui all'art. 4 del d.l. 27 settembre 1982, n.  681,  convertito  con
 modificazioni  in  legge  20  novembre  1982,  n.  869, il quale (nel
 secondo comma, secondo parte) dispone che "al personale con stipendio
 inferiore a quello spettante al collega con pari o minore  anzianita'
 di  servizio, ma promosso successivamente, e' attribuito lo stipendio
 di quest'ultimo".
    2. - La sezione si e' gia' piu'  volte  occupata  della  questione
 posta con la presente impugnativa e ancora di recente, in conformita'
 del  resto  con  il  piu'  generale orientamento della giurisprudenza
 amministrativa, e in fattispecie in cui parte pubblica resistente era
 lo stesso ufficio italiano cambi, ha statuito che -  in  applicazione
 del principio dell'alineamento stipendiale di cui all'art. 4, secondo
 comma,  del  d.l.  n.  681/1982 convertito in legge n. 869/1982 - al
 dipendente con trattamento economico inferiore a quello spettante  al
 collega   promosso   successivamente  e'  attribuito  il  trattamento
 economico di quest'ultimo  a  decorrere  dalla  data  in  cui  si  e'
 verificata  tale  disparita'  di  trattamento  (cfr.,  per  tutte, la
 sentenza 6 marzo 1992, n. 220, Sarti c. u.i.c. , e giurisprudenza ivi
 citata).  Nella stessa occasione la sezione ha avuto  anche  modo  di
 precisare  che  la  portata  generale del principio dell'allineamento
 stipendiale,  contrariamente  a  quanto  allora  affermava  la  parte
 resistente,  era  stata confermata dalla legge 8 agosto 1991, n. 265,
 la  quale,  assumendo come presupposto l'esistenza di quel principio,
 aveva solo inteso porre alcune limitazioni alla sua applicazione  nei
 confronti del personale di magistratura e personale equiparato.
    3. - Alla stregua della propria giurisprudenza, e piu' in generale
 della  giurisprudenza  amministrativa,  il  ricorso  dovrebbe  essere
 accolto,  e,  per  l'effetto,   dovrebbe   dichiararsi   il   diritto
 rivendicato  del  ricorrente  con il proposto gravame.   Il collegio,
 peraltro, non puo' ignorare che nelle more del  presente  giudizio  e
 successivamente   alla   richiamata   sentenza  della  sezione,  sono
 intervenuti eventi  che  hanno  profondamente  modificato  il  quadro
 normativo  di  riferimento: si allude, cioe' al d.l. 11 luglio 1992,
 n. 333, convertito con modificazioni nella legge 8  agosto  1992,  n.
 359,  che (con l'art. 2, quarto comma) ha abrogato, a decorrere dalla
 data della sua entrata in vigore, le  disposizioni  sull'allineamento
 stipendiale, tra cui la norma base contenuta nell'art. 4 del d.l. n.
 869/1982;  e,  soprattutto,  al  d.l.  19  settembre  1992,  n.  384
 converito nella legge 14 novembre 1992, n.   438, che  (nell'art.  7,
 settimo  comma)  reca:  "l'art.  2,  quarto comma del d.l. 11 luglio
 1992, n. 333, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  8  agosto
 1992,  n. 359, va interpretato nel senso che dalla data di entrata in
 vigore del predetto decreto-legge non possono  essere  piu'  adottati
 provvedimenti  di  allineamento stipendiale, ancorche' aventi effetti
 anteriori all'11 luglio 1992".   Ora, se  la  prima  norma  (art.  2,
 quarto  comma,  del  d.l.  n.    333/1992)  puo'  non  precludere il
 riconoscimento del diritto rivendicato  in  questa  sede,  in  quanto
 l'abrogazione  dell'allineamento stipendiale ivi disposto puo' valere
 soltanto per il futuro e non puo'  cosi'  negativamente  incidere  su
 diritti  sorti  nel  passato in virtu' delle norme abrogate, come nel
 concreto caso di specie; dove gli scavalcamenti  denunciati  si  sono
 tutti  verificati  in  data  anteriore all'11 luglio 1992, certamente
 preclude il riconoscimento di tale diritto la seconda norma (art.  7,
 settimo  comma  del  d.l.  n.    384/1992),  che vieta l'adozione di
 provvedimenti di allineamento stipendiale (non solo  per  il  futuro,
 ma)  anche  per  il  passato  (ancorche' riferiti a periodi anteriori
 all'11 luglio 1992),  travolgendo  cosi'  e/o  vanificando  posizioni
 giuridiche  soggettive  aventi consistenza di diritti soggettivi gia'
 perfezionati.
    4. - Sulla base del quadro normativo sopravvenuto il  ricorso,  al
 contrario,   dovrebbe  essere  respinto,  non  potendosi  condividere
 l'assunto  del  ricorrente   (formulato   nella   memoria   difensiva
 depositata  in prossimita' della pubblica udienza e poi ripreso nella
 discussione orale) secondo cui esso invocherebbe  l'applicazione  nei
 suoi  confronti  (non  gia' e non tanto dell'art. 4, terzo comma, del
 d.l. n. 681/1982 quanto) di  un  principio  generale,  quale  quello
 dell'allineamento  stipendiale,  sancito  da  tutta la giurisprudenza
 amministrativa (e in particolare dalla  decisione  del  Consiglio  di
 Stato,  sezione  sesta,  n.  486/1992),  principio  ribadito anche da
 disposizioni normative successive,  come  l'art.  1  della  legge  n.
 468/1987,  e  che sarebbe a loro avviso applicabile indipendentemente
 dalle norme di legge che lo  hanno  previsto  (e  dal  loro  destino,
 sembra  di  capire).    Ritiene, invece, il collegio che il principio
 dell'allineamento  stipendiale  in  tanto  esiste   e   puo'   essere
 concretamente  applicato  in  quanto  esiste  nell'ordinamento e puo'
 essere applicata in via diretta o indiretta la norma di legge che  lo
 enuncia. Se questa viene meno perche' modificata e/o abrogata - e nel
 caso  di  specie,  ex  art. 2, quarto comma, del d.l. n. 333/1992 e'
 stata soppressa non solo la norma del d.l.  n.  681/1982  che  aveva
 previsto  in  origine  l'istituto  dell'allineamento  stipendiale, ma
 anche le altre norme che ne avevano esteso l'applicazione - anche  il
 principio ivi posto ne segue inevitabilmente la sorte.
    5.  -  E'  cosi'  rilevante  per  la  decisione  del ricorso e non
 manifestamente infondata nei sensi di cui appresso  la  questione  di
 legittimita'   costituzionale  sotto  diversi  profili  dell'art.  7,
 settimo comma, del  d.l.  n.  384/1992  convertito  nella  legge  n.
 438/1992.    In primo profilo di legittimita' costituzionale attiene,
 come questo tribunale ha avuto gia' modo di  rilevare  t.a.r.  Lazio,
 sez.    prima, 24 marzo 1993, n. 496), al possibile contrasto con gli
 artt.  3, 24 e 113 della Costituzione. L'art. 7, settimo  comma,  del
 d.l.  n.    384/1992 inibisce al giudice amministrativo la pronuncia
 anche su questione gia' sottoposte al suo giudizio  e  in  cio'  puo'
 ravvisarsi  la violazione dell'art. 24 della Costituzione (diritto di
 difesa) e del principio sancito nel successivo art. 113 per il  quale
 contro  gli  atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la
 tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi.    In
 particolare  emerge il contrasto con il secondo comma dell'art.  113,
 dove si precisa che la tutela giurisdizionale non puo' essere esclusa
 o limitata a particolari mezzi  di  impugnazione  o  per  determinare
 categorie  di  atti.  Nel  caso  in  esame  un  aspetto specifico del
 trattamento economico del ricorrente  sul  quale  verte  il  giudizio
 (l'accertamento   del   diritto   all'allineamento  stipendiale,  nei
 confronti di colleghi  promossi  successivamente),  sussumibile  fino
 all'entrata  in  vigore  del  d.l.  n.  333/1992 sotto la disciplina
 abrogata con l'art. 2 quarto comma, del citato d.l. viene  sottratto
 alla  pronuncia  del giudice con un meccanismo, invero inconsueto, di
 interpretazione autentica di una disposizione  abrogativa  di  alcune
 disposizioni, il cui contenuto essenziale e' pero' quello di impedire
 una  pronuncia  di  accoglimento  della  domanda  del  ricorrente con
 possibile, violazione della norme  costituzionale  sopra  richiamate.
 Sempre  con  riguardo  ai  poteri  del giudice, un secondo profilo di
 legittimita' costituzionale attiene al possibile  contrasto  con  gli
 artt.  3, 101 e 108 della Costituzione.  Il giudice viene privato del
 potere di pronunciare, sia in positivo che in negativo, sulla domanda
 del ricorrente e gli e' inibito di tenere  conto  della  legislazione
 vigente  al  momento  della presentazione del ricorso e al momento in
 cui si sono verificati i presupposti sui quali si  fonda  la  domanda
 (scavalcamento  del  ricorrente,  verificatosi,  come  gia' detto, in
 epoca anteriore all'11 luglio 1992, da parte di colleghi promossi nel
 grado successivamente). L'indipendenza,  l'autonomia  e  la  pienezza
 della   giurisdizione   amministrativa   possono   essere  incise  da
 prescrizioni  specifiche  del  legislatore   dirette   non   gia'   a
 disciplinare  ex  novo  o  anche  con effetti retroattivi determinate
 situazioni o rapporti ma aventi, la  funzione  di  elidere  indirizzi
 giurisprudenziali  manifestatisi  in determinati ambiti della propria
 competenza giurisdizionale (cfr.  ancora  la  decisione  n.  496/1933
 della  prima  sezione  di  questo  tribunale,  cui  adde anche t.a.r.
 Lombardia, sezione di Brescia, 31 marzo 1993, n. 236).
    6.  -  Se  poi  si ha riguardo (non piu' ai poteri del giudice ma)
 alla posizione dei ricorrenti, un ulteriore profilo  di  legittimita'
 costituzionale  attiene  al  possibile contrasto con gli artt. 3 e 97
 della Costituzione.  Che  l'art.  7,  settimo  comma,  del  d.l.  n.
 384/1992 (nella parte in cui reca che dalla data di entrata in vigore
 del  decreto-legge  11  luglio  1992, n. 333 "non possono essere piu'
 adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche'  aventi
 effetti  anteriori  all'11  luglio 1992") dissimuli, sotto le spoglie
 della norma interpretativa,  una  norma  retroattiva,  che  viene  ad
 incidere  negativamente  su  posizioni  giuridiche  soggettive aventi
 consistenza di diritti soggetti  gia'  perfezionati,  sembra  sia  da
 avere  per certo. Del resto che si tratti di norma effettivamente non
 interpretativa, e' reso evidente tra l'altro dal fatto che  a  nessun
 dubbio  interpretativo  aveva  dato  (e  dava) adito l'art. 2, quarto
 comma, del d.l. n. 333/1992, che si era limitato a sopprimere  dalla
 data  della  sua  entrata  in vigore specifiche norme che prevedevano
 l'allineamento stipendiale, quando, per  l'insegnamento  della  Corte
 costituzionale, soltanto una effettiva oscurita' e l'ambiguita' della
 legge   tale  da  creare  contrasti  dottrinali  e  giurisprudenziali
 potrebbero   giustificare    una    legge    interpretativa    (Corte
 costituzionale   n.   187/1981);   e  comunque  anche  in  tali  casi
 l'interpretazione autentica dovrebbe valere per il  futuro,  per  non
 incidere,  vanificandole,  su  eventuali pronunce giurisdizionali, di
 contrario avviso, nel frattempo divenute  definitive.  La  previsione
 nell'art.  7,  settimo  comma,  del d.l. n. 384/1992, in assenza dei
 presupposti anzidetti, della impossibilita' di adozione di  ulteriori
 provvedimenti  di  allineamento  stipendiale,  ancorche'  riferiti  a
 periodi anteriori all'11 luglio 1992, si configura percio' come nuova
 norma,  di  carattere   retroattiva,   soppressiva   delle   relative
 situazioni soggettive gia' maturate. Ma al riguardo si deve osservare
 che il principio della irretroattivita' della legge (non penale), pur
 non  essendo espressamente sancito da alcuna norma costituzionale, e'
 senza dubbio principio  cardine  del  nostro  ordinamento  giuridico,
 principio  definito dalla Corte costituzionale antica conquista della
 nostra civilta' giuridica  (Corte  costituzionale,  n.  118/1957,  n.
 133/1975, n. 91/1982), e la sua deroga si pone come fatto eccezionale
 da utilizzare solo in presenza di un effettiva causa giustificatrice,
 prevalente  sui  rapporti  preteriti e sul principio dell'affidamento
 (Corte costituzionale n. 155/1990).
    Il principio di  irretroattivita'  della  legge  soddisfa  infatti
 numerosi    valori   di   rilevanza   costituzionale,   come   quello
 dell'affidamento,  della  trasparenza  nei  rapporti  tra   Stato   e
 cittadino,  della  certezza  dei  diritti  maturati  per  i quali gli
 interessati coltivano legittime aspettative, della correttezza  della
 funzione   giurisdizionale   chiamata   ad  accertare  tali  diritti,
 paralizzata anch'essa nel  suo  lineare  svolgimento  dell'intervento
 retroattivo    del   legislatore,   ed   altri   ancora,   (tribunale
 amministrativo regionale della Lombardia, sezione di Brescia,  citata
 decisione  n.  236/1993;  tribunale  amministrativo  regionale  della
 Liguria,  sezione  prima,  5  febbraio  1993,  n.  33).    La   norma
 retroattiva   produce   inoltre   una  ingiustificata  disparita'  di
 trattamento  tra  dipendenti  pubblici  in  analoghe  situazioni,  in
 violazione  dell'art.  3  della Costituzione, come appare chiaro solo
 che si pensi al differente trattamento riservato  a  chi  abbia  gia'
 ottenuto   un   provvedimento   di   allineamento  stipendiale  prima
 dell'entrata  in  vigore  della norma in esame rispetto a chi invece,
 per un motivo o per l'altro, in  relazione  allo  stesso  periodo  di
 maturazione  del  diritto,  non  abbia  ancora  ottenuto  il medesimo
 beneficio.   Questa situazione  di  sperequazione  potrebbe  altresi'
 negativamente  riverberarsi,  come pure e' stato notato, sulla stessa
 efficienza dell'amministrazione, poiche' il pubblico  dipendente  non
 allineato vedrebbe conservato un piu' elevato trattamento economico a
 favore  di  colleghi  casualmente  gia' raggiunti da provvedimenti di
 allineamento  e  cio',  prima  o  poi,   finirebbe   con   l'influire
 negativamente  sul  suo  rendimento,  con  conseguente violazione del
 principio di buon andamento e di imparzialita'  di  cui  all'art.  97
 della Costituzione (tribunale amministrativo regionale della Liguria,
 sezione prima, citata decisione n. 33/1993).
    7.  -  Per  le  considerazioni  suesposte  il collegio ritiene non
 manifestamente infondata, il relazione agli artt. 3, 24, 97, 101, 108
 e 113 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 7, settimo comma, della legge 14 novembre 1992, n. 438,  di
 conversione del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, e ne rimette
 l'esame alla Corte costituzionale.
                               P. Q. M.
    Pronunciando   sul  ricorso  indicato  in  epigrafe,  sospende  il
 giudizio in corso e rimette gli atti alla  Corte  costituzionale  per
 l'esame  della  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7,
 settimo comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito  dalla
 legge  14  novembre  1992, n. 272, in relazione agli artt. 3, 24, 97,
 101, 108 e 113 della Costituzione;
    Dispone che la presente ordinanza, a  cura  della  segreteria  sia
 notificata  a  tutte  le parti in causa e al Presidente del Consiglio
 dei Ministri  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  dei  due  rami  del
 Parlamento.
      Cosi' deciso in Roma, il 5 maggio 1993.
                         Il presidente: BALBA
    Il consigliere: CAPPUGI
                                  Il consigliere estensore: MONTICELLI
 94C0728