N. 427 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 febbraio 1994

                                N. 427
     Ordinanza emessa il 17 febbraio 1994 dal tribunale di Milano
 nel  procedimento  civile  vertente  tra Fallimento 3E S.p.a. e Banca
 Agricola Milanese S.p.a.
 Fallimento - Effetti - Inefficacia degli atti compiuti in pregiudizio
    dei  creditori  (nella  specie:  pagamenti  operati  da   istituto
    bancario   sul   conto   corrente  del  fallito  tra  la  data  di
    dichiarazione del fallimento e quella dell'affissione del relativo
    provvedimento) - Prevista  decorrenza,  secondo  l'interpretazione
    della  norma  affermatasi  come  diritto vivente, dalla data della
    dichiarazione - Lamentata omessa previsione che gli effetti  della
    procedura   concorsuale  decorrano  per  i  terzi  in  buona  fede
    dall'affissione della sentenza - Lesione del diritto di difesa.
 (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 44, in relazione all'art. 42).
 (Cost., art. 24).
(GU n.30 del 20-7-1994 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa  civile,  iscritta
 al  numero  di  ruolo generale sopra riportato, discussa alla udienza
 collegiale  del  giorno  17  febbraio  1994,  promossa  con  atto  di
 citazione   notificato   in   data   3   ottobre  1991,  a  ministero
 dell'aiutante  ufficiale  giudiziario   addetto   all'ufficio   unico
 notifiche della Corte d'appello di Milano; da Fallimento 3E S.p.a. in
 persona  del curatore dott. Lorenzo Zaccagnini rappresentato e difeso
 dall'avv. Roberto Romano,  come  da  mandato  in  calce  all'atto  di
 citazione,  con  domicilio  eletto  presso  lo  studio  del medesimo,
 attore, contro Banca Agricola Milanese S.p.a. in persona  del  legale
 rappresentante  pro-tempore rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni
 E. Colombo, come da mandato a margine della comparsa di risposta, con
 domicilio eletto presso lo studio dei medesimi, convenuto.
    Rilevato che con atto di citazione notificato in  data  3  ottobre
 1991, il curatore del fallimento 3E S.p.a., dott. Lorenzo Zaccagnini,
 previa  autorizzazione  del  giudice  delegato  a  stare in giudizio,
 esponendo che, la societa' era stata dichiarata fallita il 17  maggio
 1988,  che  all'epoca intercorreva un contratto di conto corrente con
 la Banca  Agricola  Milanese,  che  nonostante  lo  scioglimento  del
 contratto  per  effetto  del  fallimento,  la  banca  aveva  eseguito
 pagamenti a favore di terzi  consentendo  l'emissione  di  assegni  a
 favore  della fallita, anziche' riversare le somme giacenti sul conto
 n.  14743  alla  procedura,  che  complessivamente  tali   operazioni
 ammontavano  a L. 199.452.498, ha chiamato in giudizio detto istituto
 di credito chiedendo  che  previa  declaratoria  di  inefficacia  del
 pagamento  ex  art.  44  della  legge fallimentare, la Banca Agricola
 fosse condannata alla restituzione della somma oltre agli interessi e
 al maggior danno;
    Rilevato che la convenuta si e' costituita in  giudizio  eccependo
 che  al  momento  della  esecuzione delle operazioni, non le era nota
 l'intervenuta dichiarazione di fallimento ed in  particolare  che  le
 operazioni impugnate erano avvenute in parte nel periodo compreso fra
 la deliberazione della sentenza di fallimento e la sua pubblicazione,
 nonche'  per  altra  parte  fra la pubblicazione e l'affissione della
 sentenza e che nessuna portava una data successiva alla affissione;
    Considerato  che  la  Banca  Agricola  Milanese  ha  eccepito  che
 l'interpretazione  giurisprudenziale delle norme di cui agli artt. 42
 e 44 della legge fallimentare  e'  tale  che  queste  si  pongono  in
 contrasto  con  i  principi  costituzionali di cui agli artt. 24 e 41
 della Costituzione nella parte in cui non prevedono che nei confronti
 dei terzi gli effetti del fallimento si  producano  a  seguito  della
 affissione;
                             O S S E R V A
    Sulla  non  manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 44 della legge fallimentare in  combinazione
 con gli artt. 17 e 42 della medesima legge.
    La  curatela ha proposto l'azione di inefficacia fondata sull'art.
 44 della legge fallimentare in  relazione  all'art.  78  della  legge
 fallimentare,   talche'  era  onere  dell'attore  dimostrare  che  la
 convenuta aveva eseguito a favore di terzi dei  pagamenti  per  conto
 della societa' fallita in data successiva al fallimento.
    Si  tratta,  quindi,  di  verificare in limine in quale momento si
 producono gli effetti della sentenza di fallimento.
    La norma invocata nella presente controversia  e'  quella  di  cui
 all'art.   44   della   legge   fallimentare  la  quale  peraltro  va
 necessariamente correlata a quella di cui al precedente  art.  42,  a
 tenore del quale gli effetti del fallimento nei confronti del fallito
 si  producono con la "sentenza di fallimento che priva dalla sua data
 ..".
    La dizione letterale della norma lascia  spazio  ad  una  triplice
 interpretazione  nel senso che gli effetti si producono o dal momento
 della  deliberazione  in  camera  di  consiglio  o  da  quello  della
 pubblicazione della sentenza o infine da quello della affissione.
    Il  collegio,  su questo punto, ritenendo di aderire al prevalente
 orientamento giurisprudenziale secondo il quale la  sentenza  esiste,
 soltanto,  con  il suo deposito in cancelleria, si' che la perdita di
 capacita' del fallito ai sensi dell'art. 42 della legge  fallimentare
 opera  dal  momento  della  pubblicazione  della decisione (cosi', da
 ultimo, Cass. 16 aprile 1992, n. 4705 e Cass. 22  novembre  1991,  n.
 12573)  esclude  che  gli  effetti di cui al combinato disposto degli
 artt. 42 e 44 della legge fallimentare  possano  maturare  sin  dalla
 deliberazione in camera di consiglio.
    V'e'  da  chiedersi  pero'  se tutti gli effetti che conseguono al
 fallimento inizino a decorrere  dalla  pubblicazione  della  sentenza
 ovvero  se  per  altri non debba farsi riferimento ad un diverso dato
 temporale.
    E'  noto  infatti  che  il   fallimento,   in   quanto   procedura
 concorsuale,  investe per definizione una molteplicita' di rapporti e
 produce effetti nei confronti  di  una  collettivita'  indistinta  di
 soggetti.
    Proprio perche' il fallimento e' destinato a regolare una serie di
 assetti  di  interessi  che  travalicano quelli delle parti che hanno
 partecipato  al  procedimento  prefallimentare,  il  legislatore   ha
 previsto  un  mezzo  di  conoscenza legale della decisione allorche',
 nell'art. 17 della legge fallimentare, ha  stabilito  che  copia  per
 estratto   della  sentenza  dichiarativa  venga  pubblicata  mediante
 affissione all'albo del tribunale.
    Molto si e' discusso in passato sull'efficacia  dell'affissione  e
 si e' ripetutamente affermato che tale adempimento di cancelleria non
 rappresenta un elemento costitutivo della sentenza di fallimento.
    Tale  principio, che il tribunale ritiene del tutto condivisibile,
 non gioca pero' alcun ruolo se  si  muta  la  prospettiva  da  quella
 relativa  alla esistenza della decisione a quella della sua effettiva
 conoscibilita'.
    E' evidente  che  per  una  molteplice  serie  di  situazioni,  la
 conoscibilita'  della  sentenza dichiarativa e' del tutto irrilevante
 (si pensi alla sospensione del corso degli interessi ex art. 55 della
 legge fallimentare), talche' l'effetto l'effetto  del  fallimento  si
 produce automaticamente con la pubblicazione della pronuncia.
    Altre  volte,  invece,  la conoscenza (intesa come conoscibilita')
 della sentenza e' fondamentale per  indirizzare  il  terzo  verso  un
 determinato comportamento.
    In  buona sostanza, nei confronti dei terzi determinati effetti si
 giustificano in quanto  si  presupponga  che  costoro  abbiano  avuto
 conoscenza  del  fallimento.  Cosi' un creditore modulera' il proprio
 comportamento (scelta di accettare o non accettare  un  pagamento)  a
 seconda  che  sappia  se il solvens e' stato o no dichiarato fallito.
 Certamente non  potra'  scegliere  per  effetto  del  semplice  fatto
 obiettivo del fallimento se questo non gli e' noto.
    La  questione,  in  realta',  ben  era stata colta dal legislatore
 allorquando ha previsto  che  l'adempimento  dell'affissione  venisse
 espletato non oltre il giorno successivo a quello della pubblicazione
 della  sentenza, si che lo spazio temporale di qualche ora ben poteva
 valere il sacrificio di  un  terzo  che  avesse  contrattato  con  il
 fallito a beneficio, invece, della collettivita' dei creditori.
    La  disapplicazione  della  norma  di  cui all'art. 17 della legge
 fallimentare  con  riferimento  al   tempestivo   adempimento   della
 formalita'   dell'affissione   rende   sospette   di   illegittimita'
 costituzionale  quelle  disposizioni   nelle   quali   l'operativita'
 immediata  della sentenza di fallimento travolge posizioni di diritto
 soggettivo senza che alcuna difesa sia apprestabile per la  parte  in
 bonis.
    In  questa  ottica,  gli  effetti del fallimento nei confronti dei
 terzi (compresi i creditori) dovrebbero operare solo dal  momento  in
 cui  e'  stata  resa  conoscibile  la sentenza di fallimento mediante
 l'affissione.
    D'altra parte che l'affissione sia un adempimento  tutt'altro  che
 formale,  lo  si  ricava  dal disposto di cui all'art. 18 della legge
 fallimentare a  tenore  del  quale  l'opposizione  alla  sentenza  di
 fallimento   inizia   a   decorrere   dal   momento  dell'affissione.
 Recentemente, il  giudice  delle  leggi  si  e'  pronunciato  per  la
 legittimita'  costituzionale  di tale norma (sentenza 16 luglio 1987,
 n.  273  in  foro  it.,  1988,  I,  30)  valorizzando   l'adempimento
 dell'affissione   come   strumento  minimo  di  conoscibilita'  della
 decisione (lasciando comunque intravvedere una notevole  perplessita'
 sull'idoneita' dell'affissione come mezzo legale di conoscenza).
    In   tale   contesto  la  Banca  Agricola  assume  la  sostanziale
 "inesigibilita'" di  un  comportamento  difforme  rispetto  a  quello
 tenuto   e   quindi  avendo  ignorato  in  buona  fede  l'intervenuto
 fallimento della soc. 3E, pretende di non essere sanzionata  per  una
 violazione  meramente  formale  (sul asserito presupposto di non aver
 ricevuto alcuna vantaggio dalle operazioni impugnate).
    Effettivamente la doglianza della banca potrebbe  essere  superata
 se  si  ammettesse  che il terzo che contratta con il fallito dopo il
 fallimento e' ammesso a provare il proprio stato soggettivo di  buona
 fede.  Il  Tribunale,  peraltro,  si  trova di fronte ad un indirizzo
 giurisprudenziale compatto e consolidato che a partire dagli anni '50
 (app. Milano 24 ottobre 1952, in foto it., 1953, I, 86) e  dai  primi
 anni  '60 per i giudici di legittimita' ha escluso la rilevanza della
 buona fede del terzo (Cass. 13 dicembre 1988, n. 6777 in  fallimento,
 1989,  505;  Cass.  7  luglio 1981, n. 4434 in Giur. comm., 1982, II,
 637; Cass. 4 luglio 1979, n. 3782 in  Giust.  civ.,  1979,  I,  1832;
 cass.  6  dicembre 1974 n. 4043 in giust. civ., 1975, I, 360) per cui
 si puo' parlare di  "diritto  vivente",  si'  che  la  norma  di  cui
 all'art.  44  della legge fallimentare e' come se recitasse "gli atti
 compiuti  dal  fallito  e  i  pagamenti  da  lui  eseguiti  dopo   la
 dichiarazione  di  fallimento  sono  inefficaci rispetto ai creditori
 senza che rilevi lo stato di buona fede del terzo".
    Ebbene, cosi' letta, tale norma ad avviso del tribunale pari porsi
 in conflitto con alcuni principi costituzionali  e  segnatamente  con
 quello di cui all'art. 24 della Costituzione che tutela il diritto di
 difesa.
    Infatti, assumere che la buona fede del terzo non rileva in quanto
 l'inefficacia dell'atto (e/o del pagamento) compiuto dal fallito dopo
 il  fallimento  opera come sanzione obiettiva, equivale a dire che un
 soggetto e' spogliato del diritto soggettivo ad autodeterminarsi  nei
 propri  comportamenti  in  quanto  gli  verrebbe imposta una condotta
 inesigibile (eseguire un controllo giornaliero nelle cancellerie  dei
 tribunali dei propri partners commerciali).
    Ove  a tale rilievo si obiettasse che anche con l'affissione della
 sentenza di fallimento non  e'  facilitata  la  conoscenza  effettiva
 dell'apertura  della procedura concorsuale, sarebbe agevole replicare
 che  l'ordinamento  conosce  un  veicolo  legale  di  diffusione  che
 assicura  la  conoscibilita'  e  non  la  conoscenza  quale e' quello
 primario costituito dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale  e  che
 cio'  nondimeno  il  giudice  delle  leggi, in un recente passato, ha
 dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5 del c.p.p. del
 1930 (Corte cost. 24 marzo 1988, 364 in  foro  it.,  1988,  I,  1385)
 ammettendo  la  scusabilita'  dell'ignoranza  della  legge  penale in
 deroga al principio ignoratia legis non excusat.
    E' ben noto a questo Collegio che recentemente (Cass. n.  6777/88,
 cit.;  trib.  Palermo  27 maggio 1986 in fallimento, 1986, 1269; App.
 Catania 19 settembre 1986  in  fallimento,  1987,  102)  la  medesima
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 44 della legge
 fallimentare e' stata disattesa; purtuttavia  le  ragioni  che  hanno
 indotto  i  giudici  ad escludere la non manifesta infondatezza della
 questione non sembrano  insuperabili  ove  si  rilevi  che  e'  stato
 sostenuto  che non c'e' contrasto con i valori costituzionali " .. in
 relazione al sacrificio che potrebbe essere imposto al  terzo  ignaro
 senza   colpa  del  fallimento,  in  conseguenza  della  sanzione  di
 inefficacia degli atti per il solo fatto del loro compimento dopo  la
 data  del  fallimento,  vertendosi  in tema di scelte del legislatore
 giustificate  da  obiettive  esigenze  pubblicistiche  inerenti  alla
 procedura fallimentare".
    In  verita'  il sacrificio che viene imposto al terzo ignaro senza
 colpa  dell'avvenuta  dichiarazione  di  fallimento  puo'  soccombere
 rispetto  alle  esigenze  della  procedura  fallimentare  solo se non
 vengono pretermessi alcuni valori essenziali, quali il  diritto  alla
 difesa  di  cui  all'art.  24  della  Costituzione,  diritto che vive
 proprio nella esclusione di una responsabilita' senza colpa.
    Non va trascurato infatti che il sistema della legge  fallimentare
 risale  ad  oltre  50  anni  fa e che in questo periodo e' entrata in
 vigore la  Costituzione  repubblicana  e  sono  fortemente  mutati  i
 costumi  e  i  traffici commerciali, si che una interpretazione della
 norma valida nel 1942 debba oggi essere del tutto ribaltata.
    In buona sostanza il tribunale ritiene che vi siano argomenti  per
 sostenere   la   non   manifesta   infondatezza  della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 44  in  relazione  all'art.  42
 della  legge  fallimentare nella parte in cui non prevede, secondo il
 modello di norma di diritto vivente, che per i terzi gli effetti  del
 fallimento   si  producano  solo  con  l'affissione  salvo  la  prova
 contraria della conoscenza dell'intervenuta sentenza di fallimento  e
 cio' in contrasto con l'art. 24 della Costituzione.
    Va  infatti  ricordato che il giudice a quo deve porsi soltanto il
 problema della consistenza del dubbio e non  gia'  quello  della  sua
 fondatezza.
    Sulla rilevanza della questione.
    La  questione  di  legittimita' cosi' impostata rileva nel caso in
 esame ove nell'elenco degli atti compiuti dopo il  fallimento  ve  ne
 siano  taluni  anteriori  al  22 giugno 1988 quando la sentenza venne
 affissa.
    Si tratta  allora  di  verificare  quali  operazioni  siano  state
 compiute  sul  c/c  n.  14743 dopo la dichiarazione di fallimento. Il
 fallimento della soc. 3E venne  deliberato  il  17  maggio  1988;  la
 sentenza  venne  depositata  il 24 maggio 1988 e affissa il 22 giugno
 1988.
    Estintosi per effetto dell'art. 78  della  legge  fallimentare  il
 mandato conferito alla banca, questa non puo' piu' fare pagamenti per
 il fallito e non puo' trattenere gli accreditamenti sul conto, avendo
 diritto,  soltanto,  a  dedurre  da  esso le spese per la tenuta e la
 conservazione  del  conto  (in  ordine  a  tale  indirizzo,  conformi
 appaiono  le precedenti decisioni di cass. 7 luglio 1981, n. 4434, di
 cass. 14 maggio 1975, n. 1851).
    Applicando questi principi al caso di cui si controverte, passando
 alla voce relativa ai pagamenti eseguiti dalla  convenuta  per  conto
 del  correntista,  occorre  ribadire che si tratta egualmente di atti
 inefficaci ex art. 44 della legge fallimentare  sempre  in  relazione
 all'art. 78 della legge fallimentare; infatti, scioltosi il contratto
 di mandato insito nel rapporto di conto corrente, la banca non poteva
 piu'  eseguire  pagamenti  per  conto  del  correntista  rimasto, nel
 fattempo, privo della disponibilita' delle somme giacenti  sul  conto
 per effetto dello spossessamento ex art. 42 della legge fallimentare.
    Per  tale  ragione, occorre prendere in considerazione le seguenti
 operazioni:
      in data 25 maggio  1988  L.  55.566.731  per  emissione  assegno
 circolare;
      in  data  25  maggio  1988  L.  20.211.729 per emissione assegno
 circolare;
      in data 26 maggio  1988  L.  16.123.049  per  emissione  assegno
 circolare;
      in data 26 maggio 1988 L. 500.000 per emissione assegno bancario
 di c/c;
      in  data  27  maggio  1988  L.  35.977.631 per emissione assegno
 circolare;
      in data 27 maggio 1988 L. 5.767.049 per "pagamenti diversi";
      in data 27 maggio 1988 L. 8.201.417 per "pagamenti diversi";
      in data 30 maggio 1988 L. 469.856 per "disposizioni";
      in data  1  giugno  1988  L.  5.711.200  per  emissione  assegno
 bancario di c/c;
      in  data  2  giugno  1988  L.  38.040.000  per emissione assegno
 circolare.
    Come e' agevole notare tutte le  operazioni  sono  avvenute  prima
 dell'affissione,   si   che   ove   la   questione   di  legittimita'
 costituzionale venisse accolta, non avendo il  fallimento  dimostrato
 che  la  B.A.M. era a conoscenza dell'avvenuto fallimento, la domanda
 della curatela dovrebbe essere respinta (nel  caso  di  pronuncia  di
 infondatezza la domanda potrebbe, invece, essere accolta).
    Si impone, pertanto la sospensione del presente processo sino alla
 definizione del giudizio davanti alla Corte costituzionale.
    La presente ordinanza va notificata alle parti e al Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  e  comunicata al Presidente del Senato e al
 Presidente della Camera dei deputati.
                               P. Q. M.
    Nella causa promossa da Fallimento 3E S.p.a. nei  confronti  della
 Banca  Agricola  Milanese  S.p.a. con atto di citazione notificato in
 data 3 ottobre 1991, ritenuta la  non  manifesta  infondatezza  della
 questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 44 in relazione
 all'art. 42 della legge fallimentare,  per  violazione  dell'art.  24
 della Costituzione nella parte in cui non e' previsto che gli effetti
 del  fallimento  rispetto  ai  terzi  decorrano dall'affissione salvo
 prova contraria della conoscenza da parte del terzo della sentenza di
 fallimento, dispone:
      1) la sospensione del presente giudizio;
      2) la rimessione degli atti alla  Corte  costituzionale  per  la
 risoluzione della questione;
      3)  la  notificazione  della  presente  sentenza alle parti e al
 Presidente del Consiglio dei Ministri;
      4) la comunicazione della presente sentenza  ai  Presidenti  del
 Senato e della Camera dei deputati.
    Cosi' deciso in camera di consiglio il 17 febbraio 1994.
                       Il presidente: PESCHIERA
                                          Il giudice relatore: FABIANI
 94C0808