N. 429 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 maggio 1994
N. 429 Ordinanza emessa il 20 maggio 1994 dal pretore di La Spezia nel procedimento penale a carico di Zari Momad Sicurezza pubblica - Stranieri - Inottemperanza all'obbligo, penalmente sanzionato, di adoperarsi per ottenere dalla competente autorita' diplomatica e consolare il rilascio del documento di viaggio occorrente all'esecuzione del provvedimento di espulsione - Ritenuta indeterminatezza del concetto di "adoperarsi" - Lamentato contrasto con il principio costituzionale della necessaria intellegibilita' e riconoscibilita' del precetto penale. (Legge 12 agosto 1993, n. 296, art. 7-bis, secondo comma, seconda parte). (Cost., art. 25).(GU n.30 del 20-7-1994 )
IL PRETORE In data 11 maggio 1994, alle ore 23 circa, personale della questura di La Spezia traeva in arresto Zari Momad ai sensi dell'art. 7-bis della legge n. 296/1993. Condotto innanzi al pretore per la convalida dell'arresto, l'imputato ha dichiarato di avere una eta' inferiore agli anni 18 e di esser stato arrestato a Genova una settimana prima; l'arresto veniva convalidato in quanto ligittimamente eseguito nel concorso delle circostanze di legge, con remissione in liberta' dello Zari non sussistendo le esigenze cautelari di cui all'art. 274 del c.p.p. In via preliminare il delegato del p.m. contestava il delitto di cui all'art. 495, terzo comma, del c.p. per aver l'imputato dichiarato di essere minorenne, in contrasto con l'accertamento effettuato il 21 settembre 1993 dal servizio di radiologia dell'U.S.L. n. 19 attestante che l'imputato, all'epoca, aveva una eta' scheletrica compresa tra i 18 ed i 19 anni. L'imputato non prestava consenso alla celebrazione del procedimento relativo alla nuova contestazione con rito direttissimo e, pertanto, veniva disposta la trasmissione degli atti al p.m. per la contestazione nelle forme ordinarie. L'imputato, in relazione alla contestazione di cui all'art. 7-bis della legge n. 296/1993, chiedeva un termine a difesa. Ai sensi dell'art. 566, settimo comma, del c.p.p., il dibattimento veniva sospeso e rinviato alla udienza 18 maggio 1994. In data odierna, il medesimo difensore di ufficio in via preliminare eccepiva la questione di costituzionalita' della norma incriminatrice in relazione all'art. 25, secondo comma, della Costituzione. Questo pretore, in accoglimento della prospettazione della difesa dell'imputato - alla quale non si opponeva il p.m. togato -, ritiene che la questione sollevata appare essere non manifestamente infondata e senz'altro rilevante nel presente giudizio. Difatti, per il principio della riserva di legge ed, in particolare, per il principio della tipicita' o della determinatezza della fattispecie - ricompreso nel primo e suo corollario -, la norma penale deve contenere una descrizione intellegibile della fattispecie astratta. Se e' vero che la intellegibilita' non puo' essere fatta consistere nella assenza di ogni dubbio interpretativo legato alla norma e se e', ancora, vero che il precetto penale puo' operare riferimenti ad espressioni indicative o di valore (cfr. sent. Corte costituzionale nn. 27/1961 e 191/1979), certo e' che la disposizione di natura penale deve essere determinata con connotati precisi in modo, per un verso, da consentire all'interprete di poter ricondurre l'ipotesi concreta ad un chiaro paradigma normativo (e cio' allo scopo di prevenire il rischio di eventuali arbitrii del potere giudiziario) e, per un altro verso, da mettere in condizione il destinatario della norma stessa di conoscere in che cosa si sostanzia la condotta penalmente sanzionata: la stessa Corte costituzionale, nella nota sentenza n. 364/1988, ha sottolineato che "nelle prescrizioni tassative del codice il soggetto deve poter trovare, in ogni momento, cosa gli e' lecito fare e cosa gli e' vietato: ed a questo fine sono necessarie leggi precise, chiare, contenenti riconoscibili direttive di comportamento". Cio' posto, ad avviso del giudicante, la formulazione della norma di cui all'art. 7-bis secondo comma seconda parte legge n. 296/1993 e' tale per cui non puo' essere manifestamente esclusa la illegittimita' costituzionale della disposizione in relazione al richiamato principio di cui all'art. 25 del cpv. della Costituzione. L'art. 7-bis secondo comma citato, dopo aver previsto, nella prima parte, la punibilita' dello straniero che "distrugge il passaporto o il documento equipollente per sottrarsi alla esecuzione del provvedimento di espulsione", nella seconda parte - che e' quella riguardante il presente giudizio -, tende a perseguire lo straniero che "non si adopera per ottenere dalla competente autorita' diplomatica o consolare il rilascio del documento di viaggio occorrente". Ritiene questo giudicante che l'espressione "non adoperarsi" - stante il significato letterale delle parole e, cioe', il non darsi da fare o il non impegnarsi in relazione all'obiettivo cui il "facere" alternativo si deve rapportare: l'ottenimento del documento - si caratterizza per un suo contenuto di estrema genericita'; in particolare, la norma non chiarisce quale tipo di condotta, almeno nel suo contenuto minimo, il soggetto deve porre in essere al fine di evitare di incorrere nella violazione del precetto penale. La formulazione legislativa dell'art. 7-bis citato - che impone al p.m. di fornire la prova che l'imputato abbia tenuto un comportamento dolosamente negativo e dal contenuto assai incerto, cioe' il "non essersi adoperato" per farsi rilasciare il biglietto di viaggio occorrente per ottemperare al provvedimento di espulsione - in realta' consente sin troppi ed ampi spazi alla difesa (e, di converso, sin troppo ardui compiti all'accusa) in quanto e' sufficiente che l'imputato attesti di aver posto in essere un qualsiasi comportamento, oggettivamente finalizzato al suo allontanamento dall'Italia, affinche' il p.m. si trovi nella materiale impossibilita' di provare il fondamento della imputazione, cioe' la sussistenza di un atteggiamento omissivo teso a non ottemperare al decreto del prefetto. Nella norma in contestazione, lo si ribadisce, vengono a mancare i requisiti minimi di riconoscibilita' e di intellegibilita' del precetto penale - che costituiscono i parametri di coessenzialita' della norma penale: v. Corte costituzionale in sentenze nn. 185/1992, 364/1988 e 96/1981 - con grave ripercussione in ordine alla liberta' ed alla sicurezza giuridica dei cittadini. Del tutto vago ed indeterminato, difatti, appare essere il contenuto precettivo della norma e, quindi, estremamente laborioso il compito del p.m. - al quale incombe, per principio generale ed assolutamente pacifico, provare i fatti che sono a fondamento della responsabilita' penale - e dello stesso imputato qualora volesse precostituirsi una prova per non incorrere nella incriminazione e nel rischio di una condanna. Sotto tale profilo al giudicante viene a mancare, a causa della indeterminatezza della formulazione adoperata dal legislatore, un parametro certo ed oggettivo al quale rapportare l'azione del singolo nel caso concreto, il che si traduce nel serio pericolo della disparita' di trattamento per fattispecie assolutamente analoghe e dell'arbitrio. A solo titolo di esemplificazione, ci si potrebbe interrogare se costituisce sufficiente motivo di esclusione da responsabilita' la richiesta di informazioni rivolta dall'interessato ad una agenzia di pratiche amministrative o all'ufficio stranieri della questura o ad un ufficio del comune o, ancora, all'ambasciata del proprio Paese ovvero, in caso di risposta negativa - ma non appare chiaro sulla base di quale parametro ipotizzare una soluzione in ogni caso consapevole -, se, per escludere la sussistenza oggettiva del reato omissivo, occorra da parte dello straniero formalizzare la medesima richiesta in un atto documentale (raccomandata a.r.) o, ancora, se sia comunque tenuto l'interessato a richiedere una dichiarazione da parte dei vari enti o autorita' contattati allo scopo di poter adeguatamente dimostrare che lo stesso si e', in qualche modo, "adoperato". Ed ancora, potrebbe sostenersi che e' idoneo ed esente da responsabilita' penale il comportamento di chi prolunghi la permanenza in Italia al solo fine di espletare una attivita' lavorativa - ovviamente "in nero" altrimenti potrebbe ottenere un permesso di soggiorno - che gli consenta di poter poi sostenere le spese relative al viaggio; e, d'altro canto, resta avvolta da incertezze quale sia la prova che deve essere prodotta in dibattimento dal p.m. (oltre alla preesistenza di un valido provvedimento di espulsione ed alla attuale presenza del cittadino straniero in Italia) a fronte di una mera attestazione verbale dell'imputato di essersi attivato nei termini sopra indicati, e, cioe', se sia necessario che il p.m. e la p.g. provvedano, prima di dar corso all'arresto, ad attivarsi presso le autorita' diplomatiche straniere onde verificare se quel cittadino si sia, a sua volta, attivato. Senza peraltro che alcuna certezza possa ritenersi acquisita in ordine alla sufficienza del proprio comportamento ai fini di evitare la irrogazione della sanzione penale. La indeterminatezza del precetto penale discende direttamente dalla dizione della norma che impone al cittadino extracomunitario un obbligo di collaborare alla esecuzione di una misura "contra se", la cui violazione e' sanzionata penalmente, e che appare di difficile interpretazione per la sua genericita' e di applicazione lineare; de iure condendo, non puo' non auspicarsi un intervento del legislatore in tale delicato settore, mediante la emanazione di norme che abbiano effettive possibilita' di applicazione concreta ed uniforme, pur nella salvaguardia della discrezionalita' giurisdizionale. La vaghezza della disposizione risulta ulteriormente aggravata dalla circostanza obiettiva rappresentata dalla qualita' del soggetto destinatario della norma (lo "straniero"), che, per il solo fatto di essere tale e, quindi, per la circostanza il piu' delle volte di non comprendere appieno la lingua italiana, dovrebbe (semmai) essere messo in condizione di ancor piu' chiaramente conoscere cio' che la legge penale italiana gli impone o gli vieta di fare. Alla sospetta indeterminatezza della disposizione consegue quindi il giudizio di non manifesta infondatezza della questione. In termini assai breve si ridure, infine, il giudizio sulla rilevanza della questione. L'imputato e' infatti chiamato a rispondere perche' non si sarebbe adoperato al fine di ottenere il documento occorrente per l'espatrio: sulla base degli atti del procedimento, con particolare riferimento al verbale di arresto ed alle dichiarazioni rese dallo straniero in sede di procedimento di convalida dell'arresto, non puo' essere esclusa l'attribuibilita' allo stesso di una condotta omissiva che potrebbe legittimare l'applicazione della norma incriminatrice con conseguente affermazione di responsabilita' penale a suo carico. Qualora la norma incriminatrice fosse dichiarata incostituzionale verrebbe meno il precetto penale che si assume violato dall'imputato e, di conseguenza, lo stesso dovrebbe essere prosciolto dalla imputazione oggetto del presente procedimento.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 delle legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva questione di costituzionalita' dell'art. 7-bis, secondo comma, seconda parte, della legge n. 296/1993 in relazione all'art. 25, secondo comma, della Costituzione; Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti dei due rami del Parlamento, al p.m., all'imputato ed al suo difensore. La Spezia, addi' 20 maggio 1994 Il pretore: CIPOLLETTA 94C0810