N. 301 SENTENZA 6 - 15 luglio 1994
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Procedimento innanzi al tribunale militare - Dibattimento - Impossibilita' di procedervi in assenza dell'imputato ancorche' consenziente - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto al processo penale ordinario, con incidenza sul diritto di difesa - Illegittimita' costituzionale. (C.P.M.P., art. 365, primo e secondo comma). (Cost., artt. 3 e 24, secondo comma).(GU n.30 del 20-7-1994 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Gabriele PESCATORE; Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 365, primo e secondo comma, del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 14 dicembre 1993 dal Tribunale militare di Cagliari, nel procedimento penale a carico di Ciriaco Pirrolu, iscritta al n. 115 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1994; Udito nella camera di consiglio dell'8 giugno 1994 il Giudice relatore Cesare Mirabelli. Ritenuto in fatto Con ordinanza emessa il 14 dicembre 1993 nel corso di un procedimento penale a carico di Ciriaco Pirrolu - il quale, detenuto per altra causa, aveva rinunciato a comparire chiedendo che il dibattimento venisse celebrato in sua assenza - il Tribunale militare di Cagliari ha sollevato, su eccezione del pubblico ministero, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 365, primo e secondo comma, del codice penale militare di pace. La norma denunciata prevede che l'imputato deve comparire personalmente all'udienza dei tribunali militari e in nessun caso puo' chiedere o consentire che il dibattimento avvenga in sua assenza. Il Tribunale prospetta il contrasto di questa disposizione con gli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione. Ritiene difatti che il principio di eguaglianza sarebbe violato dalla diversita' di disciplina del processo penale militare rispetto al processo penale ordinario, nel quale l'imputato, anche se impedito, che chiede o consente che il dibattimento avvenga in sua assenza o, se detenuto, rifiuta di assistervi e' rappresentato dal difensore e non si applicano l'istituto della contumacia o le disposizioni sull'impedimento a comparire (art. 488, primo comma, del codice di procedura penale). Questa norma rispecchia sostanzialmente quella in precedenza dettata dal codice di procedura penale del 1930, rispetto alla quale l'art. 365 del codice penale militare si poneva gia' come norma speciale e di deroga. Il giudice rimettente ritiene che la disciplina dettata per il rito nei tribunali militari sia ancora in vigore. L'ambito di applicazione del nuovo codice di procedura penale, che si estende ai "procedimenti relativi a tutti i reati anche se previsti da leggi speciali" (art. 207 delle norme di attuazione e di coordinamento), non comprenderebbe il processo penale militare di pace disciplinato dal libro III del relativo codice. Essendo le norme del processo penale comune complementari rispetto a quelle del processo militare (artt. 15 del codice penale e 261 del codice penale militare di pace), la disciplina del primo troverebbe applicazione, salvo quando il codice militare detti, come in questo caso, disposizioni specifiche e di deroga. Il Tribunale militare di Cagliari ritiene che la disposizione denunciata, venendo ad incidere sul diritto di difesa, sia in contrasto, oltre che con l'art. 3, anche con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Considerato in diritto 1. - Il Tribunale militare di Cagliari dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 365, primo e secondo comma, del codice penale militare di pace (approvato con regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303), che, nell'ambito della disciplina del dibattimento, dispone che all'udienza dei tribunali militari l'imputato deve comparire personalmente ed in nessun caso puo' chiedere che il dibattimento avvenga in sua assenza. Il giudice rimettente ritiene - con adeguata motivazione e senza accogliere l'orientamento che vuole anche il processo dinanzi ai tribunali militari interamente regolato dal nuovo codice di procedura penale - che questa disposizione sia tuttora in vigore. Non troverebbe quindi applicazione la diversa disciplina dettata dall'art. 488 del codice di procedura penale, che prevede per l'imputato la facolta' di chiedere o consentire che il dibattimento avvenga in sua assenza ed ammette che questi, se detenuto, rifiuti di assistervi. Ma lo stesso giudice ritiene che la disciplina speciale e di deroga, disposta per il processo penale militare rispetto a quella comune, sia in contrasto con il principio di eguaglianza e con il diritto di difesa. 2. - Il dovere di comparizione personale dell'imputato all'udienza dei tribunali militari, con la correlativa esclusione della rappresentanza e della dichiarazione di assenza, costituisce una espressa deroga al diritto processuale comune, avvertita con chiarezza nei lavori preparatori. La relazione della Commissione reale al progetto preliminare del codice ne indica i motivi: "la giustizia penale militare, come quella disciplinare, e' giustizia di capi; e pero', anche per ragioni di esemplarita', deve svolgersi in rapporto immediato diretto fra superiore ed inferiore". Anche quando, come in recenti pronunce, ammette il rito contumaciale per il detenuto che dichiari espressamente di non voler comparire, la giurisprudenza afferma sempre che non e' consentito all'imputato di chiedere che il dibattimento dinanzi al tribunale militare avvenga in sua assenza. Il dovere di comparizione personale, disposto dall'art. 365 del codice penale militare di pace, e la diversita' di disciplina rispetto a quella comune, permangono, ma ne vengono corrette le conseguenze processuali, applicandosi anche in questi casi l'istituto della contumacia o il rinvio del dibattimento per legittimo impedimento dell'imputato. Alla Corte si chiede ora di valutare se l'obbligo di comparizione personale, in se' considerato, sia in contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione. 3. - La questione e' fondata. La protezione costituzionale del diritto inviolabile di difesa nel processo penale implica che la legge debba assicurare all'imputato la possibilita' di partecipare al dibattimento, per poter esperire anche in questa fase del processo le attivita' difensive che ritenga utili ai fini del giudizio sulla fondatezza delle accuse che gli sono rivolte. La Corte ha gia' ritenuto che "soltanto la volontaria rinuncia dell'imputato a presenziare al dibattimento, in quanto espressione di una sua libera e incoercibile scelta difensiva, puo' giustificare, sul piano costituzionale, la limitazione del contraddittorio" che si attua con l'assenza dell'imputato dal dibattimento. La necessita' di garantire all'imputato la possibilita' di partecipare al dibattimento consente che si proceda senza di lui "solo se l'assenza sia, in modo esplicito od implicito, frutto di una sua libera scelta, o comunque di un suo comportamento volontario" (sentenza n. 9 del 1982). La libera partecipazione personale al dibattimento, se costituisce una garanzia per l'imputato, che e' soggetto al processo ed alla potesta' punitiva che in esso si esprime ma non necessariamente deve collaborare al suo svolgimento, manifesta anche una scelta difensiva, che come tale va salvaguardata e non puo' essere configurata come obbligatoria o coercibile, salvo che la presenza dell'imputato sia necessaria perche' il processo possa avere corso o siano compiuti specifici atti probatori che coinvolgono la persona dell'imputato. Difatti la facolta' dell'imputato di non assistere all'udienza deve sempre essere conciliata con la fondamentale esigenza di giudicarlo egualmente (sentenza n. 11 del 1978). La trasformazione del diritto di essere presente al dibattimento in obbligo di comparire personalmente all'udienza dei tribunali militari, senza che in nessun caso l'imputato possa chiedere o consentire che il dibattimento avvenga in sua assenza, non risponde alle particolari necessita' del giudizio. Tale obbligo manifesta piuttosto la originaria connotazione di quel processo, volto ad esprimere la "giustizia dei capi" in un contesto di autonomia dell'ordinamento militare rispetto all'ordinamento statuale. Impostazione, questa, superata dalla Costituzione, che "definitivamente impedisce che la giurisdizione penale militare si consideri ancora come continuazione della 'giustizia disciplinare' dei capi militari tesa a garantire e rafforzare l'ordine e la gerarchia militare contro le violazioni 'piu' gravi'" (sentenza n. 278 del 1987). Esclusa questa prospettiva, che dava anche ragione della diversita' di disciplina rispetto al processo penale comune, l'obbligo dell'imputato di partecipare al dibattimento nel processo penale militare non puo' essere generale ed assoluto, in quanto ancorato alla "esemplarita'" del processo stesso, ma deve essere collegato esclusivamente alla necessita' di non impedire il compimento del processo e di non ostacolare fondamentali esigenze del giudizio, che possono derivare dal dover compiere atti per i quali la presenza dell'imputato sia indispensabile. L'obbligo della sua presenza non puo' che essere ristretto, cosi' come nel processo penale comune, nei limiti di questa irrinunciabile esigenza. La previsione dell'art. 365, primo e secondo comma, del codice penale militare di pace, in quanto generale ed assoluta, si pone dunque in contrasto con la libera esplicazione del diritto di difesa, che comprende anche la facolta' di non comparire al dibattimento senza per questo impedirne la celebrazione. Alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale della disposizione denunciata segue che, in base all'art. 261 del codice penale militare di pace, le regole del processo penale comune relative alla partecipazione dell'imputato al dibattimento trovano applicazione anche dinanzi ai tribunali militari.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 365, primo e secondo comma, del codice penale militare di pace. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 6 luglio 1994. Il Presidente: PESCATORE Il redattore: MIRABELLI Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 15 luglio 1994. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 94C0842