N. 353 SENTENZA 19 - 27 luglio 1994

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Azione civile - Condanna a provvisionale - Prevista
 sospensione solo in caso di "grave  e  irreparabile  danno"  anziche'
 "quando  ricorrano gravi motivi" - Ingiustificata diversita' rispetto
 alla regola dottata, in ordine al potere di inibitoria del giudice di
 appello, dall'art. 283 del c.p.c. (come  introdotto  dalla  legge  n.
 353/1990)  -  Lesione  del  principio di eguaglianza - Illegittimita'
 costituzionale parziale.
 
 (C.P.P., art. 600, terzo comma).
 
 (Cost., art. 3).
 
(GU n.32 del 3-8-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.
    Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo CHELI, prof. Giuliano VASSALLI, prof.
    Francesco  GUIZZI,  prof.   Cesare   MIRABELLI,   prof.   Fernando
    SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 600, terzo
 comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza  emessa
 l'11  marzo  1993  dalla Corte di appello di Bologna nel procedimento
 penale a carico di Carnovale Salvatore ed altri, iscritta al  n.  598
 del  registro  ordinanze  1993  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1993.
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio dell'11 maggio 1994 il Giudice
 relatore Mauro Ferri.
                           Ritenuto in fatto
    1.1. - Con ordinanza emessa l'11 marzo 1993, la Corte d'appello di
 Bologna ha sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
 riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,  dell'art.  600, terzo
 comma, del codice di procedura penale, "nella parte in cui limita  la
 prevista  possibilita'  di sospensione dell'esecuzione della condanna
 al pagamento di una provvisionale al solo caso  che  possa  derivarne
 grave ed irreparabile danno".
    Premesso  che  alcuni  degli  imputati  appellanti  hanno proposto
 istanza di revoca della condanna - loro inflitta in primo grado -  al
 pagamento di una provvisionale, o, in subordine, la sospensione della
 esecuzione  di  tale  condanna  sulla  base  di un affermato grave ed
 irreparabile danno  su  di  loro  incombente,  la  Corte  remittente,
 dichiarata  inammissibile  la prima richiesta (in quanto non prevista
 dalla legge), rileva che  non  sussistono  gli  estremi  neanche  per
 l'accoglimento  della  seconda,  non  essendo  gli istanti riusciti a
 dimostrare la gravita' ed irreparabilita' del danno  derivante  dalla
 esecuzione  della menzionata condanna; ed osserva che, del resto, gli
 imputati medesimi hanno, piu' che altro, mosso critiche alla sentenza
 - alla quale hanno attribuito molteplici  errori  che  ne  dovrebbero
 comportare  la  totale  riforma - e lamentato, in particolare, che il
 giudice di primo grado poco o nulla si sia  curato  della  prova  del
 danno protestato dalle parti civili e dell'ammontare di esso: ma tali
 argomenti  degli  imputati restano ininfluenti rispetto ad una norma,
 quale  quella  impugnata,  che  pone  come  unico  presupposto  della
 sospensione   della   immediata   esecutivita'   della   condanna  la
 prospettiva di un danno grave ed irreparabile.
    1.2. - Cio' posto,  il  giudice  a  quo  rileva  innanzitutto  una
 disparita'  di  disciplina  tra  la norma in esame e quella di cui al
 secondo comma del  medesimo  art.  600.  Questa  norma  va  posta  in
 relazione  col  primo  comma  dell'art.  540  e  se  ne ricava che la
 condanna alle restituzioni o al risarcimento del  danno  puo'  essere
 dichiarata   provvisoriamente  esecutiva,  a  richiesta  della  parte
 civile, "per giustificati motivi" dal giudice di primo grado  e  che,
 ove  cio' avvenga, il giudice di appello, ad istanza del responsabile
 civile e dell'imputato, con ordinanza in  camera  di  consiglio  puo'
 revocare o sospendere la provvisoria esecuzione.
     La  norma  che  stabilisce questa possibilita' non ne determina i
 presupposti, cosicche' la parte richiedente  puo'  portare  all'esame
 del  giudice di secondo grado ogni argomento idoneo a determinarne la
 decisione ed anche, quindi, l'esistenza di gravi ed evidenti errori o
 carenze di motivazione della condanna.
    Si manifesta, dunque,  prosegue  il  remittente,  una  sostanziale
 disparita'  di  trattamento  circa  la  possibilita'  di  ottenere la
 sospensione della provvisoria (o immediata) esecuzione a seconda  che
 questa  si  riferisca alla condanna al pagamento di una provvisionale
 sul danno o alla condanna esaustiva della  domanda  risarcitoria:  in
 questa  disparita'  riceve  un trattamento deteriore il condannato al
 pagamento di una provvisionale,  la  cui  possibilita'  di  avere  la
 sospensione e' limitata al ristrettissimo ambito dell'incombere di un
 danno grave ed irreparabile.
    1.3. - Allo scopo di verificare se si tratti di una disparita' che
 derivi  da  una  scelta  legislativa  motivata e nella quale si possa
 individuare un disegno razionale, la Corte remittente procede ad  una
 ricognizione   delle   norme   che   disciplinano  la  materia  della
 provvisoria esecutivita' (e della sua  revoca  o  sospensione)  delle
 sentenze appellabili.
    Osserva  al riguardo che, nel codice di procedura penale abrogato,
 solo con la legge 15 dicembre 1972, n. 773 fu aggiunto l'art. 489 bis
 e introdotta la possibilita' di declaratoria, su istanza della  parte
 civile,  della  provvisoria  esecutivita'  del capo della sentenza di
 condanna  di   primo   grado   contenente   l'assegnazione   di   una
 provvisionale.
    Quello  stesso  articolo  stabili'  che con decisione in camera di
 consiglio il giudice di appello potesse, se  richiesto,  revocare  la
 concessione  della  provvisoria  esecuzione o sospendere l'esecuzione
 iniziata. Come per la concessione della provvisoria esecuzione, cosi'
 anche per la revoca o per la sospensione  non  furono  determinati  i
 presupposti,  rimessi  quindi all'elaborazione giurisprudenziale, che
 poteva individuarne i piu' svariati.
    Passando al codice di procedura civile del 1940 e' stata  prevista
 (art.  282)  la  concedibilita' ad istanza di parte della provvisoria
 esecuzione, con o senza cauzione, delle sentenze appellabili,  o  per
 la  certezza  del  titolo  posto  a  fondamento  della domanda, o per
 l'esistenza del pericolo nel ritardo.
    Nello  stesso rito e' stata prevista (art. 278) la possibilita' di
 condanna  al  pagamento  di  una  provvisionale  "nei  limiti   della
 quantita' per cui (il giudice) ritiene gia' raggiunta la prova" ed e'
 previsto  (art.  282)  che,  sempre  ad  istanza  della  parte che ha
 richiesto questa condanna, sia concessa la provvisoria esecuzione  di
 essa "tranne quando ricorrono particolari motivi per rifiutarla".
    Ancora  nello stesso codice (art. 283) e' prevista la possibilita'
 di  un  riesame  ad  istanza  di  parte,  nel  giudizio  di  appello,
 anticipato  rispetto alla decisione del gravame, ai fini della revoca
 della provvisoria esecuzione o  della  sospensione  della  esecuzione
 iniziata.
    Nel  panorama  normativo  vanno  poi  inserite - prosegue la Corte
 remittente - le modifiche al codice di procedura civile apportate con
 la legge 26 novembre 1990, n. 353, tra le quali  qui  particolarmente
 interessano quelle degli artt. 282 e 283 di detto codice, i quali ora
 prevedono   rispettivamente  che  "la  sentenza  di  primo  grado  e'
 provvisoriamente esecutiva tra  le  parti";  e  che  "il  giudice  di
 appello su istanza di parte, proposta con l'impugnazione principale o
 con  quella  incidentale,  quando ricorrono gravi motivi, sospende in
 tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della  sentenza
 impugnata".  Questi due articoli sono entrati in vigore dal 2 gennaio
 1993, sia pure risultando applicabili solo alle cause introdotte  non
 prima di tale data, per effetto della legge 4 dicembre 1992, n. 477.
    Il   panorama   tracciato   mette  in  evidenza  come  attualmente
 coesistano nell'ordinamento quattro complessi di norme (cinque se  si
 include  anche  quello  relativo alle cause in materia di lavoro e di
 previdenza) relativi ad analoga  materia  ma  ognuno  notevolmente  o
 radicalmente  diverso  dall'altro,  mentre, ad avviso del remittente,
 non  sono  rilevabili  specifiche  ragioni  per  cui   le   decisioni
 appellabili  emesse  in  relazione ad una azione civile debbano avere
 trattamento diverso, quanto alla provvisoria esecutivita', se  emesse
 in  un  processo  civile  o  se emesse in connessione con un processo
 penale.
    1.4. - Dalla ricognizione compiuta risulta,  dunque,  riassume  la
 Corte  remittente,  che  nel  codice  di procedura penale del 1988 si
 riscontra  un  diverso  trattamento,  quanto  alla   provvisoria   (o
 immediata)  esecutivita',  delle  pronunce  di  primo  grado relative
 all'azione civile a seconda che esse contengano condanna esaustiva  o
 condanna  provvisionale,  e  che  questo  diverso  trattamento non si
 giustifica ed anzi e'  irrazionale,  dato  che  tra  i  due  tipi  di
 condanna  vi  e'  solo una differenza quantitativa, secondo il chiaro
 dettato normativo sul punto.
    Risulta pure che il codice di procedura civile, dopo le  modifiche
 in esso introdotte nel 1990, elimina ogni diverso trattamento, quanto
 all'esecutivita', delle diverse categorie di sentenze di primo grado,
 perche' a tutte conferisce l'esecutivita' provvisoria.
    Nel  codice  di  procedura  penale,  poi,  al  diverso trattamento
 relativo  all'esecutivita',   prima   specificato,   delle   condanne
 esaustive  e di quelle provvisionali corrisponde, nel secondo e terzo
 comma dell'art. 600, come si e' visto, una diversa possibilita',  per
 la  parte  che  ha  subito  la  condanna,  di ottenere dal giudice di
 appello, con decisione interlocutoria a seguito di un rito  camerale,
 la  sospensione della provvisoria esecutivita' della condanna stessa:
 a  chi  ha  subito  la  condanna  al  pagamento  della  provvisionale
 (esecutiva   per   legge),  e',  infatti,  riservato  un  trattamento
 deteriore,  potendo  ottenere  la sospensione dell'esecuzione solo in
 relazione alla prospettiva di un grave e irreparabile danno, mentre a
 chi ha subito una condanna  al  risarcimento  esaustiva  e'  data  la
 possibilita'  della  revoca  o  della sospensione per ogni motivo che
 appaia al giudice d'appello idoneo a sostenere il provvedimento.
    Si e' riscontrato, infine, che  il  predetto  trattamento,  quanto
 alla   possibilita'  di  sospensione  della  immediata  esecutivita',
 riservato a chi nel processo  penale  abbia  subito  la  condanna  al
 pagamento  di  una  provvisionale, risulta deteriore anche rispetto a
 quello che nel codice di procedura civile, come aggiornato nel  1990,
 e'  riservato  a chi abbia subito quel tipo di condanna ed ogni altro
 tipo di condanna provvisoriamente esecutiva benche' di  primo  grado.
 Secondo  la  disposizione  aggiornata  di  detto  codice, infatti, e'
 possibile la sospensione dell'efficacia esecutiva o della  esecuzione
 "quando ricorrono gravi motivi".
    Per  di  piu',  l'individuazione,  nella  norma  impugnata,  della
 categoria del  grave  e  irreparabile  danno,  come  parametro  della
 possibile    sospensione    dell'esecuzione,   crea   alla   concreta
 possibilita' di quella sospensione un ambito  estremamente  ristretto
 se non addirittura improbabile.
    1.5.  -  Osserva  a  questo  punto il remittente che la previsione
 della possibilita' di  sospensione,  con  ordinanza  del  giudice  di
 appello,  della provvisoria (o immediata) esecutivita' delle sentenze
 appellate - derivi detta esecutivita' da provvedimento del giudice di
 primo grado o direttamente dalla legge - per la costanza con  cui  e'
 entrata  a  far  parte  degli  ordinamenti  processuali  puo'  essere
 considerata un principio giuridico.
    Il fondamento di questo  principio  risiede  nella  necessita'  di
 contemperare  l'esigenza  della rapida tutela giudiziaria dei diritti
 violati e l'incertezza delle decisioni finche' non siano divenute de-
 finitive.   Ne  deriva  che  la  scelta  correlata  alla  valutazione
 probabilistica del consolidarsi di una decisione nei successivi gradi
 di  giudizio  e'  bene  che  non sia irretrattabile, ma consenta alla
 parte, che ne e'  gravata,  di  ottenere  una  nuova  valutazione  in
 concreto  da  parte di un giudice.  Di cio' sono espressione le varie
 norme esaminate, che lasciano al  giudice  dell'inibitoria  un  ampio
 spazio  decisorio,  perche'  o  non circoscrivono l'ambito dei motivi
 esaminabili  o  lo  indicano  con  formule   assai   generiche   come
 "giustificati motivi" e "gravi motivi".
    Rispetto  a queste si pone come eccezione l'art. 373 del codice di
 procedura civile, ma trattasi di tipica eccezione confermativa  della
 regola,  in  quanto  quell'articolo  si  riferisce solo alle sentenze
 impugnate col ricorso per cassazione,  cioe'  a  sentenze  che  hanno
 esaurito  le fasi di merito e che, quindi, hanno alta probabilita' di
 diventare definitive.   Sul presupposto del  riferimento  a  sentenze
 soggette  ad  appello,  gli  unici  termini omogenei di confronto del
 contenuto dell'impugnato terzo comma  dell'art.  600  del  codice  di
 procedura penale sono, pertanto - osserva in definitiva il remittente
 -  il  secondo comma dello stesso articolo, l'art. 489 bis del codice
 di procedura penale del 1930 (in quanto ancora vigente) e l'art.  283
 del  codice  di  procedura  civile,  tanto nella originaria che nella
 nuova formulazione.
    Queste  norme,  capaci  di  fornire  con la necessaria omogeneita'
 termini di raffronto in  relazione  al  caso  di  sentenze  appellate
 immediatamente  esecutive  o  per disposto di legge o per statuizione
 del giudice, prevedono la possibilita' di sospensione  da  parte  del
 giudice  di  appello per motivi non ristretti al pericolo di grave ed
 irreparabile danno, e per motivi, comunque, rispetto  a  questo  piu'
 ampi  ed  eterogenei:  questa  disparita' di trattamento, conclude il
 giudice  a  quo,  siccome  non   sorretta   da   alcuna   ragionevole
 giustificazione,  appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione
 e col principio di uguaglianza in esso sancito.
    2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  limitandosi  a  chiedere  che  la questione sia dichiarata
 inammissibile o infondata, con riserva di illustrare i motivi addotti
 a sostegno di dette conclusioni in una successiva  memoria,  poi  non
 depositata.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte  d'appello  di  Bologna dubita della legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  all'art.  3   della   Costituzione,
 dell'art.  600,  terzo  comma, del codice di procedura penale, "nella
 parte  in  cui  limita  la  prevista  possibilita'   di   sospensione
 dell'esecuzione  della  condanna al pagamento di una provvisionale al
 solo caso che possa derivarne grave ed irreparabile danno".
   Premesso che gli imputati appellanti, nel formulare, ai sensi della
 norma  impugnata,  l'istanza  di  sospensione  dell'esecuzione  della
 condanna  anzidetta  (immediatamente  esecutiva  ope legis: art. 540,
 secondo comma, c.p.p.), piu' che tendere a dimostrare l'esistenza del
 danno grave  ed  irreparabile  (senza,  peraltro,  riuscirvi),  hanno
 soprattutto  criticato  la  sentenza  di  primo  grado,  proprio  con
 specifico riferimento alle questioni civili con essa decise, la Corte
 remittente lamenta che la norma in esame, subordinando l'accoglimento
 dell'istanza di sospensione al solo presupposto  estremamente  rigido
 del  "grave  e  irreparabile  danno",  non  consente in alcun modo di
 prendere in considerazione, ai fini della decisione, le censure mosse
 dagli istanti avverso la sentenza impugnata.
    Tale  preclusione,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  integra  un
 trattamento  irragionevolmente  deteriore per l'appellante rispetto a
 quello ad esso riservato da una serie di altre disposizioni  -  rela-
 tive  anch'esse  a sentenze di primo grado provvisoriamente esecutive
 (per disposto di legge o per statuizione del  giudice)  -,  le  quali
 sono  invece accomunate dal fatto di fornire al giudice di appello un
 piu' ampio spazio decisorio nel concedere l'inibitoria, prevedendo la
 possibilita' della sospensione - rileva la Corte  remittente  -  "per
 motivi  non  ristretti  al pericolo di grave ed irreparabile danno, e
 per motivi, comunque, rispetto a questo piu' ampi ed eterogenei".  Al
 riguardo,  la Corte medesima cita, quali termini di raffronto, l'art.
 600, secondo comma, del codice di procedura penale, il quale non pone
 specifiche  condizioni  per  la  revoca  o   la   sospensione   della
 provvisoria esecuzione - disposta dal giudice per giustificati motivi
 -  della condanna (esaustiva) alle restituzioni e al risarcimento del
 danno; l'art. 489 bis del codice di  procedura  penale  abrogato  (in
 quanto  ancora applicabile), il quale ugualmente non detta condizioni
 per la  revoca  o  la  sospensione  della  provvisoria  esecuzione  -
 disposta  dal  giudice  -  del  capo  della  sentenza di condanna che
 assegna la provvisionale; l'art. 283 del codice di procedura  civile,
 nel  testo  abrogato  dalla  legge  n. 353 del 1990 (in quanto ancora
 applicabile),  che parimenti non prevede specifici presupposti per la
 revoca o la sospensione della provvisoria esecuzione -  disposta  ope
 iudicis  in casi determinati - delle sentenze di primo grado; infine,
 l'art. 283  del  medesimo  codice  di  procedura  civile,  nel  testo
 introdotto  dalla  legge n. 353 del 1990 (ed applicabile nei processi
 iniziati dopo il 1 gennaio 1993), secondo cui  il  giudice  d'appello
 puo'  sospendere  l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza
 di primo grado -  provvisoriamente  esecutiva  ope  legis  -  "quando
 ricorrono gravi motivi".
    2.1. - La questione e' fondata.
    La   norma   impugnata  costituisce  indubbiamente,  nel  panorama
 normativo delineato dal giudice a quo, un'eccezione  rispetto  ad  un
 criterio  generale  ricavabile  dalle  disposizioni sopra menzionate:
 queste,  infatti,  anche  se  con  formule  non   sempre   identiche,
 attribuiscono   comunque   tutte   al  giudice  d'appello  un  ambito
 decisorio,  nell'esercizio  del  potere  di   inibitoria,   tale   da
 ricomprendere  valutazioni sia in punto di fumus boni iuris (cioe' di
 delibazione circa la probabile fondatezza del gravame), sia in  punto
 di  periculum  in  mora  (cioe'  in  tema  di effetti pregiudizievoli
 derivanti dall'esecuzione).
    La norma in discussione, invece, preclude al giudice  l'esame  del
 primo  aspetto,  circoscrivendone  la  sfera valutativa - peraltro in
 termini estremamente ristretti - soltanto sul secondo profilo.
    2.2. - Preliminarmente va rilevato che l'art. 600  del  codice  di
 procedura  penale  riproduce testualmente l'art. 562 del progetto del
 1978; tuttavia ne' i lavori preparatori di tale progetto, ne'  quelli
 relativi al codice del 1988 forniscono alcun utile elemento in merito
 all'adozione del criterio del "grave e irreparabile danno".
    Inoltre  -  e soprattutto - e' significativo che la scelta di tale
 criterio non solo non trova alcuna indicazione  nelle  direttive  del
 legislatore delegante, del 1974 prima e del 1987 poi, ma anzi si pone
 in  evidente  contrasto  con esse. Invero, la formula adoperata nella
 direttiva n. 26 della legge di delega del 1987 "facolta' del  giudice
 di  appello  di  sospendere in ogni caso la provvisoria esecuzione in
 pendenza di impugnazione") - sostanzialmente identica a quella di cui
 alla direttiva di pari numero della legge di delega  del  1974  -  e'
 gia'  tale  da  ingenerare  forti dubbi sulla compatibilita' con essa
 della norma delegata in questione; ma il  raffronto  con  la  formula
 contenuta  nella successiva direttiva n. 27 ("facolta' della Corte di
 cassazione,  in  pendenza  di  ricorso,  di  sospendere  la  predetta
 esecuzione  se sussiste il pericolo di grave e irreparabile danno") -
 a sua volta sostanzialmente identica alla direttiva n. 28 della legge
 delega del 1974 -, evidenzia in maniera decisiva la  chiara  volonta'
 del delegante (poi attuata nell'art. 612 del codice) di introdurre il
 criterio  restrittivo  di cui trattasi limitatamente alle sentenze di
 secondo grado  impugnate  in  cassazione  (in  conformita'  a  quanto
 previsto   nel   codice   di   procedura  civile  all'art.  373),  e,
 correlativamente di escluderlo per quelle di primo grado appellate.
    2.3. - Cio'  posto,  deve  a  questo  punto  osservarsi,  piu'  in
 particolare,  che,  tra le disposizioni richiamate dal remittente, il
 termine di raffronto piu' pertinente alla fattispecie in questione e'
 costituito dall'art. 283 del codice di procedura  civile,  nel  testo
 introdotto dalla legge n. 353 del 1990.
   A  parte  il  rilievo  che  non  appaiono  invocabili, quali tertia
 comparationis, norme abrogate, anche se ne  perduri  l'applicabilita'
 in  via transitoria per determinati giudizi, e' decisiva in tal senso
 la considerazione che la citata disposizione disciplina i presupposti
 per la sospensione - da parte del giudice d'appello - dell'esecuzione
 delle sentenze (civili) di primo grado, la cui immediata esecutivita'
 e' disposta direttamente dalla legge (art. 282, nuovo testo, c.p.c.),
 cosi' come avviene nel caso in esame.
    Inoltre, dette sentenze possono anche limitarsi  (ricorrendone  le
 condizioni:   cfr.  art.  278  del  codice  di  procedura  civile)  a
 condannare il  debitore  al  pagamento  di  una  provvisionale;  e  i
 presupposti  per tale condanna sono identici nel processo civile e in
 quello penale, essendo stata riprodotta nell'art. 539, secondo comma,
 del codice di procedura penale la stessa formula "nei limiti  ..  per
 cui  si  ritiene gia' raggiunta la prova") della corrispondente norma
 del codice di procedura civile, proprio perche', come si legge  nella
 relazione  al  progetto  preliminare,  si  ritenne ingiustificata una
 differenza di disciplina sul punto.
    Ora, e' certamente esatto che l'inserimento dell'azione civile nel
 processo penale pone in essere una situazione in linea  di  principio
 differente  rispetto  a quella determinata dall'esercizio dell'azione
 civile nel  processo  civile,  anche  ove  si  tratti  di  azione  di
 restituzione  o  di  risarcimento  dei danni derivanti da reato (cfr.
 sent. n. 108 del 1970), e cio' in quanto tale azione assume carattere
 accessorio e  subordinato  rispetto  all'azione  penale,  sicche'  e'
 destinata  a  subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti
 dalla funzione e dalla struttura del  processo  penale,  cioe'  dalle
 esigenze,  di interesse pubblico, connesse all'accertamento dei reati
 e alla rapida definizione dei processi (v. sentt. nn. 171  del  1982,
 443 del 1990; ordd. nn. 115 del 1992, 185 del 1994).
    E',  pero', evidente come nessuno di tali profili venga in rilievo
 nel caso in esame, che concerne un particolare aspetto del regime  di
 esecutivita' delle disposizioni civili della sentenza penale di primo
 grado, la quale, del resto, puo' essere impugnata dall'imputato anche
 con esclusivo riferimento ai medesimi capi civili.
    Non  si  ravvisa, in conclusione, alcuna razionale giustificazione
 al fatto che, una volta disposta la immediata  esecutivita'  ex  lege
 della  condanna  al pagamento della provvisionale, la norma impugnata
 detti una regola diversa, in  ordine  al  potere  di  inibitoria  del
 giudice  di  appello,  rispetto  al menzionato art. 283 del codice di
 procedura civile: la diversita' di disciplina  cui  e'  assoggettata,
 sotto  lo specifico aspetto qui in considerazione, l'azione civile di
 restituzione o di risarcimento del danno  derivante  da  reato  -  e,
 correlativamente, la posizione del debitore -, a seconda che l'azione
 medesima  sia  esercitata  in sede propria o nell'ambito del processo
 penale,  integra,  pertanto,   la   violazione   del   principio   di
 eguaglianza.
    3.  - Una volta individuato nell'art. 283, nuovo testo, del codice
 di  procedura  civile  l'esatto  termine  di  raffronto  della  norma
 censurata, ne discende che la soluzione per ricondurre a razionalita'
 il  sistema  non  puo'  che  essere quella di sostituire, nella norma
 impugnata, le parole "quando possa  derivarne  grave  e  irreparabile
 danno", con quelle "quando ricorrono gravi motivi".
    Spetta   alla   giurisprudenza   definire   l'esatta   portata  di
 quest'ultima formula: ma e' indubbio che essa ha  il  pregio,  da  un
 lato,  di  attribuire al giudice d'appello un ampio spazio decisorio,
 in cui i due elementi del fumus boni iuris e del  periculum  in  mora
 potranno  essere oggetto di una complessa ed equilibrata valutazione,
 e, dall'altro, di rispondere all'esigenza di ancorare l'inibitoria ad
 un criterio rigoroso,  in  correlazione  all'attribuzione  ope  legis
 della immediata esecutivita' alla sentenza.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  600,  terzo
 comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che
 il giudice d'appello puo'  disporre  la  sospensione  dell'esecuzione
 della   condanna  al  pagamento  della  provvisionale  "quando  possa
 derivarne grave e irreparabile  danno",  anziche'  "quando  ricorrono
 gravi motivi".
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, 19 luglio 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 27 luglio 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 94C0896