N. 280 SENTENZA 23 giugno - 6 luglio 1994

 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Pretore - Eccezione di incompetenza per  territorio
 -  Connessione - Contestazione in udienza da parte del p.m. - Mancata
 previsione - Esclusione della violazione del principio di uguaglianza
 - Richiamo alla sentenza della Corte  n.    77/1977  e  ordinanza  n.
 521/1991  -  Esigenze  di  economia  processuale  - e di tutela della
 competenza degli organi giudiziari - Non fondatezza.
 
 (C.P.P., artt. 549 e 21, terzo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, e 25, secondo comma).
 
(GU n.32 del 3-8-1994 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE,  avv.  Mauro  FERRI,  prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo
    CHELI, dott. Renato  GRANATA,  prof.    Giuliano  VASSALLI,  prof.
    Francesco   GUIZZI,   prof.   Cesare   MIRABELLI,  prof.  Fernando
    SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli  artt.  549  e  21,
 terzo  comma,  del codice di procedura penale, promosso con ordinanza
 emessa il 18 febbraio 1993 dal Pretore di Trento - sezione distaccata
 di Cles - nel  procedimento  penale  a  carico  di  Nava  Gianfranco,
 iscritta  al  n.  426  del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  35,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 25  gennaio  1994  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ordinanza  del  18  febbraio 1993 il Pretore di Trento,
 sezione distaccata di Cles, ha sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale  degli  artt.  549  e  21,  terzo comma, del codice di
 procedura penale, "nella parte in cui  non  prevedono,  nel  processo
 pretorile,   che   possa   proporsi  eccezione  di  incompetenza  per
 territorio,  determinata  dalla  connessione,  nei  casi  in  cui  il
 pubblico  ministero ha contestato in udienza all'imputato ex art. 517
 del codice di procedura penale un reato connesso, tale da determinare
 l'incompetenza del giudice adito ai sensi dell'art. 16 del codice  di
 procedura  penale".  Rileva  il  giudice  a  quo che l'art. 21, terzo
 comma, del codice di procedura penale dispone un termine di decadenza
 per  le  eccezioni  di  incompetenza  territoriale  determinata dalla
 connessione, le quali possono proporsi, a norma del  richiamato  art.
 21,  secondo  comma,  solo  per  il  caso  in  cui  manchi  l'udienza
 preliminare (come nel giudizio pretorile), entro il termine  previsto
 dall'art. 491, primo comma, del codice di procedura penale.
   In  ipotesi  di  contestazione  suppletiva di un reato connesso, ex
 art. 517 del codice  di  procedura  penale,  il  cennato  termine  e'
 necessariamente  spirato,  e  la legge non prevede la possibilita' di
 proporre un'eccezione di incompetenza tardiva, resasi necessaria come
 reazione  alla  contestazione  in  dibattimento  di  fatti  tali   da
 determinare l'incompetenza del giudice. Per altro verso il codice non
 contiene   regole   da   cui  si  desuma  la  necessaria  perpetuatio
 iurisdictionis  del  giudice  che  procede,  a  fronte  di  modifiche
 dell'imputazione.
    Pertanto la lacuna normativa, ad avviso del remittente, si traduce
 nella  impossibilita'  incolpevole  per  la  difesa  dell'imputato di
 sollevare  l'eccezione  di  rito,  a  pena  di   incorrere   in   una
 dichiarazione di inammissibilita' della stessa perche' tardiva.
    Cio'  premesso,  il Pretore ritiene che la suesposta disciplina si
 ponga in contrasto in primo luogo con l'art.  3  della  Costituzione,
 per    l'irragionevolezza    della   limitazione   dell'esperibilita'
 dell'eccezione  ai  soli  casi  in  cui  il   reato   che   determina
 incompetenza per territorio e' contestato fin dall'inizio nel decreto
 che  dispone  il giudizio; non apparendo giustificabile la diversita'
 di trattamento di due casi uguali, dei quali il secondo, quello della
 contestazione in corso di dibattimento, si differenzia solamente  per
 il diverso contesto cronologico.
    La  norma  censurata violerebbe altresi' l'art. 24, secondo comma,
 della Costituzione, in quanto la lacuna normativa evidenziata integra
 una non giustificabile compressione del diritto  di  difesa,  che  si
 manifesta  anche nel potere di opporre le eccezioni processuali dalla
 legge   previste;    nel    caso    di    contestazione    suppletiva
 l'inesperibilita'dell'eccezione  preclusa  non  trova ragione alcuna,
 poiche' le esigenze difensive che  stanno  alla  base  dell'eccezione
 tempestivamente sollevata in limine ricorrono parimenti in ipotesi di
 contestazione di reati connessi emersi in dibattimento.
    Infine,  la  questione  appare  al  remittente  non manifestamente
 infondata anche sotto il profilo dell'art.  25,  primo  comma,  della
 Costituzione, determinandosi, con l'ineccepibilita' dell'incompetenza
 fin   dal   momento  originario  in  cui  i  presupposti  del  potere
 processuale si formano (con la  contestazione  suppletiva  del  reato
 connesso),  la  sottrazione  di  fatto  del  processo  al suo giudice
 naturale,  predeterminato  ai  sensi  dell'art.  16  del  codice   di
 procedura   penale,  tutte  le  volte  in  cui  viene  contestato  in
 dibattimento un reato connesso tale da cagionare la attrazione  della
 competenza per l'intero processo ad altro giudice.
    2.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che  ha
 concluso per l'infondatezza della sollevata questione.
    Ad   avviso   dell'Avvocatura   l'impostazione  data  dal  giudice
 remittente alla  situazione  al  suo  esame,  per  cio'  che  attiene
 l'applicazione  delle  disposizioni  del  codice  di  rito  penale da
 osservare  nell'ipotesi  di  connessione  di   reati   nel   processo
 pretorile,  pecca  di  un formalismo che non considera le ragioni del
 legislatore ordinario.
    L'impossibilita'   della  impugnazione  tardiva  per  incompetenza
 territoriale nell'ipotesi di contestazione  suppletiva  di  un  reato
 connesso  ex  art.  517  del  codice  di  procedura penale troverebbe
 giustificazione, secondo la difesa del governo, nella  esigenza,  che
 il  legislatore  ha  privilegiato, di evitare che la celebrazione del
 giudizio gia' incardinato venga rinviata e subisca i ritardi - spesso
 prolungati - derivanti  dalla  assegnazione  del  processo  ad  altro
 giudice  territorialmente  competente,  ma di pari competenza ratione
 materiae.
    Si tratterebbe, pertanto, di scelta adeguatamente motivata e  tale
 da  non  dare  luogo ne' ad una irrazionale disparita' di trattamento
 rispetto ad analoghe situazioni, ne' alla lesione dei principi di cui
 agli artt. 24 e 25 della Carta costituzionale indicati nell'ordinanza
 di remissione.
                        Considerato in diritto
   1. - Il Pretore di  Trento  -  Sezione  distaccata  di  Cles  -  ha
 sollevato  questione  di legittimita' costituzionale - in riferimento
 agli  artt.  3,  24,  secondo  comma,  e  25,  primo   comma,   della
 Costituzione  -  degli  artt.  549  e  21, terzo comma, del codice di
 procedura penale, "nella parte in cui  non  prevedono,  nel  processo
 pretorile,   che   possa   proporsi  eccezione  di  incompetenza  per
 territorio determinata dalla connessione nei casi in cui il  pubblico
 ministero ha contestato in udienza all'imputato ex art. 517 c.p.p. un
 reato  connesso  tale da determinare l'incompetenza del giudice adito
 ai sensi dell'art. 16 c.p.p.".
    Premesso  che,  all'esito   dell'istruzione   dibattimentale,   il
 pubblico ministero aveva contestato all'imputato un reato concorrente
 piu'  grave di quello enunciato nel decreto di citazione a giudizio e
 che  la  difesa  aveva  a  quel  punto  eccepito  l'incompetenza  per
 territorio  determinata  dalla  connessione ai sensi dell'art. 16 del
 codice di  procedura  penale,  il  remittente  rileva  che  la  detta
 eccezione   risulta   inammissibile  per  tardivita',  essendo  ormai
 necessariamente  spirato  il  termine  di  decadenza  ("subito   dopo
 compiuto  per  la prima volta l'accertamento della costituzione delle
 parti")  stabilito  dall'art.  491,  primo  comma,  del  codice,  cui
 l'impugnato  art.  21,  terzo comma, fa rinvio per quanto concerne il
 giudizio pretorile. A sua volta, l'art. 549 richiama, per il processo
 pretorile, le norme relative al procedimento davanti al tribunale, in
 quanto applicabili.
    La denunciata preclusione appare al remittente in contrasto con la
 Costituzione sotto un triplice profilo.
    Sarebbe violato, in primo luogo, l'art. 3 della Costituzione,  per
 irrazionale   diversita'   di   trattamento   di   due  casi  che  si
 differenziano soltanto sotto  l'aspetto  cronologico,  in  quanto  la
 possibilita'  o  meno  di  eccepire  l'incompetenza viene a dipendere
 esclusivamente dalla circostanza che il reato che  la  determina  sia
 contestato  fin  dall'inizio  nel  decreto  di  citazione a giudizio,
 oppure   nel   corso   del   dibattimento;   risulterebbe,   inoltre,
 ingiustificatamente  compresso  il  diritto  di  difesa,  poiche'  le
 esigenze   difensive   che   stanno    alla    base    dell'eccezione
 tempestivamente  sollevata ricorrono parimenti nell'ipotesi in cui il
 reato  connesso  sia  emerso,  e  contestato,  in  dibattimento;   si
 verificherebbe, infine, l'illegittima sottrazione del processo al suo
 giudice  naturale, predeterminato ai sensi dell'art. 16 del codice di
 procedura penale, ogniqualvolta, come nel caso  in  esame,  il  reato
 connesso   contestato   in   dibattimento  sia  tale  da  determinare
 l'attrazione della competenza per l'intero processo ad altro giudice.
    2. - Nel dettare l'art. 491, primo comma, del codice di  procedura
 penale (cui, come s'e' detto, l'impugnato art. 21 fa rinvio in ordine
 al   termine  per  rilevare  o  eccepire  -  quando  manca  l'udienza
 preliminare  e  quindi,  tra  l'altro,  nel  processo   pretorile   -
 l'incompetenza  per territorio o quella derivante da connessione), il
 legislatore, modificando la  regola  di  cui  all'art.  439,  secondo
 comma,   del  codice  previgente,  ha  inteso  stabilire  un  preciso
 sbarramento alla deducibilita' delle eccezioni in  esame,  anche  nel
 caso  in  cui  la  possibilita'  di proporle sorga solo nel corso del
 dibattimento. Cio'  emerge  chiaramente  sia  dal  raffronto  con  il
 secondo  comma  dello  stesso  art. 491 (che introduce invece, per le
 sole questioni in esso previste, una  clausola  di  salvezza  in  tal
 senso),  sia  dal  rilievo che la formulazione contenuta nel progetto
 preliminare - "sono proposte a pena di decadenza" - venne  sostituita
 nel  progetto definitivo con l'attuale - "sono precluse" - proprio al
 fine di chiarire che la norma si riferisce anche ai casi  in  cui  la
 facolta'  di  proporre  l'eccezione non sia ancora sorta allo spirare
 del termine, ipotesi per la quale si ritenne improprio il riferimento
 all'istituto  della  decadenza  (cfr.  sul  punto   le   osservazioni
 governative al progetto definitivo).
    Da  cio'  deriva  -  e  tale  interpretazione  e' confermata dalla
 giurisprudenza della Corte di cassazione - che al  superamento  della
 fase  dell'accertamento della costituzione delle parti il legislatore
 ha inteso far conseguire l'effetto della  perpetuatio  iurisdictionis
 del  giudice  procedente, nel senso che, per quanto qui interessa, da
 una contestazione suppletiva ex art.  517  del  codice  di  procedura
 penale  (il  quale,  a  sua  volta,  esclude  la  possibilita'  della
 contestazione solo nel caso in cui il  reato  concorrente  appartenga
 alla  competenza  di  un  giudice  superiore)  non  possono  derivare
 conseguenze in ordine  alla  competenza  per  territorio  determinata
 dalla  connessione,  la quale resta in ogni caso assegnata al giudice
 del dibattimento in corso.
    Si e' quindi in presenza, nella fattispecie, di una vera e propria
 regola attributiva  della  competenza,  di  segno  in  parte  opposto
 rispetto a quella stabilita, in via generale, dall'art. 16 del codice
 di procedura penale: e', pertanto, nei termini cosi' precisati che la
 proposta questione va esaminata.
    3.1. - La questione non e' fondata.
    Va,  in  primo  luogo,  esclusa  la  violazione  del  principio di
 eguaglianza.
    Non puo', infatti, ritenersi irrazionale che il legislatore  abbia
 dettato   regole  di  competenza  diverse  in  ragione  dello  stadio
 processuale in cui  il  reato  connesso  emerga  e  venga  contestato
 all'imputato,  a  seconda,  cioe', che tale reato sia gia' menzionato
 nel decreto di citazione a giudizio, ovvero  la  contestazione  segua
 alla circostanza che il reato medesimo sia emerso dopo l'apertura del
 dibattimento,     nel     corso    dell'istruzione    dibattimentale:
 contrariamente a quanto ritiene il giudice a quo , si e' in  presenza
 di   una   oggettiva   diversita'   di  situazioni,  dalla  quale  il
 legislatore, nell'ambito della  sua  sfera  di  discrezionalita',  ha
 ritenuto non irragionevolmente di trarre una diversa disciplina.
    3.2.  - Passando - secondo l'ordine delle censure - alla lamentata
 violazione del diritto di difesa, occorre premettere che le norme  in
 tema  di  competenza  territoriale  certamente  non possono ritenersi
 sottratte, in linea di principio, al sindacato  di  costituzionalita'
 con  specifico  riferimento anche all'art. 24 della Costituzione, non
 potendosi ovviamente sostenere che - sotto il profilo delle  garanzie
 dell'imputato   -  detto  sindacato  si  esaurisca  nel  valutare  la
 conformita' di tali norme  al  principio  della  precostituzione  del
 giudice  di  cui  all'art.  25,  primo comma, della Costituzione, nel
 senso che, una volta accertata la salvaguardia  di  questo  precetto,
 non  residui  alcuno spazio di autonomo rilievo in ordine al rispetto
 del diritto di difesa dell'imputato.
    In proposito, questa Corte ha gia' avuto modo di affermare che  la
 competenza  territoriale  del  giudice  penale  e' disciplinata dalla
 legge in considerazione del luogo ove e'  stato  commesso  il  reato,
 "allo  scopo  di  consentire  che  ivi  si  dia  luogo  alla migliore
 concentrazione  delle  attivita'  del  processo"  (cfr.  sentenza  n.
 77/1977  e ordinanza n. 521/1991); e non puo' negarsi che il criterio
 del forum commissi delicti , pur se ispirato da  finalita'  attinenti
 "in  modo  prevalente  alla  economia  processuale"  (cfr.  le citate
 pronunce),  risponda  anche,  come  tradizionalmente  sottolinea   la
 dottrina,  all'esigenza  di  una  piu'  facile raccolta delle prove e
 dunque evidentemente incida, rendendolo piu' agevole,  sull'esercizio
 del  diritto  di  difesa. Del resto, il codice del 1988 ha mantenuto,
 come regola generale, il criterio anzidetto, sia nell'art. 8, in tema
 di competenza per territorio "diretta", sia anche - a  ben  vedere  -
 quando,  in  caso  di  connessione  di procedimenti, ha attribuito la
 competenza al giudice territorialmente competente per il  reato  piu'
 grave (art. 16).
    Da  quanto  affermato  deriva  che  il  legislatore, nel dettare i
 criteri attributivi della competenza, debba tendenzialmente ispirarsi
 al rispetto del principio del locus commissi delicti, e che,  d'altra
 parte,  deroghe  a  tale criterio, comportando una maggior gravosita'
 delle modalita' di esercizio del diritto di difesa, possano ritenersi
 legittime  se  sorrette  da  motivi  di  salvaguardia  di   interessi
 ritenuti, non irragionevolmente, degni di tutela (cfr., in tal senso,
 pur se in settori diversi dal processo penale, sentenze nn. 477/1991,
 189/1992, 231/1994).
    Venendo  alla  fattispecie  in  esame,  la  ratio  della regola di
 competenza che scaturisce dalla normativa impugnata va  rinvenuta  in
 evidenti  esigenze  di  economia  e  speditezza processuale, le quali
 subirebbero una  notevole  compromissione  nel  caso  in  cui,  fermo
 rimanendo  il  simultaneus processus per i reati connessi (che giova,
 fra  l'altro,  proprio  all'interesse  dello  stesso  imputato:  cfr.
 sentenza n.117/1972), l'intero processo dovesse essere devoluto - con
 conseguente  necessaria  rinnovazione  del  dibattimento  -  ad altro
 giudice: tanto basta per ritenere legittima la norma censurata  sotto
 il profilo in esame.
    3.3.  - Deve, infine, escludersi anche la violazione dell'art. 25,
 primo comma, della Costituzione.
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,  il  principio
 ivi  sancito tutela essenzialmente l'esigenza che la competenza degli
 organi giudiziari, al  fine  di  una  garanzia  rigorosa  della  loro
 imparzialita',  venga  sottratta  ad  ogni  possibilita' di arbitrio,
 attraverso la precostituzione per legge del giudice in base a criteri
 generali  fissati  in anticipo e non in vista di singole controversie
 (cfr.,  tra  le  tante,  sentenze  nn.  1/1965,  117/1972,   77/1977,
 127/1979,  269/1992, 217/1993; ordinanza n. 521/1991): ed e' evidente
 che nella fattispecie ricorrono tali condizioni, essendo  chiaramente
 determinato  a priori - in base a quanto si e' detto sopra al punto 2
 - il criterio attributivo  della  competenza  territoriale  derivante
 dalla connessione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 549 e 21, terzo comma, del codice  di  procedura  penale,
 sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  3, 24, secondo comma, e 25,
 primo comma, della Costituzione, dal  Pretore  di  Trento  -  Sezione
 distaccata di Cles, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, 23 giugno 1994.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 6 luglio 1994.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 94C0905